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Matrimonio omosessuale nella giurisprudenza.

La società italiana negli ultimi anni si sta confrontando con un nuovo fenomeno: le coppie omosessuali. A fronte di varie richieste di riconoscimento di diritti e trascrizione di atti di matrimonio stipulati all’estero, il mondo giuridico italiano è impegnato in un’annosa diatriba che contrappone “tradizionalisti” ed “evoluzionisti” nell’interpretazione dell’istituto familiare. Infatti, tale matrimonio nel nostro ordinamento è sconosciuto e non disciplinato, a differenza di molti altri Paesi europei ed extra europei che hanno invece riconosciuto e dato tutela a tali unioni. Il matrimonio omosessuale è attualmente oggetto di abuso mediatico e costituisce un forte strumento politico, e questo preannuncia le serie difficoltà che il legislatore dovrà affrontare nell’individuare una soluzione soddisfacente.

Il problema dal punto di vista internazional-privatistico è la compatibilità con la clausola dell’ordine pubblico, e cioè con l’insieme delle norme e principi che costituiscono il pilastro del nostro ordinamento giuridico.

La domanda, di fondamentale importanza, a cui bisogna rispondere è la seguente: il requisito della diversità di sesso è espressione di un principio di ordine pubblico? Domanda tanto complessa quanto scomoda, e infatti spesso le Corti che si sono pronunciate in tema hanno evitato di fornire una risposta diretta. R. e S., coppia di persone omosessuali si amano. I loro ordinamenti nazionali, Italia e Francia, non riconoscono però la loro unione. In Italia, infatti, il matrimonio omosessuale, nonostante varie spinte provenienti dalla dottrina, è ancora un tabù, e in Francia nonostante la presenza del pacs, l’equiparazione con le coppie di coniugi è ancora molto lontana. R. e S. decidono quindi di sposarsi in California, a San Francisco, e chiedono poi al consolato italiano di trasmettere la documentazione all’ufficio di stato civile del luogo di residenza del coniuge italiano affinché si provvedesse alla trascrizione. Nei documenti S., che è maschio, veniva dichiarato essere “nata” in Francia, e da qui nasceva l’equivoco. Credendo che si trattasse di un matrimonio tra un uomo e una donna, l’ufficio competente di Quinto di Treviso ha proceduto senza indugio alla trascrizione.

Accortesi successivamente dell’errore, l’ufficio comunale ha avvertito i due interessati dell’intenzione di procedere all’annullamento della trascrizione per contrarietà all’ordine pubblico. R. domandava allora al Tribunale di interrompere la procedura di annullamento e di inviare gli atti alla C. Costituzionale per verificare la legittimità degli articoli del codice civile che riservano l’istituto del matrimonio a una coppia formata da uomo e donna. Il tribunale ha rigettato le richieste del

ricorrente. Il decreto del Tribunale di Treviso parte dalla constatazione che la trascrizione nei registri di stato civile riguarda i soli atti di matrimonio. Secondo i giudici, per il diritto italiano il matrimonio è limitato all’unione di un uomo e una donna ed è quindi escluso che possa essere riconosciuto un matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all’estero. In seconda battuta il collegio rileva che non si pone la questione della applicazione dell’eccezione di ordine pubblico, perché la valutazione della contrarietà all’ordine pubblico presuppone l’esistenza di un atto che sia compreso nella categoria degli atti trascrivibili nei registri italiani. Poiché il same sex marriage non si

conforma alla nozione di matrimonio riconosciuta

dall’ordinamento italiano anche a livello costituzionale, è pure inutile analizzare la questione sotto il profilo di compatibilità con l’ordine pubblico57.

Altra occasione di riflessione è data dal Tribunale di Venezia che in composizione collegiale, con ordinanza del 2009, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3, 29 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis del codice civile, «nella parte in cui, sistematicamente interpretati, non consentono che le persone di orientamento omosessuale possano contrarre matrimonio con persone dello stesso sesso».

Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunciare in un giudizio promosso dai signori G. M. ed S. G., entrambi di sesso maschile, in opposizione, ai sensi dell’art. 98 di detto codice, avverso l’atto del 3 luglio 2008, col quale l’ufficiale di stato civile

57 WINKLER M., Ancora sul rifiuto di trascrizione in Italia di same- sex marriage

straniero: l’ennesima occasione mancata, in Diritto di famiglia e delle persone,

del Comune di Venezia ha rifiutato di procedere alla pubblicazione di matrimonio dagli stessi richiesta.

Il funzionario, infatti, ha ritenuto illegittima la pubblicazione, perché in contrasto con la normativa vigente, costituzionale e ordinaria, in quanto l’istituto del matrimonio nell’ordinamento giuridico italiano «è inequivocabilmente incentrato sulla diversità di sesso dei coniugi», come dovrebbe desumersi dall’insieme delle disposizioni che disciplinano l’istituto medesimo, del quale tale diversità «costituisce presupposto indispensabile, requisito fondamentale, a tal punto che l’ipotesi contraria, relativa a persone dello stesso sesso, è giuridicamente inesistente e certamente estranea alla definizione del matrimonio, almeno secondo l’insieme delle normative tuttora vigenti», anche secondo l’orientamento della giurisprudenza. L’atto oggetto dell’opposizione cita anche un parere del Ministero dell’interno, in data 28 luglio 2004, nel quale si legge che «in merito alla possibilità di trascrivere un atto di matrimonio contratto all’estero tra persone dello stesso sesso, si precisa che in Italia tale atto non è trascrivibile in quanto nel nostro ordinamento non è previsto il matrimonio tra soggetti dello stesso sesso in quanto contrario all’ordine pubblico»; affermazione ribadita con circolare dello stesso Ministero in data 18 ottobre 2007.

Il Tribunale di Venezia rileva che, nell’ordinamento vigente, il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è né previsto né vietato espressamente. È certo, tuttavia, che sia il legislatore del 1942, sia quello riformatore del 1975 non si sono posti la questione del matrimonio omosessuale, all’epoca ancora non dibattuta, almeno in Italia.

Peraltro, «pur non esistendo una norma definitoria espressa, l’istituto del matrimonio, così come previsto nell’attuale ordinamento italiano, si riferisce indiscutibilmente solo al

matrimonio tra persone di sesso diverso. Se è vero che il codice civile non indica espressamente la differenza di sesso tra i requisiti per contrarre matrimonio, diverse sue norme, fra cui quelle menzionate nel ricorso e sospettate d’incostituzionalità, si riferiscono al marito e alla moglie come “attori” della celebrazione (artt. 107 e 108), protagonisti del rapporto coniugale (artt. 143 e ss.) e autori della generazione (artt. 231 e ss.)».

D’altra parte, prosegue il rimettente, «non si può ignorare il rapido trasformarsi della società e dei costumi avvenuto negli ultimi decenni, nel corso dei quali si è assistito al superamento del monopolio detenuto dal modello di famiglia tradizionale e al contestuale sorgere spontaneo di forme diverse, seppur minoritarie, di convivenza, che chiedono protezione, si ispirano al modello tradizionale e, come quello, mirano ad essere considerate e disciplinate. Nuovi bisogni, legati anche all’evoluzione della cultura e della civiltà, chiedono tutela, imponendo un’attenta meditazione sulla persistente compatibilità dell’interpretazione tradizionale con i principi costituzionali».

Secondo la corte Costituzionale, nella storica sent. 138/2010, la questione sollevata con riferimento ai parametri individuati negli artt. 3 e 29 Cost. non è fondata.

Secondo la Corte, occorre prendere le mosse, per ragioni di ordine logico, da quest’ultima disposizione. Essa stabilisce, nel primo comma, che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio», e nel secondo comma aggiunge che «Il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare».

La norma, che ha dato luogo ad un vivace confronto dottrinale tuttora aperto, pone il matrimonio a fondamento della famiglia legittima, definita “società naturale” (con tale espressione, come si

desume dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, si volle sottolineare che la famiglia contemplata dalla norma aveva dei diritti originari e preesistenti allo Stato, che questo doveva riconoscere).

Ciò posto, è vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei principi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi. Detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata.

Infatti, come risulta dai citati lavori preparatori, la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea, benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta. I costituenti, elaborando l’art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un’articolata disciplina nell’ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che, come sopra si è visto, stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso. In tal senso orienta anche il secondo comma della disposizione che, affermando il principio dell’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, ebbe riguardo proprio alla posizione della donna cui intendeva attribuire pari dignità e diritti nel rapporto coniugale.

Questo significato del precetto costituzionale non può essere superato in via ermeneutica perché si tratterebbe di

un’interpretazione creatrice. Non è casuale, del resto, che la Carta costituzionale, dopo aver trattato del matrimonio, abbia ritenuto necessario occuparsi della tutela dei figli (art. 30), assicurando parità di trattamento anche a quelli nati fuori dal matrimonio, sia pur compatibilmente con i membri della famiglia legittima. Tale elemento topologico mette in luce la (potenziale) finalità procreativa del matrimonio che vale a differenziarlo dall’unione omosessuale. Non c’è dunque neanche la violazione dell’art. 3 Cost., perché le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio. Situazioni differenti possono essere disciplinate in modo diverso.

La Corte inoltre, riconduce le unioni omosessuali nell’alveo della tutela delle formazioni sociali ex art. 2 Cost. ed è quindi compito del “solerte” legislatore italiano, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette58. Di conseguenza, se quella

del matrimonio è un’opzione per il legislatore, allora secondo alcuni autori, il riconoscimento del matrimonio omosessuale contratto all’estero non può essere contrario all’ordine pubblico, e ciò perché, se il legislatore può regolare la fattispecie come crede, ciò significa che il matrimonio omosessuale non è vietato in assoluto ma è solo non costituzionalmente imposto in Italia59.

Altra rilevante pronuncia è la sent. 4184/2012 della Corte di Cassazione. La vicenda si può così sinteticamente riassumere: due cittadini italiani, dopo aver contratto matrimonio nei Paesi Bassi si vedono opporre dall’ufficiale di stato civile del comune di residenza il rifiuto alla trascrizione dell’atto di matrimonio in

58 SPERTI. A., Omosessualità e diritti. I percorsi giurisprudenziali ed il dialogo

globale delle Corti Costituzionali, Pisa University Press, 2013 pp. 150-167

quanto contrario all’ordine pubblico. Le Corti di merito confermano l’intrascrivibilità del matrimonio.

La C. Cass. ripercorre quanto precedentemente disposto dalla C. Cost. nella sent. 138/2010 e conclude disponendo che: “se nel nostro ordinamento è compresa una norma - l’art. 12 della CEDU appunto, come interpretato dalla Corte Europea, che ha privato di rilevanza giuridica la diversità di sesso dei nubendi, ne segue che la giurisprudenza di questa Corte - secondo la quale la diversità di sesso dei nubendi è, unitamente alla manifestazione di volontà matrimoniale dagli stessi espressa in presenza dell’ufficiale dello stato civile celebrante, requisito minimo indispensabile per la stessa “esistenza” del matrimonio civile, come atto giuridicamente rilevante - non si dimostra più adeguata alla attuale realtà giuridica, essendo stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per cosi dire “naturalistico”, della stessa “esistenza”

del matrimonio. Per tutte le ragioni ora dette,

l’intrascrivibilità delle unioni omosessuali dipende - non più dalla loro “inesistenza”, e neppure dalla loro “invalidità”, ma - dalla loro inidoneità a produrre, quali atti di matrimonio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano.

Suscita molte incertezze la teoria dell’inidoneità, laddove limitandosi a constatare che la intrascrivibilità non dipende dalla sua contrarietà all’ordine pubblico, la pronuncia non approfondisce adeguatamente le conseguenze dell’accoglimento della nuova categoria dogmatica.

Se la prima parte della sentenza traeva dalla non sussumibilità dell’atto fra quelli tipici trascrivibili, la giustificazione del rigetto da parte dell’ufficiale di stato civile, nel momento in cui l’ordinamento lo riconosce come matrimonio, tutta questa costruzione di argomenti cade. Dando spazio ad un simile

matrimonio in Italia, la sentenza 4184 tende a porre sullo stesso piano il matrimonio gay con quello poligamico o quello contratto da persone di età inferiore a quella minima prevista dalla legge italiana, appartenendo tutti ora alla stessa categoria. Ma, mentre l’intrascrivibilità del matrimonio poligamico risulta dall’art 18 ord. st. civ., pur di evitare questa disposizione per il matrimonio gay, la strada individuata è un tertium genus: la teoria dell’inidoneità, intesa come teoria che sancisce l’improduttività di ogni effetto giuridico. La Corte con molta accortezza sposta l’attenzione dalla giustificazione del potere dell’ufficiale di stato civile (che poggiava sulle norme di ord. st. civ.) alla titolarità di un diritto alla trascrizione da parte della coppia. La tesi dell’inidoneità consente proprio di affermare che un diritto alla trascrizione di quell’atto non può nascere perché implicherebbe il riconoscimento della produzione di effetti giuridici.60

Osservando, invece, gli ordinamenti diversi dal nostro, è facile notare come la tendenza attuale sia orientata al riconoscimento dei matrimoni omosessuali.

Il 26 giugno 2015, nella causa Obergefell e altri c. Hodges, Director,

Ohio Department of Health e altri, la Corte suprema degli Stati Uniti

ha stabilito che le coppie dello stesso sesso possono esercitare in tutti gli Stati il diritto fondamentale di sposarsi e che non esiste una base legittima perché uno Stato rifiuti di riconoscere un legittimo matrimonio omosessuale, celebrato in un altro Stato, in

ragione del suo carattere omosessuale.

I ricorrenti avevano lamentato che i funzionari statali resistenti, negando loro il diritto di sposarsi o di ottenere il pieno riconoscimento dei matrimoni celebrati legittimamente in un altro

60 SHUSTER A., Il matrimonio e la famiglia omosessuale in due recenti sentenza.

Prime note in forma di soliloquio, in Forum Quaderni costituzionali', Paper n.

Stato, avevano violato il quattordicesimo emendamento. La Corte suprema ha ritenuto che le leggi censurate limitassero la libertà delle coppie omosessuali e riducessero la portata di fondamentali precetti di uguaglianza.

Inoltre, anche l’Irlanda tramite referendum popolare ha riconosciuto il matrimonio omosessuale. Gli elettori sono stati chiamati ad esprimersi sull’introduzione di una nuova clausola costituzionale: “Il matrimonio può essere contratto, in accordo con la legge, da due persone, senza distinzione di sesso”. L’esito della votazione ha registrato un’altissima percentuale di voti favorevoli. Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha avuto modo di pronunciarsi più volte su questo tema.

Nella causa Schalk e Kopf c. Austria, avendo preso atto dell’accordo europeo in rapido sviluppo, emerso nel decennio precedente, nonché del fatto che non vi era ancora una maggioranza di Stati che prevedeva il riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali (all’epoca diciannove stati), la Corte ha ritenuto che la materia in questione riguardasse diritti in evoluzione sui quali non vi era un accordo consolidato, rispetto ai quali gli Stati godevano di un margine di discrezionalità relativamente ai tempi dell’introduzione di modifiche legislative. La Corte ha pertanto concluso che, pur non essendo all’avanguardia, il legislatore austriaco, non poteva essere biasimato per non aver introdotto la legge sulle unioni registrate prima del 2010. In tale causa la Corte ha concluso anche che l’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 8 della cedu, non poneva in capo agli Stati contraenti l’obbligo di concedere alle coppie omosessuali l’accesso al matrimonio.

Se, nel caso in questione, al momento dell’emissione della sentenza, i ricorrenti avevano ottenuto la possibilità di contrarre

un’unione registrata, nella più recente causa Oliari e altri vs Italia, i ricorrenti non hanno ottenuto una analoga possibilità.

La Corte è stata chiamata pertanto determinare se l’Italia, alla data dell’analisi della Corte, ovvero nel 2015, non abbia ottemperato all’obbligo positivo di garantire il rispetto della vita privata e familiare dei ricorrenti, in particolare mediante la previsione di un quadro giuridico che consentisse loro di far riconoscere e tutelare la loro relazione ai sensi del diritto interno.

La Corte prende atto della situazione dei ricorrenti nel sistema interno italiano. Per quanto riguarda la trascrizione delle unioni omosessuali dei ricorrenti nel “registro comunale delle unioni civili”, la Corte osserva che laddove ciò è possibile (vale dire in meno del 2% dei comuni esistenti), tale atto ha un valore puramente simbolico ed è rilevante a fini statistici; non conferisce ai ricorrenti alcun stato civile ufficiale e non conferisce assolutamente diritti alle coppie omosessuali. Ciò non ha neanche valore probatorio (di un’unione stabile) nei tribunali interni. La Corte ritiene che in assenza di matrimonio, le coppie omosessuali, quali i ricorrenti, abbiano particolare interesse a ottenere la possibilità di contrarre una forma di unione civile o di unione registrata, dato che questo sarebbe il modo più appropriato per poter far riconoscere giuridicamente la loro relazione e garantirebbe loro la relativa tutela.

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha pertanto condannato l’Italia, perché pur riconoscendo che la non previsione del matrimonio omosessuale resti una scelta legittima dei diversi Stati, ritiene non più ammissibile il vuoto normativo di qualsiasi riconoscimento e tutela presente in Italia. 61

61 CEDU, caso Oliari e altri c. Italia, 21 luglio 2015, consultabile on-line sul sito:

Il Parlamento italiano si è di conseguenza impegnato nella discussione di un disegno di legge sulle modifiche al codice civile in materia di disciplina delle unioni civili e dei patti di convivenza, che dopo mesi di dibattiti e confronti non è ancora stato approvato, e chissà se lo sarà mai o sarà necessaria un’altra condanna per l’Italia.

Capitolo 3