• Non ci sono risultati.

IL CARATTERE MULTIFORME DELLA DUPLICAZIONE

III.4. L’identità depredata ne Gli elisir del diavolo

[...] le dinamiche del doppio, per quanto interiorizzate, sono sempre frutto di una potenza soprannaturale connotata di violenta alterità, che si sostituisce agli dèi ingannatori della cultura antica.59

Un romanzo di notevole interesse nel quadro della duplicazione è uno dei più grandi capolavori di E.T.A. Hoffmann, Gli elisir del diavolo.60 Si tratta del primo delle uniche due opere che lo scrittore abbia portato a compimento. La narrativa dello straniamento che porta in seno questo singolare testo racchiude una complessa rete di enigmi da risolvere che ruotano intorno alla variante del sosia.61 La vicenda labirintica che emerge dalla lettura de Gli elisir del

                                                                                                                         

59 M.FUSILLO, Io e l’altro, cit., p. 112.

60 E.T.A.HOFFMANN, Gli elisir del diavolo, trad. it. di Luca Crescenzi, Roma, L’orma, 2013 (Berlin 1815).

61Oltre allo splendido esempio de Gli elisir del diavolo per la variante del sosia (peraltro utilizzato da Rank in Der

Doppelgänger per introdurre la tipologia del sosia e della rassomiglianza), Hoffmann ha anche il merito di aver

allargato l'argomento attraverso la forma del racconto, intitolato appunto I sosia. Definita da Davico «una tenera e straziante fiaba romantica "nera" dovuta alla penna fecondissima del più inquietante narratore tedesco» (Io e l’altro.

diavolo concorre senz’altro ad amplificare la capacità scritturale di Hoffmann. Maestria che

risiede soprattutto nel saper imitare ma anche rinnovare temi e stilemi della narrativa romantica. In questo lavoro, volto all’analisi delle diverse rappresentazioni del doppio nelle sue dissimili rifrazioni, si è utilizzata l’opera hoffmanniana quale più alto esempio della tipologia del sosia nella letteratura della dualità.

Il romanzo si costituisce di una premessa del curatore che affianca due parti dell'opera, di cui la prima presenta quattro capitoli, mentre la seconda ne consta tre; come ricorda Fusillo, «la complessità riguarda in primo luogo l'architettura narrativa, che prevede quattro livelli-base del racconto, cioè quattro testi nel testo. Hoffmann amava molto tutti i procedimenti di rispecchiamento dell'opera nell'opera».62 È per esempio il caso de Le avventure della notte di

San Silvestro, che come abbiamo visto presenta racconti a sé stanti. Dunque «racconti nel

racconto, lettere, scambi fra realtà e finzione, manoscritti ritrovati; e li usava per rompere l'illusione narrativa grazie a frequenti salti di cornice e a effetti di incompiutezza»:63 è proprio grazie a questa modalità che «il soggetto dell'enunciazione si scompone, e perde ogni assolutezza univoca».64

La grande opera si pone come un percorso, la ricerca infinita di un’identità perduta, che il protagonista continua a cercare disperatamente. Prima che il lettore si addentri ne Gli elisir, il redattore immaginario (che nella prefazione mostra il lavoro autobiografico di Medardus) menziona una “conoscenza simbolica” che si acquisisce attraverso l’immaginazione e il sogno. Si tratta di quel fil rouge in grado di collegare i frammenti della propria vita, ma il redattore avverte i fruitori dell’impossibilità di far proprio questo filo. Ogni capitolo introduce diverse dimensioni, dove risulta arduo raccapezzarsi. Una “camera obscura”, come l’ha definita Magris,

                                                                                                                         

e messo in relazione con quello della rivalità per la donna amata» (O.RANK,Il doppio, cit., p. 29).  

62 M.FUSILLO,L’altro e lo stesso, cit., p. 106. 63 Ibidem.

in cui Medardus proietta tutti i diversi aspetti, dissennati e farseschi della sua esistenza, «vale a dire una vertiginosa fantasmagoria di frammenti minimi e contraddittori, ch’egli può – o crede di potere – comporre e mettere insieme a suo gradimento».65

La vicenda si costruisce sulla figura di Franziskus, che narra la storia della sua vita «adottando sistematicamente il punto di vista di se stesso attore delle vicende, e non quello di se stesso autore del racconto (usa quindi una focalizzazione interna)».66

Nell’incipit il protagonista fa conoscere al lettore gli aspetti della propria infanzia iniziando dal padre, che non ha mai visto, ma che suppone sia stato un uomo dotato di grandi conoscenze e vasta esperienza di vita. Il padre si era macchiato tempo prima di un peccato mortale e per espiare la dannata colpa aveva deciso di andare in pellegrinaggio nella fredda Prussia, al convento del Sacro Tiglio. Il desiderio del padre era solamente quello di condurre nuovamente una vita serena. San Bernardo gli aveva promesso la remissione dei peccati alla nascita del proprio figlio. Al convento il padre colpito da una malattia, muore, e nel medesimo momento nasce Franziskus.

Nel periodo dell’infanzia il protagonista ricorda le immagini del Sacro Tiglio a lui care, per esempio l’incontro con un bambino forestiero della stessa età (portato al convento da un uomo), con il quale egli instaura un sincero rapporto di amicizia: «insieme sedemmo sull’erba abbracciandoci e baciandoci, io gli regalavo tutte le mie pietre colorate e lui sapeva disporle in modo tale da disegnare in terra ogni sorta di figure e da esse alla fine prendeva forma ogni volta l’immagine della croce».67

Questo episodio rileva la padronanza del testo di Hoffmann che attraverso la narrazione di eventi apparentemente insignificanti, riesce a celare significati profondi. L’atto del bambino di avvicinare delle pietre per creare immagini trova un corrispettivo con uno dei temi che Novalis

                                                                                                                         

65 C.MAGRIS, L’altra ragione, cit., p. 75. 66 M.FUSILLO,L’altro e lo stesso, cit., p. 108. 67 E.T.A.HOFFMANN, Gli elisir del diavolo, cit., p. 9.

pone nei Discepoli di Sais. Mettere insieme le pietre colorate ha lo scopo di identificare quel legame in grado di unire tutte le realtà del creato. L’episodio sembra essere rivelatore per il protagonista che acquisisce pian piano la consapevolezza della propria vocazione.

In seguito la madre del protagonista decide di portare il figlio al convento delle monache cistercensi, dove Franz incontra la badessa; egli produce in lei un’impressione tanto forte al punto di stringerlo a sé in un energico abbraccio. La stretta tra i due appare anch’essa rivelatrice: nell’atto, la croce della principessa provoca una ferita sul corpo del ragazzo causata dalla pressione sulla pelle, tanto da lasciargli una cicatrice per tutta la vita, quasi a imprimere la vocazione come un marchio eterno.

All’età di sedici anni Franziskus è deciso ad abbracciare lo stato sacerdotale e inizia gli studi di teologia; il desiderio di portare il saio diventa sempre più forte anche grazie alla conoscenza del priore Leonardus, che ha un’influenza positiva nel giovane.

Nonostante la fermezza con la quale Franz porta avanti la vocazione al sacerdozio, la visione di una ragazza semivestita genera in lui sensazioni ignote: «sentimenti sconosciuti si ridestavano in me con violenza e pompavano il sangue ribollente nelle vene con tale forza che mi sentivo battere i polsi».68

Malgrado l’episodio, il protagonista prende i voti e assume il nome religioso di Medardus. Hoffmann dimostra in questa sede la capacità di creare suggestioni proliferanti senza che il lettore abbia il tempo di rendersene conto: durante la cerimonia solenne per la vestizione del giovane Franz, tra gli spettatori vi è anche la donna seminuda. Un’affermazione di quest’ultimo lascia intravedere sentimenti contrastanti, o meglio il prorompere delle pulsioni della libido:

[…] sembrava molto malinconica e credetti di scorgere delle lacrime nei suoi occhi,                                                                                                                          

ma il tempo delle tentazioni era passato e fu forse l’orgoglio peccaminoso di una vittoria ottenuta così facilmente a suscitare in me il sorriso che frate Cyrillus notò passandomi accanto. «Di cosa ti rallegri a questo modo, fratello mio?» mi domandò. «Non dovrei essere contento di rinunciare al vile mondo e alle sue vanità?» risposi. Ma non posso negare che, mentre pronunciavo queste parole, un sentimento inquietante, che mi scosse nel più profondo dell’animo, mi punì delle mie menzogne.69

L’estratto è senza dubbio rivelatore. La conversazione con Cyrillus fa emergere una duplicazione interna. Medardus pronuncia quelle parole ma si insinua in lui una sensazione della quale non conosce la provenienza. Questo rappresenta solo uno dei primi esempi in cui il protagonista si accorge di un “Altro”, della presenza «d’una propria duplicità a lui stesso ignota».70

Una volta messi da parte gli inviti alle tentazioni, Medardus conduce una vita serena; trascorsi cinque anni, il priore decide di affidargli la custodia del vecchio reliquiario del convento. Medardus, che aveva sempre considerato le reliquie come semplici trastulli religiosi, ora ascolta con rispetto e devozione le parole di Cyrillus:

«Qui dentro, caro fratello Medardus, è contenuta la più misteriosa e straordinaria reliquia che il convento possegga. Da quando sono qui al convento nessuno, a eccezione del priore e di me, ha tenuto questa cassetta tra le mani; persino gli altri fratelli – per non parlare degli estranei – ignorano l’esistenza di questa reliquia. Io stesso non posso toccare questa scatola senza provare, dentro di me, un brivido. È come se in essa stesse rinchiuso un maleficio che, se riuscisse a far saltare l’incantesimo che lo imprigiona e lo rende inefficace, provocherebbe la morte e la tremenda rovina di colui sopra il quale ricadesse. Ciò che è contenuto qui dentro viene direttamente dal Maligno, dal tempo in cui egli poteva ancora lottare apertamente contro la salvezza dell’umanità».71

Il priore racconta così al protagonista la storia di Sant’Antonio: un giorno il Nemico si

                                                                                                                         

69 Ivi, p. 23.

70 C.MAGRIS, L’altra ragione, cit., p. 76.

avvicinò a lui portando con sé delle bottiglie contenenti degli elisir e invitandolo a provarli. La leggenda narra poi che il Nemico, una volta allontanatosi, avesse lasciato sul prato le bottiglie contenenti gli elisir. Il Santo, preoccupato che qualche povero disgraziato potesse prenderle, decise di portarle nella sua grotta per nasconderle.

È singolare come Hoffmann, sebbene non sia ancora entrato propriamente nella tematica del doppelgänger, faccia emergere uno degli elementi più diffusi nelle opere sulla duplicazione, il diavolo. Il diavolo tentatore costituisce una figura interessante nella questione dello sdoppiamento; è un’immagine che si presenta come elemento in grado di ostacolare il percorso di un soggetto. L’individuo che assiste o prende consapevolezza dello sdoppiamento, nella maggioranza dei casi cade in tentazione. A differenza dell’uomo in grigio di Chamisso e del dottor Dappertutto della Storia del riflesso perduto, il diavolo degli elisir fa la sua “apparizione” utilizzando come strumento delle bottigliette contenenti un liquido; ma non siamo di fronte a un maligno in carne ed ossa, il Nemico si manifesta attraverso delle credenze.

Col trascorrere del tempo la vita di Medardus sembra cambiare, la tranquillità e la felicità che in passato gli regalava la vita da monaco sembrano ora scomparse.

Oltre all’elemento del maleficio e del diavolo, un altro tema caro a Hoffmann è quello del delirio e della follia. Durante una delle sue orazioni su Sant’Antonio, Medardus scorge tra la folla dei credenti una figura che sembra essere portatrice dell’effetto di perturbanza. Un uomo alto e magro appoggiato a una colonna, che fa, non a caso, la sua apparizione proprio mentre Medardus narra alla folla i problemi delle tentazioni legate al diavolo. Il sacerdote finisce per nominare la leggenda sugli elisir, che emerge come un’allegoria colma di significato.

Sulle spalle portava, in maniera piuttosto insolita e curiosa, un mantello viola scuro nel quale aveva avvolto le braccia conserte. Il suo viso era di un pallore cadaverico, ma i grandi occhi neri fissi mi trapassarono il petto come una stilettata rovente. Un sentimento inquietante e orribile mi fece rabbrividire; subito volsi lo sguardo altrove e continuai a

parlare raccogliendo tutte le mie energie. Ma, come spinto da una forza magica e ignota, tornavo di continuo a guardare l’uomo che rimaneva sempre lì rigido, immobile, con lo sguardo spettrale rivolto a me.72

La vista del misterioso e agghiacciante individuo rende Medardus sempre più inquieto, finché non sopraggiunge un’illuminazione. L’uomo in piedi vicino alla colonna altro non è che lo stesso uomo che anni prima aveva espresso il desiderio di ritrarre il piccolo Franz, ma che era stato mandato via. Dunque l'elemento familiare e l'estraneo si palesano efficacemente. L’uomo dal manto viola, che non farà altro che generare quell’inquietudine di fondo, presenta un corrispettivo con i già noti uomo in grigio e il dottor Dappertutto. Si tratta di figure particolarmente complesse: non è dato sapere ai protagonisti di chi si tratti. Tutti e tre fanno la loro entrata inaspettatamente, non si comprende mai la loro provenienza e svaniscono senza lasciare traccia, insinuando nei protagonisti il dubbio. Ma è sempre la presenza di questi ambigui soggetti a causare trepidazione. Il delirio di cui Medardus è vittima in questa scena rappresenta una costante nell’opera.

Dopo aver raccontato la storia degli elisir a un conte e al suo precettore, questi provano le bottigliette del diavolo senza considerare gli avvertimenti del protagonista. In seguito all'evento Medardus è colto da un turbinio di pensieri, da un malessere che già lo aveva colpito negli ultimi tempi. Per di più Leonardus e gli altri frati, pensando che egli sia diventato un folle, iniziano a manifestare nei suoi confronti un atteggiamento di distacco. Vista la positiva reazione del conte e dell'accompagnatore dopo aver bevuto la bottiglia contenente l'elisir, Medardus decide di “infrangere la regola” e assaporare il contenuto prodigioso, con il fine ultimo di riacquisire la vitalità di un tempo.

Aprii l'armadio, afferrai la cassetta, presi la bottiglia e ne bevvi subito una robusta                                                                                                                          

sorsata!... Sentii il fuoco scorrermi nelle vene e riempirmi di un indescrivibile benessere... Bevvi ancora e sentii nascere in me la voglia di una vita nuova e meravigliosa! Rinchiusi in fretta la cassetta vuota nell'armadio, corsi alla mia cella con la benefica bottiglia e la riposi nel mio scrittoio.73

L'estratto esplica la potenza persuasiva delle tentazioni proibite a cui i personaggi della dualità in modi diversi cedono. Il “cadere in tentazione” trova sempre un corrispettivo con la vita che un individuo conduce: uno Spikher adultero, accecato dall’amore di una fanciulla, senza pensare dona a quest’ultima la propria immagine; o, ancora, un indigente74 bisognoso di denaro baratta l’ombra in cambio di un borsellino magico. L’aspetto sociale, i rapporti col prossimo, rappresentano il nodo focale per cui un soggetto decide di dare una svolta all’esistenza affidandosi a forze esterne. L’aver perso la verve che lo caratterizzava, o la carica oratoria propria di Medardus fa sì che egli trovi l’escamotage per far fronte al disagio. Così ogni sera il protagonista beve un sorso dell'elisir, dimostrando di essere uscito dallo stato di prostrazione e malessere che prima lo affliggeva.

Con l'evidente cambiamento di Medardus, il priore assume un ulteriore distacco nei confronti del protagonista. In seguito a una orazione tenuta in chiesa, l'amata badessa, che sempre aveva avuto grande stima del giovane, ora gli invia una lettera dove lo ammonisce per le sue parole, palesemente frutto del maligno, e gli augura la redenzione. È come se già qui iniziasse una scissione interna: le orazioni di Medardus non sono più quelle di una volta, come se nel suo Io si fosse insinuata una nuova forza di cui non conosce la provenienza. Sembra non essere più lui a parlare alla folla, ma un altro Io sconosciuto. Al contempo il protagonista non si rende conto del mutamento in se stesso, anzi sembra desiderare sempre più questa nuova capacità. È la sete costante del diverso.

                                                                                                                         

73 Ivi p. 37.

In seguito all’entrata nel confessionale di una donna bellissima, una nuova tentazione si insinua nel monaco: ella rivela l'amore proibito che prova nei suoi confronti. L’episodio scatena il desiderio incontenibile di averla, esattamente come per le orazioni.

Preso da questi sentimenti ed emozioni amorose il frate prega tutti i giorni di fronte al ritratto di Santa Rosalia, in cui riconosce il volto della sua amata. La preghiera ai santi non è però per redimersi, bensì per avere la tanto agognata fanciulla ed essere sciolto dal giuramento. Così, dopo l'ammonimento di Leonardus per i suoi strani comportamenti, Medardus riceve un incarico a Roma e lascia il convento.

Il secondo capitolo del romanzo riporta un titolo delatore: L'ingresso nel mondo, che si configura come un viaggio verso la libertà, verso il nuovo e l’ignoto, la fuga dai lacci della vita monastica; inoltre porta il lettore nel vivo della storia hoffmanniana, dove si assiste alla variante della duplicità incarnata dal sosia.

Una volta lasciato il convento, avvolto nel turbinio dei suoi pensieri, Medardus si incammina fra i boschi. Peculiarità che si rinviene nell’opera è il continuo dubbio che assale il protagonista. Nulla è mai chiaro abbastanza, come rimane inspiegabile la perfetta somiglianza tra la donna misteriosa e il quadro della santa, che a loro volta raffigurano un doppio.

A causa del caldo di mezzogiorno, Medardus prende un altro sorso dagli elisir e ciò gli procura immediatamente una nuova vitalità che gli penetra nelle vene come fuoco. Si avvicina così a un dirupo dove scorge un giovane in uniforme che siede sopra un masso: l'individuo è addormentato. Il frate comprendendo il pericolo della situazione, decide di svegliarlo ma, proprio a causa di ciò, l'uomo perde l'equilibrio e, cadendo, muore.

Qualche istante dopo un cacciatore scoppiando in una grossa risata, si rivolge a Medardus chiamandolo “conte”; qui appare chiaro a Medardus che il conte è l’uomo appena caduto dal precipizio. Hoffmann, nel narrare l'incontro tra i due sosia, lascia sempre gli avvenimenti avvolti

nell’ambiguità, dal momento che Medardus, alla vista del giovane sulla roccia, non si rende conto della somiglianza. Tra il nuovo conte e il cacciatore inizia una conversazione:

«La mascherata è perfetta, magnifica! E se la buona signore non fosse già stata informata non riconoscerebbe neppure l'amato. Dove avete messo l'uniforme, mio benigno signore?»

«L'ho scaraventata nel precipizio» rispose con voce cupa e sorda qualcosa dentro di me; ma non ero stato io a pronunciare quelle parole, esse erano sfuggite involontariamente alle mie labbra.75

Avviene, in sostanza, il canonico equivoco: esistono due individui identici e per uno strano caso uno di loro viene scambiato per l'altro. Come ricorda Fusillo, la tecnica narrativa di Hoffmann concorre a creare quella suspense che fa sì che il lettore entri nei meandri di un mistero che si svelerà con gradualità:

Questo elemento della voce estranea, che ricorre più volte, mostra come il doppio hoffmanniano implichi spossessamento e comunicazione telepatica. […] Medardo realizza subito che lo sconosciuto caduto nel precipizio doveva assomigliargli tremendamente, e doveva avere organizzato di travestirsi proprio da frate per un’avventura amorosa: pur fra innumerevoli sensi di colpa […] lo scambio di identità lo attrae violentemente.76

Il cacciatore poi invita Medardus a recarsi al castello, dove in realtà doveva andare lo sfortunato che ha trovato la morte nel dirupo.

Mi era chiaro che una grande somiglianza dei tratti del mio volto e della mia persona con quelli dello sventurato conte aveva tratto in inganno il cacciatore e che il conte stesso doveva aver scelto proprio il travestimento da cappuccino per tentare una qualche avventura nel vicino castello. La morte lo aveva sorpreso e una straordinaria fatalità mi aveva messo, in                                                                                                                          

75 E.T.A.HOFFMANN, Gli elisir del diavolo, cit., p. 47. 76 M.FUSILLO, L’altro e lo stesso, cit., p. 109.

quell'attimo stesso al suo posto.77

Medardus decide quindi di intraprendere l'avventura di recitare la parte di un individuo sconosciuto perfettamente identico a se stesso, e si dirige al castello. Qui assiste a una conversazione tra un giovane prete e un vecchio. L'anziano signore78 prega il giovane di raccontargli la pena che lo affligge; al ragazzo è accaduto qualcosa che non è dato sapere, ed egli è deciso a espiare la propria colpa prendendo i voti. Il vecchio signore tuttavia lo invita a non arrecare a suo padre il dolore di vederlo nella veste di prete.

In seguito l'uomo anziano racconta a Medardus la storia della sua famiglia che è, appunto,