CAPITOLO SECONDO
II.2 Das Unheimliche und Der Doppelgänger
L'influenza esercitata dal saggio di Jentsch su Freud per la stesura de Il perturbante è confermata dallo stesso caposcuola della psicoanalisi, che lo definisce «succoso ma non esauriente»18 al punto di scrivere egli stesso un saggio sull'argomento. Nondimeno, per la questione Das Unheimliche, la figura freudiana è strettamente legata a quella del suo allievo Rank; il suo saggio riguardante la dualità apparve per la prima volta sulla rivista «Imago», il cui intento era quello di «estendere l’applicazione del pensiero analitico ad altri temi del sapere e in
15 Si veda per esempio, un film come Mulholland Drive (2001), scritto e diretto da David Lynch, ove la tematica del sogno rappresenta il nodo focale per risolvere l’enigma.
16 E. JENTSCH, Sulla psicologia dell’Unheimliche, cit., p. 408. 17 Ibidem.
particolare quello dell’estetica».19 Grazie alla trattazione di «questi temi di estetica, qualche anno dopo la pubblicazione del Doppio, Freud rielaborò e scrisse il suo Il perturbante, che citava e riprendeva il lavoro di Rank».20
È chiara dunque l’esistenza di un nesso rilevante tra il lavoro di Jentsch, Freud e Rank, che tocca la tematica della creatività dell’artista (trattata nel saggio rankiano Il trauma della
nascita e che emerge ampiamente in Der Doppelgänger), ma anche il vertiginoso problema
dell’esistenza di un io diverso (un altro io), della perdita dell’identità intrinsecamente connessa al concetto di inconscio. «Questa riflessione sull’io è appunto avanzata esplicitamente dalla psicanalisi negli anni in cui Freud scrive Il perturbante e nei testi che sono compresi tra l’Introduzione al narcisismo e la Scissione dell’Io nei processi di difesa».21
Ciò che Freud tratta in Das Unheimliche anticipa, all’interno de Al di là del principio del
piacere, il punto cardine dell’effetto perturbante provocato dal Doppio, in altre parole il ritorno
del rimosso, denominato coazione a ripetere:
Venticinque anni di lavoro intenso hanno fatto si che i fini immediati della tecnica psicoanalitica siano oggi del tutto diversi da quelli iniziali. Dapprima il medico analista non poteva proporsi altro scopo che quello di scoprire i contenuti inconsci ignoti al malato per raccoglierli e comunicarglieli al momento giusto. La psicoanalisi era soprattutto un’arte dell’interpretazione. Poiché con ciò non veniva risolto il problema terapeutico, ben presto la psicoanalisi si propose uno scopo ulteriore: obbligare il malato a confermare la costruzione dell’analista con i suoi propri ricordi. In questo tentativo l’accento principale cadde sulle resistenze del malato. […] Ma poi divenne sempre più evidente che lo scopo che ci si era proposti, rendere cosciente ciò che era inconscio – non poteva essere interamente conseguito neanche con questo metodo. Il malato non può ricordare tutto ciò che in lui è rimosso, forse non ricorda proprio l’essenziale, e quindi non riesce a convincersi
19 O.RANK, Il doppio, cit., p. 9. 20 Ibidem.
dell’esattezza della costruzione che gli è stata comunicata. Egli è piuttosto indotto a ripetere il contenuto rimosso nella forma di un’esperienza attuale, anziché, come vorrebbe il medico, a ricordarlo. […] Il medico si è sforzato di restringere al massimo l’ambito di questa nevrosi di traslazione, di convogliare quanto più materiale possibile nella sfera dei ricordi e di fare in modo che una parte minima di esso riemerga sotto forma di ripetizione.22
In questo senso Freud chiarisce che il medico ha uno scopo ben preciso nel momento in cui si appresta alla cura del paziente, deve cioè far sì che quest’ultimo giunga a rammentare una parte del proprio vissuto. Al contempo è doveroso che l’individuo mantenga una certa obiettività e comprenda che ciò «che gli appare come realtà è in effetti soltanto l’immagine riflessa di un passato dimenticato».23 È la cosiddetta “coazione a ripetere”, e per intendere questa circostanza dobbiamo necessariamente prendere in esame il ruolo dell’inconscio, il cui fine è «quello di vincere la pressione e in tal modo farsi largo nella coscienza o scaricarsi nell’azione reale».24 Freud tratta di resistenza da parte di strati e sistemi superiori della vita psichica che hanno eseguito una rimozione; le resistenze stesse del paziente sono inconsce e per portare trasparenza alla questione sarebbe utile operare una contrapposizione tra l’Io coerente e il rimosso. Infatti, «la resistenza del soggetto analizzato proviene dal suo Io, e allora ci accorgiamo subito che la coazione a ripetere deve essere attribuita all’inconscio rimosso».25
In sostanza, alla base della coazione risiede proprio una ripetizione di un contenuto rimosso: anziché ricordare per risolvere, l’individuo tende invece a replicare un’azione; «è chiaro che la maggior parte delle esperienze che la coazione a ripetere fa rivivere deve procurare dispiacere all’Io, poiché porta alla luce attività di moti pulsionali rimossi. […] è dispiacere per
22 S.FREUD,Al di là del principio del piacere, Torino, Boringhieri, 1975 (1920), pp. 33-34. 23 Ibidem.
24Ivi, cit., p. 35. 25 Ibidem.
un sistema e contemporaneamente soddisfacimento per l’altro».26
Dunque “l’eterno ritorno dell’uguale”, così chiamato da Freud, rappresenta, in termini psicoanalitici, ciò che chiamiamo rimosso, che riaffiora nell’individuo per mezzo dell’effetto perturbante.
In Das Unheimliche comprendiamo che il perturbante è una tipologia che rientra nella sfera dell'estetica, o meglio una precisa parte dell'estetica, nonostante non sia usuale che uno psicoanalista si occupi di questo frangente. Sicuramente quello preso in esame è un termine che quasi sempre suscita emozioni di tipo angosciante, orrorifico e non definibile. Come già accennato nel capitolo precedente, questa accezione riscontra una certa analogia con la categoria estetica del sublime, che però viene considerata da Freud come facente parte di quei «moti dell'animo positivi e delle condizioni e degli oggetti che ad essi danno vita - anziché dei sentimenti contrari, repellenti e penosi».27
La parola tedesca unheimlich [perturbante] è evidentemente l'antitesi di heimlich [da
Heim, casa], heimisch [patrio, nativo], e quindi familiare, abituale, ed è ovvio dedurre che se
qualcosa suscita spavento è proprio perchè non è noto e familiare. Naturalmente però non tutto ciò che è nuovo e inconsueto è spaventoso, la relazione non è reversibile; si può dire soltanto che ciò che è nuovo diventa facilmente spaventoso e perturbante; vi sono cose nuove che sono spaventose, ma non certo tutte. Per renderlo perturbante, al nuovo e all'inconsueto deve aggiungersi prima qualcosa.28
Freud sottolinea il fatto che Jentsch si fosse fermato a quest'unica analogia che intercorre tra il perturbante e l'inconsueto, che però non risulta abbastanza esauriente; il generarsi dell'Unheimlich si attuerebbe con la condizione dell'«incertezza intellettuale» e «sarebbe propriamente sempre qualcosa in cui per così dire non ci si raccapezza [...] quanto più un uomo è
26 Ivi, p. 36.
27 ID.,Il perturbante, cit., p. 269. 28 Ivi, p. 271.
orientato nel mondo circostante, tanto meno facilmente riceverà un'impressione di perturbamento da cose o da eventi».29 L'analisi freudiana però tenta di andare oltre quella operata da Jentsch.
“Perturbante” si presenta come un termine particolarmente fuorviante e non in tutti gli idiomi vi è una terminologia abbastanza circoscritta per poter definire il concetto; infatti nelle diverse lingue straniere prese in esame grazie al contributo di Reik,30 si reperiscono per il latino, il greco, l’inglese, il francese e lo spagnolo vocaboli che non sono propriamente atti a definire il concetto che Das Unheimliche vuole esprimere. In merito all’italiano e al portoghese, Freud tratta di espressioni che perlopiù sono circonlocuzioni. Grazie all’apporto offerto da Daniel Sanders31 per heimlich, Freud passa in rassegna i vari significati che la parola esprime. Dall’analisi delle diverse sfaccettature che il termine porta con sé, emerge una interessante ambivalenza di significato. La parola ha dunque il duplice valore di “tenuto in casa” e “celato”. I due significati risultano così essere simili, ma al contempo in contrasto tra loro.
«Ciò che è heimlich diventa allora unheimlich […]. In genere, siamo messi in guardia contro il fatto che questo termine heimlich non è univoco, ma appartiene a due cerchie di rappresentazioni che, senza essere antitetiche, sono tuttavia parecchio estranee l’una all’altra».32 Chiaramente l’estraneità dei significati risiede nel fatto che espressioni quali “familiarità” e “intimità” collegate al “tener nascosto”, e al “tacito” non sono propriamente conformi, ma denotano il significato che l’effetto di perturbanza produce.
Freud non si esime nemmeno dal menzionare Friederich Schelling poiché una sua asserzione andava oltre le aspettative del caposcuola della psicoanalisi e meritava di essere
29 Ibidem.
30 Theodor Reik, psicoanalista austriaco e collega di Freud che lo cita ne Il perturbante.
31 Freud si serve del dizionario di lingua tedesca di Daniel Sanders dal titolo Wörterbuch der Deutschen Sprachen (Leipzig 1860).
citata. Per l’esponente dell’idealismo tedesco Unheimlich «è tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che è invece affiorato».33
Pertanto comprendiamo quanto il termine racchiuda al proprio interno una vastità di sfaccettature, la sua profonda ambivalenza, e come alla fine il concetto trovi riscontro con il suo contrario: unheimlich, e «unheimlich è in certo modo una variante di heimlich».34
Apprendiamo dunque che l’analisi freudiana sulla questione non si limita a un termine soltanto.
L’effetto di perturbanza non è però studiato solamente dal punto di vista linguistico, ed è dunque indispensabile osservare tutti quegli elementi che concorrono a generarlo.
Lo studio del dualismo include una serie di impressioni, circostanze e realtà in grado di suscitare nell’essere umano questo arduo stato d’animo di difficile comprensione. Sia per Jentsch che per Freud, E.T.A. Hoffmann rappresenta, in ambito artistico, forse il più autorevole scrittore in grado di realizzare l’effetto perturbante mediante l’azione dei propri personaggi. È noto che l’utilizzo di questo espediente in letteratura abbia ottenuto fiorenti risultati soprattutto per racconti di matrice tedesca e austriaca.
Un esempio in questo senso è dato da uno dei racconti di Hoffmann contenuto nella raccolta dei Notturni, Der Sandmann.35
«Su, ragazzi, a letto! a letto! Viene l'uomo della sabbia, mi par di vederlo». E realmente ogni volta sentivo un passo lento e pesante che montava la scala: doveva essere
l'uomo della sabbia. Una volta quei passi cupi e rintronanti mi misero i brividi; e alla
mamma che mi conduceva via domandai: «Di', mamma, chi è poi quel cattivo uomo della sabbia che ci allontana sempre dal babbo? Come è fatto?».
«Caro figliolo, l'uomo della sabbia non esiste» mi rispose la mamma. «Quando dico
33 Ibidem. 34 Ivi, p. 277.
35 ERNST THEODOR AMADEUS HOFFMANN, L’uomo della sabbia (Der Sandmann), in Racconti fantastici
che viene l'uomo della sabbia, voglio dire soltanto che siete assonnati e non potete più tenere gli occhi aperti come vi ci avessero buttato una manciata di sabbia».36
L’estratto riportato presenta la prima apparizione nella vita del giovane Nataniele dell’uomo della sabbia, personaggio che si insinua nella sua mente sin dalla tenera età. L’uomo della sabbia incarna lo stereotipo del personaggio fantastico spaventoso utilizzato dai genitori come espediente per mandare a letto i bambini. La capacità oscura dell’uomo consiste appunto nello scagliare della sabbia negli occhi dei piccoli, affinché questi diventino insanguinati e schizzino fuori dalla testa. Una volta fatto questo, il misterioso personaggio prende gli occhi, li mette in un sacco e li porta nella “mezzaluna” dai suoi piccoli. Questi allo stesso modo degli uccellini, squarceranno e beccheranno gli occhi dei bambini cattivi.
Come affermato da Italo Calvino, quello di Hoffmann, oltre ad essere stato una fonte importante per l’opera di Offenbach, ha rappresentato uno degli spunti principali per Freud nella stesura de Il perturbante. Calvino nella sua raccolta di racconti fantastici dell’ottocento sottolinea l’importanza di Der Sandmann:
Scegliere un racconto nella vasta opera di Hoffmann è difficile: se mi fermo su Der
Sandmann non è per confermare la scelta più ovvia, ma perché questo mi sembra veramente
il più rappresentativo racconto del massimo autore fantastico dell’Ottocento (1766-1822), il più ricco di suggestione e il più forte come tenuta narrativa. La scoperta dell’inconscio avviene qui, nella letteratura romantica fantastica, quasi cent’anni prima che ne venga data una definizione teorica.37
Il racconto in questione non è propriamente uno spunto di analisi per quanto riguarda la duplicità, quanto invece un ottimo esempio per comprendere l’effetto di perturbanza. Gli incubi del tempo della puerizia generati dal personaggio della sabbia scatenano nel piccolo Nataniele
36 Ivi, p. 44.
sentimenti di paura e talvolta inettitudine che egli porta con sé anche in età adulta. Il protagonista non è in grado di spezzare la corda che lo unisce al suo passato, in particolare con la morte assurda e sicuramente piena di interrogativi del proprio padre. L’uomo della sabbia, anche nel futuro, viene identificato da Nataniele con un amico del padre, il signor Coppelius, un avvocato che era solito far visita nella casa di famiglia ed era in grado di suscitare timore sia alla madre che ai figli. Si tratta di un tipo di «personalità repellente che i bambini cercavano di evitare […]. Ai fini dell’esito ulteriore di questa scena, il poeta insinua già un dubbio: siamo di fronte a un primo delirio del bambino in preda all’angoscia o a un resoconto che, nel mondo ove si svolge il racconto, dobbiamo considerare reale?».38 Il racconto di Hoffman introduce nel lettore questo dubbio, poiché il padre e l’amico avvocato fanno cose di difficile comprensione per il giovane protagonista ogni qualvolta passano del tempo insieme. I due stanno di fronte a una brace e il protagonista li spia, quando sente l’avvocato Coppelius parlare di occhi, proprio quegli occhi che nella sua mente di bambino potrebbero venir strappati dall’orco cattivo, finché Nataniele
si tradisce con un grido ed è afferrato da Coppelius, che vorrebbe cacciargli negli occhi granelli incandescenti tratti dalla fiamma e poi gettarli nel fornello. Il padre implora che gli occhi del figlio siano risparmiati. Un profondo svenimento e una lunga malattia concludono l’episodio. Il lettore che condivide l’interpretazione razionalistica del mago sabbiolino non mancherà di riconoscere in questa fantasia del bambino l’influenza perdurante del racconto fatto dalla bambinaia39. Anziché granelli di sabbia, sono granelli
incandescenti che debbono venir gettati negli occhi del fanciullo: in tutti e due i casi, lo scopo è di far balzar fuori gli occhi. Durante una visita successiva del “mago”, un anno dopo, il padre è ucciso da un’esplosione che ha luogo nello studio. L’avvocato Coppelius scompare senza lasciar tracce.40
38 SFREUD, Il perturbante, cit., p. 279.
39 La madre di Nataniele racconta al figlio che la storia dell’uomo della sabbia è di pura finzione, mentre invece la bambinaia concede al giovane protagonista una storia ricca di paurosi dettagli che Nataniele trascinerà con sé sino all’età adulta.
La figura di Coppelius innegabilmente è in grado di provocare una serie di dubbi nel lettore, poiché il confine tra realtà e immaginazione diventa impercettibile. Non è sempre chiaro se l’orco dell’infanzia sia semplicemente frutto della forza immaginativa di un ragazzino o se effettivamente sia un personaggio che realmente è stato l’autore della morte del padre. Proseguendo nella lettura, i dubbi in merito alla questione aumentano, poiché Nataniele in età adulta crede che Giuseppe Coppola (da notare il gioco di nomi Coppelius-Coppola), venditore ambulante di occhiali e barometri, sia proprio il personaggio oscuro dell’infanzia. Il commerciante tenta di vendere al protagonista degli occhiali da sole, ma di fronte al rifiuto di Nataniele afferma «“Ah, niente occhiali, niente occhiali!... ho anche begli occhi, begli occhi!” Il raccapriccio provato dallo studente a questa offerta si placa allorché gli “occhi” si rivelano innocui occhiali da vista».41 Così, rincuorato, Nataniele acquista da Coppola un cannocchiale, e proprio grazie a questo oggetto si insinua nel racconto un altro interessante tema, quello dell’automa. In Der Sandmann emerge una figura alla quale possiamo attribuire l’effetto perturbante, oltre che quello dovuto all’orco dell’infanzia. Nel periodo della sua vita da studente, Nataniele si imbatte in Olimpia, la figlia del professor Lazzaro Spallanzani, che riesce a notare proprio grazie al cannocchiale acquistato da Coppola:
Involontariamente guardò nella stanza di Spallanzani: come al solito Olimpia era seduta davanti al tavolino sul quale appoggiava le braccia e le mani giunte. Soltanto ora Nataniele vide il viso meraviglioso di Olimpia. Solamente gli occhi gli parvero fissi e morti. Ma aguzzando lo sguardo attraverso il cannocchiale gli parve che quegli occhi si illuminassero di umidi raggi di luna. Pareva solo che in quel momento vi si accendesse la forza visiva; e gli sguardi fiammeggiavano sempre più vivi. Nataniele stava alla finestra come incantato a contemplare la celeste bellezza di Olimpia.42
Olimpia sin dal principio appare come una figura avvolta dal mistero, un personaggio che
41 Ibidem.
rimane immobile nella propria stanza e di cui Nataniele si innamora perdutamente, dimenticandosi del proprio amore giovanile, Clara, sorella di Lotario. La verità è però un’altra poiché Olimpia in realtà è un manichino, una creazione di Spallanzani e del venditore di barometri. Uno ha inserito nella bambola il meccanismo, mentre Coppola gli occhi. Il protagonista finisce per innamorarsi dell’automa a una festa, nonostante più persone trovino che Olimpia sia rigida e silenziosa.
Più avanti Nataniele assiste ad un litigio tra i due creatori e viene assalito da un attacco di pazzia incontrollabile, e «nel delirio il ricordo della morte del padre si lega con la recente impressione […]. E si getta sul professore, il presunto padre di Olimpia, con l’intenzione di strangolarlo».43 Una volta trascorso un lungo periodo di malattia, le cose per Nataniele cambiano: ritrova la sua amata Clara e decide di sposarla. Riportiamo le fasi finali del racconto descritte da Freud:
Un giorno attraversano la città: l’alta torre del palazzo comunale getta un’ombra gigantesca sulla piazza del mercato. La ragazza propone al fidanzato di salire sulla torre, mentre il fratello che accompagnava la coppia, resta in strada. Giunti in cima alla torre, l’attenzione di Clara è attratta da un qualcosa di strano che si muove sulla strada. Nathaniel osserva la stessa scena col cannocchiale di Coppola, che s’è ritrovato in tasca, cade di nuovo in preda all’incoscienza e, gridando: “Bambolina di legno, gira!”, vuol gettare la ragazza nel vuoto. Richiamato dal grido della fanciulla, il fratello la salva e si affretta a riportarla giù. In cima intanto il folle continua a gridare: “Cerchio di fuoco, gira!”, frase di cui conosciamo l’origine. Tra le persone che si affollano in basso spicca l’avvocato Coppelius, riapparso improvvisamente. Possiamo ammettere che sia stata la vista della sua presenza a provocare lo scoppio di follia di Nathaniel. I presenti vogliono salire sulla torre per impadronirsi del folle, ma Coppelius ride: “Aspettate, aspettate, verrà giù da solo!” D’improvviso Nathaniel si arresta, si avvede di Coppelius e si getta dalla ringhiera con un grido acutissimo: “Begli occhi, begli occhi!” Quando giace sul lastrico della strada con la testa squarciata, il mago scompare nella folla.44
43 S.FREUD, Il perturbante, cit., pp. 280-281. 44 Ivi, p. 281.
Sicuramente la figura di Olimpia riveste un ruolo chiave nel determinare la sensazione di perturbanza, ma per Freud non è tanto l’automa a suscitare questa sensazione. Il vero autore del perturbante in questo racconto è senza dubbio quell’orco che Nataniele trascina con sé fin dall’infanzia e, come afferma il padre della psicoanalisi, «un’incertezza intellettuale nel senso dichiarato da Jentsch non ha niente a che vedere con questo effetto. Il dubbio concernente l’animazione, pur valido nel caso di Olimpia, la bambola, non entra minimamente in campo in quest’altro aspetto, più intenso, del perturbante».45
Immediatamente e con il protrarsi nella lettura del racconto hoffmanniano, siamo portati a credere che il giovane Nataniele sia il classico esempio di persona folle e disturbata e che il compito del lettore sia quello di comprendere esattamente cosa si celi dietro il velo del mistero,