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Il caleidoscopio della dualità. Immagini, percorsi e rifrazioni del Doppio nella letteratura contemporanea europea.

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea magistrale

in Filologia e Letteratura italiana

Tesi di Laurea

   

Il caleidoscopio della dualità

Immagini, percorsi e rifrazioni

del Doppio nella letteratura

contemporanea europea

         

Relatore

Prof. Alberto Zava

 

Correlatori

Prof. Rolando Damiani

Prof. Beniamino Mirisola

 

Laureanda

Erica Giacomin

Matricola 845665

 

Anno Accademico

2014/2015

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INDICE

INTRODUZIONE

4

CAPITOLO PRIMO

GENESI DEL DOPPIO

8

I.1. Le origini 8

I.2. Narciso e le sue forme 10

I.3. Barocco e Romanticismo: il ritorno della dualità 22

I.4. Superstizioni e credenze sul Doppio 27

CAPITOLO SECONDO

IL PERTURBANTE

31

II.1. Ernst Jentsch e il germe del perturbante 31

II.2. Das Unheimliche und Der Doppelgänger 36

II.3. Jung, la duplicità e l’archetipo dell’ombra 49

II.4. Il fil rouge della malattia mentale 57

CAPITOLO TERZO

IL CARATTERE MULTIFORME DELLA DUPLICAZIONE

64

III.1. Un caleidoscopio di immagini poliedriche: il Doppio 64

III.2. L’ombra di Schlemihl 68

III.3. Spikher e la perdita del riflesso 77

(3)

III.5. Tratti comuni della duplicità 112

III.6. Simbologia della dualità in Nostra Signora dei Turchi 115

CAPITOLO QUARTO

L’ALTRO NEL CINEMA

126

IV.1. Der Student von Prag 126

IV.2. Psycho 126

IV.3. The Shining 140

(4)

INTRODUZIONE

Queste pagine non hanno l’intento di riassumere e nemmeno di essere esaustive a proposito di un discorso così fecondo e prolifico quale è la tematica della duplicità.

Il presente lavoro si prefigge l’obiettivo di esaminare il motivo del Doppio nelle sue differenti rifrazioni letterarie e psicologiche, nonché la sua duttilità nell’ambito di diverse discipline. La tematica è in grado di transitare impercettibilmente e in modo sottile da un settore a un altro, dalla mitologia alla psicologia, dalla letteratura al cinema. È inoltre possibile rinvenire elementi di dualità nelle credenze e nelle superstizioni di antiche tribù.

Questo excursus si interroga sullo sdoppiamento dell’individuo: se sia qualcosa di tangibile e concreto oppure se sia frutto della mente e dell’immaginazione. Facendo riferimento al saggio critico L’altro e lo stesso di Massimo Fusillo emerge quanto il Doppio presenti dinamiche eterogenee e di quale entità sia l’evoluzione che ha subito nel tempo e nello spazio.

Nell’immaginario antico è possibile rintracciare una prima manifestazione di questo tema osservando come il Doppio non sia la conseguenza di una nevrosi o un’astrazione, al contrario si attui attraverso la concretizzazione fisica di un soggetto.

L’esperienza della dualità viene presa in considerazione dal punto di vista mitologico, in particolare attraverso l’emblematica figura di Narciso. Una figura che ha subito una parabola di variazioni dando alla luce dissimili versioni del mito; in tal senso quest’immagine ha trovato riscontri e notorietà nelle arti figurative ed è stata oggetto di studio nell’ambito della psicoanalisi. Narciso risulta così essere determinante in quanto latore di una pluralità di immagini doppie, grazie all’estasi della visione di sé.

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L’indagine prosegue delineando il ritorno della tematica nel periodo del Barocco, in cui si assiste all’instabilità di fondo che caratterizza questa fase, generando nell’individuo la dissimulazione dell’identità. Ma il momento più ricco e denso della materia appartiene al Romanticismo in cui germoglia un diverso approccio col sé e con le parti più nascoste dell’uomo.

Si evidenzia quanto questi due movimenti letterari presentino un tratto comune rinvenibile nelle opere sulla duplicità: la follia, il delirio e la comparsa di patologie mentali.

È possibile notare quanto l’argomento si intersechi ragionevolmente con altre discipline; così il secondo capitolo consiste nell’osservazione del tema dalla prospettiva psicoanalitica.

Il Doppio risulta essere intrinsecamente legato all’effetto perturbante, un termine, una sensazione che dischiude significati spesso intraducibili. Tracciando la genesi dell’epiteto partendo dalla sua origine, la cui matrice proviene dallo psichiatra Jentsch, il lavoro prosegue con l’analisi del termine sulla base del saggio freudiano Das Unheimliche, che sottolinea la ridda di significati che l’appellativo racchiude. L’interconnessione tra le diverse branche della cultura si sviluppa anche in questo senso, poiché l’effetto della perturbanza coinvolge ineluttabilmente la letteratura. Un autore di rilievo in questo lavoro è sicuramente E.T.A. Hoffmann, considerato dal padre della psicoanalisi quale il più autorevole scrittore sul motivo del Doppio, in grado di generare nel lettore continui interrogativi sul significato che un’opera fantastica può celare.

Forse quel che ci appare o definiamo fantastico, in Hoffmann è puramente un codice della comunicazione, il velo di una geniale, straordinaria, variegata invenzione di una fitta orditura di simboli che hanno radici nel mito e riproducono miti.

E ciò che ne risulta, ciò che percepiamo ad una prima lettura, e quel che ne deriva in termini definitori, se lo chiamiamo fantastico, può essere un arbitrio o un pregiudizio letterario. Sicuramente riduttivo.

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esteriore, un sistema della raffigurazione, un espediente artistico.1

Rimanendo nell’ambito psicoanalitico, si fa riferimento alla questione archetipica di Jung e a quelle figure che trovano spazio nell’inconscio umano, giungendo all’osservazione di una variante della dualità, l’ombra. Il percorso vuole indagare quel filo rosso che congiunge le opere sul Doppio con la struttura psichica dei suoi autori, facendo particolare riferimento al grande saggio critico di Otto Rank, Der Doppelgänger.

Nel terzo capitolo vengono messe in luce tutte le possibilità che un tema tanto fertile può far nascere. Dall’analisi di un campione di opere che non ha l’intenzione di essere esaustivo, – specialmente per la sconfinata bibliografia sull’argomento – emerge quanto la dualità non sia un campo univoco, al contrario quanto sia portatrice di una infinita serie di riverberi. L’elaborato ha l’intento di sottolineare la vastità di metodologie di lettura che il fruitore può avanzare, come anche il Doppio non può rimanere circoscritto in uno spazio limitato.

Questo percorso osserva alcune varianti della duplicità, prendendo in esame dei testi cardine del Doppio, di autori quali Chamisso e Hoffmann, per illustrare le tipologie di ombra, riflesso e sosia. Ne consegue dunque quanto la visione di un altro sé sia un elemento caro alla letteratura, in grado di trasporre su carta i problemi dell’identità e dei suoi tormenti. Un tema che nella sua complessità e vertigine trova la propria ragion d’essere nelle costanti che ricorrono nelle opere, nello spazio e nel tempo. Il terzo capitolo si conclude con un’analisi volta a evidenziare la simbologia della dualità di un’opera straordinaria quale Nostra Signora dei

Turchi, definita da Bene come «geniale parodia della vita interiore».

                                                                                                                         

1 ALESSANDRA BARBANTI TIZZI, Hoffmann è fantastico?, in Lo specchio dei mondi impossibili. Il fantastico nella

letteratura e nel cinema, a cura di Cristina Barbaglia, G. Elisa Bussi, Cesare Giacobazzi, Gabriella Imposti, Firenze,

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Infine, l’ultimo capitolo schiude una ulteriore metamorfosi del campo tematico attraverso il cinema. Rispetto alla produzione letteraria la pellicola per mezzo dei suoi espedienti è riuscita a restituire figurativamente il caleidoscopio della duplicazione.

Partendo da una prima esperienza di inizio Novecento, ne Lo studente di Praga si assiste allo sdoppiamento dell’individuo attraverso una concretizzazione, per poi giungere negli anni Sessanta all’osservazione di un cult hitchcockiano. Psycho mostra quanto la dualità possa essere qualcosa di impercettibile all’occhio umano e dunque tradursi in una scissione interna all’individuo, andando ancora una volta a toccare l’aspetto psicoanalitico.

L’ultima esperienza riportata risale invece agli anni Ottanta con The Shining, magistralmente diretto da Stanley Kubrick. La scelta di porre questo film come ultima analisi dell’elaborato non è frutto di una casualità. Il fatto che il cineasta sia stato notevolmente influenzato dalla lettura del saggio freudiano (Das Unheimliche) per la realizzazione del film rimanda a ciò che è stato affermato sin dal principio. Il motivo del Doppio opera continuamente un transito tra i diversi settori della cultura, che, fondendosi insieme, restituiscono al fruitore quell’infinita girandola di letture, aperture, significati che la dualità può offrire.

Ciò che in queste pagine si vuole destinare al lettore è un’immagine, parvenza sintetica e sfuggevole, in cui la dualità si esprime come centro di idee foriere di molteplici creazioni, divenendo al contempo veicolo di realtà emotive e mentali. Un tema che schiude una parabola conoscitiva, collettiva e individuale, che genera interrogativi, domande aperte verso, ancora una volta, l’indicibile, l’indagine sempre imprevedibile di sottili percorsi umani, per restituire frammenti forse distorti, ma proiettati verso quell’“apprendere ad apprendere” che è la nostra prospettiva a venire.

(8)

CAPITOLO PRIMO

GENESI DEL DOPPIO

Dacché mi stancò il cercare Ho appreso il trovare: dacché mi fu avverso un vento navigo con tutti i venti1

I.1. Le origini

Sin dall’antichità è possibile ritrovare le prime manifestazioni, anche se spiegate in modo differente dai posteri, del seducente fenomeno dello sdoppiamento dell’individuo. Bisognerà chiarire dunque ciò che si intende per “Doppio”, ovvero l’esatta duplicazione, sia essa fisica, sotto forma di ombra, di sosia o riflesso di un essere vivente.

Sorge spontaneo l’interrogativo se questa fedele copia di un essere sia frutto dell’immaginazione, del sogno, o sia qualcosa di reale, tangibile. È possibile operare una distinzione in questo senso, poiché, come ci ricorda Fusillo, le dinamiche di questo argomento si differenziano sia se ci riferiamo agli antichi, sia a due importanti movimenti letterari quali il Barocco e il Romanticismo, entrambi pregni di questa tematica.

La genesi del concetto si esplica in modo chiaro se osserviamo un passo tratto dal V libro dell’Iliade del poeta greco Omero, ove Enea, incalzato da Diomede, viene tratto in salvo da Apollo, che «costruì allora un doppio, del tutto simile a Enea anche nelle armi. E intorno al

                                                                                                                         

1 FRIEDRICH NIETZSCHE, La mia felicità, in Le poesie, a cura di Anna Maria Carpi, Torino, Einaudi, 2008 (1882), p. 41.

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doppio i Troiani e gli Achei divini rompevano l’uno contro l’altro sul petto gli scudi rotondi di cuoio e quelli pelosi e leggeri».2

Il poeta greco parla di psychè, ovvero quella parte dell’individuo che si slega dal corpo per proseguire il suo iter negli inferi; dunque ogni essere umano è privo di psychè, e, solo nel momento del trapasso, ciascun soggetto diviene psychài, «ombre inconsistenti che nelle tenebre sotterranee conducono un’esistenza ridotta»;3 quindi psichè, come afferma Redfield, «non è anima, ma fantasma».4

Nella terminologia greca rinveniamo èidola, che si dovrebbe chiosare come “doppio” (e non come “immagine”); infatti in Omero è possibile rintracciare una serie di visioni ultraterrene che vengono chiamate proprio èidola. Tra queste, vi è quel Doppio descritto nel V libro, creato dal dio Apollo. Infatti il combattimento prosegue senza che nessun guerriero si renda conto dello scambio.

Dobbiamo però affermare che, nell’immaginario antico, il Doppio non si presenta affatto come un prodotto della mente e quindi diretta illazione di una nevrosi, bensì è da intendersi come reale, concreto, la duplicazione manifesta – nel vero senso della parola – di un individuo; nel passo in questione infatti, la sostituzione di Enea avviene attraverso un personaggio reale, al fine di trarre in inganno il nemico.

Il caso di Enea non è l’unico che ci rimanda al fenomeno della psichè, poiché la dualità emerge nell’opera omerica anche sotto forma di altre immagini, come ad esempio all’interno della dimensione onirica del sogno, ove è presente l’immagine di un soggetto appunto Doppio di un individuo vero e proprio; da non dimenticare la categoria dei trapassati, dei morti, le cui

psychài corrispondono agli spettri.                                                                                                                          

2 MASSIMO FUSILLO, L’altro e lo stesso. Teoria e storia del doppio, Firenze, La Nuova Italia, 1998, p. 31. La citazione in questione è tratta dal V libro dell’Iliade di Omero, che Fusillo riporta nel suo saggio.

3 JEAN-PIERRE VERNANT, «Psichè»: simulacro del corpo o immagine del divino?, in La maschera. Il doppio e il

ritratto, a cura di Maurizio Bettini, Roma-Bari, Laterza, 1991, p. 3.

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Come già accennato, la psychè si identifica con ciò che si separa dall’individuo nel momento della morte, ma si tratta di un’immagine del tutto identica al soggetto in questione; ci si potrebbe rivolgere direttamente ad essa, nonostante sia un simulacro, o, per dirla con Vernant, «fumo».5

Singolare è senza dubbio il fatto che nella classicità questo Doppio non sia inteso come qualcosa di inconsueto, non come effige o sembianza. Non si tratta di qualcosa di tangibile, non di un prodotto fallace ma nemmeno di qualcosa di partorito dal pensiero. È altro, «è una realtà esterna al soggetto, inscritta nel mondo visibile ma che, pur nella sua conformità a ciò che simula, col suo carattere insolito spicca sugli oggetti familiari, sulla scena consueta della vita».6 Questa dualità presenta inoltre un paradosso, poiché «nel momento in cui si mostra presente, si rivela come se non fosse di qui, come se appartenesse a un altrove inaccessibile».7

I.2. Narciso e le sue forme

[…] Può accadere così che l’ombra/immagine si faccia talmente reale da suscitare la passione di colui che contempla se stesso in una fontana. Ma in questo caso, a chi appartiene l’identità reale, chi è più in grado di dire «io», il soggetto o l’ombra che gli nasce incontro dalla superficie lucente? È il dramma di Narciso e del suo «doppio». Mentre giunge addirittura un momento in cui il soggetto assume su di sé il compito di farsi immagine (ma di chi?) e indossa la maschera – o almeno «dice» di indossarla, perché forse non è neppure così.8

Una posizione di non poca importanza, tra le plurime narrazioni che danno origine al repertorio della mitologia antica, è sicuramente quella occupata da Narciso, del quale esistono differenti versioni. Narciso è una figura di particolare rilievo per quanto riguarda la questione

                                                                                                                         

5 Vernant chiama psichè anche sogno e ombra.

6 J.P.VERNANT, «Psichè»: simulacro del corpo o immagine del divino?, cit., p. 4. 7 Ibidem.

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della dualità, come sottolineano Bettini e Pellizzer, in quanto personaggio che ha riscontrato grande notorietà nelle arti figurative, poiché l’argomento cela al proprio interno una varietà di immagini quali il riflesso, il riflettersi del proprio volto in uno specchio d’acqua, e conseguentemente la visione di un altro sé, lo sdoppiamento dell’individuo.

Il racconto di Narciso non è certamente svincolato da fogge di carattere psicologico, in quanto la duplicazione è un fenomeno che affonda le proprie radici nella psicoanalisi, in particolar modo con il contributo di Freud ma anche con uno dei suoi seguaci, Otto Rank.

Nel corso della storia, il mito ha subito una serie di modificazioni ed è stato tramandato in versioni differenti. È noto che quella di maggior successo, nonché la più completa, appartiene al poeta Ovidio, racchiusa all’interno del terzo libro delle Metamorfosi.

Ma vi è un altro autore, coevo a quest’ultimo, di cui non possediamo molte informazioni, al quale si attribuisce il resoconto più antico. Il sapiente scrittore è Conone, presumibilmente originario di Atene, vissuto nel periodo augusteo, compreso tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. La sua versione è reperibile all’interno de Le Narrazioni, contenenti una serie di capitoli riguardanti leggende greche:

A Tespie di Boezia [è una città situata non lontano dall’Elicona] nacque il fanciullo Narciso (Nàrkissos), che era assai bello, ma anche grande spregiatore di eros e degli amanti. Gli altri suoi innamorati finirono per rinunciare ad amarlo, mentre il solo Aminia (Ameinías) perseverava nel supplicarlo continuamente. E poiché Narciso non gli dava retta, e anzi gli aveva mandato in dono una spada, si trafisse davanti alla porta del giovane, non senza aver molto invocato il dio perché lo vendicasse.

Così Narciso, contemplando ad una fonte la propria immagine e la propria bellezza riflesse nell’acqua, lui solo, e per primo, divenne assurdamente amante di se stesso. Infine, preso dalla disperazione, e giudicando di soffrire una giusta punizione, in cambio delle colpe commesse nell’oltraggiare gli amori di Aminia, si uccise.

Da allora i Tespiesi stabilirono di onorare e venerare ancor di più il dio Eros, oltre che con sacrifici pubblici, anche con culti privati; le genti del luogo pensano che il fiore del

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narciso sia spuntato per la prima volta dalla terra sulla quale fu versato il sangue di Narciso.9

Nel racconto affiorano punti cardine propri di questo genere di letteratura amorosa, in particolare, una produzione letteraria che mette in rilievo l’amore di tipo omosessuale. Ritroviamo nei due personaggi una sequela di atteggiamenti classici dell’amore greco, movenze che innescano suggestioni quali colpa, rammarico, pentimento, rifiuto, afflizione e di conseguenza il gesto estremo, il suicidio. Il ruolo di Narciso implica un meccanismo, «una forma di volere; una proposta di scambio, nell’ambito di una logica condizionale (“se vuoi il mio amore, allora devi risolvere l’enigma di questo dono, comprendere il suo senso nascosto, e dunque morire”)»;10 invero il giovinetto è ostile a qualsiasi richiesta amorosa gli venga fatta e rifiuta l’amore di Aminia inviandogli una spada, quasi invitandolo a commettere il suicidio. Il suicidio avviene, ed ecco che nel racconto entra in gioco il notorio senso di colpa, che porterà Narciso a compiere egli stesso il gesto estremo, per aver declinato riluttante un amore, in nome – solo e unicamente – di se stesso, del proprio riflesso, di una mera illusione. È da mettere in evidenza come il racconto di Conone non riporti però alcuni tratti salienti; risulta privo di figure femminili, non veniamo informati delle origini del giovane, della presenza di vati o profeti spesso presenti in questo genere di storie, e non vi è neppure un «cenno che ci permetta di identificare con maggior precisione la fonte che aveva riflesso l’immagine e la bellezza dell’assurdo amante di se stesso: non sappiamo dove fosse situata, né se avesse un nome, o se ne avesse avuto uno dopo gli eventi accaduti».11

A differenza del suo contemporaneo però, Publio Ovidio Nasone ci fornisce forse la più completa e particolareggiata variante del mito; l’autore delle Metamorfosi opera un eccellente

                                                                                                                         

9 MAURIZIO BETTINI EZIO PELLIZZER, Il mito di Narciso. Immagini e racconti dalla Grecia a oggi, , Torino, Einaudi, 2003, p. 46. Il racconto riportato da Bettini e Pellizzer si trova in Conone, Narr. XXIV, = Fozio,

Bibliotheca, 186, 134 b 28 – 135 a 4.  

10 Ivi, p. 47. 11 Ivi, p. 49.

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excursus del racconto, partendo dal primordio della nascita di Narciso sino ad arrivare alla

mutazione in fiore. In questo caso l’aspetto amoroso è di natura eterosessuale. Eccone un estratto:

[…] Nell’antica Boezia nacque da una ninfa e da un dio fluviale Narciso, che era bellissimo fin da bambino. La madre interrogò l’indovino Tiresia sul suo futuro, e ricevette un responso piuttosto enigmatico: il fanciullo sarebbe vissuto a lungo, se non avesse mai conosciuto se medesimo. Giunto al termine del suo quindicesimo anno, Narciso si dedicava alla caccia, ed era talmente bello che lo amavano molti giovani e molte fanciulle, ma lui, superbo, rifiutava gli amori, e nessuno dei suoi amanti lo aveva ancora toccato. Eco, una ninfa che era stata punita da Giunone per averla distolta con chiacchiere dal sorvegliare gli amori furtivi di Giove con le ninfe, ed era stata condannata a non poter dire che le ultime parole di ciò che udiva, si innamorò di lui, e gli si offrì fino a gettargli le braccia al collo, ma il giovane rifiutò sdegnato ogni approccio d’amore. Eco allora si ritirò nelle grotte sui monti, e si consumò fino a ridursi a uno scheletro pietrificato. Di lei non rimase che la voce senza corpo, che continuava a ripetere gli ultimi suoni di ciò che veniva detto. Alla fine, uno degli amanti di Narciso, dopo un ennesimo rifiuto, lo maledì invocando su di lui una degna punizione. Nemesi, la dea della vendetta, assentì a far pagare il fio a Narciso. […] Così fece in modo che il giovane, mentre cercava presso una fonte solitaria sollievo dalla sete, dopo le fatiche della caccia, credesse di vedere nella sua immagine riflessa nell’acqua un bellissimo fanciullo, del quale s’innamorò perdutamente. Dopo molti sofferti e inutili tentativi di avvicinare e toccare quella che non era che una vana immagine speculare, Narciso, in un improvviso momento di illuminazione, si rende conto di esser stato tratto in inganno dalla propria immagine, ma ormai non può più tornare indietro: anziché guarire dalla sua illusione, capisce che l’oggetto del suo amore è lui stesso, e disperatamente, dopo essersi percosso il petto nudo, si lascia morire di inedia e di consunzione. La voce di Eco fa risuonare l’ultimo addio alla vita dell’infelice. L’anima di Narciso, discesa agli Inferi, continua ancora tristemente a cercare di specchiarsi nella palude Stigia; e mentre le ninfe sue sorelle lo piangono e ne celebrano il funerale, il suo corpo all’improvviso scompare, e al suo posto viene trovato un fiore bianco e giallo-arancio, il fiore del narciso.12

                                                                                                                         

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La versione offertaci da Ovidio è senza dubbio un caleidoscopio di immagini multiformi, in grado di toccare significati profondi, in quanto Narciso, «come aveva ben visto Otto Rank, […] è una fantasmagoria che coinvolge, nella fuga dell’io e dell’Altro, specchio, acqua, doppio, occhio, metamorfosi […]».13 Apprendiamo che nonostante il personaggio perda la vita in giovane età, nel periodo dell’adolescenza come altri fanciulli noti in questi miti, continui anche nel regno dei morti a contemplarsi nelle acque profonde della Stige. È pertanto singolare che Ovidio mostri questo soggetto anche in un’altra veste, quella seguita dal trapasso, sebbene ci avesse già esplicitato la metamorfosi del giovinetto in fiore. Come già accennato per la versione di Conone, sebbene con la differenza di un amore di tipo eterosessuale, anche qui emerge il reiterato rifiuto da parte di Narciso di tutti gli amanti che si fanno avanti e delle loro amorose proposte, concludendo il cerchio nuovamente con la punizione divina, la colpa e infine la morte.

È indispensabile menzionare che il destino di Narciso è da attribuirsi a una profezia, quella dell’indovino Tiresia, che, nel momento in cui Narciso viene al mondo, prevede che il piccolo avrà vita lunga, ma solo se non conoscerà se stesso. È cristallino come questo vaticinio sia rivelatore e qui risiede il fulcro della storia:

[…] l’accecamento, la fuorviante follia, in questo racconto che è tutto incentrato sulla figuratività, sulla visibilità, sugli effetti del vedere e dell’immagine, consiste proprio nel non

saper riconoscere se stesso in un simulacro speculare. Questo sarà precisamente lo scandalo,

l’assurdità che Pausania, circa un secolo e mezzo più tardi, come vedremo, troverà tanto intollerabile da convincersi ad andare debolmente in cerca di una versione più razionale e giustificabile.14

Peculiare è il fatto che Narciso, giovinetto dedito alla caccia, si fosse avvicinato alla fonte per potersi dissetare e riposare e che Ovidio, mettendo in risalto quest’immagine, avesse creato

                                                                                                                         

13 MARIO MANCINI, Il lai di Narciso, Parma, Pratiche, 1989, p. 12. 14 M.BETTINI E.PELLIZZER, Il mito di Narciso, cit., p. 67.

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un doppio senso; ovvero, dopo aver bevuto l’acqua e placato gli animi, a Narciso nacque un’altra sete, quella di se stesso, così tanto da crearsi una prigione.

Una caratteristica che più avanti ritroveremo in alcuni racconti riguardanti il Doppio tratta l’impossibilità di intraprendere una storia amorosa, l'incapacità di amare; è quindi necessario far riferimento all’analogia che si va a creare se osserviamo il mito. Il vaticinio del chiaroveggente Tiresia si avvererà al termine del racconto, poiché Narciso troverà la morte giovane, e sarà proprio in quell’istante che avrà la grande illuminazione, riuscirà a vedere se stesso, davvero:

In quel preciso momento, Narciso si renderà conto anche del fatto che non è un esiguo velo d’acqua a separarlo dall’oggetto amato, ma che il soggetto e l’oggetto del desiderio, implodendo in un essere solo, che è lui medesimo, rendono impossibile il realizzarsi di un amore: inopem me copia fecit, «proprio il pieno possesso di ciò che amo, mi rende incapace di goderne!15

Come già anticipato, il discorso su questo personaggio mitico non è sciolto da aspetti di matrice psicologica, al contrario. A un certo punto la consapevolezza di aver raggiunto la follia si manifesta, ma Narciso non può far nulla per combattere questa sventura. La rivelazione, anziché assumere valenza positiva, e dunque far fronte al problema individuando una soluzione, non fa che incrementare il dolore e la coscienza di un amore impossibile. Egli vorrebbe staccarsi da quell’immagine, un’immagine che convive al suo interno con un altro io, esattamente come se fossero due entità, «come se due soggetti, concordi nell’amore reciproco, coabitassero assurdamente in un solo involucro fisico, costretti a convivere, per morirvi, in un’anima sola:

duo concordes anima moriemur in una».16 Ed ecco che, nel momento della consapevolezza, dell'acquisizione della mendacia di quell'immagine riflessa nello specchio d'acqua, si realizza la

                                                                                                                         

15 Ivi, pp. 67-68. 16 Ibidem.

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temibile profezia dell’indovino, poiché il giovane infrange la sacra regola dello scambio d’amore tra due individui, riducendolo a uno e uno soltanto, quello con se stesso.

La bibliografia sul mito è vastissima, infatti: dopo Ovidio e Conone troviamo un altro adattamento; in questo caso privo d'amore omosessuale, ma anche sprovvisto della ninfa Eco e del tragico presagio del profeta Tiresia. Il breve racconto giuntoci dal viaggiatore e geografo Pausania include un nuovissimo elemento, la sorella gemella di Narciso:

C'è anche un'altra storia su di lui, meno conosciuta della precedente, ma che comunque si racconta, e cioè che Narciso aveva una sorella gemella, e che fra le altre cose i due avevano un aspetto in tutto somigliante, portavano entrambi la chioma acconciata allo stesso modo, e vestivano abiti simili; inoltre andavano spesso a caccia l'uno in compagnia dell'altra (met'allèlon). E che infine Narciso si innamorò della sorella, e quando la fanciulla morì, recandosi spesso alla fonte capiva, si, di vedere la propria immagine (skià), ma l'immagine (eikòn) di sua sorella. Quanto al fiore del narciso, da parte mia ritengo che la terra lo fece spuntare anche prima, se si deve giudicare dai versi epici di Pamfo.17

In questo caso, Pausania ribalta le versioni antecedenti, dando spazio all'amore incestuoso e depennando la metamorfosi del fiore introdotta nella versione ovidiana. L'omissione del mutamento del giovane in narciso viene spiegata diversamente, infatti Pausania asserisce che l'esistenza del fiore è da ricondursi a molto tempo prima.18

Esaminare il mito in questa sede non è, come si potrà notare, casuale, giacché il nucleo della questione, la dualità, presenta una sequela di punti di vista. Tra questi vi è appunto il riflesso, quell'immagine di cui il giovane Narciso si innamora perdutamente. La fonte e l'acqua presentano le medesime caratteristiche di uno specchio, quindi un riflesso, che implica la possibilità di vedere se stessi, la riproduzione perfetta del volto di un individuo; ma lo specchio,

                                                                                                                         

17 Ivi, pp. 71-72.

18 Nel saggio di Bettini e Pellizzer viene chiarito che il fiore del narciso secondo Pausania probabilmente esisteva già all'epoca di Omero, poiché un altro poeta, Pamfo, suo contemporaneo, ne faceva menzione.  

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(così come il riflesso) mediante il proprio potere avvincente è al contempo in grado di incutere ansia e trepidazione, dal momento che è in grado di far vedere un altro, equivalente, che è Doppio.

Il Doppio si esplicita per mezzo del riflesso del giovane Narciso sullo specchio d'acqua, e le tre varianti riportate mostrano la presenza di differenti, ma pur sempre attinenti, figure di dualità, che, per così dire, accentuano i caratteri del discorso. Anzitutto con l'amore di tipo omosessuale del giovane con Aminia, quello di tipo eterosessuale con Eco ed infine la sorella gemella, nuova possibilità del mito che Pausania regala, in grado di instaurare «l'opposizione maschile/femminile a intersecare la tensione io/l'altro».19

Di fatto lo specchio, che incarna solamente una delle varianti della duplicazione,20 rappresenta il veicolo primo per il generarsi di varie tipologie di Doppio.

Un doppio non è la mera riproduzione rigorosa di un individuo. Talvolta si manifesta come deformazione e può anche assumere fattezze mostruose; in proposito, vi è un’osservazione interessante operata da Aristotele riguardo il rapporto che intercorre tra il sogno e l’immagine riflessa nell'acqua. Si va a creare dunque un'analogia tra i due poli, poiché se il sogno è attraversato da inquietudini e perturbazioni, queste possono dar luogo a rassomiglianze o dissomiglianze che ne modificano i caratteri; allo stesso modo ciò avviene se l'acqua in cui è riflessa un'immagine viene mossa e alterata. Lo stesso Perseo, con il suo scudo che assume la parvenza di uno specchio, era stato avvisato, dopo aver reciso la testa di Medusa, di osservarla solo mediante il riflesso; e lo sguardo di Medusa, fissata dallo scudo, smarrisce il suo potere pietrificante.

Intrigante è quindi questa distorsione generata dallo specchio:

                                                                                                                         

19 EZIO PELLIZZER, Narciso e le figure della dualità, in La maschera. Il doppio e il ritratto a cura di Maurizio Bettini, Roma-Bari, Laterza, 1991, p. 14.

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A volte, mentre davanti allo specchio ci si rade la barba, si può essere indotti a fare delle smorfie, a deformare la bocca, storcere il naso, muovere le ciglia, alterare i lineamenti del volto. Non è che un debole, imperfetto tentativo di caricatura di se stessi, un pallido desiderio di deformità, una sorta di veniale nostalgia della differenza - o della mostruosità - suggerita da una specie di risentimento nei confronti dell'immagine speculare, che mi rimanda un'immagine troppo somigliante, un ritratto troppo perfetto, una copia troppo vera, un doppio che mi somiglia troppo, in maniera che finisce per essere insopportabile. Perciò voglio distorcere, rimuovere questa eccessiva uguaglianza (homoiòtes), e facendo le boccacce mi procuro una caricatura di me stesso.21

Ecco che lo specchio assume duplici valenze: è uno strumento in grado di mostrare un altro sé, di riprodurre l'immagine, ma allo stesso tempo è anche strumento atto alla deformazione, dando vita a forme diverse. Lo specchio si palesa dunque come quella linea di demarcazione tra ciò che è fittizio e ciò che è reale, grazie ad esso veniamo scagliati in una dimensione che assume connotati complessi da definire. Non reale, non immaginaria. Dunque cosa?

Analizzando il mito di Narciso dobbiamo necessariamente chiamare in causa uno dei discenti del caposcuola della psicoanalisi. Ci riferiamo in questo senso a Otto Rank22 e al suo testo Der Doppelgänger, il Doppio.

Un elemento di primaria importanza che non può far a meno di sussistere nelle storie sul Doppio è chiaramente la morte. Vi è un collegamento, un fil rouge che si va a creare tra il trapasso e la creazione di un altro sé, poiché la morte rappresenta forse il più temibile degli avvenimenti nella vita di un uomo, tanto da stimolare in un individuo la necessità di dar vita a un

                                                                                                                         

21E.PELLIZZER, Narciso e le figure della dualità, cit., p. 16.

22 Otto Rank (nato a Vienna nel 1884) fu uno dei discepoli di Sigmund Freud. Fu una personalità brillante e sappiamo che in giovane età nutrì forte interesse per il teatro e la filosofia, disciplina nella quale si laureò. Freud lesse un suo libro riguardante la creatività dell’artista e il suo giudizio fu più che positivo, a tal punto da farlo entrare all’interno della sua cerchia. Divenne segretario della Società Psicologica del Mercoledì insieme ad altri collaboratori di Freud e diresse varie riviste tra cui Imago. Nel 1924 pubblicò Il trauma della nascita, che causò quei dissensi che portarono all’abbandono definitivo della società. Morì nel 1939. L’opera alla quale faremo riferimento per lo stretto legame con il mito di Narciso è appunto Il Doppio, pubblicata nel 1914 con il titolo Der Doppelgänger.

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altro identico per fuggire da quest’idea. Non si tratta però solamente di questo, perché la morte sopraggiunge quasi sempre in seguito al disagio provocato dal Doppio nei confronti della persona che in questa sede potremmo chiamare “reale”. Un chiaro esempio in questo senso è rappresentato da Lo studente di Praga,23 film muto tedesco del 1913. In seguito al baratto avvenuto tra il personaggio di Baldovino e il dottor Scapinelli, il riflesso (il Doppio) inizia la sua opera persecutoria nei confronti del protagonista, trovandosi in svariate situazioni. La reazione del personaggio principale si rivela così estrema: con la canonica entrata in campo della pazzia, viene meno la razionalità e Baldovino, giunto all’esasperazione, finisce per uccidere il proprio Doppio, inconsapevole di aver in realtà freddato se stesso.

È da rilevare come l’elemento della dipartita sia stato rimpiazzato nel mito di Narciso con l’amore, e come mette in evidenza Rank, l’aspirazione a «contrapporre alla morte un equivalente il più possibile diverso e gradevole».24 Lo psicoanalista austriaco indica come il Doppio sia intimamente correlato al narcisismo e la dimostrazione di questo è sicuramente il legame che vi è con il vasto repertorio mitologico a nostra disposizione, ma anche grazie a varie espressioni poetiche e prosastiche. In questa fitta varietà di modelli va ricordato il celebre romanzo di Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray,25 comunemente conosciuto dal pubblico proprio per l’insano atto dello specchiarsi al fine di contemplare la propria bellezza, infatti:

[…] sottolinea, nel modo più chiaro, l’amore narcisistico per la propria immagine e per il proprio io accanto alla paura e all’odio per il Doppio. Alla prima occhiata che Dorian dà al ritratto: «la sua bellezza gli si manifesta quando vede l’immagine del suo splendore». Ma subito è preso dalla paura d’invecchiare, o comunque di cambiare, timore legato strettamente all’immagine della morte: «Se mi accorgerò di diventare vecchio, mi ucciderò».                                                                                                                          

23 Der Student von Prag è il titolo originale del film muto datato 1913. Il soggetto è di Hanns Heinz Ewers, mentre la regia è di Stellan Rye. Splendido esempio cinematografico sulla tematica del Doppio.

24 OTTO RANK, Il doppio. Il significato del sosia nella letteratura e nel folklore, trad. it. di Maria Grazia Cocconi Poli, Varese, SugarCo, 1994 (Wien-Leipzig 1914), p. 92.

25 OSCAR WILDE, Il ritratto di Dorian Gray, Verona, Acquarelli Best Seller, 1999. Il titolo originale è The picture of

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Dorian, che nel suo romanzo è chiamato proprio Narciso, ama il suo ritratto e, in esso, il suo corpo: «Una volta, come un giovane Narciso esuberante, aveva baciato quelle labbra dipinte che gli sorridevano ora così tristemente. Un mattino dietro l’altro, si era seduto davanti al quadro e aveva ammirato la sua bellezza, e spesso se n’era estasiato». «Spesso… scivolava su nella stanza chiusa, e con uno specchio in mano stava ritto davanti al quadro… Ora guardava sulla tela quel brutto volto che invecchiava, ora il bel volto da adolescente che gli sorrideva nello specchio. S’innamorava sempre più della sua bellezza».26

Come osserveremo più avanti in questo elaborato, i racconti sulla dualità presentano, anche se in misure differenti, dei caratteri comuni così come quelle patologie che buona parte degli autori di queste opere hanno avuto nel corso della loro vita; in Wilde emerge l’usuale incapacità di intraprendere una relazione amorosa (che ne Lo studente di Praga si manifesta come impossibilità, a causa di un agente esterno, il Doppio, appunto), originata da questo amore spinto al parossismo, per la propria immagine riflessa. Non è da sottovalutare l’aspetto sessuale: spesso ci troviamo di fronte al cosiddetto alter ego dell’autore, e forse non è un caso che Dorian fosse omosessuale così come il suo creatore. Gray invero intrattiene delle relazioni sessuali «con giovani uomini, che Hallward gli rimprovera» e che «mirano a soddisfare i sentimenti erotici che nutre per la sua immagine giovanile, mentre alle donne non può chiedere che i più grossolani piaceri sensuali senza riuscire mai a realizzare una relazione spirituale»;27 la privazione della realizzazione amorosa e l’ambiguità della vita sessuale finiscono quindi per diventare nel protagonista delle zavorre dalle quali non riesce a liberarsi. Lo stesso Dorian parla per l'appunto di amore narcisistico, per un ritratto che nel tempo diventa sempre più vecchio e insopportabile. Il binomio amore-odio è un fenomeno che si fa sempre più concreto nella situazione narcisistica in cui pian piano Dorian sprofonda. Più il protagonista esecra il proprio ritratto, più quest’ultimo acquisisce potenza: mentre il suo Doppio gonfia il proprio dominio, più aumenta il narcisismo

                                                                                                                         

26 O.RANK, Il doppio, cit., p. 93. 27 Ibidem.

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squilibrato. Questo genere di atteggiamento volto all’erotismo verso se stessi avviene perché, nel medesimo momento, i moti dell’animo da destituire sono proprio quelli che si focalizzano sul Doppio:

Nei confronti del proprio io Narciso è ambivalente; qualcosa in lui si oppone all’amore esclusivo per se stesso. La rimozione del narcisismo si manifesta inizialmente in due forme diverse: nella paura e nella ripugnanza per la propria immagine […], oppure, nella maggioranza dei casi, nella perdita dell’ombra e del riflesso.28

Rank sottolinea però che in realtà questa perdita, al contrario, è un aumento di potenza:

[…] il che prova ancora una volta un eccessivo interesse per l’io. Si spiega dunque la contraddizione apparente per cui l’ombra o il riflesso perduti possono essere rappresentati in una persecuzione che loro stessi conducono. È una rappresentazione attraverso il contrario, resa possibile dal ritorno del rimosso nel rimovente.29

Il motivo del Doppio presenta una fortissima connessione con l'aspetto psicoanalitico, legato a sua volta al fenomeno della morte che nella maggioranza dei casi avviene mediante suicidio (conseguenza estrema della perdita di contatto con la realtà, e pertanto causa di sviluppo di nevrosi e patologie).

La paranoia, come afferma Freud, è una forma alla cui base «c'è una fissazione al narcisismo cui corrisponde una tipica megalomania, la sopravvalutazione sessuale del proprio io».30 In questo senso Freud fa riferimento all'omosessualità sublimata: l'io reale attua, attraverso lo sdoppiamento, una forma di difesa. Ecco che l'atto persecutorio e di conseguenza il

                                                                                                                         

28 Ivi, p. 94. 29 Ibidem. 30 Ibidem.

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persecutore, coincide ineccepibilmente con la persona amata in origine, ed è «proprio contro di lui che si erge ora la difesa».31

Tornando all'ultima versione presa in esame per quanto riguarda il mito, abbiamo riscontrato in Pausania un Doppio corrispondente alla sorella gemella, motivo abbastanza comune in questo tema. Il fratello o la sorella gemella sono indubbiamente elementi carichi di significato poiché celano al loro interno l'aspetto della competizione e della rivalità; non a caso Rank afferma che «considerato dall'esterno, il Doppio è, in realtà, il rivale del suo primo modello in tutto e per tutto, ma soprattutto nell'amore per la donna, caratteristica che deve in parte alla sua identificazione con il fratello».32 L’esigenza di compiere l'omicidio del proprio Doppio si spiega proprio se facciamo riferimento a questa contesa tra fratelli, che viene simboleggiata dal dissidio con l'antagonista in amore. «L'angoscia dell'incontro con il proprio Doppio è il prezzo che si paga per liberarsi da questa tensione attraverso un'oggettivazione del conflitto».33

I.3. Barocco e Romanticismo: il ritorno della dualità

All’interno dell’ampia serie dei generi letterari secenteschi, troviamo una comune attitudine, quella della percezione del mondo come palcoscenico: la vita intesa come finzione. In questo senso, il chiaro riferimento è nei confronti del Barocco, ove ciò che sentiamo, percepiamo e vediamo non corrisponde al vero. In questo periodo l’individuo giunge alla consapevolezza che l’esistenza è caratterizzata dall’utilizzo continuo di maschere che ognuno indossa a proprio piacimento, dall’essere ciò che non si è, nell’attesa, un giorno, di poter essere se stessi veramente. Quest’immagine incarna dunque lo status dell’uomo del Seicento, caratterizzato da una instabilità di fondo, che porta essenzialmente all’inazione.

                                                                                                                         

31 Ivi, p. 95. 32 Ibidem. 33 Ivi, p. 96.

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Vi è una sorta di infermità dell'immaginazione, che «non è propria soltanto del Barocco ma che da al Barocco il principio della sua poetica: ogni differenza è una somiglianza per sorpresa, l'Altro è uno stato paradossale dello stesso, o diciamo pure: l'Altro fa lo stesso».34

L'instabilità di cui si parlava fa sì che gli individui dissimulino la propria identità, che risulta essere intrinsecamente collegata al mito di Narciso e, come si è notato, rappresenta una personalità colma di significato anche nell'erudizione secentesca. Genette lo definisce, utilizzando le parole di Bachelard, un «complesso di cultura» e afferma esserci in esso la compresenza di due tematiche: la fuga e il riflesso. La fuga si riferisce a quell'immagine che Narciso vede sull'acqua, che di fatto è sfuggente, instabile, e l'instabilità è data proprio dalla materia su cui essa poggia, l'acqua. L'acqua non è un qualcosa di immobile, è sufficiente un solo tocco e tutto ciò che vediamo svanisce, «è il luogo di tutti i tradimenti e di tutte le incostanze: nel riflesso che essa gli presenta, Narciso non può riconoscersi senza inquietudine, ne amarsi senza pericolo».35

Il secondo tema è di fatto uno sdoppiamento:

[...] è un doppio, ossia contemporaneamente un altro e uno stesso. Questa ambivalenza gioca nel pensiero barocco come un invertitore di significati che rende l'identità fantastica (Io è un altro) e l'alterità rassicurante (c'è un altro mondo, ma è simile a questo). [...] questo perché il riflesso è contemporaneamente un'identità confermata (dal riconoscimento) e un'identità rubata, e quindi contestata (dall'immagine stessa): basterà forzare leggermente l'interpretazione per scivolare dalla contemplazione narcisistica propriamente detta a una sorta di fascinazione il cui modello, cedendo alla sua immagine tutti i segni dell'esistenza, si svuota progressivamente di se stesso.36

                                                                                                                         

34 GÉRARD GENETTE, Figure: retorica e strutturalismo, trad. it. di Franca Madonia, Torino, Einaudi, 1969 (Paris 1966), pp. 17-18.

35 Ivi, p. 19. 36 Ibidem.

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Qualsiasi movimento Narciso faccia, il suo riflesso ne risente: si sposta, si allunga, si modifica, e la distruzione di questo riflesso porterebbe al disfacimento di ciò che tanto ama, se stesso; dunque «l’immagine di Narciso si iscrive su una materia in fuga […] è il tessuto stesso del suo volto che fugge e svanisce senza tregua, in uno slittamento continuo, quasi impercettibile».37 Grazie a queste voci forniteci da Genette, possiamo tracciare la complessità barocca di Narciso, che «si proietta e si aliena in un riflesso che gli rivela, ma sottraendogliela (nei due significati della parola), la sua illusoria e fugace esistenza: tutta la verità in un fantasma, in un’ombra, in un sogno».38

La questione del Doppio presenta una serie di declinazioni, sfaccettature e aspetti multiformi tali che non può essere definita in modo assoluto, in quanto lo statuto dell’io rappresenta un concetto alquanto sfuggente per poterlo circoscrivere all’interno di uno spazio delimitato; si tratta di una tematica in grado di transitare da una disciplina a un’altra con estrema facilità: dalla letteratura alla filosofia, dalla religione alla psicoanalisi, sino ad arrivare ad affascinanti esperienze cinematografiche.

Come indicato, le prime vere attestazioni che conserviamo in merito alla dualità appartengono all'epoca arcaica; ritroviamo questo fenomeno nell'epica omerica e nel mito e ciò che noi moderni chiamiamo doppio nell'antichità era definito èidolon, che «manifesta in modo tangibile la presenza di una seconda realtà, parallela a quella vivente ma non meno di quella reale e operante».39 La questione riemerge caldamente e in modo esplicito più avanti, in epoca moderna, tornando a essere familiare tra gli europei. In proposito, Guidorizzi nel suo saggio ci riporta un'osservazione di Baudrillard:

[...] ciò che differenzia le società moderne da quelle arcaiche è che presso di noi la                                                                                                                          

37 Ivi, p. 22. 38 Ivi, p. 23.

39 GIULIO GUIDORIZZI, Lo specchio e la mente: un sistema d’intersezioni, in La maschera il doppio e il ritratto, cit., p. 36.

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percezione del doppio deriva dall'alienazione e dalla scissione della personalità; mentre nelle culture arcaiche le relazioni tra l'io e il suo doppio non assumono alcun tratto patologico, ma conservano un carattere di quotidianità: in altre parole, è attraverso il doppio che si consente uno scambio visibile con un settore non visibile di se stessi - settore che, per il fatto di non essere visibile, non cessa comunque di essere reale. Tra le forme che tale categoria assunse in ambito culturale greco, è strettissima la relazione, sia morfologica che funzionale, tra l'ombra e l'immagine speculare.40

Il doppio ritorna grazie a numerosi racconti,41 ma non dobbiamo dimenticare la forte influenza che la tematica ha esercitato sugli studi di psicoanalisi.

Il racconto fantastico è una delle produzioni più caratteristiche della narrativa dell'Ottocento, e una delle più significative per noi, nel senso che ci dice più cose sull'interiorità dell'individuo e sulla simbologia collettiva. Alla nostra sensibilità d'oggi l'elemento soprannaturale al centro di questi intrecci appare sempre carico di senso, come l'insorgere dell'inconscio, del represso, del dimenticato, dell'allontanato dalla nostra attenzione razionale. In ciò va vista la modernità del fantastico, la ragione del suo ritorno di fortuna nella nostra epoca. Sentiamo che il fantastico dice cose che ci riguardano direttamente, anche se siamo meno disposti dei lettori ottocenteschi a lasciarci sorprendere da apparizioni e fantasmagorie, o siamo pronti a gustarle in un altro modo, come elementi del colore dell'epoca.42

È tra XVIII e XIX secolo, in particolare con il movimento artistico e letterario del Romanticismo, che lo charme e l’inquietudine generati dallo sdoppiamento dell’io si mostrano in tutta la loro interezza. Non a caso, l’interesse verte su un secolo nel quale assistiamo a un mutamento della natura dell’uomo (o per meglio dire, il diverso approccio con il sé, con la parte

                                                                                                                         

40 Ibidem.

41  In questo percorso si analizzeranno alcuni racconti e romanzi concernenti il motivo del Doppio. In particolare la

Storia straordinaria di Peter Schlemihl di Adelbert von Chamisso del 1814, il racconto Storia del riflesso perduto

del 1815 di Hoffmann, facente parte de Le avventure della notte di San Silvestro. Sempre di Hoffmann, si vedrà per la variante del sosia il grande romanzo Gli elisir del diavolo del 1815. Il materiale letterario riguardante il Doppio è comunque sterminato. Si ricordano altre esperienze quali L’ombra, favola di Andersen del 1847, Il velo nero del

pastore di Nathaniel Hawthorne del 1836, di Ferdinand Raimund abbiamo sia Il re delle Alpi e il misantropo del

1829, che Il dissipatore del 1834 e molti altri ancora.  

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più nascosta di noi stessi) attuato dall’uomo romantico. Indubbiamente, l’accezione “Romanticismo” risulta piuttosto inadeguata per poter esprimere la complessità e la varietà di temi e sfaccettature che questo periodo storico porta con sé; nonostante la ricchezza di argomenti che contraddistinguono il movimento, è possibile ritrovare dei punti chiave che concorrono alla chiarificazione del tema preso in esame. Di grande importanza è sicuramente la relazione che va a instaurarsi tra l’uomo e il mondo: non più un’unica metodologia di lettura, bensì una pluralità di punti di vista. L’essere umano si trova ad interrogarsi sull’origine della propria esistenza, il suo significato, la relazione con se stesso e col prossimo, le problematiche generate dalla psiche e, da non trascurare, il ruolo che riveste la categoria estetica del sublime. Ciò che cogliamo come estraneo, pauroso e in grado di generare quell’inquietudine di fondo, nel Romanticismo assume connotati positivi, o per meglio dire l’oggetto “diverso”, che nell’immaginario comune si manifesta come orrorifico, qui si esplicita come piacevole, in grado di provocare godimento.

A questo proposito, è necessario far riferimento al padre della psicoanalisi, Sigmund Freud: ad egli dobbiamo l’accezione di Das Unheimliche, tradotto nella nostra lingua con il termine “Perturbante”. Freud diede al termine un significato in qualche modo analogo a quello suddetto riguardante il sublime: la percezione di qualcosa, che sia materiale o meno, come familiare ed estraneo al contempo, in grado di generare paura. È proprio in questo senso, dunque, che l’argomento principe di questo lavoro entra in gioco. Cosa intendiamo con estraneo e familiare nel medesimo momento? Qualcosa che ci riguarda, che conosciamo bene, che fa parte di noi, ma che simultaneamente assume i connotati di qualcosa di alieno, sconosciuto; qualcosa che non comprendiamo ma che risiede nell’intimo a nostra insaputa e che, talvolta, riemerge senza avvertimento.

In entrambe le correnti letterarie si riscontra una caratteristica che trova ragion d’essere se applicata alla tematica dello sdoppiamento, la follia.

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Il tracollo psichico, l’instabilità mentale e le nevrosi sono parte di un fenomeno che diede vita a opere di ampio respiro. Come vedremo, un’ampia gamma di scrittori che crearono racconti o romanzi concernenti il tema del Doppio presentavano tutti (anche se non in egual misura), questo genere di problematica. Nella maggior parte gli autori erano affetti da conflitti interiori: schizofrenia, bipolarismo e in buona parte dei casi la matrice del problema era rappresentata dai propri familiari.

Dunque siamo di fronte a «un tema che a partire dall’antichità classica si dirama in svariate epoche e in svariate letterature nazionali, soprattutto in momenti di crisi della soggettività come il barocco o il romanticismo».43

I.4. Superstizioni e credenze sul Doppio

Dobbiamo considerare il fatto che la presenza del Doppio non si limita solamente alle numerose narrazioni in nostro possesso (romanzi di ampio respiro noti al grande pubblico44 e la presenza nel mito di Narciso). L’alterità è un fenomeno indubbiamente investito di un fascino disarmante ma anche dotato di un carattere ambiguo, e questa sua enigmaticità trova riscontro nelle molteplici superstizioni e credenze che Otto Rank propone nel suo saggio, alcune delle quali riguardanti le tribù primitive.

Proprio lo psicoanalista afferma che alcuni autori come Chamisso, Goethe e Andersen, si fossero serviti per la stesura dei loro racconti proprio di queste credenze. L’attenzione si focalizza principalmente su una delle tipologie di Doppio, l’ombra. Una delle prime superstizioni riportate ad esempio interessa paesi come Germania e Austria. Chi la vigilia di Natale o la notte

                                                                                                                         

43 M.FUSILLO, L’altro e lo stesso, cit., pp. 7-8.

44 Tra i grandi classici della letteratura fantastica ritroviamo Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (Strange case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde) del 1886 di Stevenson, romanzo concernente la questione dello sdoppiamento della personalità; allo stesso modo anche il noto romanzo di Wilde, il Ritratto di Dorian Gray (The

picture of Dorian Gray) datato 1890. L’opera wildiana incarna lo stereotipo del carattere narcisista, configurando il

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di Capodanno nel momento dell’accensione delle luci, non proietta la propria ombra sul muro, perirà entro la fine dell’anno. Oppure, sempre in Germania, si crede sia «prossimo a morire chi, alla Candelora, vede la sua ombra doppia».45

Il Doppio assume una serie di connotati soprannaturali che alcuni ricercatori hanno tentato di chiarire, partendo da quelle credenze legate alla presenza di uno spirito protettore. Vi è una forte analogia che intercorre tra l’ombra e la percezione di un altro volto, «di se stessi, di un’ombra seduta in poltrona, del Doppio, di un fantasma […] e gradualmente la credenza di un’ombra che continua a vivere oltre la morte si sarebbe trasformata nella credenza di un Doppio che verrebbe partorito insieme a ogni bambino»46.

Rank prende in analisi una vasta gamma di superstizioni popolari (peraltro alcune vive ancora oggi in Austria, Germania e in ex Jugoslavia), che vedono l’ombra come messaggera di morte o foriera di disgrazie. Pensiamo ad esempio alle numerose variazioni della credenza secondo cui la proiezione dell’ombra senza testa preannuncia la morte entro la fine dell’anno. O, ancora, alcune superstizioni diffuse tra le popolazioni primitive prevedono di non lasciar cadere la propria ombra su cibi, oggetti e persone.

Citando Fraser, Rank informa inoltre che gli abitanti di due isole sull’equatore «non lasciano mai la casa verso mezzogiorno, perché in quelle regioni, a quell’ora, l’ombra scompare ed essi temono di perdere anche l’anima».47

Nondimeno, Rank rileva l’ipotesi di Rochholz secondo il quale originariamente le superstizioni attinenti l’ombra, oltre a essere intimamente legate alla questione del Doppio, rivelassero una fede in uno spirito tutelare e dunque presentassero anche una valenza “positiva”.

[…] Rochholz, che si è occupato molto della credenza in uno spirito tutelare, ritiene                                                                                                                          

45 O.RANK, Il doppio, cit., p. 69. 46 Ivi, p. 70.

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che l’interpretazione originaria sia quella «positiva» di uno spirito protettore e che da essa, con il rafforzarsi della fede nell’aldilà, si sia sviluppata l’interpretazione contraria, di uno «spirito della morte»: «Così l’ombra dell’uomo, da spirito protettore che lo seguiva nella vita, si è ridotta tristemente a uno spettro persecutore che affligge colui che gli è affidato e che gli dà la caccia fino alla morte».48

Ora, non possiamo esimerci dal prendere in considerazione l’ombra come simbolo, ovvero nella sua intrinseca dualità: esso contiene da un lato istanze di fecondità e contemporaneamente si presta a essere “spirito della morte”. Proprio per la sua natura irriducibile e sintetica, per i primitivi il simbolo dell’ombra si presenta come elemento irrisolto, polisemico, non circoscritto e confinato ai codici inscritti invece nei popoli civilizzati.

La reciprocità che gli è propria non permette scissioni: la reversibilità simbolica consente al Doppio “di essere questo ma anche quello”. Questa corrispondenza biunivoca mette in luce e rimanda a una molteplicità di significati complessi. Esso offre in modo rapido la percezione della continuità, l’immediatezza simultanea, accordando immagini opposte che coesistono.

Per Rank esiste una corrispondenza ben precisa tra il concetto di ombra e quello di anima. Tutte le tradizioni prese in esame mostrano una chiara interdipendenza; dagli indigeni della Tasmania agli indiani algonchini, tra le popolazioni australiane e quelle della Nuova Guinea britannica, è presente una assimilazione tra il significato della parola “anima” e quella di “ombra”, comprendendo finanche il concetto di riflesso. Non solo, secondo Negelein, “l’ombra indivisibile dall’uomo” finisce per essere «una della prime oggettivazioni dell’anima umana molto prima che l’uomo possa vedere per la prima volta la sua immagine allo specchio».49

Inoltre, «tutte le popolazioni primitive credono che l’anima dell’uomo sia una copia esatta del corpo, riconosciuta prima di tutto nell’ombra».50 Questo ci riporta al fatto che per i

                                                                                                                         

48 Ivi, p. 70. 49 Ivi, p. 77. 50 Ibidem.

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primitivi il Doppio, l’ombra, lo specchio, vengano considerati sì esseri spirituali, ma al contempo reali (si pensi in proposito all’uomo del Camerun che riferendosi all’ ombra, asseriva di vedere la propria anima ogni giorno, al sole).51

La riflessione riconduce a quello che per le popolazioni primitive è il rapporto concreto in relazione alla propria esperienza vissuta: il corpo come orientamento primario nel mondo in cui si inscrivono diversi linguaggi . Nondimeno, il significato della parola anima rimanda al concetto intrinsecamente corporeo di respiro o soffio: esso accorda l’esperienza interna e quella esterna, il suo ritmo a seconda dei mutamenti si esprime in tempo reale. Il movimento di contrazione ed espansione del respiro rappresenta l’ambivalenza del corpo, come spazio interno e apertura sul mondo, ma ciò che preme evidenziare ai fini del nostro discorso è che restituisce l’individuo alla propria tangibilità.

Significativa è la considerazione che Rank riporta in merito alla questione del nome per i primitivi: esso è «parte integrante della personalità»,52 potremmo aggiungere che esso abita la persona, concretamente la esprime. Il nome è legato all’esperienza, è un fatto contestuale, di situazione in atto, il nominare è un riconoscere.

È noto che gli antichi ritenevano di poter dominare le potenze malvagie chiamandole con il loro nome, di poter indebolire o neutralizzare il proprio nemico eseguendo certi procedimenti magici sul loro nome. «I bambini conoscono un oggetto quando lo nominano, la denominazione non viene dopo il riconoscimento, ma è il riconoscimento stesso».53

                                                                                                                         

51 Cfr. ivi, p. 76. 52 Ivi, p. 72.

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CAPITOLO SECONDO

IL PERTURBANTE

Non è stato un Dio, e neppure un Dèmone, a creare il mondo degli uomini Ma solamente degli esseri umani, proprio come i nostri indaffarati vicini di casa, i nostri dirimpettai. Vivere in questo mondo creato da semplici uomini Può essere sgradevole, ma dove emigrare? Dovremmo avventurarci in un luogo non umano, ammesso esista. Ma un tale luogo sarebbe ancora più inabitabile del mondo umano. Poiché è difficile vivere in un mondo da cui non si può evadere, si deve tentare di renderlo più accogliente così da poterci abitare meglio, sia pure per il breve tempo concesso all’effimera vita umana. Qui nasce la vocazione del poeta, qui il Cielo assegna al pittore la sua missione. Gli artisti sono preziosi, perché rasserenano questo mondo e arricchiscono il cuore degli uomini.1

II.1. Ernst Jentsch e il germe del perturbante

Analizzando la questione della duplicazione non possiamo non menzionare quegli esponenti della psicoanalisi che hanno studiato in varie modalità questo fenomeno. Primariamente è fondamentale per una visione d'insieme citare Freud. Lo sdoppiamento dell'individuo contiene al suo interno quell'aggettivo di cui il padre della psicoanalisi parlò in un

                                                                                                                         

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