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La differenza di età tra adottante e adottato.

SEPARAZIONE E DIVORZIO

5.2 La differenza di età tra adottante e adottato.

Tra gli adottanti e l’adottato devono sussistere determinati limiti e differenze di età, questo perché il legislatore italiano vuole fornire, ai minori in stato di abbandono, delle valide figure genitoriali. Si discute in giurisprudenza e in dottrina se tale presupposto sia di ordine pubblico.

La Corte di Cass. nel 1993 ha stabilito che il provvedimento straniero di adozione , nel caso in cui tra il minore adottando e gli adottanti esista una differenza di età maggiore a quella massima di 40 anni prevista dalla legge italiana, non contrasta con l’ordine pubblico, e può quindi essere dichiarato efficace, quando il divario di età sia comunque in grado di riprodurre la differenza biologica naturale, ovvero ordinaria, tra genitori e figli.121

La Corte Costituzionale nel 1996 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 6, 2°comma, l. 184/1983 nella parte in cui non prevedeva che il giudice potesse disporre l’adozione valutando esclusivamente l’interesse del minore, quando l’età di uno dei due adottanti superasse in modo ragionevolmente contenuto il limite dei 40 anni (affermazioni ribadite anche nella successiva sentenza 283/1999). 122

Qui, non viene in considerazione l'interesse dei coniugi ad avere figli di derivazione adottiva. Né, il limite di età stabilito dalla disposizione denunciata per l'adozione di minori può essere valutato in relazione all'interesse ed alla posizione dell'adottante, giacché l'intero sistema dell'adozione di minori è eminentemente incentrato sulla valutazione e sulla protezione della personalità e dell'interesse del fanciullo, alla cui accoglienza è preordinato lo

121 Cfr. C. Cass. sent. 1 aprile 1993, n. 3907.

122 Cfr. C. Cost. Sent. 24 luglio 1996 n. 303, in Foro it.,1997, vol I, p.51; Giust. Civ.,

stesso apprezzamento dell'idoneità della famiglia adottiva, e quindi dei requisiti richiesti ai suoi componenti.

Nella prospettiva della Suprema Corte, l’ordine pubblico può entrare in gioco solo ove venga violato un principio di necessaria proporzionalità tra l’età dell’adottando e quella dell’adottante, che sia in grado di riprodurre la differenza biologica naturale ordinaria, tra genitori e figli (cd. principio dell’adoptio natura

imitatur), cui fa riferimento la Convenzione di Strasburgo, all’art. 8

n.3, firmata il 24 aprile 1967, ratificata e resa esecutiva con la l. 22 maggio 1974, n. 357.

È stato, tuttavia rilevato in dottrina, che la citata sentenza urta con il preminente interesse del minore, perché è nel suo interesse avere dei genitori giovani e pieni di energie fisiche e psichiche necessarie per svolgere adeguatamente il ruolo genitoriale.

Essendo nella sostanza abolito il limite legale dei 40 anni, non v’è alcuna norma che fissi un limite preciso.

Né può trarre in inganno il maldestro tentativo della stessa Consulta di limitare la portata della pronuncia con l’affermazione che, pur potendo essere superato il limite dei 40 anni, tuttavia tale superamento non deve essere elevato o eccessivo, poiché tra adottanti e adottando deve sempre sussistere una differenza d’età biologica, onde l’età dell’adottante dovrebbe discostarsi “in modo ragionevolmente contenuto” dal massimo di 40 anni.

E’, infatti agevole replicare che, in assenza di qualsiasi parametro normativo, non soccorre alcun criterio oggettivo, certo ed affidabile, che possa indicare quando il superamento del limite sia ragionevolmente contenuto o non elevato o non eccessivo.

Se non vi è dubbio che il superamento del limite dei 40 anni di pochi giorni o mesi non è eccessivo, si è poi arrivati alla conclusione che anche il superamento di 4 o 5 anni non era eccessivo, tant’è vero che il limite è stato successivamente

innalzato a 45 anni, ritenendo le coppie di tale età “ancora giovani e pienamente idonee al compito di procurare al minore un focolare stabile e armonioso”.123

Ugualmente inidoneo a risolvere il problema è il criterio dell’imitatio naturae, in quanto il limite massimo è fissato, non perché superato quest’ultimo non si riesca più a procreare, ma perché il legislatore ritiene che oltre tale limite la funzione educativa affidata ai genitori diventa più difficile. Se seguissimo, invece, il criterio biologico, potrebbero adottare anche persone che abbiano superato i 60 anni di età, ai quali si addice maggiormente il ruolo di nonni.124

Secondo parte della dottrina, sembrerebbe, dunque, che le predette sentenze che rendono elastico il limite massimo di età finiscano col tutelare l’interesse degli adottanti e non dell’adottato, favorendo la richiesta anche da parte di persone “anziane” dei minori più piccoli.

Si deve inoltre ricordare che la Corte Costituzionale è parimenti intervenuta in relazione al limite minimo di età, stabilendo che il giudice possa disporre, nell’interesse del minore, l’adozione anche quando l’età di uno dei coniugi adottanti non superi di almeno diciotto anni l’età dell’adottando, pur rimanendo la differenza di età compresa in quella che di solito intercorre tra genitori e figli, se dalla mancata adozione deriva un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore.125

Attualmente l’art. 6 della l. 184/1983 al 3° comma fissa la differenza minima di età in diciotto anni e quella massima in quarantacinque, mentre al 5° comma prevede la deroga a tali limiti

123 Cfr. MANERA G. “L’adozione e l’affidamento familiare nella dottrina e nella

giurisprudenza” FRANCOANGELI, 2004, pp. 79-80.

124 Ibid.

qualora dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore.

Parte della dottrina sostiene che questi limiti di età costituiscono un principio di ordine pubblico e, dunque il loro superamento traducendosi nella mancanza del requisito stesso, contrasta con l’ordine pubblico e impedisce di per sé l’adozione.126

Contro la tesi “elastica” ed “umana” dei limiti d’età, è stato notato che essa va respinta perché inutile e pericolosa: inutile perché non risolve il problema, giacché un limite va comunque fissato; pericolosa, perché obliterando una delle poche certezze oggettivamente ricavabili dalla legge, sospinge il giudice verso applicazioni disomogenee in una materia resa incandescente dalle aspettative127. Infatti contrastanti e contraddittorie sono le

pronunce della giurisprudenza di merito e di legittimità che hanno ritenuto che rientri nel divario generazionale il superamento volta a volta di 5 mesi128, 21 mesi129, 24 mesi130, 30 mesi131, 3 anni132;

mentre altri giudici hanno ritenuto non conforme al divario generazionale il predetto limite di 21 mesi133 e di 26 mesi.134

I principi di certezza giuridica e di uguaglianza di trattamento richiederebbero la rigidità e la rigorosità di tali limiti, per evitare di trasformare il giudice in un legislatore.

Tutto questo è senz’altro vero, ma altrettanto condivisibile è, ad avviso di chi scrive, la tesi opposta che si basa su una lettura maggiormente elastica dei limiti di età. Non è certo la prima volta che nel mondo giuridico il giudice sia fornito di un ampio margine

126 MANERA G., op. cit, pag. 81. 127 Ivi, p. 82

128 Cfr. C. Cass. 20 marzo 1998, n. 2946, in Dir. Fam., 1998, p. 1416 129 Cfr. C. Cass. 2 febbraio 1998, n. 1025

130 Cfr. C. Cass. 24 marzo 1998, n. 3106 131 Cfr. C. Cass. 20 maggio 1997, n. 4479

132 Cfr.Trib. min. Perugia, 31 ottobre 1996, in Dir. Fam. 1997, p. 639 133 Cfr. Trib. min. Torino 28 gennaio 1997

decisionale. Soprattutto in una materia delicata come quella in esame, non dovrebbe recare scalpore, in quanto lasciare un certo margine di libertà al giudice non deve essere letto necessariamente in un’accezione negativa. Infatti egli è l’unico soggetto in grado di cogliere le particolarità del caso concreto (la legge è invece per definizione generale ed astratta), e di effettuare un bilanciamento tra il principio supremo dell’interesse del minore e il rispetto dei principi di uguaglianza e certezza.

È infatti possibile che sia lo stesso rispetto rigido e assoluto dei limiti di età a provocare effetti contrari all’ordine pubblico perché lesivi del principio supremo dell’interesse del minore, rischiando di provocare nel bambino danni gravi e irreversibili derivanti dal mancato inserimento dello stesso nella aspirante famiglia adottiva.