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IL CARATTERE MULTIFORME DELLA DUPLICAZIONE

III.3. Spikher e la perdita del riflesso

«In Hoffmann […] la fantasia non è opposta alla realtà;

non si tratta tanto di avvicinare ed unire, anzi “riunire”, due cose distinte, quanto della “verità” a lui balenata: e cioè che la fantasia è nella realtà stessa, nella realtà d’ogni giorno, pur accettata quale essa ci si presenta».42

Adelbert Von Chamisso ha certamente dato il la per una sequela di opere sul doppio, infatti la sua Storia meravigliosa di Peter Schlemihl funge da modello per un'altra esperienza letteraria affine: Storia del riflesso perduto, che fa parte di un capitolo (Le avventure della notte

di San Silvestro) della seconda parte dei Pezzi di fantasia alla maniera di Callot43 dell’ormai

                                                                                                                         

39 Chamisso apparteneva a una famiglia agiata francese, ma fu costretto a trasferirsi a Berlino durante la rivoluzione del 1789.

40 Sul finire dell’opera apprendiamo che anche Schlemihl è diventato un botanico che vaga per il mondo.

41 Il nome scelto da Chamisso non è in questo senso casuale. Schlemihl fa riferimento al termine tedesco der

Schlemihl, cioè “scaltro”, “furfante”. «Chamisso sottolinea il legame del suo Peter con le figure della tradizione e

della letteratura ebraica […]: “Schlemihl o piuttosto schlemiel è una parola ebraica che significa Théophile o amato da dio. Nel gergo ebraico, si chiamano con questo nome le persone infelici o malridotte alle quali va tutto storto (Chamisso 1975: 770). In queste righe, l’autore rivela la duplice e ambigua identità di Peter: un giovane pasticcione e sventurato, ma gradito e amato dalla divinità» (SARA TONGIANI, Ombre senza fine nella letteratura e nel cinema

nordici, in Elephant & Castle. Laboratorio dell’immaginario, a cura di Elena Mazzoleni, Bergamo, L’Ombra, 2012,

p. 7, http://cav.unibg.it/elephant_castle/web/numeri_monografici/n-a/20; 09.02.2015). 42 BONAVENTURA TECCHI, Le fiabe di E.T.A. Hoffmann, Firenze, Sansoni, 1962, p. 22. 43 Titolo originale: Fantasiestücke in Callots Manier.

noto Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, e uscito nel 1814.44 È singolare come personaggi appartenenti a diverse opere condividano numerose affinità, infatti Rank a proposito dell’opera hoffmanniana sostiene che il suo personaggio principale sia colui «che più da vicino ci ricorda il protagonista del film di Ewers».45

Hoffmann non fu apprezzato dai suoi contemporanei come avrebbe meritato, infatti «tutti quelli che s’intendevano di letteratura, in Germania, tutti o quasi tutti, come se fossero impreparati, gli volsero le spalle».46 I racconti di questo grande autore furono giudicati talvolta negativamente da altri scrittori. «Gli volse le spalle Goethe che, naturalmente, non poteva soffrire tante stramberie, una così palese indisciplina nell’immaginare e nello scrivere»,47 e anche il suo collega Jean Paul, «che pur aveva avuto il coraggio di presentarlo al mondo letterario tedesco scrivendo una prefazione al primo libro del nostro autore, Fantasiestücke in

Callots Manier […]: Jean Paul, nel cui stile complesso – non molto lontano da quello di                                                                                                                          

44 In questa sede si ritiene doveroso menzionare che, per quanto né i suoi lettori, né gli editori, né gli scrittori a lui coevi ne avessero compreso il valore di artista, a metà Ottocento ci furono due uomini di teatro che decisero di rendere lo stesso Hoffmann un personaggio teatrale, a partire dall'opera fantastica in cinque atti di Jacques Offenbach. Offenbach fu un grande compositore, regista e direttore tedesco, e I racconti di Hoffmann è la sua opera più famosa. Si riportano di seguito estratti da un libretto del Teatro la Fenice di Venezia per la Stagione Lirica del 1965 (primavera, 23 maggio-15 giugno), in cui La Komiche Oper di Berlino presentò l'opera offenbachiana (Stamperia di Venezia / a cura dell'Ufficio Stampa del Teatro La Fenice): «Fu così che il 21 marzo 1851 all'Odéon di Parigi andò in scena per la prima volta con enorme successo la commedia fantastica in cinque atti “I racconti di

Hoffmann” di Jules Barbier e Michel Carré. Quanto quel successo fosse giustificato, lo attesta la lettura

dell'eccellente lavoro teatrale, le cui qualità poetiche e drammatiche sono ancor oggi sì convincenti che non ci si riesce a spiegare come mai non abbia superato i confini della sua terra d'origine e del suo tempo: a quanto sembra, più tardi esso non fu più messo in scena e a tutt'oggi non è stato ancora tradotto in tedesco. Ci si trova infatti davanti allo straordinario caso di un poeta la cui figura e le cui opere s'intrecciano qui per intervento di scrittori posteriori in un lavoro teatrale perfetto, lavoro naturalmente senza ambizioni storiche, ma che risponde a tutte le esigenze artistiche del suo genere. Alla base della «cornice» della commedia c'era la novella “Don Juan” di Hoffmann, in cui il poeta descrive il suo incontro con una splendida cantante: attraverso un corridoio da una taverna egli arriva al palco di lei; visioni e ricordi lo perseguiteranno fino alla morte della cantante che muore per una malattia di cuore. Qui c'era già in nuce l'immagine di Stella-Antonia. Altre novelle fornirono le figure e le scene dei cinque atti: Lindorf, genio malefico, dal “Vaso d'oro”, la bambola Olimpia, Nathanael, Coppelius e Spallanzani dall'”Uomo della sabbia”, Antonia, il Dottore (Mirakel) e il “Consiegliere Crespel” dall'omonimo racconto, Dappertutto, Giulietta, l'Uomo senz'ombra (Schlemihl) e l'amico fedele Friedrich (Niklaus) dalle “Avventure nella notte di S. Silvestro”. Accanto a queste, molte figure secondarie da altri racconti bizzarri: “Klein-Zaches”, “Il Signor Formica” (Pitichinaccio) e infine i “Fedeli di Serapione” da Lutter a Wegener a Berlino» (I racconti di Hoffmann, Opera fantastica in cinque atti di Jacques Offenbach, dall’omonimo spettacolo di Jules Barbier e Michel Carré, Stamperia di Venezia/a cura dell’ufficio Stampa del Teatro La Fenice, 1965). La Storia del riflesso perduto si trova nel quarto atto, intitolato Giulietta, dell'opera per musica.  

45 O.RANK,Il doppio, cit., p. 23.

46  B.TECCHI, Le fiabe di E.T.A. Hoffmann, cit., p. 18.   47  Ibidem.  

Hoffmann […] entrano tutti gli ingredienti della fantasia e della realtà».48 Dunque, come Goethe, Jean Paul, dopo aver tessuto le lodi del suo collega, «quasi se ne spaventò e dichiarò il suo distacco, chiamando E.T.A. Hoffmann uno scrittore “morboso”».49 In conclusione, «gli volsero le spalle tutti i romantici, i cari romantici. […] Eppure di stramberie e diavolerie e di indisciplinatezze non c’era stata scarsità in Germania».50

Il racconto di Hoffmann incluso ne Le avventure della notte di San Silvestro incarna forse l’autorevole spirito del romanticismo tedesco in cui l’aspetto fantastico e visionario, spinti al parossismo, ritraggono il punto cardine della sua narrativa.

In questo percorso, La storia del riflesso perduto è di notevole interesse poiché mostra una delle categorie forse più dense di significato nella parabola del doppio, il riflesso. Un riflesso non vive nell’immobilità, si muove, si allunga, si distorce, dando luogo a una infinità di sfaccettature ed espressioni.

Influenzato da la Storia meravigliosa di Peter Schlemihl chamissiana, Hoffmann ha dato vita al personaggio di Erasmo Spikher, un uomo tedesco che decide di realizzare un desiderio nutrito nel cuore da tutta la vita, partire e fare un viaggio in Italia a Firenze. Il Belpaese per Erasmo è ricco di piaceri e godimenti. A una festa il protagonista conosce molti giovani come lui, tutti accompagnati da belle donne. La stessa sera, conosce una di queste, quella che shakespearianamente è la più bella, Giulietta:

La veste bianca ricadeva in ampie pieghe, ricomprendo soltanto per metà il seno, le spalle, la schiena, le maniche a sbuffo scendevano fino al gomito; i capelli, spartiti sulla fronte, si annodavano sulla nuca in un abbondante viluppo di trecce. Collane d'oro e ricchi bracciali completavano l'acconciatura medievale della fanciulla, rendendola simile a una figura di Rubens o di Mieris.51

                                                                                                                         

48 Ibidem. 49 Ivi, pp. 18-19. 50 Ivi, p. 19.

Giulietta diventa così una figura divina e celestiale per il protagonista, che se ne innamora perdutamente nonostante Spikher sia un rispettabile marito e padre di famiglia. La donna sembra ricambiare affettuosamente l'amore di Erasmo, sebbene il suo comportamento talvolta risulti ambiguo. Questa ambiguità emerge dalla descrizione dell'amata: «non gli diceva mai che lo amava, ma agiva, si comportava con lui in modo da lasciarglielo indovinare. E così egli rimase sempre più inesorabilmente irretito nei suoi lacci».52 L'amico del protagonista, Federico, lo mette in guardiadalle misteriose movenze della fanciulla:

– Lo sai, Spikher, che hai fatto una conoscenza molto pericolosa??... Non te ne sei accorto?... Giulietta è una delle cortigiane più astute che mai siano esistite. Si raccontano sul conto suo certe storie misteriose che la fanno apparire in una luce assai particolare. Che essa, volendo, sappia esercitare un'attrazione irresistibile sugli uomini, e prenderli nelle sue reti, e non lasciarseli più sfuggire, lo si vede da te. Tu sei completamente cambiato... ti sei lasciato talmente sedurre da lei che non pensi più alla tua cara e buona moglie –.53

L'avvertimento di Federico genera in Erasmo una profonda inquietudine. Così decide con l'amico di partire e tornare a casa dalla propria famiglia. Nonostante la conversazione tra i due, la bellezza e sensualità di Giulietta fanno però ricadere Erasmo nella rete dell'amore: «Giulietta non si era mai mostrata così affettuosa; vestiva come quella sera nel giardino ed irradiava di grazia, giovanilità, bellezza. Erasmo scordò tutto ciò che aveva detto a Federico. Mai come quel giorno si era sentito attratto dalle lusinghe del piacere, mai come quel giorno Giulietta gli aveva lasciato chiaramente intendere di amarlo».54 Una sera il protagonista ha uno scontro con un giovane

                                                                                                                         

Torino, Einaudi, 1969, p. 252. Il racconto si trova nel primo volume di Romanzi e racconti, all’interno del quale sono riportati i racconti che costituiscono Pezzi di fantasia alla maniera di Callot. Nello specifico, La storia del

riflesso perduto è il quarto capitolo de Le avventure della notte di San Silvestro, a sua volta ottavo capitolo di Pezzi di fantasia alla maniera di Callot.

52 Ivi, p. 254. 53 Ibidem. 54 Ivi, p. 255.

italiano conosciuto a una festa. I due iniziano una zuffa, entrambi accecati dalla gelosia per Giulietta, ma Erasmo ha la meglio e lo uccide. Il delitto rende impossibile continuare il soggiorno italiano, così l’affranta Giulietta, triste per non poter più vedere il suo uomo, gli fa una richiesta, quella di lasciarle la sua immagine riflessa:

– Lasciami il tuo riflesso... Almeno questo sarà mio per sempre. – Che dici, Giulietta? ... – esclamò Erasmo stupefatto. – Il mio riflesso? ... – E intanto si vide nello specchio, dolcemente abbracciato a Giulietta. – Come puoi tenere per te il mio riflesso? ... Esso mi segue dappertutto...mi accompagna dovunque ci sia un'acqua chiara, una superficie levigata... – Volevi essere mio anima e corpo, e del tuo «io» non mi concedi neppure quest'immagine di sogno riflessa nello specchio?...

Dunque, neppure la tua labile immagine dovrà rimanere con me, seguirmi attraverso la mia povera vita, priva di gioia, di amore quando sarai fuggito... – I begli occhi scuri di Giulietta si velarono di lacrime cocenti. Pazzo di dolore, Erasmo esclamò: – Dunque devo lasciarti?... Se devo andarmene, il mio riflesso rimanga eternamente con te. E che nessuna forza al mondo – nemmeno il diavolo – possa strappartelo fino a quando non riavrai tutto me stesso, anima e corpo –. Com'ebbe pronunziato queste parole sentì sulle sue labbra i baci di Giulietta, ardenti come il fuoco.55

Mentre entrambi gli innamorati osservano il proprio riflesso, Giulietta protende le mani verso lo specchio e l’immagine di Erasmo, con autonomia, se ne va via con Giulietta.

Tornando verso casa, emerge una caratteristica che si rinviene anche in altri racconti sulla duplicazione, ovvero l’elemento della derisione. La privazione della propria immagine innesca un meccanismo per il quale il personaggio in questione viene considerato “diverso” a causa della “mancata riflessione” allo specchio. Per questa sua diversità il protagonista riceve l'obbligo dalla polizia di presentarsi al più presto innanzi alle autorità con un riflesso perfettamente identico a se stesso. O altrimenti, di lasciare la città. Ciò comporta che Erasmo desideri velare ogni specchio per evitare il disagio e questa sua mania fa sì che egli venga soprannominato dalla gente come

                                                                                                                         

"generale Suvarov", che aveva un atteggiamento analogo. Una volta a casa, il protagonista viene ripudiato dalla propria famiglia: la moglie non vuole condividere la casa con un uomo senza riflesso mentre il figlio, inizialmente incuriosito dalla nuova, misteriosa caratteristica del padre, inizia a schernirlo. È come se moglie e figlio avessero percepito nella mancanza d’ombra un segno diabolico; privazione di ombra e privazione di riflesso presentano il medesimo valore. La cessione al maligno d’una parte del sé diventa simbolicamente la rappresentazione di una personalità mutilata.

A questo punto la disperazione di Erasmo inizia a intensificarsi sempre più man mano che si prosegue con la lettura. Collera per ciò che gli è accaduto ma anche dolore per non riuscire a trovare una soluzione al problema (un tratto, questo, evidente anche ne Lo studente di Praga: Baldovino, perseguitato dal proprio doppio, finisce nella rete della pazzia).

Qui entra in gioco un nuovo personaggio, il dottor Dappertutto, accompagnatore di Giulietta (chiamato anche “il medicone” nel racconto), vestito con un abito scarlatto. Dappertutto era già apparso in un'occasione al principio della storia, suscitando l'antipatia del protagonista. Lo strano individuo confeziona una grande proposta a Erasmo. Se Spikher offrirà in sacrificio la propria famiglia, avrà la possibilità di avere l’amore di Giulietta ma anche la tanto agognata immagine riflessa. La proposta del dottor Dappertutto sembra trovare analogia con quella del professor Scapinelli (sempre de Lo studente di Praga), che somiglia ad un vero e proprio patto con il diavolo.

Poco dopo, Erasmo vede arrivare la sua amata, che gli mostra come ha conservato bene la sua immagine riflessa. Il protagonista si vede stretto in un forte abbraccio con Giulietta, ma l’immagine si muove autonomamente. La donna comprende l'enorme sacrificio che Erasmo dovrebbe compiere con la sua famiglia, così fa a sua volta una nuova proposta a Spikher:

ha proposto un mezzo, ma ce n'è un altro, diverso e migliore. – In che cosa consiste? – domandò ansiosamente Erasmo. – Giulietta gli passò una mano intorno alla nuca e appoggiandogli la testa sul petto bisbigliò: – Scrivi il tuo nome – Erasmus Spikher – su questo foglietto, e sotto queste poche parole: Conferisco al buon amico Dappertutto ogni potere su mia moglie e il mio bimbo; lo autorizzo a disporne come crederà meglio, purché sciolga il vincolo che mi lega a loro. Io d'ora innanzi voglio appartenere – corpo e anima – a Giulietta. L'ho scelta in moglie e a lei mi legherò per sempre con uno speciale giuramento.56

In quel momento appare Dappertutto, alle spalle di Giulietta, ed entrambi incitano caldamente Erasmo a firmare il contratto, finché non giunge la moglie di Spikher che lo invita a non stringere più l’accordo, e a rinvenire da quell'incubo. Nel frattempo la figura un tempo celestiale di Giulietta assume le fattezze di una donna dal volto satanico, che Erasmo respinge animatamente, fino a quando sia lei che l'accompagnatore Dappertutto scompaiono definitivamente.

È possibile leggere la duplicità anche osservando le due donne del racconto: Giulietta e la moglie. La contrapposizione tra due o più figure femminili è una caratteristica ricorrente nelle opere di Hoffmann;57 Giulietta rappresenta il mistero, il soprannaturale e il fascino, mentre la moglie raffigura il contatto con la realtà, immagine benevola che però non può offrire la promessa di una vita di emozioni come la contendente. La moglie incarna quella normalità tipica di un mondo piccolo-borghese. Si tratta di due diverse figure che attraggono il protagonista e in grado di generare in Erasmo una scissione interna. Questa rottura non è altro che la proiezione del dissidio tra due mondi in contrasto: quello reale e quello del desiderio.

La moglie di Spikher, donna benevola, suggerisce al marito di partire, di mettersi in viaggio per ritrovare il riflesso perduto, poiché un uomo non si può considerare tale se non può specchiarsi. Il racconto di Hoffmann giunge al termine e il personaggio uscito dalla mente di

                                                                                                                         

56 Ivi, p. 261.

57 Si pensi per esempio alla duplice valenza che assume la figura di Aurelie accostata a quella del dipinto di Santa Rosalia ne Gli elisir del diavolo, in cui una è il reale, l’altra il divino.

Chamisso fa la sua comparsa proprio qui. Erasmo Spikher incontra l’uomo senza ombra, Peter Schlemihl.

È indubbio che il contributo hoffmanniano dato da La storia del riflesso perduto contenga analogie e concordanze con altre storie. In primis, il fortunato contrappunto che Hoffmann fa all’opera di Chamisso, dal momento che siamo di fronte a una ulteriore dualità che va oltre i racconti stessi: abbiamo un uomo del riflesso e un uomo dell’ombra.

Se si analizza il racconto andando al di là del ruolo esplicito dell'amata, ci si accorge di come il personaggio di Giulietta funga da strumento. Strumento di cui si serve il dottor Dappertutto, il veicolo, se vogliamo, per ottenere l'immagine riflessa di Erasmo. Si tratta chiaramente di un’analogia che si può operare con il personaggio di Scapinelli. Dappertutto e Scapinelli incarnano, in un certo qual modo, il diavolo tentatore: uno offre l'amore, l'altro il denaro. Dunque Dappertutto e Giulietta, in questo racconto nel racconto, simbolizzano l'aspetto diabolico della vicenda.

Claudio Magris in L'altra ragione ha messo in rilievo il fatto che Giulietta non sia altro che la trasposizione diretta di un'esperienza reale avvenuta a Hoffmann, con una tal ragazza di nome Julia:

[...] un'amara vendetta fantastica che proietta la crudele donna amata in un simbolo di maleficio. Julia diviene la diabolica maga Giulietta, la schiavitù amorosa assume l'aspetto di un incantesimo maligno, la perdizione sentimentale si trasforma in una cupa dannazione. [...] Nella storia di Erasmus la donna diverrà effettivamente una creatura diabolica; la sua personalità muta quindi radicalmente, passando da un polo positivo ad uno negativo. [...] La ripetizione, ossia la legge analogica, collega e rinsalda le parti della novella, unificandole all'interno di un'unica Stimmung psicologica che registra, sulla base di alcuni dati ricorrenti e immutabili, ogni sorta di variazioni e invenzioni fantastiche.58

                                                                                                                         

Giulietta è anche portatrice, in questo racconto, dello spinoso tema dell'amore. Nei racconti sul doppio, l'amore è un tratto che senza dubbio crea disagi nei protagonisti delle varie opere. Talvolta si scorge l'incapacità d'amare, talvolta l'impossibilità, causata da agenti esterni o dal doppio stesso, che in forme diverse si frappone tra il protagonista e l'amata impedendo l'instaurarsi di un rapporto amoroso.

L'uscita dallo specchio della propria immagine con la conseguente perdita del riflesso, in queste opere porta molto spesso i protagonisti a provare vergogna, alienazione, il rifiuto da parte della società perché priva di un qualcosa che caratterizza l'intero genere umano, il riflettersi in uno specchio. La mancanza dell'immagine finisce così per tradursi in perdita di una parte fondamentale di se stessi, la cosiddetta scissione dell'io, che porta inevitabilmente alla ricerca disperata di quel pezzo mancante del puzzle.