• Non ci sono risultati.

I diritti della difesa, il principio del giusto processo e l’ordine pubblico europeo.

L’ORDINE PUBBLICO PROCESSUALE

6.3 I diritti della difesa, il principio del giusto processo e l’ordine pubblico europeo.

Il tema dell’ordine pubblico processuale mette in evidenza più che mai il contrasto tra l’esigenza di circolazione dei dati giuridici, che si realizza attraverso il c. d riconoscimento automatico e che si colloca all’interno del più ampio fenomeno della globalizzazione del diritto, e l’esigenza di verifica e di controllo affinché taluni valori e regole relativi al processo siano preservati in ogni caso, e quindi anche in presenza di pronunce straniere definitive. Infatti l’ordine pubblico processuale si pone come limite all’inserimento nel nostro ordinamento di pronunce che, ancorché non contrastanti con i principi fondamentali di segno materiale, e quindi non produttive di effetti contrari all’ordine pubblico, siano maturate nel corso di procedimenti irrispettosi dei valori comuni ed ai quali si ispira l’ordinamento del foro per quanto attiene ai diritti essenziali della difesa in qualunque fase del processo. In sostanza non è affatto irrilevante, per il nostro ordinamento, e per l’ordinamento comunitario, come si è formata la sentenza straniera di cui si invoca il riconoscimento: perché i principi del c.d. esaurimento dei mezzi di impugnazione secondo l’ordinamento del foro da un lato, e quello secondo il quale il processo è retto dalla legge del luogo ove esso è celebrato

dall’altro, cedono dinanzi ai valori fondamentali che caratterizzano nel foro i diritti della difesa. 192

In sostanza, a fronte dell’esigenza di instaurazione di uno spazio giudiziario europeo, si evidenzia la necessità che il riconoscimento possa aver luogo solo se il procedimento, in virtù del quale all’estero si è pervenuti alla decisione, si è svolto in conformità a regole minime ispirate alla tutela dei diritti della difesa. Si recupera, dunque, la tradizionale funzione del diritto internazionale privato, ossia essere strumento di garanzia della coesistenza fra ordinamenti e di collaborazione internazionale. 193

È a partire dalla Convenzione di Bruxelles del 1968 che inizia a delinearsi in Europa un’area comune all’interno della quale si ha una libera circolazione delle tutele giurisdizionali sulla base di criteri uniformi di esercizio della giurisdizione.194 La disciplina

pattizia di diritto internazionale summenzionata presenta un carattere “doppio” in quanto avente ad oggetto non solo il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni pronunciate dalle autorità giurisdizionali dei singoli Stati membri in materia civile e commerciale, ma altresì, l’esercizio della giurisdizione secondo criteri comuni a tutti i paesi membri dell’Unione. La Convenzione di Bruxelles del 1968 è stata di fatto “comunitarizzata” dal Regolamento Ce n. 44/2001, abrogato dal regolamento 1215/2012 che in sostanza adotta la stessa struttura del reg. 44/2001 con una significativa novità in tema di esecuzione della sentenza straniera. Tale regolamento abbraccia gran parte del settore civile e commerciale esclusi alcuni settori indicati dall’art. 1 dello stesso, in cui si chiarisce che la «materia civile e commerciale» non

192 Ivi, p. 48. 193 Ivi, p. 49.

194 S. CARBONE – I. QUEIROLO, “La competenza giurisdizionale e la circolazione

della decisioni in materia civile nell’ambito dello spazio giudiziario europeo”,

ricomprende “[quella] doganale ed amministrativa” ed, altresì, “a) lo stato e la capacità delle persone fisiche, il regime patrimoniale fra i coniugi, i testamenti e le successioni; b) i fallimenti, i concordati e le procedure affini; c) la sicurezza sociale; d) l’arbitrato”. Bisogna puntualizzare che molte delle materie escluse sono state oggetto di diversi atti normativi eurounitari. In particolare la materia matrimoniale e la responsabilità parentale è oggetto del Regolamento n. 1259/2010 (che ha “assorbito” l’originario Regolamento n. 2201/2003).195

Presupposto fondamentale per la libera circolazione delle decisioni nello spazio giudiziario eurounitario è rappresentato da una sufficiente armonizzazione della legislazione nei diversi Stati membri.

Pertanto, il principio dell’automatico riconoscimento non costituisce un “dogma assoluto”, ben potendo la sentenza nazionale essere sottoposta ad un controllo di validità vertente sul rispetto di alcune garanzie processuali considerate fondamentali per l’ordinamento eurounitario.196

L’eccezione di ordine pubblico internazionale è riprodotta in tutti i regolamenti citati con l’aggiunta dell’avverbio “manifestamente” che è volto ad evidenziarne l’assoluta eccezionalità, poiché l’ostacolo dell’ordine pubblico può essere richiamato solo in casi di gravità e serietà della lesione di principi fondamentali.197

L’ordine pubblico può cioè essere invocato per tutelare solo alcuni principi fondamentali per l’ordinamento giuridico del foro. Ciò perché all’art. 27, n. 1, Convenzione di Bruxelles è stato

195 Cfr. P. BIAVATI, “Il riconoscimento e il controllo delle decisioni europee in

materia familiare, in Studi di diritto processuale civile in onore di G. TARZIA”,

Milano, 2005, 283 ss. Cfr. FRANZINA P. “The law applicable to divorce and legal

separation under Regulation (EU) No 1259/2010 of 20 December 2010”, in

Cuadernos de Derecho Transnacional (Octubre 2011), Vol. 3, Nº 2, pp. 85-129. 196 TROCKER N. “La formazione del diritto processuale europeo” Giappichelli Editore, 2011, cit. p. 80.

riconosciuto un ruolo meramente residuale, nel senso che la disposizione è destinata ad essere utilizzata soltanto quando non siano invocabili le altre limitazioni enunciate nel medesimo articolo.198

A dispetto della necessità di interpretare restrittivamente, in nome della loro eccezionalità, i motivi di diniego di riconoscimento, la nozione di ordine pubblico, come già affermato, sembra oggi ricomprendere anche il c. d. ordine pubblico processuale. La questione è stata ampiamente discussa in relazione alla Convenzione di Bruxelles. È infatti diffusa l’idea che non si possa invocare il limite dell’ordine pubblico neppure di fronte ad una grave irregolarità del procedimento svoltosi all’estero, in quanto la tutela dei diritti di difesa sarebbe già apprestata dal n. 2, art. 27 della Convenzione di Bruxelles (e dalla lett. b) art. 34 reg. 44/2001 e art. 22 reg. 2201/2003) che elenca i motivi di rifiuto del riconoscimento e non sarebbe lecito tentare di colmare eventuali lacune di questa disposizione (o di estenderne la portata) ricorrendo appunto al limite dell’ordine pubblico. Certamente nelle ipotesi di decisione straniere emesse in contumacia, per i profili specificamente indicati dall’art. 27 n. 2 Conv. Bruxelles e art. 34 reg. 44/2001 e dalla lett. b) dell’art 22 reg. 2201/2003, non si può pensare di ricorrere all’ordine pubblico processuale. Sembra invece possibile invocarlo al fine di bloccare il riconoscimento delle sentenze che siano state emanate all’estero a seguito di un procedimento in cui non siano state rispettate alcune fondamentali garanzie relative allo svolgimento del processo stesso. 199

Fin dal momento dell’entrata in vigore della Convenzione, sono state espresse forti perplessità sulla necessità di una simile clausola, sia in relazione alle norme convenzionali che prevedono

198 FERACI O., op. cit., pp. 142-143.

199 MOSCONI F. & CAMPIGLIO C. “Diritto internazionale privato e processuale” UTET giuridica, vol. 1, 2011, pp. 304-305

il divieto di riesame nel merito per il giudice dello Stato richiesto, sia soprattutto alle peculiarità del sistema della Convenzione (e dei successivi regolamenti) strettamente collegata al c. d. ensemble

communitaire, che renderebbe alquanto inopportuno il richiamo

all’ordine pubblico come insieme di principi che ineriscono all’ordinamento dello Stato richiesto200. La tesi secondo cui il

richiamo all’ordine pubblico sia incongruo tenuto conto del processo di integrazione europea era stata sostenuta anche dalla Commissione in relazione alla revisione della Convenzione.

Invece, i recenti sviluppi della giurisprudenza comunitaria in materia di ordine pubblico indicano come questa clausola sia ancora necessaria anche nell’ambito della disciplina europea del reciproco riconoscimento delle decisioni, proprio in relazione alla tutela di valori fondamentali dell’ordinamento comunitario.201

L’interazione giuridica ed economica, infatti, non implica l’abolizione completa delle differenze nei diritti e nei principi fondamentali dei sistemi giuridici degli Stati membri. Se le differenze normative fra gli ordinamenti sono giustificate in linea generale, risulta evidentemente ancora più giustificato che ogni ordinamento abbia un nucleo di principi fondamentali autonomamente definito, e pertanto potenzialmente differente da quello degli altri Stati membri.

L’ambigua e infelice formulazione delle norme che individuano i motivi ostativi del riconoscimento, che fanno riferimento all’”ordine pubblico dello Stato richiesto”, lascerebbe intendere che ogni Stato contraente sia libero di determinare il contenuto della clausola e che la sua interpretazione rimanesse al di fuori della competenza della Corte di Giustizia.

200 PARISI N. “Spunti in tema di ordine pubblico e Convenzione giudiziaria di

Bruxelles”, in RDIPP 1991, p. 14.

201 BIAGIONI G. “L’art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e l’ordine

Tale prospettiva, anche se poteva essere suggerita dall’analisi letterale delle norme, è stata del tutto accantonata.202 Infatti, la

Corte di Giustizia ha affermato che “gli Stati contraenti restano il

linea di principio, liberi di determinare … conformemente alle loro concezioni nazionali, le esigenze del loro ordine pubblico”.203

Nondimeno, essa si reputa “tenuta a controllare i limiti entro i quali

il giudice di uno Stato contraente può ricorrere a tale nozione per non riconoscere una decisione emanata da un giudice di un altro Stato contraente”204, in quanto una nozione c. d. esclusivamente

interna della clausola ostativa in esame colliderebbe con una caratteristica generale dell’ordine pubblico internazionale tout court. Quest’ultimo, infatti, non si limita a tutelare principi di pertinenza esclusiva di un singolo Stato ma si spinge a salvaguardare anche valori che lo Stato condivide con altri Paesi, in particolare in ragione dell’appartenenza a entità regionali205. In

altre parole, da una nozione prettamente nazionalistica dell’ordine pubblico si passa ad una nozione europea che abbraccia i principi fondamentali comuni agli Stati membri.206

L’ordine pubblico europeo oltre ad una connotazione cd. sostanzialistica assume, altresì, un’accezione processuale, potendo rilevare, inoltre, in ordine alle regole sul “giusto processo” sancite dall’ art. 6 della Convenzione Europea dei diritto dell’uomo.207 In

altri termini «il ricorso alla clausola dell’ordine pubblico deve essere considerato possibile [anche] nei casi eccezionali in cui le

202 LOTTI P., op. cit., p. 327.

203 Sentenze 28 marzo 2000, in causa C-7/98, Krombach, cit., punto 22; 11 maggio 2000, in causa C- 38/98, Renault, cit., punto 27.

204 Sentenze 28 marzo 2000, in causa C-7/98, Krombach, cit., punto 23; 11 maggio 2000, in causa C- 38/98, Renault, cit., punto 28.

205 Così FERRACI O., “L’ordine pubblico nel diritto dell’Unione europea” Giuffrè Editore, 2012, cit., p. 145

206 In argomento PICHERAL C. - SUDRE F., “Le droit à l’assistance d’un défenseur”, in Rev. Trim dr. homme, 2001, 803, in cui si afferma che «l’ordre public

procédural européen existe»

garanzie previste dall’ordinamento dello Stato d’origine e dalla Convenzione [di Bruxelles del 1968] stessa non sono bastate a proteggere il convenuto da una violazione manifesta del suo diritto a difendersi dinanzi al giudice d’origine come sancito dalla Cedu»208

Se quindi lo scopo della Convenzione e dei regolamenti eurounitari è quello di facilitare la libera circolazione delle decisioni giudiziarie, questo obiettivo non può essere raggiunto a discapito del diritto della difesa e, più in generale, in spregio del principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU. Nel caso Krombach, la contrarietà della sentenza nazionale all’ordine pubblico europeo consisteva nel fatto che l’esecuzione di una tale sentenza avrebbe minato l’armonia e gli equilibri su cui si fondava l’ordinamento giuridico di esecuzione (la Germania), attraverso la violazione del diritto di difesa del convenuto, che si è visto privato, per non aver ottemperato all’ordine giudiziale di comparizione personale in udienza, sia della possibilità di usufruire di una difesa tecnica nel corso di un processo penale svoltosi in Francia, sia di quella di impugnare nello Stato di origine la sentenza di condanna pronunciata in sua absentia. Secondo la Corte, il diritto di difesa costituiva un postulato essenziale del diritto ad un equo processo, compreso tra i diritti fondamentali delle tradizioni costituzionali degli Stati europei e garantito dalla stessa Convenzione dei diritti dell’uomo ratificata da tutti gli Stati dell’Unione.209 Nel caso in

esame l’oggetto del controllo da parte sia del giudice dell’exequatur che della Corte di giustizia, investita della questione pregiudiziale, è stata la normativa processuale francese che, anche se correttamente applicata dal giudice nazionale, viene ritenuta lesiva del diritto ad un processo equo. La Corte dispone che, alla

208 Corte giust., 28 marzo 2000, Krombach, punto n. 44. Cfr. FERACI O., op. cit., pp. 149 ss.

luce della clausola dell’ordine pubblico, il giudice dello Stato richiesto può tener conto, nei confronti di un convenuto domiciliato sul territorio di quest’ultimo e perseguito per reato doloso, del fatto che il giudice dello Stato d’origine gli ha negato il diritto di farsi difendere senza comparire personalmente. 210

La sentenza Krombach rappresenta il segno di una tendenza più generale della Corte di giustizia in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni straniere: quella di mostrare come l’ordine pubblico, inteso tradizionalmente come strumento di tutela di valori strettamente nazionali propri di ciascun Stato, possa altresì fungere, nel contesto europeo, da veicolo di promozione del processo di edificazione di valori comuni, in relazione soprattutto, ai diritti fondamentali in tema di equo processo, tema quest’ultimo che ha acquisito una notevole rilevanza nei sistemi giuridici contemporanei.211

Rilevante in merito all’elaborazione di un nucleo di principi processuali comuni atti a riempire di contenuto l’espressione “giusto processo” è la sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Pellegrini212. In essa è stata ravvisata la violazione da parte del

giudice italiano dell’art. 6 della CEDU per non aver ottemperato al dovere di assicurarsi, prima di concedere l’exequatur ad una sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio emessa dal Tribunale della Rota Romana, se nell’ambito della procedura straniera la ricorrente avesse beneficiato di un processo equo.213

210 In merito al caso Krombach, v. LOTTI P., op.cit., pp.327-330; BERTOLI P. “Corte di Giustizia, integrazione comunitaria, e diritto internazionale privato e

processuale” Guffrè Editore Milano, 2005, pp. 374 ss.; MOSCONI F. – CAMPIGLIO

C., op.cit.ult., p. 305. 211 FERACI O. op. cit. p. 155.

212 Corte europea dei diritti dell’uomo, 20 luglio 2001, Pellegrini c. Italia, (ricorso n. 30882/96), in Riv. dir. int. priv. proc., 2002, p. 232; In argomento BIAGIONI G.,

op. cit., p. 723 ss.

Se è ormai chiaro che il principio del due process of law di cui all’art. 6 CEDU è parte integrante dell’ordine pubblico procedurale è necessario indagare se oltre al diritto di difesa anche le altre garanzie processuali comprese in tale principio siano idonee ad integrare la nozione di ordine pubblico. La dottrina esclude dall’ambito di operatività della clausola in esame le garanzie processuali la cui violazione non determina conseguenze sulla bontà della decisione finale.214 Il riferimento è ai principi della

pubblicità delle udienze e della ragionevole durata del processo. In merito al primo la Corte di Cassazione ha negato che possa assurgere al ruolo di principio irrinunciabile, perché pur costituendo un cardine dell’ordinamento democratico, fondato sulla sovranità popolare sulla quale si basa l’amministrazione della giustizia in Italia (art. 101, comma 1., Cost.), non trova, peraltro, un’applicazione assoluta, potendo essere legittimamente limitato, oltre che nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico, della sicurezza nazionale, dei minori o della vita privata delle stesse parti del processo, anche nell’interesse stesso della giustizia. 215

Con riferimento al principio della ragionevole durata del processo è stato affermato dalla stessa Corte di Giustizia che, nonostante la sua rilevanza pratica, non possa essere ricompreso nella nozione di ordine pubblico processuale.216 L’irragionevole durata del

processo integra unicamente un fatto illecito da cui deriva il diritto ad una pretesa risarcitoria. La violazione della ragionevole durata del processo non può quindi, impedire il riconoscimento della sentenza straniera e ciò per evidenti motivi di buon senso; infatti,

214 E. D’ALESSANDRO, “Il riconoscimento delle sentenze straniere”, Torino, 2007, 138 ss.

215 C. Cass., Sez. U., 20 aprile 2004, n. 7585, tale decisione era riferita per la verità ad un caso interno, ma dalla stessa si può comunque ricavare l’estraneità del principio di tendenziale pubblicità del processo dal concetto di ordine pubblico processuale ai fini del riconoscimento delle sentenze straniere. Cfr. LOTTI P., op. cit., pp. 319-320.

le parti oltre a soffrire per la lungaggine processuale, sarebbero anche impedite dal far valere i diritti così faticosamente riconosciuti.217

Per completezza espositiva è necessario sottolineare che nel nostro ordinamento non è stato ritenuto vigente un principio di ordine pubblico che richieda, affinché possa considerarsi tutelato il diritto di difesa, che la sentenza straniera possa venire impugnata dinanzi ad un giudice di terzo grado senza che tale impugnazione possa essere sottoposta ad alcuna condizione.218 Il fatto che l’art.

111 Cost. enunci il principio della ricorribilità in Cassazione di tutte le sentenze è stato ritenuto irrilevante, poiché tale disposizione sancisce un assetto organizzativo della giurisdizione che attiene esclusivamente all’ordinamento interno e non impedisce il riconoscimento delle sentenze straniere che non offrono una tale opportunità.219

La giurisprudenza ritiene, dunque, riconoscibile una sentenza straniera anche nel caso in cui non siano stati realizzati tutti i gradi di giudizio, qualora l’ordinamento straniero ritenga la sentenza ordinariamente definitiva e pienamente efficace.220

6.4 Il regolamento sulle decisioni in materia matrimoniale e