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EUROPEAN PUBLIC PROSECUTOR'S OFFICE: compatibilita' costituzionale e stato dell'arte.

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I

INDICE SOMMARIO

CAPITOLO I

LE ORIGINI: DAL CORPUS JURIS AL TRATTATO DI LISBONA

1. IL CORPUS JURIS ... 1

Premessa ... 1

1.1. L’obiettivo: la tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione ... 4

1.2. Il contesto del progetto: lo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” ... 10

1.3. La competenza ... 13

1.4. Profili ordinamentali e organizzazione dell’ufficio ... 14

1.5. Aspetti processuali ... 18

1.6. Prime questioni problematiche ... 30

2. I PROBLEMI CONNESSI ALLA BASE NORMATIVA DEL PROGETTO, L’OCCASIONE PERDUTA DELLA CONFERENZA DI NIZZA E IL LIBRO VERDE DEL 2001 ... 35

3. IL TRATTATO DI LISBONA E LA NUOVA BASE NORMATIVA: LA POSSIBILITÀ DI UNA PROCURA EUROPEA ... 39

3.1. La Costituzione europea e l’articolo III 274 ... 39

3.2. Il nuovo articolo 86 TFUE ... 40

CAPITOLO II LA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE Premessa ... 46

1. LA RINNOVATA ESIGENZA DI ISTITUIRE UN PUBLIC PROSECUTOR EUROPEO, LE OBIEZIONI SOLLEVATE DAI PARLAMENTI DEGLI STATI MEMBRI E LA RISPOSTA DELLA COMMISSIONE ... 48

(2)

II

2. LA COMPETENZA DELL’EPPO ... 52

2.1. La competenza “materiale” e la Proposta di direttiva PIF ... 52

2.2. La competenza “ancillare” ... 58

3. I NUOVI PROFILI RELATIVI ALLA STRUTTURA E ALL’ORGANIZZAZIONE DELL’UFFICIO ... 62

3.1. I possibili modelli strutturali e la soluzione adottata dalla Commissione ... 62

3.2. (segue) L’opzione del “doppio cappello” e le prospettive di attuazione nell’ordinamento italiano ... 67

3.3. Il regolamento interno ... 71

4. L’INDIPENDENZA ALLA LUCE DEI CANONI DI NOMINA E DESTITUZIONE ... 72

5. INDAGINI E MISURE INVESTIGATIVE ... 81

5.1. Avvio delle indagini e misure urgenti ... 83

5.2. Lo svolgimento delle indagini ... 86

5.3 (segue) Le misure investigative ... 91

6. AZIONE PENALE E ARCHIVIAZIONE ... 99

6.1. L’esercizio dell’azione penale ed i problemi legati all’individuazione del giudice competente ... 100

6.2. Le ipotesi di inazione ... 104

6.3. Considerazioni sull’obbligatorietà dell’azione penale ... 107

7. LA CIRCOLAZIONE DELLE PROVE RACCOLTE DALL’EPPO ... ... 110

(3)

III

9. IL CONTROLLO GIURISDIZIONALE SULLE ATTIVITÀ DELLA

PROCURA EUROPEA ... 121

10. I RAPPORTI CON LE ALTRE AGENZIE DELL’UNIONE ... 124

10.1. Le relazioni con Eurojust... ... 125

10.2. (segue) …e quelle con OLAF ed Europol ... 127

CAPITOLO III COMPATIBILITÀ DELLA PROPOSTA CON I PRINCIPI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA Premessa ... 130

1. COMPATIBILITÀ DELLA PROPOSTA CON LE DISPOSIZIONI DEL TITOLO IV DELLA COSTITUZIONE ... 133

2. L’OBBLIGATORIETÀ DELL’AZIONE PENALE ALLA LUCE DELLE PROCEDURE DI ARCHIVIAZIONE ... 140

2.1. L’assenza di un controllo giurisdizionale sull’archiviazione ... 141

2.2. I casi di archiviazione “facoltativa” ... 145

2.3. Il compromesso ... 146

3. L’EPPO NON PUÒ SCEGLIERSI IL GIUDICE! ... 150

4. AMMISSIONE DELLA PROVA RACCOLTA DALL’EPPO E ART. 111 COMMA 4 COST ... 155

CAPITOLO IV UN PROCESSO CHE NON SI FERMA 1. GLI EMENDAMENTI SUGGERITI DAL PARLAMENTO EUROPEO CON LA RISOLUZIONE DEL 12 MARZO 2014 ... 160

2. LE MODIFICHE ELABORATE DAL CONSIGLIO DELL’UNIONE DURANTE IL SEMESTRE DI PRESIDENZA ITALIANA ... 167

(4)

IV

2.1 La nuova fisionomia dell’EPPO ... 168

2.2. La “nuova” competenza ... 174

2.3. Indagini, esercizio dell’azione penale e archiviazione ... 177

2.4. Rafforzamento delle garanzie procedurali e controllo giurisdizionale sugli atti della Procura europea ... 183

3. L’ART. 29 AD ESITO DEL SEMESTRE DI PRESIDENZA LETTONE ... 184

CONCLUSIONE ... 187

BIBLIOGRAFIA ... 192

(5)

1

CAPITOLO I

LE ORIGINI: DAL CORPUS JURIS AL TRATTATO DI LISBONA

SOMMARIO. 1. IL CORPUS JURIS – Premessa – 1.1. L’obiettivo: la tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione. – 1.2. Il contesto del progetto: lo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”. – 1.3. La competenza. - 1.4. Profili ordinamentali e organizzazione dell’ufficio. - 1.5. Aspetti processuali. – 1.6. Prime questioni problematiche. - 2. I PROBLEMI CONNESSI ALLA BASE NORMATIVA DEL PROGETTO, L’OCCASIONE PERDUTA DELLA CONFERENZA DI NIZZA E IL LIBRO VERDE DEL 2001. - 3. IL TRATTATO DI LISBONA E LA NUOVA BASE NORMATIVA: LA POSSIBILITÀ DI UNA PROCURA EUROPEA. - 3.1. La Costituzione europea e l’articolo III 274. – 3.2. Il nuovo articolo 86 TFUE.

1. Il Corpus Juris Premessa

Di un pubblico ministero europeo si parla per la prima volta nello studio condotto da un gruppo di esperti provenienti da diversi Stati membri dell’Unione sotto la supervisione della Prof.ssa Delmas-Marty, i cui esiti sfociarono nella pubblicazione, nel 1997, del “Corpus Juris1 contenente norme penali per la tutela

degli interessi finanziari dell’Unione”2.

1 La denominazione evoca la storica codificazione delle leggi romane

elaborate per iniziativa dell’Imperatore Giustiniano.

2 “Corpus Juris” portant dispositions pénales pour la protection des intérets

financiers de l’Union européenne, a cura di DELMAS-MARTY M., Economica,

Parigi, 1997. Per la traduzione italiana del testo v. SICURELLA R., Verso uno

spazio giudiziario europeo. Corpus Juris contenente disposizioni per la tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione europea, Giuffrè, Milano, 1997.

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2

L’incarico venne conferito dalla Commissione europea3 su sollecitazione del Parlamento europeo, che in quegli anni aveva più volte sottolineato le insufficienze del sistema di contrasto alle frodi comunitarie.

Successivamente, ad esito di uno “studio di fattibilità” condotto dalla stessa équipe di studiosi, volto a misurare l’impatto del progetto sui singoli ordinamenti interni, il progetto originario è stato riveduto e modificato, dando vita, nel 2000, alla seconda versione del Corpus Juris c.d. “di Firenze”4.

Le novità apportate dalla proposta risultavano, all’epoca, a dir poco sconvolgenti: in essa si suggeriva l’istituzione di un organo inquirente europeo e l’adozione di un insieme di norme penali, di carattere sostanziale e processuale, destinate ad essere applicate su tutto il territorio dell’Unione.

In particolare il Corpus, che consta di trentacinque articoli, prefigura tre strumenti per ottenere il coordinamento dell’attività di repressione5. Il primo si sostanzia nell’enucleazione di un complesso di fattispecie penali lesive degli interessi finanziari dell’Unione, valevoli per tutti gli Stati membri (artt. 1-8) a cui si affiancano una decina di disposizioni di diritto penale generale (artt. 9-17) inerenti all’elemento soggettivo, al tentativo, alla responsabilità degli enti e alle

3 L’iniziativa fu assunta da De Angelis, allora direttore presso la Direzione

generale per il controllo finanziario della Commissione europea.

4 Lo studio venne pubblicato in francese ed in inglese a cura di

DELMAS-MARTY M. – VERVAELE J.A.E. The implementation of the Corpus Juris in the

Member State, Antwerpen, vol. I-IV, 2000. Per la traduzione italiana del testo

v. GRASSO G. e SICURELLA R., Il Corpus Juis 2000. Un modello di tutela penale

dei beni giuridici comunitari, Giuffrè, Milano, 2003. Ai fini del presente lavoro,

salva diversa indicazione viene costantemente fatto riferimento a questa seconda versione.

5 Così PIATTOLI B., Cooperazione giudiziaria e pubblico ministero europeo,

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3

sanzioni. Il secondo consiste nella predisposizione di norme processuali uniformi volte a regolare il procedimento instaurato sulla base del Corpus Juris, tra le quali assumono particolare rilevanza quelle relative al regime di circolazione probatoria (artt. 25-34). Il terzo, infine, è rappresentato dalla previsione di un organo unitario che svolge funzioni di pubblico ministero sull’intero territorio dell’UE conformemente al principio di territorialità europea, seppur limitatamente alla competenza per materia individuata dalla proposta (artt. 18-24). Proprio quest’ultimo profilo costituisce l’aspetto più originale del progetto de quo.

Anche per quanto riguarda i principi ispiratori dell’articolato, si apprezzano delle innovazioni. Infatti, accanto ai principi che lo stesso definisce “tradizionali”6, ne sono stati introdotti due “nuovi”: quello di territorialità europea e quello del contraddittorio. Quanto al primo, nel progetto si legge che “the territory of the Member States of the Union constitutes a single area, called the European judicial area”. Corollario di tale principio è la regola del ne bis in idem che “impone ad ogni autorità nazionale incaricata delle indagini o dell’azione penale e ad ogni giurisdizione penale dell’Unione, l’obbligo di riconoscere valore di giudicato alle sentenze penali degli altri organi giurisdizionali europei che riguardino gli stessi reati o gli stessi fatti” relative agli illeciti contro le finanze comunitarie.

Quanto al principio del contraddittorio, esso implica, per quel che riguarda in particolare l’imputato, il rispetto dei diritti della difesa che gli sono accordati dalla Convenzione europea dei

6 I principi Fondamentali del Corpus definiti “tradizionali” sono: principio di

legalità, di colpevolezza personale, di proporzione delle pene e di garanzia giudiziaria.

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4

diritti dell’uomo e dal Patto internazionale delle Nazioni Unite sui diritti civili e politici.

1.1. L’obiettivo: la tutela penale degli interessi finanziari dell’Unione.

Alla luce delle considerazioni che precedono, risulta agevole rilevare come il progetto in esame non si limiti a prevedere l’istituzione di una Procura europea, ma persegua uno scopo ben più ampio: la creazione di un sistema di tutela delle finanze europee, in cui l’istituzione di un public prosecutor europeo rappresenta senza dubbio una componente centrale e connotante, ma non esclusiva.

L’esigenza di apprestare un adeguato livello di protezione degli interessi comunitari emerse, per la prima volta, nei primi anni Settanta, quando la allora Comunità si dotò di un sistema di finanziamento basato su una serie di “risorse proprie” ed iniziò a finanziare programmi per lo sviluppo di vari settori chiave dell’economia7.

Il Trattato sull’Unione Europea, firmato a Maastricht nel 19928, ha rappresentato un’importante tappa nell’evoluzione della lotta alle frodi comunitarie, dal momento che, prima di allora, non era presente alcuna previsione specifica sull’argomento nei Trattati istitutivi. La portata innovativa del documento di Maastricht si apprezza anzitutto avendo riguardo

7 Così VENEGONI A., La Proposta legislativa della Commissione europea per

istituire l’ufficio della Procura europea: analisi, problemi, prospettive., in Questione giustizia 1/2014, p. 222; e PICOTTI L., Le basi giuridiche per l’introduzione di norme penali comuni relative ai reati oggetto della competenza della Procura europea., in Diritto penale contemporaneo (web), p. 3.

8 Il Trattato è stato firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed è entrato in

vigore il 1° novembre 1993, dopo l’espletamento delle formalità di ratifica da parte di tutti gli Stati membri delle Comunità europee. G.U.C.E. C 191 del 29.7.1992.

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5

all’introduzione, nell’ambito del primo “pilastro”9, dell’art. 209 A, il quale da una parte, sanciva il c.d. “principio di equivalenza o di assimilazione”, ovvero l’obbligo degli Stati membri di combattere le frodi che pregiudicano gli interessi finanziari della Comunità, attraverso “le stesse misure che adottano per combattere le frodi che ledono i loro interessi finanziari”10 , dall’altra, imponeva ai Paesi membri di cooperare con la Commissione, per il coordinamento delle attività. Ulteriore merito del Trattato sull’Unione è quello di aver collocato il tema della lotta alle frodi anche nel terzo “pilastro”. Tra gli obiettivi esplicitamente enunciati dall’art. k 1 figurava, infatti, anche la “lotta contro la frode su scala internazionale” disposizione, questa, che ha rappresentato la base per l’adozione di diverse Convenzioni, tra le quali assume particolare rilevanza ai nostri fini la c.d. “Convenzione PIF” del 1995, di cui si dirà tra breve.

9 Occorre precisare che a seguito del Trattato di Maastricht, l’Unione si

configura come una struttura poggiante su tre “pilastri”, ognuno dei quali raggruppa una serie di disposizioni. Il primo “pilastro” è costituito da norme che modificano i trattati istitutivi delle tre originarie Comunità (titolo II, III, IV); il secondo “pilastro” prevede disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune (titolo V); il terzo “pilastro” regola la cooperazione nei settori della giustizia e affari interni (titolo VI). La differenza tra i diversi “pilastri” si coglie dal punto di vista delle procedure decisionali: c.d. “comunitaria” per il primo e c.d. “intergovernativa” per gli altri due. Il c.d. “metodo comunitario” si caratterizzava per il monopolio dell’iniziativa legislativa della Commissione europea, per il ricorso generalizzato al voto a maggioranza qualificata in seno al Consiglio e per il ruolo attivo attribuito al Parlamento europeo, dotato ad esempio del potere di avanzare pareri e proposte di emendamento, il c.d. “metodo intergovernativo” invece, attribuiva alla Commissione europea il diritto di iniziativa legislativa limitato a determinati aspetti specifici, ovvero condiviso con gli Stati membri, prevedeva il ricorso generalizzato al metodo dell’unanimità in seno al Consiglio e il ruolo consultivo del Parlamento europeo.

10 Il riconoscimento di tale principio risale alla pronuncia della Corte di

Giustizia del 1989 sul caso del mais greco (Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza 21 settembre 1989, causa C68/88 Commissione c. Repubblica ellenica).

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6

Con il Trattato firmato ad Amsterdam il 2 ottobre 199711 non sono state apportate modifiche alla struttura dell’Unione, la quale manteneva intatta la sua articolazione nei tre “pilastri”, ma sono stati ridotti i contenuti del terzo “pilastro” attraverso una parziale “comunitarizzazione”, che ha comportato il passaggio di determinate discipline all’interno del primo “pilastro”. Tuttavia, per alcune di esse, come la lotta alle frodi comunitarie, tale processo è avvenuto soltanto in parte dal momento che gli aspetti penalistici del settore de quo restavano confinati nel terzo “pilastro” .

Il nuovo art. 280 del Trattato CE, che ha sostituito l’art. 209 A, fermi restando il c.d. “principio di assimilazione” e l’obbligo di cooperazione, conteneva, al paragrafo 1, una previsione di carattere generale secondo cui “la Comunità e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari della Comunità stessa”, determinando così il passaggio da una situazione in cui la tutela degli interessi finanziari dell’Unione era una questione extracomunitaria, di esclusiva competenza degli Stati membri, ad un’altra, in cui per la prima volta gli organi sovranazionali svolgevano un ruolo attivo per assicurare tale protezione12 .

Tuttavia il paragrafo 4 del citato articolo, nel delineare i contorni dell’azione della Comunità a questo riguardo, della quale venivano specificati anche gli aspetti procedurali, escludeva un

11 Il Trattato è entrato in vigore il 1° maggio 1999 dopo l’espletamento delle

formalità di ratifica da parte di tutti gli Stati membri. G.U.C.E. C 340 del 10.11.1997.

12 Così PIATTOLI B., Cooperazione giudiziaria e pubblico ministero europeo,

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7

intervento diretto da parte dell’Unione per la tutela penale in tale settore13.

Sulla base del quadro normativo così delineato, l’Unione ha fatto ricorso a diversi strumenti per tutelare le proprie finanze. In particolare, a partire dalla previsione contenuta nell’art. k 3 del documento di Maastricht, che consentiva al Consiglio di elaborare convenzioni e di raccomandarne l’adozione da parte degli Stati membri, il 26 luglio del 1995 ha visto la luce la Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari dell’allora Comunità europea. Alla c.d. “Convenzione PIF” seguirono poi due protocolli addizionali rispettivamente del 1996 e del 199714. Il fine del documento de quo, non era quello di creare norme comunitarie autonome, ma di armonizzare quelle degli Stati membri. Tale obiettivo veniva perseguito anzitutto attraverso l’introduzione di definizioni comuni dei reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione, ed in particolare la frode, la corruzione ed il riciclaggio di capitali. Tuttavia, la Convenzione non tralasciava altri aspetti del diritto penale, la cui armonizzazione risultava necessaria per pervenire ad una tutela efficace delle finanze comunitarie, come ad esempio la previsione di una disciplina comune in tema di sanzioni, responsabilità delle persone giuridiche, prescrizione e ne bis in idem.

Un aspetto che merita di essere menzionato attiene al fatto che l’entrata in vigore del documento in esame era subordinata alla

13 Sulle ricadute di tale previsione v. infra par. 2.

14 Protocollo addizionale del 27 settembre del 1996 relativo corruzione che

lede gli interessi finanziari delle Comunità europee (I Protocollo PIF 1996); Protocollo addizionale del 19 giugno 1997 relativo al riciclaggio, alla responsabilità delle persone giuridiche, al sequestro ed alla confisca dei proventi (II protocollo PIF 1997).

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ratifica di tutti gli Stati membri15, pertanto non stupisce che sia divenuta efficace solo nel 200216, dimostrandosi così, almeno nell’immediato, incapace di rispondere alle esigenze di prevenzione e repressione delle condotte dannose per le finanze comunitarie17.

Sempre nell’ottica di rafforzare l’azione comunitaria nella lotta contro le eurofrodi, ma su un piano diverso da quello penale, la Commissione ha istituito, con provvedimento del 199918, l’Ufficio per la lotta antifrode (OLAF) quale organo amministrativo di indagine, al quale sono tutt’ora attribuite principalmente tre diverse funzioni: tutelare gli interessi

15 L’ art. 11 della Convenzione in esame, rubricato “Entrata in vigore”,

recita:

“1. La presente convenzione è sottoposta agli Stati membri per l'adozione secondo le rispettive norme costituzionali.

2. Gli Stati membri notificano al segretario generale del Consiglio dell'Unione europea il compimento delle procedure richieste dalle rispettive norme costituzionali per l'adozione della presente convenzione.

3. La presente convenzione entra in vigore novanta giorni dopo la notifica di cui al paragrafo 2 da parte dello Stato membro che procede per ultimo a detta formalità”.

16L’ultimo Stato membro ad aver comunicato l’attuazione della Convenzione

secondo la procedura prevista dal suddetto articolo 1, è stato proprio l’Italia il 19 luglio del 2002; la Convenzione è pertanto entrata in vigore il 17 ottobre del 2002.

17 In questo senso v. VENEGONI A., Dalla Convenzione PIF alla proposta di

Direttiva per la tutela degli interessi finanziari della UE attraverso il diritto penale,

in L’istituzione del procuratore europeo e la tutela penale degli interessi finanziari

dell’Unione europea, a cura di Camaldo L., Giappichelli, Torino, 2014, p.37.

Non stupisce che proprio a causa della lunghezza dei tempi di recepimento, la Commissione avanzò la prima proposta di “Direttiva PIF” (Proposta di direttiva sulla tutela penale degli interessi finanziari della Comunità del 23 maggio 2001 COM(2001)272 definitivo) che, limitandosi volutamente a riprodurre la norme di diritto penale sostanziale già contenute nei tre strumenti convenzionali PIF, aveva tra i vari scopi anche quello di operare una “pressione” politica per il completamento delle procedure interne di ratifica della Convenzione PIF. Per una trattazione approfondita v.

18 Decisione 1999/352 CE, CECA, Euratom da ultimo modificata dalla

Decisione 2013/478 UE. V. altresì il Regolamento (CE) n. 1073/1999, adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio e il Regolamento (Euratom) n. 1074/1999, relativi alle indagini svolte dall’ Ufficio per la lotta antifrode e di recente sostituiti dal Regolamento (UE, EURATOM) n. 883/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio.

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finanziari dell'Unione europea, svolgendo indagini (amministrative) sulle frodi, sui fenomeni di corruzione e ogni altra forma di attività illecita; individuare i fatti gravi connessi all'esercizio di attività professionali da parte dei membri e del personale delle istituzioni e degli organi dell'UE, che possono condurre a procedure disciplinari o penali, e svolgere indagini al riguardo; assistere le istituzioni dell'UE, in particolare la Commissione europea, nell'elaborazione e attuazione della legislazione e delle strategie antifrode19.

Per quanto la previsione dell’Ufficio potesse apportare, a livello astratto, un notevole contributo al contrasto delle attività lesive degli interessi finanziari dell’Unione, soprattutto sul piano investigativo, la notevole difficoltà con cui circolavano le informazioni tra gli Stati membri, impediva la diffusione transnazionale delle comunicazioni e delle risultanze investigative, rendendo così inefficaci, in concreto, gli accertamenti svolti dall’OLAF. Si riscontravano carenze anche per ciò che attiene al seguito giudiziario delle inchieste dell’Ufficio, posto che i procedimenti penali restavano di competenza delle giurisdizioni nazionali e pertanto dipendevano da norme molto diverse.

Proprio dalla constatata insufficienza degli strumenti adottati dall’Unione in questo settore, emerse l’idea di un sistema penale di protezione delle finanze europee così come delineato nel Corpus Juris.

19 Le informazione relative alla attività svolta dall’Ufficio oggi sono

disponibili sul sito

http://ec.europa.eu/anti_fraud/about-us/mission/index_it.htm.; Per una trattazione approfondita sulle caratteristiche e le funzioni dell’OLAF all’indomani della sua istituzione v. PIATTOLI B., Cooperazione giudiziaria e pubblico ministero europeo, Giuffrè, Milano, 2002., pp. 121 ss..

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1.2. Il contesto del progetto: lo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.

A ben vedere il Corpus Juris si inserisce a pieno titolo nell’articolato dibattito riguardante la necessità di realizzare uno “spazio giudiziario comune” a tutti i Paesi membri dell’Unione, come prospettiva nuova da sviluppare accanto a quella puramente economico-commerciale propria dei Trattati istitutivi. L’idea di uno spazio giudiziario europeo viene tradizionalmente fatta risalire ad una celebre frase pronunciata dal Presidente francese Giscard d’Esteing in occasione del Consiglio europeo di Bruxelles del 3 e 4 dicembre 1977: “la costruzione dell’Europa dovrebbe arricchirsi di un nuovo concetto, quello di spazio giudiziario”. Rispetto ad allora, si assiste, nel Corpus Juris, ad un vero e proprio cambiamento di prospettiva nel modo stesso di concepire lo spazio giudiziario europeo.

Già con l’Atto Unico Europeo20 si provvede, da una parte, alla istituzionalizzazione della cooperazione politica europea21, predisponendo a tal fine un quadro istituzionale di riferimento, dall’altra, ad una radicale modifica della prospettiva e delle finalità stesse della cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri. Proprio sotto questo profilo si apprezza la portata innovativa dell’Atto Unico rispetto alla cooperazione nel campo della giustizia. Prima di allora essa si identificava con una

20 L'Atto unico europeo (AUE), firmato a Lussemburgo il 17 febbraio 1986 da

nove Stati membri e il 28 febbraio 1986 dalla Danimarca, dall'Italia e dalla Grecia, costituisce la prima modifica sostanziale del trattato che istituisce la Comunità economica europea (CEE). L'AUE è entrato in vigore il 1° luglio 1987 G.U.C.E. L 169 del 29.6.1987

21 Svoltasi fino a quel momento al di fuori della Comunità e attraverso

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cooperazione giudiziaria in senso stretto22, mentre, con la previsione all’art. 13 dell’Atto Unico della creazione di uno “spazio senza frontiere interne nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali”, tale cooperazione cessa di essere vista come fine a se stessa, risultando invece collegata ad una finalità comunitaria in senso proprio. Tale prospettiva viene confermata dal Trattato di Maastricht, che colloca la cooperazione giudiziaria nell’ambito del terzo “pilastro”23, elevandola a questione di interesse comune in seno all’Unione.

Con il Trattato di Amsterdam la cooperazione giudiziaria si presenta come imprescindibile componente del processo di attuazione del fondamentale obiettivo, fissato all’art. 2 del Trattato sull’Unione, della realizzazione di uno “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, la cui portata è stata definita dal Consiglio europeo di Tampere24: condizione, infatti, per il godimento effettivo delle libertà affermate dall’Unione è il conseguimento di un autentico spazio di giustizia, ove ciascun cittadino europeo abbia accesso ai tribunali ed alle autorità di qualsiasi Stato membro, l’attività criminale non possa sfruttare le differenze di sistemi e giurisdizioni penali e le sentenze siano

22 Costituita cioè essenzialmente da una serie di misure di collaborazione

operativa non collegate ad un miglior funzionamento del sistema comunitario ma dirette pressoché esclusivamente ad agevolare in via generale il conseguimento dei fini propri della giurisdizione civile o penale dei singoli Stati membri

23 Per quanto riguarda le caratteristiche del terzo pilastro v. supra nota n. 9. 24 Il 15 e 16 ottobre 1999, a Tampere, il Consiglio europeo ha tenuto una

riunione straordinaria sulla creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea le cui conclusioni sono disponibili sul sito http://www.europarl.europa.eu/summits/tam_it.htm.

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riconosciute ed eseguite in tutta l’Unione, garantendo ai consociati la sicurezza giuridica di base25.

In quell’occasione furono anche individuati alcuni strumenti che avrebbero dovuto contribuire alla realizzazione del suddetto spazio, tra i quali assume particolare rilevanza ai nostri fini l’European Union's Judicial Cooperation Unit (c.d. “Eurojust”), composta da pubblici ministeri, magistrati o funzionari di polizia di pari competenza, distaccati da ogni Stato membro in conformità del proprio sistema giuridico, con il compito di agevolare i rapporti tra i soggetti responsabili dell’azione penale e di prestare assistenza nelle indagini riguardanti i casi di criminalità organizzata e transnazionale. Sulla base di tali indicazioni il Consiglio ha istituito, con provvedimento del 200026, un’unità temporanea denominata Pro-Eurojust, in modo che potesse fornire, tra l’ altro, un contributo per il progetto del nuovo organismo europeo. Di lì a poco, e segnatamente con Decisione del Consiglio europeo del 200227, si è dato vita all’unità definitiva28. Nonostante le apparenze, tuttavia, la mancata previsione di poteri di intervento diretto e la soggezione dei delegati nazionali presso l’Unità al potere di sorveglianza del loro Stato di origine, ha reso Eurojust incapace di fornire un contributo concreto al superamento dei problemi

25 Così CONETTI G., Il quadro normativo di riferimento per la creazione di un

diritto penale e di un processo penale europei in Il difensore e il pubblico ministero europeo, a cura di Lanzi A., Ruggeri F., Camaldo L., Cedam, Padova, 2002, p

58.

26 Decisione del Consiglio del 14 dicembre 200, 2000/799/GAI G.U.C.E. L

324 del 13.12.2000.

27 Decisione del Consiglio europeo del 28 febbraio 2002 2002/187/GAI

G.U.C.E L63/1 del 6.3.2002, modificata poi dalla decisione del Consiglio europeo 2009/426/GAI G.U.C.E L 138/14 del 4.6.2009.

28 Per una sintesi sui compiti e le funzioni di Eurojust oggi v. CHIAVARIO

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della cooperazione giudiziaria penale29 che, così come configurata dai Trattati di Maastricht prima e Amsterdam poi, restava ancorata agli strumenti propri del metodo intergovernativo e finiva per delineare una struttura dell’Unione compartimentata dal punto di vista processualpenalistico. Ciò dava vita ad una situazione a dir poco assurda, che finiva per lasciare le “frontiere spalancate ai criminali e chiuse davanti a coloro che hanno il compito di combattere il crimine”30, con il rischio di trasformare i paesi dell’UE in paradisi per i criminali.

Da questo punto di vista i contenuti del Corpus Juris offrivano un’alternativa potenzialmente capace di superare, seppur con riferimento ad uno specifico settore, le criticità della cooperazione giudiziaria, nell’ottica della realizzazione dello “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.

1.3. La competenza

Dall’affermazione del principio di territorialità europea deriva, in primis, che la competenza ratione loci del Pubblico ministero europeo e dei giudici nazionali chiamati ad emettere mandati o a pronunciare sentenze in applicazione delle disposizioni del Corpus Juris, si estende all’intero territorio dell’Unione. In

29 In questo senso, DE ANGELIS F. afferma : “L’istituzione… dell’Unità di

cooperazione Eurojust rappresenta il fallimento della politica di cooperazione giudiziaria in materia penale, o almeno allontana la possibilità di realizzare una politica di cooperazione efficacie” così DE ANGELIS F., La creazione dello spazio giudiziario europeo: necessità dell’istituzione del procuratore europeo, in Il

difensore e il pubblico ministero europeo., a cura di Lanzi A., Ruggeri F., Camaldo L., Cedam, Padova, 2002, pp. 63 – 65.

30 Così ancora DE ANGELIS F., La creazione dello spazio giudiziario europeo:

necessità dell’istituzione del procuratore europeo, in Il difensore e il pubblico

ministero europeo., a cura di Lanzi A., Ruggeri F., Camaldo L., Cedam, Padova, 2002, p. 64.

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secondo luogo, il suddetto principio impone la definizione comune dei singoli reati perseguibili dal pubblico ministero europeo. Da questo angolo visuale, le fattispecie contenute nei primi otto articoli delineano un organo specializzato a cui è attribuita una competenza ratione materiae, circoscritta alle fattispecie lesive degli interessi finanziari dell’Unione.

Nella definizione dei singoli reati, gli autori del progetto de quo, si sono ampiamente ispirati ai contenuti della Convenzione PIF ed ai suoi protocolli31. Le fattispecie previste possono essere distinte a seconda che identifichino reati comuni o “commessi dai funzionari”. Al primo gruppo appartengono la frode agli interessi finanziari delle Comunità europee e i reati assimilati (art.1), la frode in materia di appalti (art.2), il riciclaggio e la ricettazione (art. 3) e l’associazione per delinquere, sempre nell’ottica della lesione degli interessi finanziari dell’Unione (art. 4). Nel secondo gruppo rientrano invece, le fattispecie di corruzione (art. 5), malversazione (art.6), abuso d’ufficio (art.7) e rivelazione di segreti d’ufficio (art.8).

1.4. Profili ordinamentali e organizzazione dell’ufficio.

Il Corpus Juris attribuisce al pubblico ministero europeo lo status di “autorità dell’Unione europea”32, e ne configura una struttura composta da un procuratore generale con sede a Bruxelles e da procuratori europei delegati, che hanno i loro uffici presso le capitali dei singoli Paesi membri o in qualsiasi altra città in cui ha sede il tribunale competente per il giudizio.

31 Per la trattazione approfondita delle differenze tra le previsioni della

Convenzione PIF e quelle contenute nel Corpus Juris v. PIATTOLI B.,

Cooperazione giudiziaria e pubblico ministero europeo, Giuffrè, Milano, 2002 pp.

194 ss..

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L’articolo 18 par. 2 dell’ articolato assicura alla Procura europea l’indipendenza sia nei riguardi delle autorità nazionali, sia nei confronti delle istituzioni comunitarie. Proprio per garantire tale indipendenza, il progetto originario, che nulla prevedeva in ordine ai criteri di nomina, è stato successivamente integrato attraverso la previsione di criteri specifici per la scelta dei membri del pubblico ministero europeo. In particolare, per evitare che a causa di pressioni interne fossero designati come rappresentanti soggetti scelti ad hoc per esercitare un’azione di freno, anziché di collaborazione attiva alle indagini, si è proposto, sull’esempio della disciplina di nomina dei giudici e degli avvocati generali della Corte di Giustizia delle Comunità, che la scelta avvenga tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza e che riuniscano in sé le condizioni richieste per l’esercizio, nei rispettivi Paesi, delle più alte funzioni giurisdizionali, ovvero che siano giuristi di incontrovertibile capacità professionale.

Il PGE33 è designato per un periodo di sei anni, rinnovabile una sola volta. I PEDel rimangono in carica per lo stesso periodo, ma è previsto un rinnovamento parziale dopo i primi tre anni. Alla nomina procede, in entrambi i casi, il Parlamento europeo, su proposta della Commissione, per il capo dell’ufficio e su indicazione dei singoli Stati membri, per i delegati. La revoca ed i provvedimenti di carattere disciplinare sono di competenza della Corte di Giustizia, tuttavia al Parlamento europeo viene riconosciuto il potere di richiedere alla suddetta corte, la revoca

33 Nel prosieguo della trattazione verranno utilizzate le seguenti sigle: PME

per indicare il pubblico ministero europeo; PGE per il procuratore generale; PEDel per i pubblici ministeri europei delegati; PMN per gli organi inquirenti nazionali.

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dall’incarico dei membri dell’ufficio della Procura europea quando non siano più in grado di soddisfare le condizioni necessarie all’esercizio delle loro funzioni, o quando siano stati ritenuti colpevoli di gravi comportamenti tenuti in relazione allo svolgimento delle loro funzioni.

Come precedentemente illustrato, l’ufficio presenta un’organizzazione decentrata: il procuratore generale si avvale nei singoli Paesi di organi delegati. A questo proposito, meritano di essere messi in luce i rapporti, da un lato, tra il PGE ed i PEDel, dall’altro, tra questi ultimi e i PMN.

Sotto il primo profilo, si stabilisce che i delegati sono obbligati a seguire gli ordini e le direttive del procuratore generale. Tale regola, che nelle intenzione dei compilatori dello studio dovrebbe garantire un’applicazione effettiva dei principi di indivisibilità e solidarietà di cui all’art. 18 par. 434 del Corpus, sembra prospettare il rischio che l’ufficio del Pubblico ministero europeo costituisca un’agenzia a struttura gerarchica, nell’ambito della quale i procuratori delegati, in quanto tenuti a seguire le indicazioni del procuratore generale e a rispondere di fronte a tale soggetto del proprio operato, non godano di un’autonomia piena nell’esercizio dei loro compiti.

Quanto ai rapporti che si vengono ad instaurare tra il delegato europeo e PMN, il Corpus Juris stabilisce che i membri dell’ufficio del pubblico ministero europeo, per tutta la durata

34 Recita infatti l’ art. 18 par. 4 : “Il P.M.E. è indivisibile e solidale.

a) l’indivisibilità implica che ogni atto compiuto da uno dei suoi membri è reputato compiuto dal P.M.E.; che tutti gli atti di competenza del P.M.E. (in particolare i poteri di indagine elencati all’art.20) possono essere compiuti da uno qualsiasi dei suoi membri; e che, con l’accordo del P.G.E. o, in caso di urgenza, sotto il suo controllo, ciascuno dei P.E.D. può esercitare le sue funzioni sul territorio di un qualsiasi Stato membro, in collaborazione con gli uffici del P.E.D. che hanno sede in questo Stato membro;

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del loro incarico, non possono svolgere altre occupazioni retribuite e non, ma soprattutto che le funzioni di procuratore europeo escludono la possibilità di svolgere contemporaneamente le omologhe funzioni a livello nazionale35. Sugli inquirenti nazionali grava, ai sensi dell’art.18 implementing provision, il dovere di cooperare con il delegato europeo nello svolgimento delle indagini ai fini dell’esercizio dell’azione penale36. Nel progetto del 1997 un aspetto problematico era costituito dalla possibile sovrapposizione tra l’attività del PEDel svolta in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza e il PMN di quello Stato, dal momento che al delegato è riconosciuto il potere di svolgere le indagini ed esercitare l’azione penale su tutto il territorio dell’Unione. Sotto questo aspetto, l’articolato originario prevedeva esclusivamente che nel momento in cui un delegato avesse dovuto svolgere le proprie funzioni sul territorio di un altro Stato membro, avrebbe dovuto agire con l’accordo del procuratore generale europeo ed in collaborazione con il delegato di quel Paese. Tale previsione, però, non risultava idonea a risolvere il problema degli eventuali contrasti tra i due diversi uffici del pubblico ministero per quanto concerne, in particolare, l’esercizio dell’azione penale. Per questo motivo, nella versione del 2000 si è stabilito che il pubblico ministero europeo prevale su quello nazionale e che non è consentita l’instaurazione di un procedimento a livello

35 Così dispone l’art. 18 implementig provision Corpus Juris.

36 Nello specifico il suddetto articolo stabilisce che “I P.M.N. collaborano con

il P.M.E. alle indagini ed al giudizio delle eurofrodi. Essi rispondono senza ritardo ad ogni domanda di assistenza e ad ogni ordinanza del giudice delle libertà concernente in particolare l’identificazione e la ricerca delle persone, la raccolta delle testimonianze e la tutela delle prove, la spedizione dei documenti, l’arresto e la detenzione delle persone, il trasferimento e la presentazione dell’imputato davanti alla giurisdizione competente”.

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nazionale a carico di soggetti che siano già stati giudicati a livello europeo per gli stessi fatti37. Tale previsione, che dà corpo al principio del ne bis in idem in prosecutions, è essenziale per evitare un duplicazione di attività investigativa e di incriminazione nei confronti della stessa persona per lo stesso fatto, all’interno dello spazio giudiziario europeo.

1.5. Aspetti processuali.

Dal combinato disposto dei paragrafi 1 e 2 dell’art. 18 Corpus Juris, emerge che al pubblico ministero europeo spetta lo svolgimento delle indagini, l’esercizio dell’azione penale e l’esecuzione delle sentenze concernenti i reati lesivi delle finanze comunitarie, su tutto il territorio dell’Unione.

In conformità con i sistemi di tipo accusatorio si assiste alla previsione di una netta separazione tra la fase delle indagini, condotte dal pubblico ministero europeo, e la fase del giudizio, affidata alla giurisdizione dei singoli Stati membri. Nello specifico la disciplina del Corpus dà vita a quella che è stata definita una “centralizzazione delle indagini”38, riguardanti le

fattispecie lesive degli interessi finanziari dell’Unione, in capo al Procuratore europeo. A questo riguardo, accanto all’ipotesi di apprensione d’ufficio della notizia di reato, l’art. 19 par.3 del progetto stabilisce un obbligo diffuso di informativa all’organo dell’Unione, prevedendo che il PME “deve essere informato di tutti i fatti che possono costituire uno dei reati sopra definiti (artt. 1-8), sia dalle autorità nazionali (polizia, pubblici ministeri,

37 Così dispone l’art. 18 implementig provision Corpus Juris.

38 Così CAMALDO L., Il pubblico ministero europeo: un quadro d’insieme tra

proposte de iure condendo e recenti sviluppi di diritto positivo, in Il difensore e il pubblico ministero europeo, a cura di Lanzi A., Ruggeri F., Camaldo L., Cedam,

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giudici istruttori, agenti delle amministrazioni nazionali quali il Fisco o la Dogana), sia dall’organo comunitario competente, cioè l’OLAF (Ufficio europeo di lotta antifrode). Esso può anche essere informato tramite denuncia di un qualsiasi cittadino o querela della Commissione”. La disposizione prosegue prevedendo che, qualora uno dei reati contemplati dal Corpus emerga nell’ambito di un’indagine condotta a livello nazionale, le autorità interne “hanno l’obbligo di adire la Procura europea, al più tardi al momento della formulazione dell’accusa, ai sensi dell’art. 29, par. 1, o dell’uso di misure coercitive, quali, in particolare, l’arresto, le perquisizioni e i sequestri o le intercettazioni telefoniche”. Una previsione di questo tipo conferma l’idea che ha ispirato il progetto de quo, secondo cui a interessi specificamente comunitari debba corrispondere, a livello europeo, un organo centrale che agisca nei confronti dei responsabili degli atti lesivi di questi interessi. Pertanto, se si considerasse facoltativo adire la Procura europea, tale principio verrebbe mortificato. Sotto questo aspetto, tuttavia, non si può non considerare che le autorità nazionali non dispongono di un quadro completo che consenta loro di accertare le connessioni a livello comunitario dei casi trattati.

Ricevuta o appresa la notizia di reato, la Procura europea conduce le indagini a carico e a discarico39, potendo raccogliere tutti gli elementi utili, con una competenza ratione loci estesa a tutto il territorio dell’Unione e nel rispetto dei diritti della difesa che sono accordati all’indagato e all’imputato dalla

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Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dal Patto internazionale dell’ONU sui diritti civili e politici40.

Come dispone l’art. 25 del progetto, le indagini hanno una durata di sei mesi con la possibilità riconosciuta al pubblico ministero europeo di richiedere una proroga di altri sei mesi, che deve essere disposta dal giudice delle libertà41, al termine di un’udienza in cui, nel contraddittorio delle parti, viene valutata la necessità di ulteriori indagini.

Quanto allo svolgimento in concreto dell’attività investigativa, le funzioni dell’organo di accusa europeo sono ripartite tra il procuratore generale, i delegati e, all’occorrenza, le autorità nazionali designate a tale scopo42. Nello specifico, competono in via esclusiva al PGE, la direzione delle indagini e la loro delega ad uno o più membri del pubblico ministero europeo distaccati dalla sede centrale43, il coordinamento delle investigazioni condotte sia dai delegati, sia dagli organi di polizia nazionali e dalle amministrazioni nazionali competenti e, all’occorrenza, dall’OLAF, nonché l’avocazione delle indagini quando emerga che esse riguardino, in tutto o in parte, reati previsti dal Corpus44. I poteri di indagine riconosciuti, in via non esclusiva45, ai PEDel comprendono sia le attività di raccolta degli elementi

40 Così dispone l’art 29 Corpus Juris rubricato “I diritti della persona

sottoposta alle indagini e dell’imputato”.

41 Sul ruolo di tale giudice v. infra par. 1.5.

42 Si tratta di una possibilità contemplata dall’art. 20 par. 4 del Corpus Juris :” I

poteri delegati ai P.E.D. possono essere oggetto di una subdelega parziale, limitata ratione materiae e ratione temporis, ad un’autorità nazionale (autorità competente ad esercitare l’azione penale, polizia o qualsiasi altra amministrazione competente come il Fisco o la Dogana) che dovrà rispettare l’insieme delle regole del Corpus Juris europeo”.

43 Così dispone l’art. 20 par. 3 Corpus Juris. 44 Così dispone l’art. 20 par. 2 Corpus Juris.

45 Posto che gli stessi poteri possono essere esercitati direttamente dal

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di prova46, sia la richiesta di applicazione di misure limitative della libertà personale dell’indagato. Con riferimento a quest’ultima categoria di atti, si prevede che la Procura europea debba inviare la richiesta al giudice delle libertà, al quale compete emettere il provvedimento.

Concluse le indagini, spetta al pubblico ministero europeo adottare le determinazioni inerenti l’azione penale. In conformità a quanto previsto nell’art. 21 implementig provision, se non sussistono sufficienti elementi a carico, il PME emette una “decisione di non luogo a procedere” sulla quale non interviene alcun controllo da parte di un organo giurisdizionale47. Spetta quindi alla Procura europea l’opera di primo filtro delle notizie di reato.

Per quanto concerne, invece, l’esercizio dell’azione penale, vale la pena sottolineare la peculiarità del sistema tratteggiato dal Corpus. In particolare all’art. 19 par. 4 si stabilisce expressis verbis il principio di obbligatorietà dell’azione penale, secondo cui il PME è tenuto ad esercitare l’azione penale “ogni qualvolta sembri configurarsi uno dei reati previsti” dal Corpus, a cui segue, subito dopo, la previsione di alcune alternative che conferiscono una certa flessibilità del sistema. Si è optato, dunque, a scapito dell’enunciazione di principio, per una obbligatorietà “temperata” che riflette il compromesso che si è voluto raggiungere tra le diverse tradizioni giuridiche dei Paesi membri. Infatti agli ordinamenti che, come quello italiano, si

46 In particolare, i sensi dell’art. 20 par.3 lett. a)-g), appartengono a questa

categoria di atti l’interrogatorio del la persona sottoposta alle indagini, la raccolta di documenti o dati informativi, l’accesso al luogo del reato, la richiesta al giudice di ordinare una perizia, le perquisizioni, i sequestri, le intercettazioni telefoniche, le audizioni di persone informate sui fatti.

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ispirano al principio di obbligatorietà, si affiancano quelli in cui vige il principio di discrezionalità dell’azione penale.

Il pubblico ministero europeo si trova, quindi, di fronte a tre percorsi alternativi alla prosecution espressamente contemplati dall’art. 19 par. 4 Corpus Juris. Alla Procura europea è anzitutto riconosciuta la possibilità di autorizzare l’autorità nazionale, che ne abbia fatto richiesta, a concludere il procedimento con una transazione48. La seconda via percorribile è quella dell’archiviazione “meritata”, di cui costituiscono presupposti indispensabili l’ammissione da parte dell’indagato della propria colpevolezza, la riparazione del danno e, se del caso, la restituzione dei fondi conseguiti irregolarmente. La terza strada che può intraprendere il PME si sostanzia nel deferire alle autorità nazionali le indagini relative a reati di lieve entità o che colpiscono principalmente gli interessi nazionali49.

Ove il pubblico ministero europeo ritenga di non dover ricorrere a queste forme di diversion e possieda elementi idonei a

48 L’art. 22 par. 2 lett. b) Corpus Juris disciplina in maniera dettagliata l’istituto

de quo. Anzitutto prevede dei requisiti di carattere negativo, escludendo che

si possa percorrere questa strada alternativa in caso di recidiva, porto d’armi, uso di documenti falsi oppure se l’ammontare della frode è superiore o pari a 50.000 euro. Quanto ai requisiti che invece devono sussistere, si stabilisce che il convenuto deve riconoscere liberamente la propria colpevolezza, le autorità devono disporre di indizi di colpevolezza sufficienti per giustificare il rinvio a giudizio, la decisione di transigere deve essere resa pubblicamente e l’accordo concluso deve rispettare il principio di proporzione. Vale la pena sottolineare in questa sede che l’accordo relativo alla transazione è sottoposto al controllo del giudice delle libertà, al quale spetta la verifica dell’osservanza delle condizioni imposte da suddetto articolo.

Infine occorre precisare che alla transazione è riconosciuta un’ampiezza maggiore dal punto di vista applicativo rispetto alle altre due ipotesi, potendo intervenire non solo al termine delle indagini ma anche nella fase propriamente processuale.

49 Diversamente dalle due ipotesi precedenti , questa non esclude un vero e

proprio giudizio, ma comporta una rinuncia all’esercizio dell’azione penale a livello europeo. Per una trattazione approfondita delle tre ipotesi di diversion v. PIATTOLI B., Cooperazione giudiziaria e pubblico ministero europeo, Giuffrè, Milano, 2002, pp. 260ss..

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sostenere l’accusa, esso è obbligato ad esercitare l’azione penale presso il giudice nazionale. Si realizza, quindi, con riferimento ai reati lesivi delle finanze dell’Unione, il binomio azione europea-giurisdizione nazionale, un aspetto, questo, che caratterizzerà tutte le future proposte concernenti l’accusatore europeo. La decisione di rinviare a giudizio è sottoposta al controllo del giudice delle libertà50, al quale spetta inoltre adire la giurisdizione nazionale51 indicata dal pubblico ministero europeo nel medesimo atto. Sotto questo profilo, vale la pena sottolineare la peculiarità del Corpus allorché attribuisce alla Procura europea il compito di indicare (“scegliere”) il giudice nazionale competente ratione loci per il giudizio52 e, a tale scopo, fornisce i criteri che, di volta in volta, in funzione dell’interesse ad “una buona amministrazione della giustizia”, il pubblico ministero dovrà adottare53. Ai sensi dell’art. 28 par.1 lett. d) la scelta in parola può essere impugnata dall’imputato di fronte alla Corte di Giustizia.

50 “Il pubblico ministero ove decida di esercitare l’azione penale deve infatti

supportare ciascuna accusa con elementi di prova sufficienti a dimostrare la sussistenza di seri motivi (sufficient evidence giving serious grounds) per ritenere che l’imputato abbia commesso il fatto che gli viene contestato”. Cosi CAMALDO L., Il pubblico ministero europeo: un quadro d’insieme tra proposte de

iure condendo e recenti sviluppi di diritto positivo, in Il difensore e il pubblico ministero europeo, a cura di Lanzi A., Ruggeri F., Camaldo L., Cedam, Padova,

2002, p 34.

51 Art. 21 par. 3 Corpus Juris.

52A questo proposito l’art. 26 implementig provision Corpus Juris precisa che

“La scelta dello Stato membro in cui si svolgerà il giudizio è effettuata dal P.M.E., previa consultazione dei P.E.D. o dei P.M.N. che hanno condotto le indagini”.

53 Cosi dispone l’art. 26 par. 2 del Corpus che individua tre criteri “principali”,

venendo in considerazione il giudice dello stato in cui si trova la maggior parte delle prove, quello dello Stato di residenza o di nazionalità dell’imputato (o degli imputati principali) o, infine, quello dello Stato in cui l’impatto economico del reato è maggiore. Non si può fare a meno di notare che l’articolo in questione non stabilisce una relazione gerarchica tra i suddetti criteri e prevede la possibilità di impiegarne altri dal momento che quelli elencati vengono definiti “principali”.

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Il processo instaurato davanti alla corte nazionale deve, secondo la previsione contenuta nell’art. 26 del progetto, rispettare le norme dettate dal Corpus Juris, le quali possono essere completate, se necessario, da quelle interne, secondo la regola dell’applicazione complementare del diritto nazionale, prevista dall’art. 35 del medesimo testo.

L’art 27 Corpus Juris garantisce poi al condannato il diritto di proporre appello, al fine di ottenere un riesame del caso, di fronte ad un giudice nazionale superiore, il quale è comunque tenuto ad applicare le norme del progetto. Accanto alla possibilità riconosciuta alla Procura europea di impugnare le sentenze di assoluzione, l’articolo in parola stabilisce che, quando il ricorso sia proposto dal solo condannato, vige il principio del divieto di reformatio in peius. Alla Corte di Giustizia è invece affidato il controllo di legittimità, dal momento che gli viene attribuita la competenza a pronunciarsi sull’interpretazione del Corpus, sia in via pregiudiziale, sia, in caso di controversia sulla sua applicazione, sui conflitti di competenza sia, come già detto, sulla scelta della giurisdizione54. In precedenza si è fatto riferimento al giudice delle libertà quale soggetto a cui sono attribuite principalmente due funzioni: autorizzare le misure che incidono sulle libertà fondamentali dell’individuo ed effettuare un controllo sulla scelta del procuratore europeo di esercitare l’azione penale. Il judge of freedoms, così come stabilito dall’art.25 bis Corpus Juris, è un giudice nazionale designato da ogni Stato membro. Nello specifico, esso deve essere nominato in modo che ne venga assicurata competenza, indipendenza e imparzialità, secondo il

54 V. art 28 Corpus Juris

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significato che la CEDU attribuisce a tali garanzie. La scelta deve essere tale da escludere qualunque cumulo tra la funzione di giudice delle libertà e quella di giudice del dibattimento55.

L’intervento del giudice in questione è necessario per ogni misura, disposta nella fase delle indagini, restrittiva o privativa dei diritti e libertà fondamentali, riconosciuti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, al fine di verificarne la legalità, la regolarità ed il rispetto dei principi di necessità e proporzionalità. Il controllo precede l’applicazione della misura restrittiva con la sola eccezione dei casi di particolare urgenza56, rispetto ai quali la verifica può avvenire a posteriori, ma, comunque, non oltre le ventiquattro ore successive all’adozione del provvedimento57. Le misure adottate dal giudice delle libertà sono appellabili dall’indagato e dal pubblico ministero, secondo le modalità previste dagli ordinamenti interni.

Quanto al controllo sull’esercizio dell’azione penale, il giudice delle libertà è tenuto a fissare un’udienza a cui partecipano il pubblico ministero europeo, l’imputato ed il suo difensore, al fine di verificare la regolarità della procedura e la sussistenza di sufficienti elementi di prova per ritenere che l’imputato abbia commesso uno dei reati contestati dall’accusa. La decisione che

55 Così dispone l’art 21 par. 1 implementig provision Corpus Juris.

56 Dovuti alla dispersione della prova, all’imminente commissione di un

reato o al pericolo di sottrazione dell’accusato alla giustizia.

57 Con riferimento alle misure restrittive della libertà personale, il pubblico

ministero, contestualmente alla richiesta di applicazione del provvedimento, deve informare il giudice delle accuse nei confronti della persona sottoposta alle indagini. Il giudice adotterà la misura quando vi siano plausibili ragioni di sospettare che l’indagato abbia commesso uno dei reati contemplati dal

Corpus e quando ricorra una delle esigenze cautelari: il pericolo di fuga, la

possibilità di reiterazione del reato o la necessità di tutelare la genuinità della prova (art. 25 quater Corpus Juris). Conformemente al nostro ordinamento la custodia cautelare in carcere deve essere disposta solo quando le altre misure siano insufficienti a soddisfare le esigenze cautelari nel caso concreto.

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interviene ad esito di tale udienza è impugnabile in conformità alle norme processuali nazionali. Nelle intenzioni dei redattori del progetto, la funzione di “filtro delle imputazioni azzardate” dovrebbe essere affidata solo temporaneamente al giudice delle liberta, in attesa della auspicata creazione in ogni Paese membro di una pre-trial chamber, specificamente deputata a tale giudizio. L’ultima parte del progetto, dal titolo “Disposizioni comuni”, si apre con l’art 29 rubricato “Right of the accused”. Nello specifico, il Corpus Juris opera, anzitutto, un rinvio alle previsioni contenute nella CEDU e nel Patto internazionale sui diritti civili e politici 58, preoccupandosi, poi, di stabilire che una persona deve essere considerata “accused” “a partire da qualsiasi atto che constati, denunci o riveli l’esistenza a suo carico di indizi di colpevolezza gravi e concordanti e, al più tardi, dal momento del primo interrogatorio da parte di un’autorità a conoscenza dell’esistenza di tali indizi”, individuando così il momento a partire dal quale vengono riconosciuti i suddetti diritti. Il quadro è completato dal successivo art 31 rubricato “L’onere della prova”, che, da una parte, impone il rispetto della presunzione di innocenza, dall’altra, riconosce il principio del nemo tenetur se detegere. Sotto il primo aspetto, occorre precisare che l’articolo in esame, nello stabilire che “ogni persona imputata […] è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente dimostrata con sentenza

58 Nella versione originaria del Corpus, l’articolo de quo si riferiva in maniera

specifica agli articoli 6 della CEDU e 10 del Patto internazionale sui diritti civili e politici. Tale formula è stata poi abbandonata perché ritenuta eccessivamente restrittiva, non consentendo di riconoscere all’accusato altre garanzie previste dai testi richiamati.

Occorre inoltre precisare che l’art. 29 intende assicurare la garanzie difensive minimali su tutto il territorio dell’Unione, non pregiudicando però il potere i singoli Stati membri di assestarsi su un livello di tutela più elevato.

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passata in giudicato”, adotta una formula che si discosta da quella contenuta nella CEDU59.

Uno dei profili più discussi del progetto in esame è rappresentato, poi, dal sistema probatorio europeo. Le disposizioni dell’articolato si preoccupano anzitutto di individuare una serie di prove ammissibili in ogni Stato membro, a prescindere dalle diversità di disciplina che si riscontrano nei singoli ordinamenti. Da questo punto di vista l’art.32 par. 1 del Corpus Juris prevede una disciplina uniforme dei mezzi di prova “tradizionali”, ossia la testimonianza (lett. a), l’interrogatorio (lett. b) e le dichiarazioni della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato (lett. c), ed infine la prova documentale (lettere d ed e).

Soffermandoci sulla prova testimoniale, la deposizione del testimone, oltre che direttamente in aula, può essere acquisita tramite collegamento audiovisivo. Alla base di tale disposizione vi è l’esigenza di far fronte al problema dell’assunzione delle dichiarazioni di soggetti che, dato il carattere transnazionale dei reati, molto spesso si trovano in uno Stato membro diverso da quello in cui si svolge il processo. L’impiego di tale strumento non pone particolari problemi dal punto di vista dei principi di oralità e immediatezza e rispetto all’istituto della cross examination, dal momento che a tutte le parti è consentito interagire in diretta.

Maggiori perplessità suscita la disposizione che consente di acquisire una testimonianza tramite il “verbale europeo di

59 Il cui art 6 par. 2 stabilisce che “ogni persona accusata di un reato è

presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”.

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audizione”60. Infatti, la dichiarazione del teste raccolta prima del dibattimento, seppur corredata da una serie di garanzie, quali la presenza del giudice e del difensore (il quale può proporre domande), nonché la videoregistrazione dell’audizione ed il congelamento della stessa nel verbale61, collide con il principio del contraddittorio “per la prova” che trova piena attuazione solo nella fase dibattimentale. Inoltre, con il ricorso all’istituto de quo risulta “irrimediabilmente sacrificato anche il principio dell’immediatezza in quanto l’organo giurisdizionale che valuta la prova non è lo stesso che ha precedentemente acquisito la testimonianza.

Analoghe considerazioni valgono per l’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato raccolto dalla Procura europea sotto forma di “verbale europeo di interrogatorio”62.

Sono altresì previste una serie di garanzie per le dichiarazioni rese dall’indagato o dall’imputato all’autorità (amministrativa, pubblico ministero o giudice), che il par. 1 lett. c) del suddetto articolo individua nella necessità che tale soggetto venga informato del proprio diritto al silenzio e all’assistenza di un difensore, oltre a prevedere, anche in questo caso, la videoregistrazione.

60 v. art. 32 par.1 lett. a) Corpus Juris

61 Tale procedura di assunzione della prova può essere assimilata, nella

sostanza, a quella del nostro incidente probatorio, ma più garantita dal fatto di essere comunque videoregistrata. In questo senso v. BARGIS M., Le

disposizioni processuali del Corpus Juris 2000, in Corpus Juris, pubblico ministero europeo e cooperazione internazionale, a cura di Bargis M., Nosengo S., Giuffrè,

Milano, 2003, p. 171.

62Anche in questo caso l’art. 32 par. 1 lett. b) Corpus Juris assicura una serie di

garanzie difensive al soggetto interrogato che si sostanziano nella videoregistrazione e nella presenza del giudice, del difensore di fiducia (il quale deve essere messo a conoscenza del fascicolo al più tardi quarantotto ore prima dell’interrogatorio) e se del caso dell’ interprete.

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Quanto alle prove documentali, si detta un regime che non prevede il rispetto di particolari garanzie ai fini dell’ammissibilità delle stesse.

Il paragrafo 2 del citato articolo, conformemente al principio ex art. 35 Corpus Juris, prosegue prevedendo “l’utilizzabilità di altri mezzi di prova considerati ammissibili dal diritto nazionale in vigore nello Stato da cui dipende il giudice del dibattimento”.

La prova, una volta raccolta, può circolare liberamente nello spazio giudiziario europeo a meno che non sia integrata una delle ipotesi previste dall’art. 33 del progetto, rubricato “L’esclusione delle prove ottenute illegittimamente”. In particolare, l’articolo de quo stabilisce, anzitutto, che “una prova deve essere esclusa se è stata ottenuta dagli organi comunitari o nazionali in violazione dei diritti fondamentali consacrati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo o in violazione delle regole europee sopra enunciate (artt. 31 e 32) o ancora in violazione del diritto nazionale applicabile, senza che una tale violazione sia giustificata dalle regole europee sopra citate”. Tuttavia è doveroso segnalare che il progetto del 2000 ha modificato tale norma, inserendo la previsione secondo cui la prova, ottenuta in violazione delle predette norme, sarà comunque utilizzabile, purché la sua ammissione non risulti lesiva dei principi del giusto processo63.

Infine, il secondo paragrafo dell’articolo in esame, dopo aver specificato che “il diritto nazionale applicabile al fine di sapere se la prova è stata ottenuta legalmente […] deve essere il diritto del paese in cui tale prova è stata ottenuta”, esclude la

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possibilità di opporre eccezioni di inutilizzabilità basate sul diritto dello Stato in cui la prova deve essere utilizzata, quando la stessa sia stata ottenuta conformemente alla disciplina dello Stato in cui è stata assunta64.

L’ultima disposizione della parte processuale del progetto è dedicata alla disciplina della pubblicità. Nello specifico l’art. 34 distingue la fase delle indagini, in cui vige il principio di segretezza65, da quella del giudizio, improntata alla pubblicità, salva la possibilità di impedire l’accesso alla sala d’udienza al pubblico e alla stampa nei casi individuati dall’art. 6 par. 1 CEDU.

1.6. Prime questioni problematiche

Dalla lettura delle disposizioni contenute nel progetto, emergono una serie di questioni che necessitano di essere messe a fuoco. Nel far ciò, occorre tenere a mente il fatto che il Corpus Juris rappresenta una soluzione, il più delle volte compromissoria, tra le diversità che caratterizzano gli ordinamenti degli Stati membri.

Anzitutto, non si può fare a meno di rilevare una certa contraddittorietà dell’articolato per ciò che concerne lo status di indipendenza riconosciuto al pubblico ministero europeo. Nonostante le modifiche intervenute con la seconda versione del progetto66, allo scopo di tutelare tale prerogativa, l’aver attribuito il potere di nomina al Parlamento europeo suscita non

64 v. art. 33 par. 2 Corpus Juris.

65 Lo stesso articolo prevede però la possibilità di rendere pubblica l’udienza

di fronte al tribunale delle libertà quando vi sia il consenso di tutte le parti processuali e ciò non arrechi pregiudizio alle indagini, agli interessi di terzi, all’ordine pubblico o al buon costume.

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