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La regolazione di Basilea. Criticità e prospettive della vigilanza prudenziale

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UNIVERSITÀ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Laurea magistrale in Giurisprudenza

La regolazione di Basilea.

Criticità e prospettive della vigilanza prudenziale

Relatore

Ch.ma Prof.ssa Michela Passalacqua

Candidato

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Indice

Introduzione……….. III Capitolo I

La ricostruzione storica della regolazione di Basilea 1. Le origini del Comitato di Basilea sulla vigilanza del

sistema bancario……… 1

2. Le reti transnazionali di regolatori……… 5

3. Dal Concordato all’Accordo sul capitale………..10

3.1. Le prime riunioni del Comitato e la formulazione

del Concordato……….. 11 3.2. L’Accordo “storico” sulla adeguatezza patrimoniale….14

4. Il superamento di Basilea I ed il Nuovo Accordo.…………19

4.1. Analisi dei punti di forza e dei limiti di Basilea……….19 4.2. La complessità del procedimento “notice and

comment” e l’approvazione dell’Accordo………24

5. La crisi finanziaria globale ed il nuovo intervento del

Comitato di Basilea………..32 Capitolo II

Gli strumenti giuridici per la vigilanza sul sistema bancario internazionale

1. Il passaggio dalla vigilanza strutturale alla vigilanza

prudenziale………38

2. L’introduzione dei requisiti patrimoniali minimi…………..51

2.1. L’analisi del rischio di credito………53 2.2. L’emersione dei nuovi rischi, in particolare il rischio operativo ed il rischio di reputazione……….57 2.3. Le soluzioni adottate dalla regolazione di Basilea:

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3. Il processo di controllo prudenziale secondo Basilea II….. 70

4. La vigilanza regolamentare su base consolidata………….. 76

5. Il ruolo e la funzione delle agenzie di rating………80

5.1. La regolazione del rating ed i criteri per la valutazione della solvibilità dei debitori negli Accordi di Basilea….85 5.2. Approccio critico al rating quale strumento di

controllo……… 91 Capitolo III

Le prospettive della regolazione di Basilea

1. La risposta mondiale alla crisi finanziaria………. 96

1.1. Le prospettive di applicazione di Basilea III……….. 102 1.2. Il rafforzamento dell’ordinamento bancario europeo..107

2. La legittimità e l’accountability dei regolatori………….. 114

2.1. L’assenza di strumenti di accountability tradizionali all’interno del Comitato di Basilea………. 119 2.2. Il coordinamento tra regolatori globali ed europei ed il nuovo modello di accountability………. 125

3. Gli standards come strumento normativo……….. 134

3.1. I principi fondamentali per una efficace vigilanza

bancaria………138 3.2. Il controllo sull’applicazione degli standards globali e gli interventi di modifica dopo la crisi………..143

Conclusioni……….. 152 Bibliografia……….. 156

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Introduzione

La regolazione di Basilea ha da sempre avuto un ruolo chiave all’interno dell’ordinamento finanziario, in quanto persegue l’obiettivo di raggiungere la stabilità complessiva del sistema bancario senza però eliminare la competitività internazionale.

Muovendo da un’attenta ricostruzione storica del Comitato di Basilea, il presente lavoro vuole analizzare la normativa riguardante la vigilanza prudenziale e gli strumenti giuridici adottati all’interno dei tre accordi di Basilea, al fine di prevenire ed eventualmente gestire i fallimenti dei singoli istituti di credito.

In particolare, verrà esaminata la disciplina relativa ai requisiti minimi di capitale che ogni banca deve detenere per essere considerata “al sicuro” da eventuali perdite inattese; quella relativa al processo di controllo prudenziale, utilizzato per garantire che le banche dispongano di un capitale adeguato, ma anche per incoraggiarle nell’elaborazione di tecniche migliori ed, infine, la normativa attinente le metodologie dei giudizi che le agenzie di

rating esprimono sulla solvibilità degli emittenti.

La trattazione si occuperà poi, dopo aver spiegato in che cosa consista l’attività di vigilanza in termini generali, di esaminarne la

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“nuova” forma di matrice prudenziale o regolamentare, divenuta centrale a partire dagli anni settanta quando il modello tradizionale si dimostrò non essere più credibile.

Al contempo, focalizzeremo l’attenzione sulla tipologia e sulle modalità di elaborazione delle regole internazionali per la vigilanza bancaria: a partire dal secolo scorso, infatti, il Comitato, così come la maggior parte dei regolatori globali presenti sulla scena mondiale, danno origine a quella che viene definita come una vera e propria “esplosione” di standards globali. Tale tipologia di regole, nonostante siano originariamente elaborate come volontarie, vengono in seguito percepite dai loro destinatari come vincolanti, operando una graduale transizione dalla soft alla hard law.

La parte finale del presente lavoro è incentrata sulla disamina di alcune questioni problematiche inerenti la regolazione di Basilea intesa nel suo complesso ed a cui la dottrina cerca di dare risposte concrete.

In primo luogo, verrà trattato il tema della legittimità delle regole elaborate dal Comitato di Basilea e dai nuovi regolatori europei i quali, a partire dalla riforma del 2010, hanno assunto un ruolo centrale all’interno della governance finanziaria. Sia il primo

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che i secondi peccano di legittimazione democratica e non hanno al loro interno strumenti che consentano loro di essere organismi

accountable nei confronti dei soggetti coinvolti nella regolazione

globale.

Vedremo come la questione del deficit democratico risulti essere ancora oggi aperta per il Comitato di Basilea e come, invece, il dibattito sia ufficialmente terminato per quanto riguarda i nuovi regolatori europei grazie all’intervento legislativo del 2011, istitutivo del nuovo sistema europeo di vigilanza di cui descriveremo le caratteristiche fondamentali.

Dopodiché, verrà analizzato il tema della elaborazione dei principi fondamentali sulla vigilanza bancaria, oltre alla disamina degli strumenti che gli organismi internazionali, ossia la Banca mondiale ed il Fondo monetario, hanno adottato al fine di verificare ed incentivare l’applicazione di detti standards da parte dei singoli ordinamenti domestici.

Tale questione, ossia la realizzazione di norme ad hoc all’interno dei singoli Stati che perseguono l’obiettivo di porre in essere concretamente ed effettivamente i principi sanciti dalla regolazione di Basilea, risulta essere un elemento imprescindibile

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per il raggiungimento della solidità e stabilità all’interno dell’ordinamento finanziario.

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CAPITOLO I

La ricostruzione storica della regolazione di Basilea

1. Le origini del Comitato di Basilea sulla vigilanza del sistema bancario

Il Comitato di Basilea ha origine a seguito delle gravi crisi finanziarie provocate dalla bancarotta di alcuni istituti di credito, i cui effetti negativi erano dovuti essenzialmente alla possibilità per le banche, in un contesto di vigilanza a prevalente dimensione nazionale, di sfuggire al controllo prudenziale istallandosi in sistemi meno regolamentati e meno rigorosi . 1

In particolare, la nascita del Comitato si lega fortemente alla chiusura della Bankhaus I. D. Herstatt di Colonia avvenuta ad opera delle autorità tedesche nel tardo pomeriggio del 26 giugno 1974, a causa delle enormi perdite che l’ufficio cambi della banca stessa aveva subito.

Con l’integrazione dei mercati e l’internazionalizzazione della attività creditizia, la crisi si era propagata da una banca all’altra 


G. Bertezzolo, La regolazione globale della vigilanza bancaria: il Comitato di 1

Basilea (Bcbs), in S. Battini (a cura di), La regolazione globale dei mercati finanziari,

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creando ingenti problemi nei sistemi di pagamento di tutto il mondo.

Mentre le autorità bancarie della Germania cercavano di far fronte al disastro della Herstatt, una seconda crisi bancaria occupava l’attenzione dei funzionari americani. Nell’ottobre dello stesso anno, infatti, la ventesima tra le banche più grandi degli Stati Uniti, la Franklin National Bank di New York venne dichiarata insolvente . 2

La crisi della Herstatt, seguita poi da quella della banca americana, costrinse i responsabili della vigilanza bancaria di diversi paesi a dialogare tra loro e condividere le informazioni. Non era comunque la prima volta che i rappresentanti del settore bancario si riunivano: il primo meeting di banche centrali risale infatti al 1920 ma, fino alla nascita del Comitato di Basilea, la 3

cooperazione aveva riguardato essenzialmente temi economici e monetari.

Nel dicembre del 1974, il governatore della Banca di Inghilterra, spinto dalla circostanza che il sistema finanziario del

E.B. Kapstein, Governare l’economia globale. La finanza internazionale e lo stato, 2

Asterios Editore, 1999, p. 62.

M. Marcussen, Central bancks on the move, in Journal of European Public Policy, 3

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Regno Unito era esposto più di altri ai rischi di propagazione in ragione dell’alto numero di banche internazionali stabilite a Londra, fece pressione affinché venisse indetta una riunione per discutere della necessità di una più efficace cooperazione tra le autorità di vigilanza. I rappresentanti delle banche centrali dei Paesi appartenenti al Gruppo dei dieci si incontrarono presso la Banca 4

dei Regolamenti Internazionali e decisero di dare vita al “Comitato 5

per la regolazione bancaria e le pratiche di vigilanza”, ora informalmente conosciuto come “Comitato di Basilea”.

In un primo momento ci furono difficoltà ad avviare le discussioni poiché le autorità di vigilanza avevano da sempre agito in maniera isolata, come se i sistemi bancari fossero ancora divisi in compartimenti stagni. L’idea di un coordinamento internazionale per la vigilanza bancaria suscitava perplessità anche perché i sistemi finanziari nazionali erano strutturati in modo molto diverso tra loro. Proprio per questo motivo, i governatori delle banche

G10: gruppo fondato nel 1961 dalle dieci maggiori economie occidentali: Belgio, 4

Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Olanda, Gran Bretagna, Stati Uniti e Svezia. Nel 1984 si è unita anche la Svizzera.

La Banca dei regolamenti internazionali è un’organizzazione internazionale a 5

carattere pubblicistico nata nel 1930 per consentire i pagamenti dei danni da guerra provocati dalla Germania nel primo conflitto mondiale ai paesi vincitori, primi fra tutti, gli Stati Uniti d’America. Naufragato tale piano di risarcimento sono andate rafforzandosi le altre competenze dell’istituzione, le quali qualificano la BRI come strumento per la cooperazione delle banche centrali che ne fanno parte, tra cui la Banca Centrale Europea.

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centrali avevano precisato che il fine del Comitato “non dovrebbe

consistere nel compiere tentativi irrealistici volti all’armonizzazione degli specifici sistemi di vigilanza dei dodici Paesi, quanto piuttosto nel fare in modo che i suoi membri imparino gli uni dagli altri e che applichino la conoscenza così acquisita al miglioramento del proprio sistema di vigilanza, aumentando in tal modo, indirettamente, le probabilità di raggiungere una stabilità complessiva del sistema bancario internazionale” . 6

Pertanto, durante le prime riunioni, al Comitato furono assegnate alcune funzioni, le quali: promuovere la conoscenza dei diversi sistemi di vigilanza bancaria, condividere le informazioni tra le autorità di vigilanza, creare un “sistema di preallarme” per individuare i problemi interni alle banche internazionali, coordinare le politiche di vigilanza relative a quest’ultime e svolgere studi su argomenti legati alla vigilanza bancaria . Ma nel corso degli anni lo 7

spettro dei compiti del Comitato venne di gran lunga ampliato e le sue direttive si sono evolute ben oltre lo statuto originario, tanto che ora occupano una posizione centrale nell’ambito della regolazione finanziaria internazionale.

E.B. Kapstein, Governare l’economia globale. La finanza internazionale e lo stato, 6

op. cit., p. 67.

M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, Giuffré, 2012, p. 16. 7

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2. Le reti transnazionali di regolatori

La progressiva integrazione dei mercati ha spinto verso la creazione di un sistema di regole tendenzialmente stabili, in grado di rendere prevedibili ed omogenei i comportamenti delle varie autorità amministrative nazionali. La soddisfazione di questo bisogno è stata realizzata mediante una spontanea integrazione dei vari apparati amministrativi di settore ed, in particolare, attraverso le reti transazionali di regolatori . 8

Tale locuzione è stata utilizzata per identificare “soggetti

sovra-statali, creati in modo informale, che operano nel settore finanziario producendo atti non vincolanti la cui applicazione è decentrata e dipende dal collegamento con altri regolatori regionali, internazionali e nazionali” . 9

Anche se la definizione sopraindicata è recente, il fenomeno a cui si riferisce è più risalente, in quanto la nozione “transnational

law” venne introdotta già nel 1958 trovando però, in origine, una

scarsa attenzione sia da parte della scienza giuridica che della politica. Agli inizi degli anni Settanta la dottrina cominciò a

Istituto di ricerche sulla pubblica amministrazione - Irpa, Le reti internazionali dei 8

regolatori finanziari, gruppo di ricerca coordinamento da S. Battini, p. 1, disponibile

su irpa.eu.

D. Zaring, International Law by other Means: the twilight existence of international 9

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dedicarsi con attenzione sempre maggiore al tema delle relazioni transnazionali, in quanto le reti cominciarono ad esercitare una notevole influenza diffondendosi in molti settori: oltre a quello finanziario infatti si affermarono anche nel settore della concorrenza, dell’ambiente, della regolazione dei prodotti farmaceutici e del trasporto aereo.

I fattori che spiegano oggi l’emergere di tale modello di regolazione sono essenzialmente due, ovvero l’espansione della regolazione all’interno degli ordinamenti domestici unita all’innovazione tecnologica, la quale ha comportato la possibilità di intrattenere scambi con maggiore frequenza e a costi sempre più ridotti. Inoltre, a partire dagli anni Novanta, la scienza giuridica ha esaltato con convinzione i vantaggi del nuovo modello: i networks sono considerati più veloci, flessibili, a buon mercato ed efficaci rispetto alle organizzazioni intergovernative. Quest’ultime, infatti, sono più frequenti laddove siano coinvolti settori sensibili e a forte contenuto politico; nei casi in cui vi siano settori e problematiche di tipo tecnico è maggiormente probabile che si affermi una cooperazione di tipo transnazionale . 10

M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, op. cit., p. 14. 10

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Il diritto invece si cominciò ad interrogare sul ruolo e sulla efficacia delle regole che venivano emanate dal Comitato. La risposta che viene data ancora oggi è che le regole prodotte dalle reti non sono fonti di diritto internazionale in senso tradizionale, né tantomeno si rivolgono direttamente agli Stati, ma assumono la forma di best practices, codici di condotta, raccomandazioni o proposte che possono essere prese in considerazione dai singoli Stati. L’effettiva applicazione del diritto prodotto dalle reti è rimessa ai meccanismi di attuazione e controllo; vi sono procedure di recepimento interne, la cui competenza spetta solitamente ad autorità ed organi amministrativi statali, i quali divengono il collegamento tra l’ordine giuridico interno e quello internazionale . 11

Tale meccanismo non difetta però di efficacia: la mancata attuazione non è priva di conseguenze, sia pure indirette, in quanto il sistema nazionale di regolazione perderebbe così di credibilità e di affidabilità.

Tra le reti internazionali di regolatori finanziari troviamo il Comitato di Basilea, anche se questo si presenta come un network

Istituto di ricerche sulla pubblica amministrazione - Irpa, Le reti internazionali dei 11

regolatori finanziari, gruppo di ricerca coordinamento da S. Battini, p. 4, disponibile

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dalle caratteristiche molto differenti rispetto agli altri , sia per la 12

sua composizione che per il funzionamento.

Sotto il primo profilo, si noti come il Comitato inizialmente riuniva soltanto i rappresentanti dei Paesi dotati dei sistemi finanziari più avanzati, tanto che alcuni affermavano si trattasse di un club a carattere elitario . Non tutte le autorità di vigilanza o le 13

banche centrali potevano chiedere di farne parte, ma era lo stesso Comitato che invitava i rappresentanti di un determinato Paese a partecipare alle proprie riunioni, e lo faceva solo nel momento in cui riteneva che l’economia dello Stato fosse sufficientemente avanzata. A partire dal 2009, come risposta alla crisi finanziaria globale, la membership del Comitato venne significativamente allargata al fine di integrare i Paesi emergenti . 14

Per quanto attiene al funzionamento invece vediamo come il Comitato di Basilea non abbia né uno statuto né tantomeno un regolamento interno che vadano a disciplinarne le modalità di

Tra le altre reti transnazionali di regolatori troviamo la IOSCO, International 12

Organization of Securities Commission per il settore mobiliare, nata nel 1974 come

associazione a carattere regionale e poi trasformata nel 1983 in un’organizzazione universale, e la IAIS, International Association of Insurance Supervisors, fondata nel 1994 nel settore assicurativo.

G. Bertezzolo, La regolazione globale della vigilanza bancaria: il Comitato di 13

Basilea (Bcbs), cit., p. 21.

Sono stati inclusi i rappresentanti degli Stati di Australia, Brasile, Cina, India, 14

Corea, Messico e Russia oltre, qualche mese dopo, Arabia Saudita, Argentina, Hong Kong, Indonesia, Singapore, Sud Africa e Turchia come affermato in “Basel

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creazione del “diritto”. Tale assenza di regole scritte, fa sì che grande parte dell’attività venga lasciata alla collaborazione dei suoi membri, tanto da poter parlare di una “opaca” struttura interna. Le riunioni, soprattutto nei primi anni, non erano pubbliche ed i membri del Comitato, per lungo tempo, cercavano di non far conoscere i propri incontri. Questi obiettivi venivano realizzati anche attraverso le modalità della convocazione delle riunioni stesse, le quali avvenivano mediante mailing list oppure attraverso contatti telefonici.

La collaborazione inoltre costituisce l’elemento essenziale per l’elaborazione degli standard; non vi è infatti un sistema di voto, ma le decisioni vengono prese tramite l’assunzione del consenso da parte dei membri, meccanismo che comporta il passaggio da complessi negoziati su singoli temi fino a portare tutti i partecipanti a concordare sul testo, il quale si riterrà adottato solo nel momento in cui non vi siano obiezioni sostanziali sul suo contenuto . 15

Con il passare del tempo si riscontrerà un progressivo ampliamento sia delle attività che delle competenze del Comitato, le quali comporteranno anche una modifica della struttura e della sua

G. Bertezzolo, La regolazione globale della vigilanza bancaria: il Comitato di 15

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organizzazione interna, al fine di fare fronte compiutamente alle nuove esigenze.

3. Dal Concordato all’Accordo sul capitale

Il Comitato di Basilea iniziò immediatamente la sua attività di riunione cercando di realizzare la cooperazione in tema di vigilanza: ciò appare evidente dal fatto che nel 1975, dopo solo un anno dalla sua creazione, emanò “il Concordato”, con il quale affermò “i principi primi della cooperazione per la vigilanza internazionale”.

Questo costituì il primo passo verso lo sviluppo di un approccio alla vigilanza sulle attività bancarie accettato a livello internazionale ma, di lì a poco, i molti punti deboli che caratterizzavano tale atto vennero allo scoperto; in particolare, emerse che non sarebbe stato pronto ad affrontare le crisi che ancora dovevano abbattersi sul mercato finanziario.

Da quel momento si dovrà attendere ben tredici anni per addivenire all’Accordo sul capitale, che rappresenterà un vero e proprio momento di svolta.

(18)

3.1. Le prime riunioni del Comitato e la formulazione del Concordato

La versione iniziale del Concordato, realizzata nel settembre del 1975 e resa pubblica solo nel 1981 , fu il risultato delle prime 16

riunioni del Comitato di Basilea.

A seguito del fallimento della banca tedesca e di quella americana, tale organismo ritenne di fondamentale importanza raggiungere un accordo per stabilire come si potesse validamente vigilare su quelle banche che erano attive a livello internazionale e che detenevano degli stabilimenti bancari all’estero.

Nel dicembre di quello stesso anno, il Comitato di Basilea ottenne il benestare dei Governatori dei Paesi del Gruppo dei dieci su un documento che formulava i principi per la vigilanza sugli stabilimenti esteri delle banche . 17

Basel Committee on Banking Supervision, Report on the supervision of bank’s

16

foreign establishments - Concordat, settembre 1975.

Le banche attive a livello internazionale possono operare mediante i seguenti tipi di 17

stabilimenti bancari all’estero: le filiali, ossia entità operative non aventi uno status legale autonomo, e che perciò sono parte integrante della banca estera; le filiazioni, istituzioni giuridicamente indipendenti, possedute interamente o a maggioranza da una banca che ha la sede legale in un paese diverso da quello della filiazione; le banche consortili o “joint ventures”, istituzioni giuridicamente indipendenti, costituite nel paese dove conducono le loro principali operazioni e controllate da due o più case madri, la maggior parte delle quali di solito estere, e non tutte necessariamente banche. Mentre dalla composizione dell’azionariato può emergere un controllo effettivo da parte di una sola delle case madri, con le altre in minoranza, le banche consortili sono, più tipicamente, possedute da un insieme di azionisti di minoranza, come affermato in Basel Committee on Banking Supervision, Principi per la vigilanza sugli stabilimenti

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Il Concordato, tra i vari principi formalizzati, affermò che la vigilanza sugli istituti bancari stranieri avrebbe dovuto essere di responsabilità comune delle autorità ospitanti e di quelle del paese di provenienza. Tale principio si sostanziava essenzialmente nella necessità di una cooperazione; cooperazione che pertanto divenne la chiave di lettura di un’efficace vigilanza bancaria. Tutto ciò sarebbe stato facilitato da uno scambio di informazioni tra le autorità ospitanti e quelle del paese di origine, oltre al permesso di effettuare ispezioni sul territorio delle autorità ospitanti . 18

Anche se i membri del Comitato ritenevano che il Concordato costituisse un’utile struttura concettuale, bisognava comprendere come, e soprattutto se, avrebbe funzionato in pratica.

La risposta arrivò già nei primi anni ’80 a seguito della crisi del Banco Ambrosiano , quando le autorità preposte alla vigilanza 19

bancaria si resero conto di come i controlli su tale settore fossero insufficienti. Il Comitato dunque si sedette nuovamente ad un

E. Kapstein, Governare l’economia globale. La finanza internazionale e lo stato, 18

op. cit., p. 71.

Il 18 giugno 1982 il presidente del Banco Ambrosiano italiano fu trovato impiccato 19

sotto il Ponte dei Frati Neri di Londra. Il banchiere, di nome Roberto Calvi, era sparito da Milano dieci giorni prima e, alla notizia della sua morte, i depositanti cominciarono a ritirare i propri fondi. L’Ambrosiano si trovava al limite di una crisi di liquidità e dunque la Banca di Italia organizzò una operazione di salvataggio che però non riuscì e terminò con la chiusura del Banco Ambrosiano. L’Ambrosiano aveva un debito di circa 450 milioni di dollari.

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tavolo per modificare l’Accordo nel tentativo di colmare le lacune e giungere ad una nuova intesa tra i membri.

La nuova versione, resa pubblica nel 1983, sottolineava come i principi formulati non fossero che best practices e non potessero essere considerati regole vincolanti nei confronti dei Paesi facenti parte del Comitato, in quanto quest’ultimo non aveva alcuna autorità legislativa. Per divenire vero e proprio diritto era necessario che le legislazioni nazionali venissero modificate per dare spazio ai suggerimenti del Comitato ed andassero a recepire tali raccomandazioni; ma questo, almeno in un primo momento, non avvenne.

Il messaggio fondamentale del nuovo documento si focalizzò sul fatto che il controllo nel paese di origine sarebbe stato ulteriormente rafforzato da una maggiore valutazione dei rischi , 20

elemento che diverrà fondamentale e di primaria indagine nei successivi accordi.

Quella del 1983 non fu l’unica volta che il Comitato si riunì per trovare soluzioni concrete in tema di vigilanza e cooperazione

Basel Committee on Banking Supervision, Principi per la vigilanza sugli 20

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internazionale ma, nonostante le modifiche, il Concordato si 21

rivelò di scarsa utilità nella gestione delle crisi finanziarie e venne superato dai successivi interventi del Comitato di Basilea.

3.2. L’Accordo “storico” sulla adeguatezza patrimoniale

Le vicende problematiche che si susseguirono nel corso degli anni ’80, portarono il sistema finanziario internazionale al limite di un crollo e le autorità competenti cominciarono ad ipotizzare soluzioni a lungo termine per far fronte alle crisi. Emerse la necessità di rafforzare la base patrimoniale delle banche al fine di recuperare la fiducia generale nel sistema dei pagamenti internazionali . La disciplina del capitale divenne il fulcro dei 22

dibattiti ed il principale oggetto di analisi, in quanto il patrimonio, ovvero il complesso dei mezzi propri della impresa bancaria, era considerato la più importante garanzia contro i rischi della attività bancaria. Pertanto, la nuova regolazione impose alla banche di detenere una quantità di patrimonio che non scendesse sotto una determinata soglia.

Il Comitato si riunì altre volte per emanare raccomandazioni e questo avvenne sia 21

nel 1978 che nel 1979, come approfondito da E. B. Kapstein, Governare l’economia

globale. La finanza internazionale e lo stato, op. cit., pp. 70-80.

E. Kapstein, Governare l’economia globale. La finanza internazionale e lo stato, 22

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Il dibattito per la formulazione di quello che verrà ricordato come il Primo Accordo sul capitale fu avviato nel 1984 all’interno del Comitato di Basilea su impulso di Paul Volcker, l’allora presidente della Federal Reserve . 23

Nonostante le condizioni di partenza del dibattito non sembrassero molto promettenti, essendo i sistemi legislativi e contabili dei Paesi del Gruppo dei dieci troppo diversi tra loro, nel luglio 1988 le banche centrali raggiunsero un accordo che avrebbe dato luogo ad una “convergenza internazionale delle norme di vigilanza che regolano l’adeguatezza patrimoniale delle banche internazionali” . 24

Il tutto venne messo in movimento da una precedente intesa raggiunta tra la Federal Reserve e la Banca di Inghilterra, già nel gennaio dell’anno precedente.

In realtà l’intenzione originaria delle autorità statunitensi era quella di introdurre dei requisiti più stringenti all’interno del proprio ordinamento, ma si resero presto conto che elevare unilateralmente gli standard sul capitale delle banche, da un lato,

Federal Reserve (FED): Banca Centrale degli Stati Uniti fondata nel 1913 e che 23

divenne operativa solo qualche anno più tardi.

Basel Committee on Banking Supervision, International Convergence of Capital 24

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sarebbe stato poco vantaggioso dal punto di vista della stabilità e, dall’altro, sarebbe stato invece molto svantaggioso sul piano dei costi imposti alle banche nazionali. In particolare, sotto il primo profilo, la regolazione meno severa di altri Stati avrebbe potuto comunque determinare crisi finanziarie che, data l’integrazione dei mercati, si sarebbero trasmesse anche negli Stati Uniti; per quanto attiene invece al secondo profilo, la regolazione meno severa di altri Stati avrebbe avuto come effetto un evidente svantaggio competitivo per le banche statunitensi . 25

Le autorità americane decisero di rivolgersi alla Banca di Inghilterra per dare vita ad una trattativa, in modo tale che gli altri Paesi, una volta formalizzato l’accordo bilaterale, sarebbero stati quasi “costretti” ad adattarsi a quest’ultimo, in quanto New York e Londra rappresentavano due dei mercati finanziari più potenti del mondo.

Entrambe poi fecero una grande pressione sul Comitato al fine di raggiungere una soluzione condivisa, ma quello che però si rivelò determinante fu il successivo patto che la Federal Reserve e la Banca di Inghilterra formalizzarono con l’autorità di vigilanza

S. Battini, M. De Bellis, La regolazione globale alla prova della crisi: il caso della 25

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giapponese. La notizia dell’accordo trilaterale infatti accelerò il processo di redazione dell’Accordo di Basilea, in quanto i governatori delle altre banche centrali partecipanti al Comitato avevano paura che si creasse una “zona di esclusione” a danno delle rispettive banche e, pertanto, furono costretti a convergere sui medesimi requisiti . 26

Inoltre, durante l’intero processo di consultazione, il Comitato di Basilea mantenne stretti contatti con le autorità della Comunità Europea a Bruxelles. Queste stavano perseguendo una iniziativa parallela al fine di mantenere il massimo grado di compatibilità tra il sistema concordato a Basilea e quello da applicarsi nella Comunità. In tale contesto, il Comitato emanò l’Accordo sul capitale che venne recepito a livello comunitario dalla Direttiva 647/89 e successivamente attuato in Italia con il D.Lgs. 301/91.

Gli obiettivi che la regolazione di Basilea voleva raggiungere erano essenzialmente due: il rafforzamento della solidità e della stabilità del sistema bancario internazionale e l’applicazione dell’Accordo in modo equo e coerente, in modo tale da ridurre la disuguaglianza concorrenziale esistente in quel periodo fra le

M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, op. cit., p. 160. 26

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banche internazionali . Tutto ciò venne realizzato mediante la 27

predeterminazione di alcuni parametri: l’ammontare del patrimonio doveva essere pari almeno all’otto per cento delle attività ponderate per il rischio; rischio che era determinato secondo regole di misurazione rigide. Si trattava di cinque fattori di ponderazione assegnati sulla base della natura dell’emittente . 28

Tale meccanismo venne però presto superato poiché i parametri prestabiliti rischiavano di determinare un’eccessiva semplificazione nel calcolo della rischiosità delle attività bancarie.

Nonostante le criticità che emersero, l’Accordo di Basilea rappresentò il primo passo verso la creazione di un regime bancario internazionale in cui, sia l’esigenza di sicurezza e solidità, che la competitività internazionale, miravano ad essere soddisfatte.

Basel Committee on Banking Supervision, Convergenza Internazionale della 27

misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali minimi, luglio 1988,

introduzione.

Rischiosità minima per gli Stati, del 20% per le attività verso banche multilaterali di 28

sviluppo, del 50% per prestiti garantiti da ipoteca su immobili residenziali, del 100% per le attività verso il settore privato, in M. De Bellis, La regolazione dei mercati

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4. Il superamento di Basilea I ed il Nuovo Accordo

L’Accordo di Basilea I portò sicuramente miglioramenti nel sistema creditizio, ma fece emergere anche alcune carenze e limiti che portarono le autorità di vigilanza e gli operatori ad un’intensa attività di ricerca e di studio nel corso degli anni successivi per addivenire ad un assetto regolamentare più idoneo ai mutamenti e al progresso del sistema bancario internazionale.

Nel 1996 venne introdotto un primo emendamento all’Accordo originario e, al termine di un periodo contraddistinto da ben tre documenti di consultazione, venne pubblicato il Nuovo Accordo sul capitale.

4.1. Analisi dei punti di forza e dei limiti di Basilea I

Il primo Accordo sul capitale, fin dal principio, provocò un cospicuo numero di controversie: alcuni autori ne elogiavano i pregi, tra i quali l’aver posto il capitale della banca come architrave della vigilanza prudenziale; altri ne criticavano i limiti, come ad esempio il rischio della produzione di effetti perversi nel mercato, dovuti dal fatto che le banche avrebbero concesso prestiti altamente remunerativi ma più rischiosi al fine di controbilanciare il costo

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comportato dall’obbligo di disporre di più capitale a copertura dei prestiti . Le valutazioni circa gli effetti della stabilità sistemica 29

erano sì molto discordanti, ma l’Accordo ebbe comunque una larga adesione.

Si noti come non soltanto quasi tutti i Paesi facenti parte del G10 all’inizio degli anni novanta dettero attuazione alle

raccomandazioni del Comitato , ma questo avvenne anche da parte 30

di altri Stati. I margini di discrezionalità che l’Accordo volutamente lasciava alle autorità nazionali fecero sì che la disciplina, 31

nonostante non avesse forza giuridicamente vincolante, venisse adottata da oltre cento Stati. La volontaria applicazione da parte di un numero così elevato di Paesi, i quali non avevano nemmeno partecipato alla sua formulazione, costituì un importante riconoscimento della reputazione internazionale acquisita dal Comitato di Basilea . 32

E. Kapstein, Governare l’economia globale. La finanza internazionale e lo stato, 29

op. cit., p. 152.

Fin dall’inizio del 1990 Canada, Francia, Germania, Giappone, Svezia, Svizzera, 30

Regno Unito e Stati Uniti avevano dato attuazione a Basilea I come affermato da D. K. Tarullo in Banking on Basel. The Future of International Financial Regulation, Peterson Institute, 2008, p. 65.

Un ambito in cui la discrezionalità nazionale è emersa fortemente riguarda 31

l’applicazione delle normative alle varie categorie di istituzioni finanziarie. L’Accordo afferma che questo doveva essere applicato alle “banche internazionali”, di cui però non viene data alcuna definizione precisa, come specificato in E. Kapstein, Governare

l’economia globale. La finanza internazionale e lo stato, op. cit., p. 156.

E. Montanaro, Regole di Basilea e modelli di vigilanza: quale convergenza?, in 32

(28)

Per analizzare i punti di forza ed i limiti di Basilea I, è importante in primo luogo comprendere quale sia l’elemento portante della regolazione: sicuramente possiamo identificarlo nella disciplina del capitale, in quanto questo viene considerato lo strumento necessario per assorbire le perdite impreviste e per conseguire la stabilità finanziaria. Si parte dal presupposto che, se i livelli di capitale sono più alti rispetto ai livelli storici delle perdite impreviste, la banca presumibilmente riuscirà a superare il calo di un settore specifico oppure le conseguenze di un errore nel concedere prestiti . 33

Sappiamo però che il conseguimento della stabilità ha anche un prezzo: si impone infatti un costo a carico degli istituti di credito che può rivelarsi assai significativo, soprattutto in tempo di crisi. Il nodo problematico si riscontra nel fatto che una severa disciplina sui requisiti patrimoniali garantisce maggiormente la stabilità, ma al tempo stesso, induce le banche a concedere meno credito alle imprese, frenando così la crescita economica. Il punto di equilibrio fra interesse pubblico e interesse privato, condiziona anche,

E. Kapstein, Governare l’economia globale. La finanza internazionale e lo stato, 33

(29)

pertanto, il più generale bilanciamento fra stabilità finanziaria e crescita economica . 34

La questione più importante da risolvere è comprendere di quanto capitale effettivamente le banche debbano disporre per potersi ritenere al riparo da eventuali perdite che potrebbero destabilizzare dapprima la singola banca, e poi, di conseguenza, anche l’intero sistema finanziario.

L’accordo del 1988 è stato elogiato proprio per aver formalizzato in modo chiaro e preciso una relazione essenziale tra la dotazione patrimoniale minima dell’azienda bancaria e la rischiosità assunta dalla medesima. In realtà, tale architettura prudenziale peccava di estrema semplicità ed elementarità, in quanto prendeva in considerazione soltanto il rischio di credito, il quale è sicuramente la principale fonte di alea per un intermediario tradizionale, ma non va ad esaurirla compiutamente. In più, se è vero che alti livelli di capitale potrebbero meglio far fronte alle perdite e suscitare maggiore fiducia nei cittadini, è altrettanto vero che da soli non bastano per rendere più redditizia l’industria bancaria.

S. Battini, M. De Bellis, La regolazione globale alla prova della crisi: il caso della 34

(30)

Dunque la regolazione ha avuto degli evidenti ed innegabili effetti positivi sul sistema finanziario internazionale poiché ha garantito una certa stabilità e sicurezza del mercato, oltre ad avere generato competitività tra le banche a livello sovranazionale.

Il tutto è stato reso possibile grazie ad una serie di fattori come l’individuazione nel capitale dell’elemento portante della vigilanza prudenziale, l’introduzione di una forma di controllo prudenziale orientata al rischio e l’aver posto le basi per una disciplina comune a livello internazionale . 35

A fronte di tali meriti la normativa ha risentito però anche di alcuni limiti oggettivi che si sono manifestati anch’essi sin dai primi anni di applicazione e che hanno portato le autorità di vigilanza ad intraprendere un processo di revisione per migliorarne l’assetto complessivo.

Tra i profili di criticità notiamo come l’Accordo è andato a formalizzare un identico assetto prudenziale per tutte le banche vigilate, sia per il gruppo bancario con presenza internazionale che per la piccola banca operativa a livello locale, determinando distorsioni del sistema soprattutto a sfavore di quest’ultime.

G. Manzelli, Il nuovo Accordo sul Capitale (Basilea II). Un inquadramento 35

generale e talune proposte di modifica, in Rivista Bancaria - Minerva Bancaria, 2009,

(31)

Se molti autori hanno individuato, come già descritto, il limite principale della normativa nell’eccessiva semplificazione del calcolo della rischiosità delle attività delle banche, rappresentato da percentuali rigide ed identiche per tutte, altri hanno invece affermato che il vero punto debole risulterà soprattutto l’aver preso in considerazione soltanto il rischio di credito, a fronte di prassi operative che, nel tempo, avrebbero esposto sempre di più le banche ai rischi di mercato . 36

Tali problematiche sono alla base della lunga e profonda opera di revisione che ha portato all’emanazione del Nuovo Accordo sul capitale.

4.2. La complessità del procedimento “notice and comment” e l’approvazione dell’Accordo

Il Comitato di Basilea si mise all’opera per la formulazione della disciplina già a partire dalla metà degli anni novanta. Il Nuovo Accordo aveva obiettivi più ambiziosi rispetto al precedente, in quanto non si basava solamente sui requisiti patrimoniali minimi, ma si occupava nel dettaglio della vigilanza prudenziale e della

M. Passalacqua, Diritto del rischio nei mercati finanziari: prevenzione, precauzione 36

(32)

disciplina del mercato bancario. Tali considerazioni muovevano dal presupposto che la stabilità del sistema finanziario poteva essere raggiunta certamente passando dalle norme sul capitale ma, oltre a questo, era necessario il monitoraggio delle banche da parte delle autorità nonché l’introduzione di obblighi informativi degli enti creditizi in merito al patrimonio di vigilanza, al calcolo dei rischi ed alla loro gestione . Ed è proprio su questa tripartizione di interessi 37

che si creò la nuova disciplina; vennero formalizzati infatti i cosiddetti tre pilastri di Basilea II . 38

Al contrario del testo del 1988, estremamente sintetico e snello in quanto ammontante a poche decine di pagine, il secondo Accordo di Basilea è un documento ponderoso, composto da più di duecento pagine, facendo emergere così tra i due atti la profonda differenza già dal punto di vista dell’impostazione . 39

Quello che è rimasto pressoché invariato fu il procedimento di formazione degli atti, in quanto già per il primo Accordo venne seguita la procedura di notice and comment.

M. Condemi, Controllo dei rischi bancari e supervisione creditizia, Cacucci, 2005, 37

pp. 328-329.

In particolare: il primo pilastro si occupa degli standard minimi di adeguatezza 38

patrimoniale oltre ad un apposito requisito volto a fronteggiare i rischi operativi; il secondo delle regole prudenziali e la gestione dei rischi ed infine il terzo della disciplina del mercato.

M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, op. cit., p. 162. 39

(33)

La tecnica di regolamentazione adottata prende il nome di

better regulation e con tale espressione si fa riferimento alle fasi di

consultazione e confronto con gli intermediari e all’approfondita analisi di impatto, volta a misurare costi e benefici, che precedono l’adozione di un atto; tutto ciò è accompagnato da una chiara indicazione della motivazione alla base delle scelte effettuate nel concreto . Dalla fine degli anni Ottanta, il Comitato iniziò ad 40

orientarsi verso la pubblicazione di documenti di consultazione, procedimento che già veniva ampiamente utilizzato negli Stati Uniti.

Per la formazione del primo atto venne seguita tale procedura, ma in forma estremamente embrionale. Nel dicembre del 1987 il Comitato pubblicò un documento di consultazione prevedendo un periodo di un semestre per la presentazione di osservazioni da parte dei soggetti interessati, ma appena un mese dopo tale scadenza, seguì la pubblicazione finale dell’Accordo. Il lasso di tempo estremamente ridotto comportò che le osservazioni formulate vennero accolte in misura minima, così portando a cambiamenti limitati nella versione definitiva . 41

A. M. Tarantola, La funzione di compilance nei sistemi di governo e controllo delle 40

imprese bancarie e finanziarie, 2007, p. 6.

M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, op. cit., p. 250. 41

(34)

Al contrario, nel lungo e complesso processo di revisione dell’impianto regolamentare che portò al Nuovo Accordo, si era costantemente cercato di instaurare con l’industria bancaria un proficuo processo di consultazione, nella consapevolezza che l’applicazione di una disciplina destinata a produrre profondi impatti sugli intermediari destinatari non avrebbe potuto essere imposta dall’alto, senza una preventiva fase di condivisione sostanziale . 42

Possiamo notare infatti che si susseguirono tre documenti di consultazione, altrettanti periodi in cui gli interessati inviarono le proprie osservazioni, cinque studi di impatto quantitativo e un lasso temporale complessivo di consultazione durato ben cinque anni.

Il primo a proporre la riforma dell’Accordo sul capitale fu Alan Greenspan, presidente della Federal Reserve, il quale già nel maggio del 1996 aveva dichiarato pubblicamente che le debolezze di Basilea I stavano divenendo sempre più evidenti . 43

Le autorità di vigilanza formularono un testo piuttosto sintetico, in linea con la prassi precedente del Comitato e ben distante dalla complessità della sua formulazione definitiva. Nel

G. Manzelli, Il nuovo Accordo sul Capitale (Basilea II). Un inquadramento 42

generale e talune proposte di modifica, cit., p. 73.

D. Tarullo, Banking on Basel, op. cit., p. 89. 43

(35)

primo documento di consultazione venne prevista la distinzione in tre pilastri, struttura che rimarrà invariata nel corso dell’intero procedimento di revisione, ma quello che mancava era l’opzione netta tra il rinvio ai rating delle agenzie e l’uso dei sistemi di valutazione interni per la ponderazione dei rischi dell’attività bancaria . 44

Alla pubblicazione di tale proposta seguirono ben duecento lettere di commento in cui si registrarono forti contrasti tra i regolatori e le banche; quest’ultime sostenevano come i propri sistemi di valutazione interni potessero misurare il rischio in modo molto più accurato rispetto alle agenzie di rating e, pertanto, spinsero affinché il Comitato operasse una scelta più decisa a favore del metodo dei rating interni.

Con il secondo documento di consultazione si registrò una vera e propria rottura con la prassi precedente: il testo, pubblicato nel gennaio del 2001, era estremamente ampio e dettagliato e contava più di cinquecento pagine. Il Comitato si lasciò influenzare dalle pressioni mosse dalle grandi banche di investimento e recepì l’opzione del metodo dei rating interni, novità che caratterizzerà la successiva regolazione di Basilea.

M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, op. cit, p. 256. 44

(36)

Tale normativa era però caratterizzata da un limite oggettivo: il metodo dei rating interni, così come tutto l’Accordo, era estremamente complesso, e tale complessità, presumibilmente, avrebbe impedito alle autorità di vigilanza dei Paesi in via di sviluppo di darvi attuazione. In più, lo stesso Comitato dichiarò come questo testo fosse ancora incompleto poiché non aveva abbastanza informazioni per comprendere l’impatto che tale modello di valutazione del rischio avrebbe avuto sul sistema . Il 45

Nuovo Accordo non era ancora pronto e pertanto si proseguirono i lavori per la realizzazione di un terzo documento, reso pubblico nel 2003.

Il dibattito in questa fase venne influenzato in maniera determinante e negativa dagli studi di impatto quantitativo. Fu proprio sulla base di questi studi che si assistette ad un’inversione di rotta che comportò la perdita di credibilità del Comitato, poiché quest’ultimo sembrò dimostrare di non essere in grado di prevedere il reale effetto delle proprie proposte . 46

Il problema fondamentale si ebbe nel momento in cui gli studi di impatto dimostrarono che l’adeguamento ai parametri del Nuovo

D. Tarullo, Banking on Basel, op. cit., p. 104. 45

M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, op. cit., p. 258. 46

(37)

Accordo avrebbero imposto alle banche un aumento del proprio capitale . Le grandi banche di investimento iniziarono a mostrarsi 47

non più così favorevoli al metodo dei rating interni, fortemente voluto e preteso in un primo momento.

Prima della definitiva approvazione del Nuovo Accordo vennero realizzati altri studi e formulati vari emendamenti, in modo tale da “rasserenare” le banche sulla attuazione della nuova proposta. Nonostante il permanere di forti perplessità da parte della comunità finanziaria, il 26 giugno 2004 il Comitato di Basilea rilasciò ufficialmente Basilea II, denominato formalmente “Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali” , indicando un termine piuttosto ampio 48

per la sua applicazione. Questa era prevista per il 2006 e posticipata invece al 2007 per quelle banche che avevano optato per il modello di rating interni.

Analogamente a quanto osservato per il Primo Accordo sul capitale ed in merito al suo recepimento nell’Unione Europea, anche per l’elaborazione e l’approvazione del Secondo Accordo si

Basel Committee on Banking Supervision, Results of the Second Quantitative 47

Impact Study, novembre 2001, disponibile su bis.org.

Basel Committee on Banking Supervision, Convergenza internazionale della 48

misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolazione,

(38)

registrò una stretta collaborazione tra le Istituzioni comunitarie ed il Comitato. Così come quest’ultimo, infatti, la Commissione Europea pubblicò ben tre documenti di consultazione, con una sequenza temporale che ha seguito da vicino quella del regolatore globale. Anche il termine finale di redazione della direttiva è stato posticipato in ragione del ritardo nei lavori del Comitato di Basilea . 49

Una volta concluse le varie consultazioni in ambito comunitario, l’Accordo venne recepito con le Direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE , entrate in vigore il 1 gennaio 2007 , con una 50 51

principale differenza rispetto all’Accodo di Basilea: le direttive si applicavano, e si applicano tutt’ora, a tutte le banche e non solo a quelle che operano sul mercato internazionale. Dunque, l’Unione Europea rafforzò la regolazione di origine sovranazionale sotto un duplice punto di vista: per un verso, rendendo vincolanti standard

M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, op. cit., p. 314. 49

Le due direttive - n. 48 e 49 del 2006 - sono inserite nel pacchetto “CRD I- Capital 50

Requirements Directive” e fanno riferimento rispettivamente alla disciplina relativa

all’accesso alla attività degli enti creditizi ed alla adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento e degli enti creditizi. Nel nostro ordinamento sono state recepite con il D.l. 297/2006, convertito in L. 15/2007.

Per gli intermediari che avevano scelto di utilizzare metodi più avanzati di calcolo 51

di requisiti patrimoniali, tale termine era posticipato di un anno ex art. 152 Direttiva 2006/48/CE, in M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, op. cit., p. 313.

(39)

inizialmente approvati come volontari; per altro verso, ampliandone l’ambito di applicazione . 52

Le crisi finanziarie globali però non erano ancora terminate, ed anzi, da lì a poco, si sarebbe scatenata una delle più gravi crisi mondiali mai attraversate, comportando la necessità di ricercare, ancora una volta, nuove risposte.

5. La crisi finanziaria globale ed il nuovo intervento del Comitato di Basilea

Il 2007 fu l’anno in cui la crisi finanziaria globale cominciò a manifestarsi, trovando poi la sua massima esplosione nel corso del 2008. Tale crisi tolse molte certezze, in quanto, fin a quel momento, gli studiosi ritenevano che il sistema finanziario avesse raggiunto una certa stabilità e solidità.

Molti autori ritengono che il corpus normativo di Basilea III sia nato principalmente in risposta alla crisi; altri invece non sono d’accordo per alcune motivazioni. Innanzitutto l’Accordo di Basilea II venne implementato a partire dal 2007, con una opzione di dilatazione dal 2008 accolta dalla quasi totalità del sistema bancario italiano. Pertanto, al momento dell’insorgere della crisi, il nuovo

M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, op. cit, pp. 315-316. 52

(40)

sistema di regolamentazione non era ancora entrato in vigore, o comunque era entrato in vigore da troppo poco tempo per poter dispiegare i suoi effetti. Inoltre la crisi trovò le basi negli Stati Uniti, dove tale normativa venne attuata in un momento successivo rispetto all’Europa e per un numero limitato di grandi banche . 53

Gli studiosi sono però concordi sul fatto che la crisi sia esplosa per quelle tipologie di rischi che Basilea II aveva ignorato o comunque sottostimato, in particolare i rischi sistemici che, nel frattempo, stavano incrementando , oltre al rischio di liquidità, 54

tipico dell’operatività bancaria.

L’intero quadro delle regole internazionali aveva mostrato diversi limiti: in primo luogo, in molte giurisdizioni il perimetro stesso della regolamentazione è risultato inadeguato; segmenti rilevanti dell’intermediazione finanziaria, interconnessi con il sistema bancario attraverso operazioni di finanziamenti a breve termine, erano sottoposti a regole insufficienti, favorendo così l’emergere dello shadow banking system, un insieme di intermediari in grado di svolgere attività di fatto bancarie senza però essere

P. Pienza, Basilea 3 e gli impatti sulle banche: redditività, gestione del capitale e 53

ruolo del Pillar 2, in Bancaria, XI, 2011, pp. 24-25, disponibile su bancaria.it.

M. Passalacqua, Diritto del rischio nei mercati finanziari: prevenzione, precauzione 54

(41)

sottoposti a controlli di vigilanza. In secondo luogo, la regolamentazione internazionale ha lasciato ampi margini di discrezionalità ai singoli ordinamenti, determinando un quadro non sempre uniforme, soprattutto per i grandi gruppi attivi su base transfrontaliera. Infine, una problematica rilevante è stata rinvenuta nell’insufficienza della quantità e della qualità del capitale degli intermediari rispetto alle perdite sostenute durante la crisi: la definizione di “patrimonio di vigilanza” non era sufficientemente armonizzata a livello internazionale e molti degli strumenti riconosciuti nella disciplina del capitale hanno dimostrato, alla prova dei fatti, di non possedere una qualità sufficiente per assorbire le perdite . 55

Tutto ciò ha trovato una conferma certa, “matematica”: i dati riguardanti le perdite subite dalle banche nel periodo che va dal terzo trimestre del 2007 alla fine del 2009 indicavano un valore complessivo di poco inferiore a 400 miliardi di euro , specificando 56

che questi dati si riferivano ai soli Paesi appartenenti all’Unione

A. M. Tarantola, Verso una nuova regolamentazione finanziaria - Intervento del Vice 55

Direttore Generale alla Banca d’Italia, Napoli 21 gennaio 2011, p. 5, disponibile su bancaditalia.it.

A. Sironi, Le proposte del Comitato di Basilea per la riforma del sistema di 56

adeguatezza patrimoniale: quali evidenze della ricerca passata e quali implicazioni per la ricerca futura?, in Banca Impresa e Società, II, 2010, p. 211.

(42)

Europea. Le autorità di regolamentazione, a seguito di questo riscontro, misero in discussione l’intera regolazione di Basilea.

L’opportunità di procedere ad una revisione venne avanzata nel marzo del 2008 dal Financial Stability Forum e ricevette 57

l’avallo, nei due anni successivi, da parte del Gruppo dei Venti . 58

Nel Dicembre del 2010, il Comitato di Basilea raggiunse un accordo sulle linee guida della nuova disciplina , convergendo poi 59

nel cosiddetto “Terzo Accordo sul capitale”, il quale trovò attuazione con gradualità per non ostacolare la ripresa economica.

L’Accordo formalizzato lascia del tutto invariata la struttura essenziale di Basilea II, in quanto tenta di colmare le carenze più eclatanti della precedente regolazione senza però rinnegarne la ratio ispiratrice. Permane l’idea che si possa assicurare la stabilità del sistema bancario rispetto ai rischi assunti grazie ad un rapporto di capitale predefinito per ogni singola istituzione bancaria.

FSF: gruppo sovranazionale con sede a Basilea e fondato nel 1999 e che univa 57

inizialmente i ministri delle finanze e banchieri centrali dei paesi del G7; poi ampliato. Il suo scopo è garantire la stabilità finanziaria dei mercati. Oggi Financial Stability

Board.

G20: forum dei ministri delle finanze e dei governatori delle banche centrali, creato 58

nel 1999 per favorire l’internazionalità economica e la concertazione tenendo conto delle nuove economie in sviluppo. Di esso fanno parte i 19 paesi più industrializzati, con l’eccezione di Spagna, Paesi Bassi e Svizzera. È presente, inoltre, l’Unione Europea.

Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, Basilea 3 - schema di 59

regolamentazione internazionale per la misurazione, la regolamentazione e il monitoraggio del rischio di liquidità, dicembre 2010, disponibile su bis.org.

(43)

L’adeguatezza del capitale continua così ad essere il miglior disincentivo all’assunzione di rischi eccessivi, ma la nuova regolazione impone un miglioramento quantitativo: le banche devono accantonare un cuscinetto di capitale aggiuntivo per far 60

fronte ad improvvise situazioni di stress economico o finanziario, a cui si aggiunge la possibilità per le Autorità di imporre ulteriori cuscinetti di capitale in periodi economici favorevoli, in modo da poterli usare per affrontare future fasi avverse del ciclo economico . 61

Alla luce dei fatti, Basilea III si caratterizza per essere un insieme articolato di provvedimenti di riforma che mirano a migliorare la capacità del sistema bancario di assorbire shock derivanti da tensioni economiche e finanziarie, migliorare la gestione del rischio nonché rafforzare la trasparenza e l’informativa delle banche. L’elemento di forza che caratterizza la riforma è l’agire in maniera complementare sia sul piano macroprudenziale, riguardante i rischi a livello di sistema che potevano accumularsi nel settore bancario, che sul piano microprudenziale, ovvero

Capital conservation buffer pari al 2,5%, aggiuntivo rispetto ai minimi di capitale, 60

come in M. De Bellis, La regolazione dei mercati finanziari, op. cit., p. 166.

M. Passalacqua, Diritto del rischio nei mercati finanziari: prevenzione, precauzione 61

(44)

attinenti le singole banche, poiché una migliore tenuta di quest’ultime potrebbe ridurre il rischio di shock sistemici . 62

In realtà però è stato imposto un sistema molto costoso, incentrato sulla maggiore capitalizzazione dell’intero sistema bancario; costi che inevitabilmente vengono scaricati sulle imprese e sull’economia reale con grande rischio di appesantirle profondamente. Nonostante ciò, Basilea III è stata presentata, fino a quel momento, come l’unica soluzione utile e necessaria , anche se 63

non è risultata esente da critiche.

Bank for International Settlements, Schema Internazionale di regolamentazione per 62

le banche (Basilea 3), disponibile su bis.org.

A. Scarano, L’insostenibile pesantezza di Basilea 3, in L’angolo della finanza, 63

(45)

CAPITOLO II

Gli strumenti giuridici per la vigilanza

sul sistema bancario internazionale

1. Il passaggio dalla vigilanza strutturale alla vigilanza prudenziale

Prima di esaminare l’evoluzione della disciplina sulla vigilanza bancaria, è necessario comprendere in che cosa consista, in termini generali, l’attività di vigilanza.

La dottrina, e più in generale il diritto, ha da sempre cercato di dare una definizione e di delimitare compiutamente i caratteri di questa attività. Si affermò, almeno in origine, che la vigilanza consistesse in una serie di attività che si identificavano con i controlli per antonomasia, ossia “quelli identificabili, assai

semplicemente, in procedimenti amministrativi aventi destinazione specifica alla verificazione di regolarità di funzioni” . Pertanto, il 1

significato primo dell’attività del vigilare coincideva con il controllo di legittimità che il vigilante svolgeva sugli atti del vigilato.

M.S. Giannini, Controllo: nozioni e problemi, in Rivista trimestrale di diritto 1

(46)

In realtà, questa definizione verrà presto abbandonata: non solo perché la vigilanza può avvenire, oltre che sugli atti, sulle persone e sugli organi, ma anche perché può consistere nell’esercizio di altri poteri, quale quello di raccolta delle informazioni, di ispezione, di sanzione, di sostituzione dei componenti dei membri del soggetto vigilato o addirittura di sostituzione nello svolgimento di alcune funzioni dello stesso soggetto vigilato . 2

La conferma che tale attività si sostanzia in una procedimento complesso si evince dalla più dettagliata analisi della vigilanza bancaria: le autorità preposte al controllo infatti, oltre a vigilare sui soggetti che svolgono attività rilevanti per l’interesse pubblico, detengono tutta una serie di strumenti e poteri tipici di ogni forma organizzativa, quali il potere regolamentare, il potere esecutivo ed infine il potere sanzionatorio.

A causa della specificità del sistema economico e finanziario, gli intermediari bancari sono tipicamente sottoposti ad una rete di controlli regolamentari ben più stretta e articolata rispetto ai soggetti di qualsiasi altro settore. Il motivo risulta essere evidente: le banche occupano un ruolo centrale nel sistema dei pagamenti,

E. Monaci, La struttura della vigilanza sul mercato finanziario, Giuffré, 2007, p. 3. 2

(47)

accettano depositi, ossia passività con un valore nominale certo immediatamente rimborsabili, e, infine, fungono da intermediario nell’allocazione delle risorse finanziarie, raccogliendo il risparmio tra il pubblico e trasferendolo ai soggetti in deficit, nella maggior parte dei casi alle imprese . 3

Più nello specifico, si noti come la regolamentazione bancaria voglia porre un limite al rischio di perdite, le quali ricadrebbero sui depositanti e minerebbero la fiducia del pubblico nel sistema. I clienti, infatti, perdendo la fiducia negli istituti bancari circa la loro capacità di restituire i risparmi, potrebbero dare origine alle “fughe dei depositi”, ossia un ritiro improvviso e di massa dei propri risparmi, comportando il venir meno di liquidità e, nei casi più estremi, anche il fallimento della banca stessa.

Tutto ciò comporta la ricerca delle modalità per rendere maggiormente stabile e sicuro l’intero settore finanziario.

Tale processo iniziò con l’emanazione di due decreti: con il primo, datato 6 Maggio 1926, la Banca di Italia divenne l’istituto preposto alla vigilanza su tutte le altre banche e venne riconosciuta come l’unica banca di emissione, ponendo fine ad un problema che

P. De Biasi, La vigilanza prudenziale sui requisiti patrimoniali degli intermediari, in 3

E. Bani (a cura di), Banche, vigilanza e dintorni. Atti del primo ciclo di Seminari di

(48)

risaliva agli anni della proclamazione del Regno d’Italia quando si decise di conservare l’assetto pluralistico . Le vennero affidati 4

molteplici compiti: dall’analisi delle situazioni periodiche e dei bilanci annuali, che le banche erano obbligate a trasmettere all’istituto, alle ispezioni effettuate dal personale dell’istituto stesso fino all’obbligo di rendere pareri intorno alle domande di avvio di nuove banche, di fusioni e assorbimenti ma anche di aperture di sedi, filiali o agenzie.

Con il secondo decreto, datato 7 Settembre ed integrato nel Novembre dello stesso anno, si dichiarò implicitamente l’interesse pubblico per l’esercizio della raccolta del risparmio . 5

Alla fine del 1926 tutto il sistema bancario entrava a far parte di un sistema regolato e si riteneva che tali regole potessero essere adeguate per il futuro. In realtà, la debolezza del sistema e dei

Nel 1861, al momento della proclamazione del Regno d’Italia, le Banche autorizzate 4

a “battere moneta”, cioè ad emettere moneta avente corso legale e valore di scambio, erano cinque. Con il passare del tempo però l’assetto pluralistico non era più coerente con la realtà, in quanto le dimensioni delle cinque banche di emissione erano significativamente differenti come dimostra innanzitutto il capitale sociale: la Banca Nazionale 80 milioni; Banco di Napoli 25 milioni, Banco di Sicilia 6 milioni; Banca nazionale toscana 12 milioni; Banca toscana di credito 10 milioni; Banca romana 5,3 milioni. Dunque l’unicità dell’emissione era nei fatti prima che nella legge, M. Lombardi, Il sistema bancario nell’Italia post-unitaria, in Credito e Monete, giugno 1994 e G. Conti - A. Cova - S. La Francesca, Lezioni sulla formazione del sistema

bancario italiano. Testi delle relazioni tenute nel ciclo di conferenze sulla “Storia della banca”, Quaderno n. 258, 2010, p. 112, disponibile su www.asbb.it.

A. Cova - S. La Francesca, Lezioni sulla formazione del sistema bancario italiano. 5

Testi delle relazioni tenute nel ciclo di conferenze sulla “Storia della banca”, cit., p.

(49)

provvedimenti degli anni venti emersero presto a causa dell’irrompere di una crisi persistente e di portata mondiale, con effetti deleteri che si sono ripercossi in misura violenta in ogni campo dell’attività produttiva. L’Italia non rimase immune da questa bufera e dovette subire le conseguenze della crisi mondiale che sgretolarono il settore industriale e al contempo immobilizzarono il settore bancario . 6

La risposta a questa situazione, divenuta sempre più complessa, fu l’emanazione della Legge Bancaria del 1936 che formulò un nuovo assetto creditizio e diede organica sistemazione a tutte la struttura bancaria . 7

Le regole che vennero formalizzate affidarono i poteri amministrativi alle autorità pubbliche, limitando la concorrenza tra gli intermediari con la convinzione che questa fosse la soluzione 8

per garantire una maggiore solidità all’intero settore finanziario; ed effettivamente, dalla emanazione della legge bancaria fino agli anni settanta, si registrò una forte stabilità, oltre alla quasi totale staticità del quadro normativo.

F. Parrillo, Validità e rinnovamento della legge bancaria, in Rivista Bancaria, V, 6

1986, p. 4.

R.D.L. 375/1936 convertito in L. 141/1938. 7

C. Brescia Morra, La disciplina dei controlli pubblici sulla finanza, in F. Capriglione 8

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