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Famiglia e ordine pubblico nel diritto internazionale privato

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Academic year: 2021

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INTRODUZIONE

Quella in cui viviamo è l’epoca della multiculturalità e dei flussi migratori da e verso l’Italia, e l’interprete del diritto si trova inevitabilmente ad affrontare casi e procedimenti che coinvolgono persone di diverse nazionalità e a confrontarsi con principi, valori e fonti, spesso molto diversi dai nostri.

Come è noto, inoltre, la società è in continua e perenne evoluzione e l’operatore del diritto deve svolgere una attività dinamica rendendosi veicolo di comunicazione tra la società e il diritto. È importante però, considerare che non tutto ciò che è nuovo è necessariamente migliore o utile alla società, e che non tutto ciò che proviene dal passato è necessariamente obsoleto. Ogni

ordinamento ha una propria sensibilità sociale e

conseguentemente giuridica, e le novità introdotte in un sistema giuridico non è detto che si prestino ad essere esportate in un sistema diverso dotato delle specificità sue proprie. Il progresso e il benessere sociale non derivano da un recepimento indiscriminato di ciò che viene introdotto nei Paesi da noi considerati maggiormente progrediti, né dal soddisfacimento di ogni richiesta e desiderio proveniente dalla società.

A fronte di un panorama giuridico così variegato e complesso, ho ritenuto opportuno fare oggetto del presente lavoro di tesi il modus operandi del limite di ordine pubblico internazionale nel delicato settore del diritto di famiglia. Esso costituisce un efficace strumento di tutela dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico sociale della comunità nazionale in un determinato momento storico, delle regole poste dalla Costituzione e dei principi universalmente accettati che si trovano sanciti in dichiarazioni o convenzioni internazionali.

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Tutto si evolve e si trasforma, ma, vi sono, dunque, nel nostro ordinamento dei principi e dei valori che sono considerati irrinunciabili e fondamentali e che sono tutelati nel caso concreto dal giudice ricorrendo alla clausola dell’ordine pubblico che tende a paralizzare il rinvio alla norma straniera, privilegiando la scelta normativa del foro o, comunque, compatibile con i principi del foro.

Tema scottante e di grande attualità analizzato in maniera trasversale nei diversi istituti del diritto di famiglia, con riferimento alla giurisprudenza più recente e ovviamente, senza nessuna pretesa di esaustività.

La presente disamina si propone di mettere in luce le principali problematiche e le criticità del tema in oggetto, ricorrendo a tal fine allo studio e alla comparazione dei manuali e articoli di riviste più aggiornati di autori italiani e stranieri, e indicando le principali pronunce giurisprudenziali anche con uno sguardo rivolto all’esterno e a ciò che accade negli ordinamenti diversi dal nostro. L’argomento sarà esaminato avendo riguardo sia al profilo del diritto sostanziale applicabile, sia a quello del riconoscimento delle sentenze straniere.

Nel primo capitolo sarà analizzato nei suoi punti essenziali il principio dell’ordine pubblico, indicando la sua funzione, distinguendolo da istituti similari, quali le norme di applicazione necessaria e individuando le sue caratteristiche fondamentali quali l’indeterminatezza e la relatività nel tempo e nello spazio, cause di non poche incertezze interpretative.

Nel secondo capitolo verrà trattato il limite dell’ordine pubblico in relazione all’istituto del matrimonio e le condizioni per contrarlo. Inoltre, verrà messo in risalto il problema dell’integrazione nel nostro tessuto sociale e normativo di consuetudini e istituti palesemente in conflitto con la nostra tradizione culturale, come la

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poligamia di provenienza islamica. Verrà poi affrontato il tema dei matrimoni omosessuali e delle unioni civili, oggi sotto i riflettori mediatici e politici, con il chiaro intento di farne emergere le problematicità giuridiche, ben lungi dall’esprimere un qualsivoglia giudizio.

Si proseguirà nel terzo capitolo, con l’analisi della fase patologica dell’unione e in particolare con le ipotesi più rilevanti di possibile incompatibilità con i nostri principi fondamentali, quali il divorzio diretto, il ripudio di origine islamica e gli accordi prematrimoniali diffusi in molti Paesi.

Nel quarto capitolo si affronterà il delicato tema della filiazione, introducendo il principio supremo di ordine pubblico dell’interesse del minore, stella polare per il giudice nella risoluzione dei casi, fungendo, in alcune occasioni, quasi da contro limite rispetto all’ordine pubblico. Saranno inoltre analizzati gli infuocati temi dei figli nati all’interno delle coppie dello stesso sesso e della maternità surrogata.

Nel quinto capitolo sarà esaminato l’istituto dell’adozione internazionale. In particolare, verrà discusso se il presupposto della differenza di età tra adottato e adottante costituisca o meno un principio di ordine pubblico, se sia possibile l’adozione da parte dei single, se sia contrario all’ordine pubblico un provvedimento di kafalah e verrà poi affrontata la spinosa questione dell’adozione da parte di coppie omosessuali.

Si concluderà il presente lavoro, esaminando, nell’ultimo capitolo, l’ordine pubblico nella sua valenza processuale, individuando quelle regole processuali che costituiscono espressione di principi fondamentali ed irrinunciabili per il nostro ordinamento, il cui mancato rispetto nel giudizio straniero comporta il non riconoscimento da parte del giudice italiano del provvedimento emesso.

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Capitolo 1

L’ORDINE PUBBLICO

1.1 Definizione.

La nozione di ordine pubblico non è una nozione unitaria, ma subisce modificazioni ed adattamenti in relazione al settore dell’ordinamento di riferimento.

La nozione che a noi interessa è quella che rileva nell’ambito del diritto internazionale privato che, com’è noto, è costituito dall’insieme delle norme dirette a risolvere i conflitti fra le disposizioni civilistiche dei diversi ordinamenti statali che potrebbero essere applicate ad un medesimo rapporto giuridico. Le norme di conflitto indicano i criteri per individuare la legge applicabile effettivamente, consentendo così di superare il potenziale concorso di regolamentazioni giuridiche diverse, foriero di inesorabili incertezze applicative.

Tali norme non sono poste dall’ordinamento internazionale, ma sono elaborate all’interno dei singoli Stati. Nel nostro ordinamento la disciplina di tale settore è contenuta nella l. 218/19951 che ha

operato una sistemazione della materia, in chiave di razionalità e di facilità di accesso per l’operatore giuridico.

L’ordine pubblico rileva nell’ambito del diritto sostanziale applicabile, infatti, il giudice italiano, nei casi in cui debba applicare la legge straniera vi provvede immediatamente, ad eccezione del caso in cui i suoi effetti siano contrari all’ordine pubblico ai sensi dell’art 16 della l. 218/95. Rileva altresì nell’ambito dell’efficacia delle sentenze straniere, che sono

1In passato le norme di d.i.p. erano sparse tra diverse compilazioni normative :

esse erano rintracciabili tra le disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile (cd. preleggi), tra le norme del codice civile medesimo e tra quelle del codice di rito civile.

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riconosciute in Italia senza necessità di una preventiva delibazione, purché siano presenti determinati presupposti, tra cui la non contrarietà degli effetti all’ordine pubblico (ex art. 64). La definizione più corrente e sintetica di ordine pubblico è quella che lo associa all’insieme dei principi fondamentali del nostro ordinamento.

Dal punto di vista lessicale, tale concetto è caratterizzato significativamente dalla proposizione “ordine” e dall’attributo “pubblico”, indicativi dei due momenti che lo contraddistinguono sul piano sostanziale.

Il primo si riferisce, infatti, ad un ordinamento, ad una architettura giuridica collocata secondo determinati schemi ed equilibri.

Il secondo è allusivo, invece, del substrato sociale che ne contrassegna l’impalcatura istituzionale, costituita non da un insieme di valori astratti, ma da una serie di manifestazioni pubbliche, ovvero concrete della comunità sociale che vive e si sviluppa in una data dimensione storica.

In definitiva, è ordine pubblico sia ciò che costituisce il pilastro dell’organizzazione giuridica, sia, nel contempo, ciò che è espressione dei valori e del sentire della compagine sociale che compone l’organizzazione stessa2.

Ci si deve quindi riferire all’ordine pubblico come all’insieme “delle

regole fondamentali poste dalla Costituzione e dalle leggi a base degli istituti giuridici in cui si articola l’ordinamento positivo nel suo perenne adeguarsi all’evoluzione della società, imposta soprattutto a presidio della sovranità dello Stato”3.

2LOTTI P.,“L’ordine pubblico internazionale. La globalizzazione del diritto privato

ed i limiti di operatività degli istituti giuridici di origine estera nell’ordinamento italiano”. Giuffrè Editore, Milano 2005, pp. 10-12.

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1.2 Funzione.

È affermazione comune che l’ordine pubblico internazionale limita il normale funzionamento delle norme di conflitto. A ben vedere in realtà, per quanto questa sia una affermazione diffusa tanto in dottrina che in giurisprudenza, è inesatta, perché l’ordine pubblico non limita affatto ma anzi presuppone il normale funzionamento delle norme di conflitto.

Quando infatti il giudice, invocando la disposizione di cui all’art 16 l. 218/95, dichiara che una determinata norma straniera non può essere applicata perché suscettibile di produrre effetti incompatibili con i principi fondamentali dell’ordinamento interno, ciò significa che quella norma straniera è già stata richiamata dalla norma di conflitto, altrimenti il giudice non avrebbe potuto valutarne gli effetti. E questo dimostra che la norma di conflitto ha svolto con diligenza la propria funzione e l’ha svolta normalmente, cioè senza incontrare ostacoli di alcun genere.4

Tale clausola presuppone dunque, il normale funzionamento delle norme di conflitto ed ha una prima caratterizzazione negativa, poiché impedisce al diritto straniero di operare nel caso concreto. Secondo una dottrina minoritaria (Badiali 1963, 276), a tale caratterizzazione se ne aggiungerebbe un’altra di natura positiva, fungendo l’ordine pubblico da criterio indicatore della normativa sostitutiva.

Tale indicazione è ora fornita dal 2° comma dell’art. 16, che stabilisce che, in caso di contrarietà all’ordine pubblico si applica la

4COACCIOLI A. “Manuale di diritto internazionale privato e processuale” Vol. I, Giuffrè Editore, Milano 2011, p. 148-149

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legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti; in mancanza si applica la legge italiana.5

In quanto limite al richiamo dell’applicazione della legge straniera (o come vedremo, limite al riconoscimento delle sentenze straniere) l’ordine pubblico dovrebbe costituire un istituto per sua natura assolutamente eccezionale (cd. eccezionalità dell’ordine pubblico).6 A questo proposito, di recente, molte convenzioni7 e

codificazioni nazionali di diritto internazionale privato richiedono che il contrasto con il principio dell’ordine pubblico sia manifesto, con l’intento di esortare l’autorità giudiziaria adita a limitarne l’intervento ai soli casi in cui l’incompatibilità della legge straniera richiamata (o della sentenza da riconoscere o eseguire nel foro) risulti particolarmente evidente. La circostanza che l’art. 16 non esiga espressamente che l’incompatibilità sia manifesta, non autorizza affatto a ritenere che nel nostro ordinamento il campo di applicazione di tale clausola sia più ampia. Considerato infatti, il carattere assolutamente eccezionale di tale limite è opportuno che di esso il giudice faccia l’uso più prudente8.

1.3 Caratteristiche: indeterminatezza e relatività nel tempo e

nello spazio.

L’ordine pubblico rappresenta una nozione generica ed elastica,

5 LOTTI P. “L’ordine pubblico internazionale: la globalizzazione del diritto privato

ed i limiti di operatività degli istituti giuridici di origine estera nell’ordinamento italiano”. Giuffrè Editore, Milano 2005, pp. 55-56

6 In merito alla funzione positiva o negativa dell’o. p. e sulle conseguenze del suo funzionamento v.: FERACI O. “L’ordine pubblico nel diritto dell’unione europea”. Giuffrè Editore, Milano 2012, pp. 60-72

7Ad esempio: art 11 della Convenzione dell’Aja sulla legge applicabile alle

obbligazioni alimentari del 2 ottobre 1973; l’art 34 n.1 del reg. 44/2001 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale.

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in ordine alla quale ogni sforzo di concretizzazione in via certa ed esaustiva risulta difficile, se non addirittura impossibile.9

Infatti, una sua caratteristica è proprio l’indeterminatezza10,

intesa, come impossibilità di una sua descrizione astratta ed aprioristica.

Tale concetto risulta sì individuabile sulla base di alcune caratteristiche essenziali dell’ordinamento, ma in ultima analisi è indefinibile, proprio per la concreta impossibilità di determinare tutte le ipotesi in cui l’introduzione di una norma straniera o di una sentenza straniera potrebbe risultare contraria ai principi morali, sociali, politici, economici dell’ordinamento del foro. In questo senso la giurisprudenza11 ha puntualizzato che l’ordine

pubblico è costituito più che da singole e specifiche norme, da principi fondamentali riconosciuti dal legislatore italiano come condizioni necessarie per l’esistenza stessa della società civile, compresi i principi desumibili dalla Costituzione.

Tale indeterminatezza si risolve nella necessità di formulare una sorta di norma in bianco di cui è certa solo l’intestazione, cioè “ordine pubblico”, mentre i contenuti sono assegnati in larga parte alla discrezionalità e al prudente apprezzamento del giudice. Questa caratteristica, inoltre, è pertinente anche rispetto ad un suo aspetto aggiuntivo che si potrebbe definire “dinamico”, in quanto relativo al suo sviluppo e al suo andamento nel tempo e nello spazio.

La valutazione del limite dell’ordine pubblico, deve essere fatta dal giudice sulla base delle norme in quel momento vigenti, perché le

9 FERACI O. op. cit., p. 9.

10“Esso è variabile com’ è variabile ogni fenomeno giuridico positivo. Sarebbe mera

astrazione giusnaturalistica pretendere che il concetto di ordine pubblico possa consolidarsi in una istituzione a contenuto stabile ed universale”. Così: QUADRI R., “Lezioni di diritto internazionale privato”, cit. p. 312.

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idee sociali e morali rilevanti sono quelle che si manifestano nell’attualità e non nella storia passata, perché altrimenti l’ordinamento sarebbe obsoleto e incapace di ammodernarsi. L’opportunità di un giudizio calibrato al momento della decisione concreta corrisponde alla c.d. relatività nel tempo dell’ordine pubblico.

Il contenuto dell’ordine pubblico è costituito perciò, dal complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un determinato momento, dalle regole poste dalla Costituzione e dai principi inderogabili, immanenti degli istituti giuridici di maggior rilievo nel nostro ordinamento, come essi vivono nel presente. 12 In altre parole,

alludendo al concetto di relatività nel tempo e nello spazio, si vuole intendere, “da un lato alla possibilità che nel tempo mutino i caratteri portanti dell’ordinamento del foro, dall’altro alla diversità di valori che impronta nei vari sistemi giuridici così che in taluni sono precluse soluzioni che risultano invece del tutto accettabili per altri”13.

L’esempio più eclatante di mutamento nel tempo dell’ordine pubblico proviene dal diritto di famiglia e, in particolare, riguarda il canone dell’indissolubilità del matrimonio.

Nel nostro ordinamento tale canone ha resistito fortemente alle varie spinte internazionalistiche, attraverso pronunce di Corti di merito e della Corte di legittimità che hanno negato il riconoscimento di sentenze straniere che ponevano in crisi tale principio.

12 LOTTI P., op. cit., pp.46-50.

13 MOSCONI F., “Diritto internazionale privato e processuale. Parte generale e

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Successivamente, quasi con rammarico, la Corte di Cassazione ha preso atto che il principio di indissolubilità del matrimonio è ormai un ideale tramontato14.

Un principio cardine dell’ordinamento è stato rovesciato dalla sensibilità sociale e giuridica in modo tale che è oggi la stessa inscindibilità del vincolo matrimoniale a venire considerata contraria all’ordine pubblico.15

1.4 Ordine pubblico interno ed internazionale: tra dottrina e

giurisprudenza.

L’ordine pubblico di cui all’art. 16 d.i.p. è quello che suole definirsi come ordine pubblico internazionale. Quest’ultimo aggettivo sta a significare che tale istituto è inerente al funzionamento delle norme di diritto internazionale privato. I lavori preparatori della riforma danno conto delle discussioni svoltesi tra i codificatori circa l’opportunità di aggiungere al concetto di ordine pubblico la qualificazione di internazionale. È prevalsa la soluzione negativa, apparendo scontato che quello considerato è il limite inerente al funzionamento delle norme di d.i.p.

L’ordine pubblico internazionale deve essere distinto dall’ordine pubblico interno, il quale è costituito da tutte quelle norme materiali del nostro ordinamento che, per il loro carattere cogente sono sottratte alla disponibilità degli interessati. Esso viene in considerazione solo quando la fattispecie sia meramente interna e

14Vedi Cass. 22.12.1978, n. 6152, in cui la Corte afferma che l’indissolubilità del

matrimonio non costituisce più un principio di per sé ostativo alla delibazione di sentenze estere di divorzio. Alcune di queste possono contrastare, per ragioni sostanziali o procedurali, non solo con i principi costituzionali, ma più specificamente con il motivo fondamentale (rimedio all’irreversibile disfacimento della famiglia) per il quale il nostro legislatore ha riconosciuto la dissolubilità del vincolo e con le fattispecie in cui lo stesso legislatore presume tale disfacimento.

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quindi soggetta alla legge italiana, e rappresenta un limite all’autonomia negoziale dei privati.

L’ordine pubblico internazionale invece è costituito dai principi fondamentali del nostro ordinamento che, nei vari campi della convivenza sociale, devono essere osservati in ogni caso affinché la coerenza e l’armonia dell’ordinamento non vengano turbate e, viene in considerazione soltanto quando per la disciplina di una fattispecie caratterizzata da elementi di estraneità, la norma di conflitto richiama il diritto straniero, e rappresenta un limite all’applicazione di quest’ultimo nel caso in cui i suoi effetti fossero incompatibili con quei principi.

Il campo di applicazione dell’ordine pubblico internazionale si presenta dunque molto più ristretto del campo di applicazione dell’ordine pubblico interno, perché i fondamentali principi morali, sociali, economici e politici che informano il nostro ordinamento soltanto in minima parte coincidono con i principi che, nel diritto interno, limitano l’autonomia negoziale dei privati. Di conseguenza non tutte le norme inderogabili della lex fori impediscono l’applicazione di norme straniere di contenuto diverso, ma soltanto quelle che fossero espressione di valori assolutamente irrinunciabili per l’ordinamento interno.

Questa coincidenza soltanto parziale è stata efficacemente rappresentata, da autorevole dottrina, ricorrendo all’immagine di due cerchi concentrici: quello più grande delimita l’area delle norme inderogabili sottratte alla disponibilità dei privati nelle fattispecie meramente interne e quindi soggette alla legge italiana, mentre quello più piccolo delimita l’area dei principi fondamentali ed irrinunciabili che ispirano il nostro ordinamento, e che quindi

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devono essere osservati anche quando la norma di conflitto richiamasse un diritto straniero.16

La giurisprudenza ha poi preferito utilizzare la distinzione tra ordine pubblico interno ed internazionale in un’accezione completamente diversa da quella tradizionale. Secondo tale nuovo orientamento, l’o.p. internazionale deve essere inteso come l’insieme dei “principi a carattere universale, comuni a molte nazioni di civiltà affine, intesi alla tutela di alcuni diritti fondamentali dell’uomo, spesso sanciti in dichiarazioni o convenzioni internazionali”17, mentre l’o.p. interno è costituito “dal

complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un certo momento storico”18.

Entrambi gli istituti hanno la funzione di limitare l’ingresso di valori giuridici stranieri nell’ordinamento interno, ma diversi sono i presupposti per il loro funzionamento. L’o.p. interno presuppone l’esistenza di uno stretto contatto tra la fattispecie e lo Stato del foro, in particolare la cittadinanza di una o entrambe le parti, mentre quello internazionale opererebbe quando la fattispecie appare solo debolmente collegata con il nostro ordinamento19. La

giurisprudenza ha cioè impiegato la dicotomia tra o. p. interno e o. p. internazionale per distinguere le componenti del contenuto dell’ordine pubblico a seconda della provenienza dei principi da strumenti internazionali oppure da esigenze costituzionali ed altre intrinseche all’ordinamento nazionale.

16COACCIOLI A. op. cit.,pp. 144-146

17 Si parla generalmente di “ordine pubblico veramente internazionale”, la cui

ambiguità è stata messa in luce da A. VIVIANI, Coordinamento fra valori

fondamentali internazionali e statali: la tutela dei diritti umani e la clausola di ordine pubblico, in Riv. dir. Int. Priv. Proc., 1999, p. 847 e spec. P. 870ss.

18Cass. sez. un.8.1.1981. n. 189, RDIPP, 1981, p. 787

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Tale orientamento è stato inaugurato con una decisione del 1981 (Cass. sez. un. 8.1.1981, n. 189), relativa ad una causa di separazione tra due coniugi austriaci. La Corte ha ritenuto che la circostanza che la legge austriaca non contempli l’istituto della separazione non ne determina il contrasto con l’o.p. internazionale (ed era pertanto applicabile) “non solo perché nessuna dichiarazione universale o convenzione internazionale riconosce la separazione personale dei coniugi come istituto essenziale ma soprattutto perché non incide sui fondamentali diritti dell’uomo, comunemente tutelati in molte nazioni di civiltà affine”20.

Sotto il profilo sostanziale si deve ammettere che l’o.p. opera con intensità diversa a seconda della rilevanza che ha il rapporto per la vita sociale dello Stato del foro. Per indicare tale criterio di giudizio nella dottrina tedesca si parla di Inlandsbeziehung cioè di collegamento che il rapporto presenta con l’ordinamento interno21. Il contenuto della norma straniera richiamata dalla

norma di conflitto non sarebbe di per sé sufficiente a determinare la non applicazione della lex causae straniera per contrasto con un principio fondamentale dell’ordinamento del foro, ma occorrerebbe che il rapporto presenti qualche connessione con l’ordinamento del foro, in modo che la lex fori abbia un interesse ad essere applicata nel caso concreto. Pertanto, anche di fronte a situazioni sostanzialmente identiche, utilizzando tale impostazione, l’esito finale può non risultare lo stesso, in ragione del diverso legame della fattispecie con l’ordinamento del foro.22

20 FERACI O. op. cit. p. 30

21BALLARINO T. “Diritto internazionale privato”. CEDAM, Padova, 1999 p. 307 22 Tale teoria è stata criticata perché condurrebbe a risultati iniqui e porrebbe il problema dell’identificazione del collegamento con il foro, sufficiente per giustificare il ricorso all’ordine pubblico: talvolta tale legame risulta direttamente dalla norma di conflitto, ma nella maggior parte dei casi esso resta rimesso all’apprezzamento del giudice. Cfr. FERACI O., op. cit., p 13.

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Concettualmente affine a tale teoria è la dottrina francese dell’ordre public de proximité secondo cui va escluso il ricorso all’ordine pubblico allorquando la fattispecie non sia collegata al foro da criteri significativi quali il domicilio o la cittadinanza. La particolarità di quest’ulteriore prospettiva del limite è che esso opera con riguardo al solo settore delle relazioni familiari23.

Inoltre la Corte di cassazione francese ha ammesso nel noto caso Rivière del 1953 che l’ordine pubblico può operare in modo diverso a seconda che si tratti di acquistare un diritto in Francia oppure di lasciare che un diritto acquisito senza frode all’estero possa produrre i suoi effetti in Francia; nel secondo caso si parla di

effet attenué24.

Tale applicazione differenziata scaturisce dalla natura stessa dell’o.p. inteso come insieme di principi fondamentali. Non si può negare che il medesimo principio venga offeso in certe situazioni, ma non in altre: lo stesso riferimento che ora l’art. 16 fa agli “effetti” della legge straniera, conferma tale impressione. L’effetto di un certo istituto non previsto dal nostro ordinamento ben può essere più o meno forte a seconda delle circostanze, e tra queste vi può essere anche la nazionalità delle persone coinvolte.

Altra conferma è data da una norma che può essere vista come una concretizzazione dell’o.p. internazionale: l’art. 46 della riforma esclude che possa applicarsi la lex successionis straniera, quando questa pregiudichi i diritti dei legittimari residenti in Italia al momento della morte del de cuius.

23 FERACI O. op. cit., pp. 13-14-15

24Cass civ. 17.4.1953, RDIPP, 1953, p. 412 ss. Nel caso Rivière si trattava di

riconoscere in Francia gli effetti di un divorzio consensuale pronunciato nell’Ecuador sebbene simile divorzio non potesse essere pronunciato secondo il diritto francese (che conosceva all’epoca solo il divorzio per colpa).

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La violazione dei diritti dei legittimari contrasta con l’o .p. italiano solo quando i soggetti siano residenti in Italia.25

La dottrina francese, ha invocato la necessità di un superamento dei legami di prossimità quando si tratta di tutelare diritti fondamentali della persona previsti dagli strumenti internazionali. Una tale soppressione delle esigenze di prossimità condurrebbe però ad un’applicazione sistematica dei diritti fondamentali.

Questa constatazione ha indotto alcuni autori a mantenere l’esigenza di prossimità, ma valutandola diversamente a seconda dell’origine e del contenuto del diritto fondamentale asseritamente violato. Ad esempio se ad essere violato è un diritto consacrato nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, si potrebbe utilizzare un’accezione europea del concetto di prossimità. La nazionalità o il domicilio nel territorio del foro non sarebbe più necessario, ma la residenza in uno Stato contraente sarebbe sufficiente, quando è in quello Stato che si mette in discussione un determinato diritto fondamentale.26

Tale indirizzo ermeneutico, che distingue in un’accezione peculiare il diritto interno ed internazionale, è stato fortemente criticato da una parte consistente della dottrina. In primo luogo si è osservato che tale distinzione induce ad una “confusione terminologica, in quanto si può correttamente parlare di ordine pubblico interno solo in relazione a norme di diritto privato non suscettibili di essere derogate da private stipulazioni, mentre l’espressione ordine pubblico internazionale allude a tutte le ipotesi di intervento del limite nella prospettiva dell’applicazione della norma di conflitto e del riconoscimento di sentenze straniere”27.

25BALLARINO T. “Diritto internazionale privato”. CEDAM, Padova, 1999, p. 308

26 Per un approfondimento del tema dei diritti fondamentali e dell’ordine pubblico:

HAMMJE P., “Droits fondamentaux et ordre public”, in Revue critique de droit International privè, 1997, p. 1 ss.

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La tesi giurisprudenziale, secondo parte della dottrina, non sarebbe altro che una mera “invenzione”, priva di agganci positivi con il sistema legislativo e foriera soltanto di incertezze applicative.28

Altra parte della dottrina ha criticato la graduabilità del limite dell’o.p. Sicuramente quando la fattispecie presenta un collegamento molto stretto (come accade quando si tratti di applicare direttamente una norma straniera richiamata) il limite dell’o.p. opera in un certo modo, se presenta invece un collegamento più debole (come in genere accade quando si tratti di riconoscere gli effetti che la stessa norma ha prodotto già all’estero) opera in modo diverso. Ma questo non vuol dire che l’o.p. opera in un caso con maggiore forza e in un altro con minore, perché tale limite o entra in funzione o non opera affatto. L’errore di prospettiva è quello di scorgere in queste situazioni una differente intensità di intervento da parte dell’o.p. anziché un differente grado di incompatibilità dei richiamati valori stranieri con i principi fondamentali dell’ordinamento del foro29.

Sicuramente, la giurisprudenza che distingueva in modo innovativo tra ordine pubblico interno e internazionale, ha il merito di aver avvertito che il campo applicativo dell’ordine pubblico rilevante dal punto di vista del d.i.p. non possa non ricomprendere, accanto ai principi espressi dalla lex fori, anche

28 LOTTI P., op. cit., pp. 64-67.

29COACCIOLI A., op. cit., p. 161. Si prenda come esempio il matrimonio poligamico.

È certo che nessun ufficiale di stato civile italiano celebrerà mai un matrimonio poligamico, anche se questo fosse consentito dalla legge nazionale dei nubendi. Non è escluso però che nel nostro ordinamento possano trovare ingresso degli effetti di un matrimonio poligamico celebrato all’estero, ad es. i diritti successori. In questo caso l’incompatibilità con i principi fondamentali del nostro ordinamento degli effetti indiretti di quel matrimonio è così tenue da poter essere tollerata, con la conseguenza che l’ordine pubblico non scende in campo (non perché la sua capacità di intervento sia affievolita, ma) perché la tollerabilità di quegli effetti indiretti non ne rende necessario l’intervento. Per un caso simile vedi Cass., 2.3.1999, n. 1739.

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quelli universalmente accettati che si trovano sanciti in dichiarazioni o convenzioni internazionali ai quali il nostro ordinamento si conforma di continuo in forza dell’art 10 della Costituzione. E tra questi principi grande rilievo assumono quelli posti a tutela dei fondamentali ed inviolabili diritti della persona umana, godendo di generale condivisione in seno alla comunità internazionale. Ma questa ricognizione non legittima l’asserita esistenza di un ordine pubblico di origine non statale, di contenuto più ristretto, destinato ad entrare in funzione nei soli casi in cui il rapporto da regolare fosse debolmente connesso con il nostro ordinamento. Perché delle due l’una: o questi principi fondamentali di origine extrastatuale devono considerarsi compenetrati in quelli espressi dalla lex fori, oppure tali principi non possono essere presi in considerazione se non per individuare una nozione di ordine pubblico totalmente estranea al nostro ordinamento positivo.30

1.5 Norme di applicazione necessaria.

Ignorate dalle abrogate disposizioni preliminari al codice civile del 1942, queste norme hanno cominciato ad attirare l’attenzione della dottrina e della giurisprudenza soltanto verso i primi degli anni Cinquanta del secolo scorso. 31 Se nella dottrina e

giurisprudenza più risalenti, le norme di applicazione necessaria venivano ricondotte alla nozione di ordine pubblico “positivo” (lois d’ordre public, norme di o. p.) solo più di recente sono state ricostruite come categoria dogmatica autonoma, diversamente denominate nei vari ordinamenti giuridici (lois de police, lois

d’application immédiate o imperative, in Francia, internationally

30 COACCIOLI A., op. cit., pp. 160-164. 31Ivi, p. 172.

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mandatory rules, nel Regno Unito)32. La loro esistenza si trova oggi

consacrata nell’art. 17 della L. 218/1995 che sotto la rubrica “Norme di applicazione necessaria” così dispone: “ è fatta salva la prevalenza sulle disposizioni che seguono delle norme italiane che, in considerazione del loro oggetto e del loro scopo, debbono essere applicate nonostante il richiamo alla legge straniera”.

Da un punto di vista terminologico, l’art. 17 ha ripreso la locuzione indicata dalla dottrina, ma dal punto di vista contenutistico non ha richiamato il criterio da essa prospettata per identificarle, ovvero il fatto che si tratta di norme che determinano da sé il proprio ambito di applicazione. La dottrina citava, come esempio classico di disposizione auto applicativa, la norma che stabilisce che essa si applichi ai residenti in Italia: risulta, così, chiaro che la norma stabilisce già a priori il proprio ambito territoriale di applicazione. In particolare, ne costituirebbe un significativo esempio la situazione regolata dall’art 116 c. c. Tale disposizione, al 3 comma dispone che lo straniero che ha il domicilio o residenza nella Repubblica deve fare la pubblicazione secondo le disposizioni di questo codice. Essa si applica indipendentemente dal richiamo della normativa straniera ad opera di una norma di conflitto. 33

Ma, come si evince dalla lettura della disposizione in esame, il suo contenuto non si esaurisce nelle sole norme “auto applicative”, ma è più ampio, comprendendo anche le “norme di applicazione necessaria propriamente dette”. Queste ultime sono quelle che l’art. 17 d. i. pr. riconosce come tali in base ai criteri identificativi rappresentati dal loro oggetto e dal loro scopo. Si tratta di norme materiali di carattere imperativo appartenenti alla lex fori, che sono concepite in modo tale da poter disciplinare indifferentemente sia fattispecie totalmente interne che fattispecie

32 FERACI O. op. cit, pp. 49-50 33 LOTTI P., op. cit., pp. 80-82

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che presentano elementi di estraneità, e che per il loro particolare contenuto e scopo pretendono di essere applicate anche quando la norma di conflitto richiama una norma straniera.34 Tali norme

quindi si sottraggono al tradizionale modo di operare delle norme di conflitto, senza però impedirne il funzionamento. Infatti sono piuttosto frequenti i casi in cui le norme sostanziali straniere trovano applicazione congiunta a quelle prevalenti di applicazione necessaria, se non incompatibili.

È stato messo in luce, dalla dottrina francese, uno stretto collegamento tra le “lois de police” e la “politiques legislatives”.35

Questo collegamento emergerebbe anche implicitamente dai termini utilizzati “police” e “politique” e rafforzato nella lingua inglese in cui policy vuol dire proprio politica.

Tali norme vengono individuate sulla base del loro scopo e del loro oggetto, e questo conferma il legame con la politica legislativa, perché lo Stato attraverso queste norme persegue un determinato disegno giuridico.

Al pari del principio di ordine pubblico anche le norme di applicazione necessaria si prefiggono di difendere la coerenza interna del sistema del foro. Che questo sia il loro scopo nessuno sembra dubitarne. Le opinioni divergono invece allorché si consideri la loro funzione, il loro modo concreto di operare.

Secondo la dottrina dominante, “le norme di applicazione necessaria intervengono come limite preventivo al funzionamento delle norme di conflitto, mentre il limite dell’ordine pubblico di cui all’art. 16 l. 218/1995 opera come limite successivo al funzionamento di dette norme di conflitto”.36

34 COACCIOLI A., op. cit., p. 172ss.

35 DE VAREILLES – SOMMIERES P., “Lois de police et politique legislatives”, in Revue critique de droit international privè,2011, I vol. spec 224-225-226 36 MOSCONI F., op. cit., p. 136.

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Secondo invece l’opinione minoritaria, le uniche norme di applicazione necessaria che effettivamente impediscono alle norme di conflitto di funzionare sono soltanto le norme autoapplicative. Per le “norme di applicazione necessaria propriamente dette” non ha senso parlare di limite preventivo. In primo luogo perché l’art. 17 nel dichiarare la loro prevalenza su quelle straniere “eventualmente” richiamate, implicitamente conferma che le norme in questione non paralizzano affatto il funzionamento delle norme di conflitto. In secondo luogo perché, come abbiamo già evidenziato, sono piuttosto frequenti i casi in cui il diritto straniero richiamato trova applicazione o congiuntamente (se non incompatibile), o ad integrazione delle norme di applicazione necessaria. Se l’identificazione delle norme auto applicative è abbastanza semplice37, in quanto sono esse stesse a

dichiarare espressamente di dover essere applicate alle fattispecie transnazionali per le quali sono state appositamente concepite, non lo è altrettanto per le “norme di applicazione necessaria propriamente dette”, poiché queste non dichiarano mai in modo esplicito di appartenere alla categoria in questione. Devono pertanto essere individuate ricorrendo a criteri interpretativi, oggi scolpiti nell’ art 17 , e cioè il criterio contenutistico e teleologico, da valutare congiuntamente sia per limitare l’applicazione di queste norme, sia per rispettare la lettera della norma che utilizza, per

37 Oltre a quelle di origine statale, rientrano in tale categoria anche le norme di

applicazione necessaria di origine comunitaria e di origine internazionale. Tra le prime vanno ricordate quelle emanate in attuazione di direttive comunitarie a contenuto imperativo, tra le seconde le norme interne di adattamento alle convenzioni internazionali di diritto materiale uniforme a contenuto imperativo e quelle che attuano risoluzioni di organizzazioni internazionali.

In tema di norme di applicazione necessaria di origine europea, vedi: L’ordine pubblico nel diritto dell’unione europea, FERACI O., op. cit., pp.130 ss.

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collegare i suddetti criteri, la particella congiuntiva “e” e non la particella disgiuntiva “o”38.

1.6 Riconoscimento delle sentenze straniere (cenni)

Il limite dell’ordine pubblico assume una particolare importanza nel settore del riconoscimento delle sentenze straniere. Infatti, l’art. 64 della l. 218/1995, ha previsto un riconoscimento automatico delle sentenze straniere solo al ricorrere di sette requisiti, tra cui la non contrarietà all’ordine pubblico dei suoi effetti.

Il limite dell’o. p. opera, dunque, sia con riferimento all’inserzione di norme straniere nell’ordinamento interno in virtù delle norme di conflitto (art. 16 l. 218/1995), sia nei confronti del riconoscimento e della attuazione delle sentenze e degli altri provvedimenti giudiziali stranieri. In tale ultimo settore, secondo parte della dottrina, si intende soggetto al limite dell’o. p. il solo contenuto della decisione, in quanto la legge fissa direttamente e tassativamente i requisiti considerati indispensabili per la giustizia intrinseca della decisione (ad esempio richiedendo il rispetto dei diritti essenziali della difesa)

Secondo un altro indirizzo, il potere di controllo del giudice andrebbe esteso anche alle fasi procedimentali dell’iter giudiziario della pronuncia, della quale si tratta di garantire la produzione di effetti nel foro; andrebbe cioè considerato componente essenziale dell’ordine pubblico il c.d. ordine pubblico processuale39.

Di conseguenza nel caso in cui siano stati violati i diritti procedurali considerati fondamentali nel foro, il provvedimento

38 COACCIOLI A., op. cit., pp. 176-181 39 LOTTI P., op. cit., pp. 98-99

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straniero non potrebbe essere riconosciuto, senza con ciò violare il principio della lex processus.

Si rimanda ai successivi capitoli per il concreto modus operandi dell’ordine pubblico come motivo ostativo al riconoscimento delle sentenze straniere, e all’ultimo capitolo in merito all’ordine pubblico processuale.

(23)

Capitolo 2

MATRIMONIO

2.1 Le norme di conflitto per la legge applicabile e l’ordine pubblico.

La legge applicabile al matrimonio che presenta elementi di estraneità è individuata dagli art. 26, 27, 28, 29, 30 della l. 218/1995, disciplinanti rispettivamente la promessa di matrimonio, le condizioni per contrarre matrimonio, la forma del matrimonio, i rapporti personali e patrimoniali tra coniugi.

Ai sensi dell’art. 27, la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio. Ciascun coniuge potrà far valere soltanto la mancanza dei requisiti richiesti dalla propria legge nazionale nel senso che, ad esempio, un cittadino italiano non potrà mai far valere una causa di incapacità matrimoniale prevista solamente dalla legge nazionale del coniuge e non anche da quella italiana. Tale regola trova tuttavia numerosi limiti e preclusioni, uno dei quali è già specificato nel secondo capoverso della stessa disposizione cioè quello che attiene allo stato libero acquistato per effetto di un giudicato italiano o riconosciuto in Italia.

Altre deroghe sono contenute nell’art 116, 2° comma c. c. il quale dispone che anche lo straniero che intende sposarsi in Italia è soggetto alle disposizioni contenute negli artt. 85 (interdizione per infermità di mente), 86 (libertà di stato), 87 (parentela, affinità, adozione, affiliazione) n.1-2-4, 88 (delitto), 89 c. c. (divieto

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temporaneo di nuove nozze) e al principio generale dell’ordine pubblico.40

Tali disposizioni richiamate dall’art. 116 c. c. che è norma di applicazione necessaria, assumono anch’esse, proprio in virtù di tale richiamo, questa qualifica. Dunque, dal combinato disposto degli artt. 116 c.c. e 27 l. 218/ 1995, affinché il matrimonio dello straniero celebrato in Italia sia valido, è necessario rispettare le condizioni poste dal comma 2 dell’art. 116 e dalla legge straniera di rinvio.

Ai sensi dell’art. 116, comma 1, c. c., lo straniero che voglia contrarre matrimonio in Italia deve presentare all’Ufficiale dello stato civile una dichiarazione rilasciata dall’autorità competente del proprio Paese, dalla quale risulti la capacità matrimoniale secondo le leggi del proprio Paese. La norma si applica sia nel caso in cui lo straniero intenda sposarsi con un cittadino italiano, sia nel caso in cui entrambi i nubendi siano stranieri.

Nel mondo occidentale, gli impedimenti matrimoniali sono generalmente analoghi e simili a quelli previsti nell’ordinamento italiano. Tuttavia, nel caso in cui un impedimento previsto dall’ordinamento straniero, tale da impedire il rilascio di nullaosta, sia contrario all’ordine pubblico, l’art. 116, comma 1, c. c. non è di ostacolo alla celebrazione del matrimonio, in ossequio al disposto dell’art. 16, l. 218/ 1995.

La contrarietà all’ordine pubblico può essere accertata anche dall’Ufficiale di stato civile. In caso di rifiuto dell’ Ufficiale a procedere alle formalità del matrimonio per assenza del nullaosta, è previsto il ricorso al Tribunale ex art. 98 c. c.

Con ordinanza 30 Gennaio 2003, n. 14, la Corte Costituzionale pronunciandosi in merito alla legittimità costituzionale dell’art.

40 ANCESCHI A., La famiglia nel diritto internazionale privato, Giappichelli Editore, Torino, 2006 p.84

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116 c. c. ha stabilito che esso va interpretato unitamente alle altre norme di diritto internazionale privato e che pertanto il mancato rilascio del nullaosta da parte dell’autorità straniera può essere sanato, in sede di ricorso ex art. 98, comma 2, c. c., qualora sia ritenuta contraria all’ordine pubblico la norma straniera dalla quale è derivato il rifiuto.41

Ad esempio, numerosi ordinamenti islamici prevedono l’impedimento per la donna musulmana di sposare una persona di fede diversa dalle religioni del “libro”(islamica, ebraica, cristiana), e tale impedimento è stato ritenuto discriminatorio (trib. Torino 24.2.1992, RDIPP, 1992, 987), dispensando quindi lo straniero dalla produzione del certificato richiesto dall’art 116, c. c.. Infatti il diniego di nulla osta fondato esclusivamente su ragioni religiose è contrario all’ordine pubblico italiano. Altri possibili impedimenti discriminatori sono quelli che non consentono di sposare cittadini stranieri, persone appartenenti a diversi ranghi sociali o a diverse etnie oppure quelli che non consentono il matrimonio in capo a soggetti che abbiano alcune malattie o siamo portatori di handicap qualora capaci di intendere e di volere. 42

L’art. 116, comma 2, c. c., non richiama l’art 84 c. c., che è invece richiamato dall’art 117 c. c. in tema di annullabilità del matrimonio. L’opinione prevalente in dottrina, ritiene tuttavia contrario all’ordine pubblico il matrimonio dello straniero minore di anni sedici. Alcuni ordinamenti stranieri di origine islamica, africana od orientale, consentono il matrimonio anche da parte di soggetti in tenera età, in forma combinata da parte dei genitori. Secondo questi ordinamenti il matrimonio è finalizzato alla procreazione e pertanto la capacità matrimoniale si acquista con la

41 BLASI M. – SARNARI G., I matrimoni e le convivenze “internazionali”, Giappichelli Editore, 2013 pp. 19,20,21

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pubertà. Molti di questi, tuttavia, consentono agli sposi di ratificare o di recedere dal matrimonio con il raggiungimento della maggiore età.

“Ammettere al matrimonio, in ipotesi anche impubere, applicando pedissequamente la sua legge nazionale, laddove all’italiano si fa divieto assoluto di contrarre matrimonio al di sotto dei sedici anni, potrebbe vulnerare tanto il principio di uguaglianza (con riferimento alla tutela dell’interesse dei minori), quanto il principio costituzionale di difesa dell’istituto familiare” (Trib. Min. Bologna

9.2.1990, RDIPP, 1991, 998).

L’art. 85 c. c., relativo all’interdizione per infermità di mente, trova piena applicazione, in virtù del richiamo operato dall’art. 116, comma 2, c. c. in questo caso preme solamente osservare che devono ritenersi contrarie all’ordine pubblico tutte quelle interdizioni legali dichiarate all’estero per motivazioni differenti dall’infermità di mente ed aventi perciò natura discriminatoria. Così come previsto nell’ordinamento canonico, molti ordinamenti che ravvisano nella procreazione la funzione matrimoniale prevalente, individuano tra gli impedimenti matrimoniali anche quello dell’impotentia generandi. Questo impedimento matrimoniale, così come quelli concernenti malattie fisiche o psichiche, deve ritenersi contrario all’ordine pubblico per violazione del principio di uguaglianza. 43

2.2 Libertà di stato, poligamia e ordine pubblico.

L’Italia si sta confrontando in maniera sempre più pressante con un problema che in altri Paesi europei è già stato avvertito da

43 ANCESCHI A., op. cit., pp.91-92. Sullo stesso tema, BLASI M. – SARNARI G., op.

cit., p. 21, e MOSCONI F. – CAMPIGLIO C., “Diritto internazionale privato e processuale”, UTET giuridica, Torino, 2011, pp. 89-99

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tempo: il problema dell’integrazione nel proprio sistema sociale e normativo di consuetudini ed istituti palesemente in conflitto con la tradizione giuridica locale. Il riferimento è anzitutto agli usi e alle norme islamiche, che i sempre più numerosi stranieri musulmani presenti nel nostro territorio vorrebbero anche rispettati nell’ordinamento italiano.44

Notevole preoccupazione sotto il profilo delle conseguenze giuridiche ha comportato il rapporto del diritto internazionale privato con gli ordinamenti che prevedono la poligamia.

Il requisito della libertà di stato di cui all’art. 86 c. c, richiamato dal 2° comma dell’art. 116 c. c., deve intendersi bilaterale nel senso che deve essere valutato in relazione ad entrambi i nubendi. Ciò non significa che sia da escludere aprioristicamente la validità di un matrimonio celebrato con un cittadino straniero soggetto ad un regime poligamico o che non possa riconoscersi la validità in Italia di un matrimonio tra stranieri, sottoposto a tale regime. L’applicazione del d. i. p. in relazione ai paesi che prevedono la poligamia non è tale da escludere a priori l’applicazione della legge straniera bensì da escluderla nel limite in cui contrasti sostanzialmente con l’ordine pubblico internazionale.

Questa soluzione sussiste però, solamente nei casi in cui venga realmente posto in essere un rapporto poligamico, quando cioè il cittadino italiano sposi una persona già coniugata e non quando, semplicemente, l’ordinamento straniero consenta la poligamia oppure quando il coniuge straniero si torni a sposare all’estero con altri soggetti (integrando così un rapporto poligamico) successivamente al primo matrimonio validamente celebrato con un cittadino italiano. In questo caso, il coniuge straniero integrerà

44CAMPIGLIO C., La famiglia islamica nel diritto internazionale privato italiano, in RDIPP,1999, 21.

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il reato di bigamia (art. 556 c. p.), e l’altro coniuge potrà ottenere il divorzio diretto ai sensi dell’art. 3, n. 2, lett. e), l. 898/1970.45

Il carattere poligamico del matrimonio musulmano pone problemi attinenti anche al riconoscimento dello stesso ai fini del ricongiungimento familiare.

Il riscontro giurisprudenziale di tale impostazione si rinviene in una decisione del 1994 del TAR Emilia Romagna che negò la possibilità di attribuire alla seconda moglie del coniuge straniero lo status di coniuge stante la contrarietà all’ordine pubblico del legame poligamico, con conseguente impossibilità di ottenere il ricongiungimento familiare. Successivamente la S. C. ha avuto modo di precisare che la preclusione opera nei casi di effettiva pluralità di vincoli coniugali in capo ad un unico soggetto, non invece per matrimoni di fatto monogamici ancorché disciplinati da leggi nazionali che astrattamente contemplano l’istituto della poligamia. Nella specifica pronuncia, la Suprema Corte aveva ritenuto che sotto il profilo dell’ordine pubblico, le caratteristiche della poligamia e del ripudio, proprie del matrimonio islamico, erano estranei al rapporto dedotto in giudizio ed aveva affermato il rilievo in sede ereditaria dello status di coniuge acquisito in virtù di un matrimonio celebrato in Somalia nel rispetto delle norme stabilite dalla lex loci ed in presenza dei requisiti di stato e capacità delle persone. Inoltre in virtù del principio del favor matrimoni, l’atto di matrimonio non perde validità se non sia stato impugnato per una delle ragioni indicate dagli artt. 117 c. c. ss. e non sia intervenuta una pronuncia di nullità o di annullamento (Cass. Sez. I. 2. 3. 1999, n. 1739). La tendenza della giurisprudenza è quindi passata da una netta chiusura ad una relativa apertura, tale da

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attribuire effetti limitati al matrimonio poligamico, in modo da non produrre effetti discriminatori nei confronti delle diverse mogli.46

Altri e rilevanti problemi di conformità all’ordine pubblico derivano dal matrimonio islamico. Quest’ultimo infatti è valido in presenza di quattro condizioni: capacità giuridica, consenso degli sposi, l’intervento del tutore (a convalida del consenso della donna maggiorenne), e la costituzione del donativo nuziale (maher).47

Proprio quest’ultima condizione è stata analizzata diffusamente sotto il profilo della contrarietà o meno all’ordine pubblico dalla giurisprudenza francese. L’occasione è stata data da una disputa giudiziaria, durata per ben quindici anni, tra due sposi, M. H. e M. R., sulla liquidazione dei propri interessi patrimoniali dopo il divorzio48. Il contrasto riguardava l’applicazione del regime

matrimoniale della comunione dei beni secondo la legge francese oppure la separazione dei beni secondo la legge musulmana, che è in realtà una separazione di fatto non contemplando il diritto musulmano i regimi matrimoniali.

Rilevanti, sotto il profilo in esame, sono le posizioni espresse dalla Corte di Appello di Lyon e dalla Corte di Cassazione di Parigi. Infatti, la prima ha affermato che il contratto di matrimonio si risolve in una clausola unica e determinante detta maher, che rappresenta il prezzo della vendita della propria persona che la donna fa attraverso il matrimonio, di modo che tale clausola è

46OBERTO G., “Matrimoni misti e unioni paramatrimoniali: ordine pubblico e

principi sovranazionali” in Famiglia e diritto 1/2010, pp 75-78

47CAMPIGLIO C.., “Il diritto di famiglia islamico nella prassi italiana”, in Riv. Dir. Int. Pr. Proc. 2008 p. 45

48 Si trattava nel caso specifico di due sposi di origine indiana e di religione musulmana, sposati nel 1969 a Karikal, insediamento francese dell’India e poi trasferitesi in Francia. Nel 1990 viene pronunciato il divorzio dal tribunale di grande istanza di Bourg-en-Bresse e la sentenza conclusiva della disputa giudiziaria viene disposta il 22 Novembre 2005 con la sent. n. 03-14.961 dalla corte di Cassazione, prima sezione civile.

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contraria all’ordine pubblico internazionale che non tollera la vendita degli esseri umani.

La Cassazione, censurando quanto affermato dalla Corte di Appello afferma che l’atto di maher è un accordo che stabilisce il consenso degli sposi al matrimonio come conseguenza del versamento di una dote senza contrarietà all’ordine pubblico francese.

La Cass. dà una definizione imprecisa di maher. Confonde infatti l’atto di matrimonio (che esprime il consenso degli sposi) e il

maher che è uno degli elementi di tale atto. Quest’ultimo

costituisce una somma di denaro o un bene mobile o immobile, purché determinato, che il marito si impegna a conferire alla donna tramite una promessa accettata dal rappresentante della sposa in presenza di due testimoni. Tale somma può essere esigibile al momento del matrimonio (moukaddam), oppure pagabile in caso di rottura del vincolo coniugale e destinata quindi al sostentamento della moglie (mouakhar).

La cassazione sbaglia, quando afferma che il maher è una conseguenza del pagamento di una dote, perché il maher è la dote! La Corte di Appello di Lyon, affermando la contrarietà all’ordine pubblico di tale clausola, non ha considerato l’evoluzione di tale concetto. Infatti il mouakhar, ha la stessa funzione originaria e cioè quella di sostenere economicamente la donna al momento della rottura del matrimonio, e non è una somma particolarmente cospicua, per cui non è contraria all’o. p.

Il moukaddam, inizialmente matrimonio per acquisto, perché rappresentava il prezzo della verginità della donna, è diventato un regalo dell’uomo alla donna per meglio incentivarla ad effettuare una scelta positiva per il matrimonio.

Quindi quello che la Corte di Appello affermava essere contrario all’ordine pubblico, è il significato originario del maher.

(31)

Altri profili di incompatibilità con l’o.p. possono sorgere nel caso di nullità del matrimonio in conseguenza della mancata stipula o del mancato pagamento del maher.

La stipula di tale clausola è imposta dal diritto musulmano come una condizione legale di validità del matrimonio.

Infatti alcune giurisdizioni belghe hanno annullato il matrimonio di due marocchini, celebrato in Belgio secondo la forma civile, per mancata stipula della clausola del maher prevista come condizione di validità dalla legge nazionale degli sposi.

La soluzione appare criticabile, sia perché comporterebbe la nullità di numerosi matrimoni, sia perché il matrimonio in questione è stato celebrato secondo il rito civile, e poiché la stipula di tale clausola è legata alla celebrazione di un matrimonio coranico, non è logico esigerla nel caso di matrimonio celebrato in forma civile.

Per cui, la nullità del matrimonio per mancata stipula o per mancato pagamento è contrario all’ordine pubblico francese, perché si viola la libertà matrimoniale.49

2.3 Le unioni civili e i Patti civili di solidarietà.

La recente evoluzione normativa degli ordinamenti di civil law e di common law in relazione ai rapporti di famiglia ha condotto al riconoscimento di nuovi modelli di convivenza. Si è avuta la formazione di nuovi istituti, soprattutto in materia di unioni personali, siano esse eterosessuali od omosessuali, a seguito del fatto che molti sistemi giuridici hanno previsto regole specifiche per unioni, diverse dal matrimonio, fondate sulla volontà delle parti, e generalmente definite come unioni civili. Differenti sono i

49MARIE-CLAUDE NAJM: “Maher musulman et conformité a l’ordre public

(32)

modelli rivolti alla disciplina di tali fattispecie, tra i quali si delineano innanzitutto le c. d. unioni di fatto, ovvero unioni informali, non fondate su atti o dichiarazioni rese e raccolte davanti ad un’autorità pubblica, né regolate da alcun tipo di accordo. Alcuni ordinamenti nazionali hanno, invece, posto alcune norme per regolare le convivenze nella forma delle unioni civili, in un quadro molto diversificato, entro il quale è possibile delineare differenti modelli riconducibili da un lato, al contratto di convivenza, istituto negoziale, suscettibile di registrazione presso le competenti autorità e, dall’altro lato al partenariato registrato, ovvero all’istituto che consente di formalizzare una relazione tra individui con effetti in parte analoghi al matrimonio.

Il modello più completo cui si riconducono le differenti tipologie dei contratti di convivenza può agevolmente individuarsi nel pacs (pacte civil de solidarité) francese, chiaramente definito dall’ art. 515-1 c. c. francese, introdotto dalla l. n. 944/1999, come “contratto stipulato tra due persone fisiche maggiorenni, di sesso diverso o dello stesso sesso per organizzare la loro vita in comune”. Si tratta di un accordo di convivenza aperto a tutte le coppie, registrato presso i tribunali e destinato a regolare la convivenza stabile e continua tra due persone.50

La Corte di Cassazione ha riconosciuto la legittimità di tali contratti di convivenza, che possono dunque, produrre effetti limitati e da valutare caso per caso, nell’ordinamento giuridico italiano, disponendo che: La convivenza more uxorio tra persone in stato

libero non costituisce causa di illiceitá e, quindi, di nullità di un contratto attributivo di diritti patrimoniali (nella specie, comodato) collegato a detta relazione, in quanto tale convivenza, ancorché‚ non disciplinata dalla legge, non contrasta né con norme imperative, non

50 TONOLO S., Le unioni civili nel diritto internazionale privato, Giuffrè Editore, Milano, 2007, pp.1-5

(33)

esistendo norme di tale natura che la vietino, né con l'ordine pubblico, che comprende i principi fondamentali informatori dell'ordinamento giuridico, né con il buon costume, inteso, a norma delle disposizioni del codice civile (vedi art. 1343, 1354), come il complesso dei principi etici costituenti la morale sociale di un determinato momento storico, bensì ha rilevanza nel vigente ordinamento per l'attribuzione di potestà genitoriale nell'ipotesi disciplinata dall'art. 317 bis, codice civile, come nella normativa della legge 27-7-1978, n. 392 in ordine alla successione nel contratto di locazione51.

Possibili profili di contrarietà all’ordine pubblico possono sorgere in relazione al contenuto di tali accordi. Infatti questi ultimi sono finalizzati al reciproco mantenimento finché dura la convivenza. Queste condizioni rischiano sempre l’illiceità per la possibile coartazione della libertà del soggetto di determinare di momento in momento le sue scelte. Così la contrarietà all’ordine pubblico risulterebbe particolarmente evidente non soltanto nell’impegno che vincolasse la libertà dei conviventi esplicitamente imponendo un obbligo di fedeltà, ma anche in un’espressa rinuncia al diritto di porre fine in qualsiasi momento al ménage. Ovviamente non è possibile fondare la contrarietà all’ordine pubblico su una potenziale illiceità, ma questa va verificata caso per caso in rapporto alle concrete situazioni giuridiche. 52

51 Cass. 8. 6. 1993, n. 6381

52 Testo della relazione presentata all’incontro di studio sul tema «I rapporti

familiari non fondati sul matrimonio», organizzato dal Consiglio Superiore della

Magistratura – Nona Commissione, Tirocinio e Formazione Professionale, svoltosi a Roma dal 26 al 28 gennaio 2004. Lo studio è disponibile dal 1°

gennaio 2004 al sito web seguente:

http://www.giacomooberto.com/contrattidiconvivenza2/contrattidiconvivenza2. htm.

(34)

È possibile inoltre teorizzare l’operatività dell’effetto attenuato dell’ordine pubblico, proposto soprattutto dalla dottrina francese, secondo il quale poiché la situazione giuridica determinata dalle unioni civili si è creata all’estero, l’ordine pubblico può applicarsi con minor rigore, e quindi non contrastare con il riconoscimento delle conseguenze di tali istituti, che si possono in tal senso configurare nell’ambito della teoria dei diritti quesiti.

Si tratta evidentemente di un effetto di limitata applicazione, soprattutto alla luce della sua possibile finalizzazione alla frode alla legge, determinata dal fenomeno della c. d. “ registration shopping”, circostanza che ha indotto parte della dottrina a teorizzare in questo caso l’operatività del c. d. ordine pubblico di prossimità, e ad affermare quindi che il funzionamento del limite non potrebbe subire attenuazioni con riguardo ai soggetti che presentano collegamenti esclusivi con l’ordinamento del foro, evitando così che essi effettuino una registrazione entro un ordinamento più favorevole alle loro esigenze, confidando poi nell’ordine pubblico attenuato per ottenerne il riconoscimento nello Stato di origine.53

L’istituto del partenariato registrato, invece, si configura autonomamente rispetto a qualsiasi fattispecie di natura negoziale e si contraddistingue per l’effetto di equiparare i partner ai soggetti che hanno contratto matrimonio.54

53 TONOLO S., Le unioni civili nel diritto internazionale privato, Giuffrè Editore,

Milano, 2007, pp.174-175

54 Al riguardo, si segnalano tuttavia alcune differenze suscettibili di delineare

due diverse tipologie di Partnerhip, variamente classificate come Domestic Partnerhip e Registered Partnerhip. Con la prima si realizza il riconoscimento di alcuni diritti tradizionalmente derivanti dal matrimonio a seguito di una convivenza rispetto alla quale i partner hanno l’onere della prova. La seconda tipologia configura, invece, un istituto giuridico, di norma previsto per le coppie omosessuali, che tende a riproporre lo scema del matrimonio. Cfr. TONOLO S.,

(35)

Interessante è l’art. 515-7-1 del code civil francese inserito con l. 526/2009, che ha introdotto una regola di diritto internazionale privato relativa al partenariato registrato. La sua introduzione si è resa necessaria per permettere la produzione di effetti in Francia ai partenariati registrati all’estero, per evitare che i partner

debbano rompere la loro unione per formalizzarla

successivamente attraverso un pacs.

L’art. 515-7-1 dispone che le condizioni della formazione degli effetti di un partenariato registrato così come le cause e gli effetti della sua dissoluzione sono sottoposti alle disposizioni materiali dello Stato che ha proceduto alla registrazione.

L’obiettivo è evidente: facilitare il riconoscimento dei partenariati conclusi all’estero.

È lo stesso articolo ad individuare la legge materiale applicabile escludendo qualsiasi meccanismo di coordinamento tra i sistemi, quali ad esempio il rinvio.

Ovviamente, il limite dell’ordine pubblico interverrà nel momento in cui la legge da applicare sia eccessivamente permissiva, prevedendo, per esempio, l’unione tra soggetti tra cui intercorrono legami familiari.

L’eccezione di ordine pubblico, per non vanificare l’obiettivo di tale articolo, opererà solo in modo eccezionale, nel caso di manifesta incompatibilità e nel caso in cui la fattispecie presenti un legame stretto con lo Stato francese, come la nazionalità francese di uno dei partner55.

E’ proprio il modello del pacs francese a cui si ispira il recente disegno di legge sulle modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti di convivenza. Esso

55HAMMJE P., Reflexions sur l’article 515-7-1 du Code civil, in Revue critique de droit international privè, 2009, pp. 483 ss.

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