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Il divorzio diretto e le cause tassative di separazione

SEPARAZIONE E DIVORZIO

3.3 Il divorzio diretto e le cause tassative di separazione

Una particolare problematica riguarda l’applicazione in Italia di una normativa straniera che consenta il divorzio diretto senza previa separazione.

67 BALLARINO T., Diritto internazionale privato, Cedam 1999, pp. 444-447 68 MOSCONI F. e CAMPIGLIO C., Diritto internazionale privato e processuale, vol. II, UTET giuridica, 2011, pp. 151-152. Sullo stesso tema v.: BARATTA R,,

Scioglimento e invalidità del matrimonio nel diritto internazionale privato, pp. 98-

L’istituto della separazione non è previsto, ad esempio, in Svezia, Finlandia, Grecia, in molti Paesi dell’est europeo, dell’Africa e dell’Asia, essa non costituisce una condizione essenziale per richiedere il divorzio, il quale può essere disposto anche in seguito ad una separazione di fatto per un tempo determinato. A tal fine occorre distinguere la dottrina e la giurisprudenza maturate nell’orbita del regime di diritto internazionale privato previgente da ciò che deve ritenersi diritto attuale, successivamente alla riforma del 1995.

Analizzando la questione sulla scorta dell’ordinamento previgente, occorre rilevare che il nostro ordinamento riconosce la possibilità del verificarsi di uno scioglimento del matrimonio diretto, nei casi previsti dall’art. 3, n.1), l. 898/1970, in casi particolarmente gravi. In virtù di tale disposto, la norma straniera che preveda una ipotesi di cessazione diretta degli effetti civili del matrimonio per gravi ragioni oggettive, anche se diverse da quelle previste dal nostro ordinamento, non può, pertanto, dirsi contraria all’ordine pubblico.

Quando invece, l’ordinamento straniero prevede la cessazione degli effetti civili del matrimonio per semplice intollerabilità della convivenza possono prevedersi maggiori perplessità.

Una volta recepito nell’ordinamento interno la possibilità di cessazione degli effetti civili del matrimonio, si ritiene che non vi siano ragioni che permettano di ritenere l’essenzialità della separazione coniugale quale criterio ordinatore dei principi di ordine pubblico.

Di conseguenza, pare che non possa ritenersi contraria all’ordine pubblico quella norma che consenta il divorzio diretto senza

previa separazione coniugale, per ragioni eminentemente soggettive.69

La contrarietà all’ordine pubblico potrà eventualmente ravvisarsi solamente per quanto concerne gli effetti del matrimonio riguardo ai figli ed al coniuge più debole.

La necessità della previa separazione non è richiesta neppure quale presupposto per il riconoscimento dei provvedimenti stranieri di divorzio dalla Convenzione dell’Aja del 1970 e non rientra tra i diritti fondamentali dell’individuo. Di conseguenza, non pare che possano disconoscersi effetti giuridici al provvedimento straniero che abbia disposto un divorzio diretto, nel rispetto delle garanzie costituzionali di entrambi i coniugi. Ovviamente bisognerà poi valutare il rispetto dei principi del giusto processo (art. 111 Cost.) nella procedura che ha portato alla decisione straniera alla quale riconoscere effetti giuridici.

La soluzione alla quale è addivenuta la giurisprudenza di merito fino ad ora citata, precedente alla riforma del diritto internazionale privato, nonché quella dottrina che vi ha fatto affidamento, non pare così pacifica a seguito della riforma.

Infatti l’art. 31, 2°co., l.218/1995 prevede espressamente che qualora la legge straniera applicabile non disciplini la separazione od il divorzio, tali istituti sono regolati dalla legge italiana.

69 Di pari avviso, risulta essere la giurisprudenza di merito e di legittimità, le

quali hanno stabilito che: “poiché la legge israeliana non prevede la separazione

personale, questa non può essere pronunciata tra coniugi israeliani. La legge israeliana, la quale non prevede l’istituto della separazione personale non è contraria all’ordine pubblico, internazionale, poiché in quell’ordinamento è pur sempre previsto l’istituto del divorzio”, Trib. Milano 14.2.1994, RDIPP,1994,841; “non è contraria all’ordine pubblico internazionale ed è pertanto applicabile in Italia, una normativa straniera (nella specie austriaca) sui rapporti personali tra coniugi , che non contempla l’istituto della separazione coniugale, sempre che siano tutelati da detta normativa, i diritti fondamentali dell’individuo, pertanto la domanda di separazione proposta da uno dei coniugi stranieri davanti al Giudice italiano deve essere respinta”, Cass. Sez. U. 8.1.1981, n. 189, FI, 1981, 1052.

Tale disposizione costituisce una norma di applicazione necessaria e trova applicazione indipendentemente dalla contrarietà o meno all’ordine pubblico degli effetti derivanti dall’applicazione della legge straniera.

Il disposto dell’art. 31, l. 218/1995, interpretato letteralmente, poiché fa riferimento non solo al divorzio ma anche alla separazione, avrebbe l’effetto di attribuire rilevanza giuridica all’istituto della separazione, imponendola, laddove non sia prevista nell’ordinamento straniero.

Questa interpretazione, tuttavia, si oppone all’orientamento liberale già diffusosi in ambito europeo e nell’ordinamento italiano, e allora tale disposizione, secondo parte della dottrina, deve essere interpretata teleologicamente. L’art. 31, 2°co, ha la finalità di consentire la separazione o il divorzio in quei casi in cui l’ordinamento di rinvio preveda l’indissolubilità del matrimonio, associandosi, in tal senso, al disposto previsto dall’ultimo capoverso dell’art. 27, l. 218/1995. Pertanto, la stessa norma non può essere interpretata in modo tale da limitare gli effetti di un ordinamento straniero più liberale.

Quindi, nei casi in cui l’ordinamento straniero di rinvio consenta il divorzio diretto, senza previa separazione personale (giudiziale o consensuale), potrebbe allora superarsi l’ostacolo “letterale” dell’art. 31, 2°co., in quanto non essendoci limitazione concernenti l’indissolubilità del matrimonio, non ricorre alcuna ragione di applicare tale norma con riferimento all’istituto della separazione. Tale disposto non troverà applicazione neanche quando sia richiesto in Italia il riconoscimento di una pronuncia estera di divorzio diretto, sia perché la disciplina del riconoscimento e dell’esecuzione delle sentenze straniere è regolata dagli artt. 64, 65 e 66, l. 218/1995, sia perché i riferimenti alla separazione e al

divorzio da parte dell’art. 31, 2°co. devono ritenersi disgiunti l’uno dall’altro e non in relazione tra loro.

In questa direzione, il Tribunale di Pordenone con sentenza 14 ottobre 2014 ha stabilito che “non contrasta con l’ordine pubblico la legge sul divorzio dello Stato della Pennsylvania la quale prevede, a determinate condizioni, lo scioglimento del matrimonio senza una previa separazione personale.70

In conclusione, qualora l’ordinamento straniero preveda esclusivamente il divorzio diretto, la legge straniera di rinvio potrà essere certamente applicata, a meno che non sussistano altre ragioni che realizzino effetto contrari all’ordine pubblico, come ad esempio nel caso in cui le condizioni per chiedere il divorzio non siano paritetiche tra i coniugi, favorendone l’esperimento solamente ad uno dei due e non all’altro, oppure prevedendo a riguardo altre condizioni discriminatorie.

Problema in parte diverso è la contrarietà o meno all’ordine pubblico di determinati ordinamenti stranieri che consentono la separazione giudiziale, ma solamente al ricorrere di casi tassativamente individuati. Tra i principali presupposti della separazione vengono ad esempio riscontrati i maltrattamenti, l’adulterio, l’induzione alla prostituzione, la commissione di gravi

70 Nel caso di specie la ricorrente aveva contratto matrimonio civile col signor… in Filadelfia (Usa), conformemente alla legge dello Stato della Pennsylvania e l’atto di matrimonio è stato trascritto nel Comune di Sequals. I coniugi avevano fissato la residenza familiare a Filadelfia, dove hanno convissuto fino a quando, preso atto della impossibilità di proseguire la vita matrimoniale, per l’insorgere di insanabili contrasti hanno interrotto la convivenza separandosi di fatto. La signora ha poi ristabilito la propria residenza in Italia, a Sequals, in cui ha iniziato una nuova attività lavorativa. Essendo ormai definitiva e consolidata l’autonoma scelta di vita di ciascuno dei coniugi, la ricorrente chiedeva lo scioglimento del matrimonio. Relativamente alla legge applicabile, il caso è regolamentato dal titolo 23, cap. 33, sez. 3301, sottosez. d. dei “Pennsylvania consolidate Statutes”. La norma prevede che la Corte concede il divorzio quando è stato presentato un ricorso, nel quale si allega che il matrimonio è stato irrimediabilmente compromesso ed è stato compilato un affidavit nel quale si dichiara che le parti hanno vissuto separatamente per almeno due anni e il resistente non contesti le affermazioni contente nell’affidavit. In Riv. Dir. Int. Priv. Proc., 2014 n.4, pp. 1011-1014.

reati, l’abbandono della residenza familiare, l’insorgenza di malattie ed altre.

Il nostro ordinamento, invece, uniformandosi all’orientamento liberale europeo consente la separazione dei coniugi quando si verificano “fatti tali da rendere la prosecuzione della convivenza intollerabile” (art. 151 c. c.). Tale presupposto non è ricollegato a specifiche condizioni oggettive bensì esclusivamente alla volontà di uno o di entrambi i coniugi.

Tuttavia, deve ritenersi che quegli ordinamenti non vadano considerati, di per sé, contrari all’ordine pubblico, a meno che non determinino concretamente una limitazione eccessiva della libertà dei coniugi, come nel caso in cui vengano previste esclusivamente cause di rottura del rapporto particolarmente gravose.

Alla stessa soluzione, deve giungersi con riguardo a quegli ordinamenti che prevedono l’esperibilità dell’azione di separazione o di divorzio esclusivamente decorso un ragionevole periodo di tempo. Anche in questo caso, l’effetto prodotto dall’ordinamento straniero non deve ritenersi contrario all’ordine pubblico a meno che il decorso del tempo non sia particolarmente lungo.71

3.4 Il Ripudio

Il ripudio consiste in una dichiarazione unilaterale da parte del marito, in virtù della quale vengono legalmente a cessare gli effetti del matrimonio.

La distinzione tra il ripudio vero e proprio e il divorzio unilaterale è che mentre il primo viene consentito solo ad uno dei due coniugi

(il marito) l’altro è consentito ad entrambi, per le medesime cause e motivazioni.

Il diritto islamico prevede sia il divorzio consensuale (tatliq) che il ripudio (talaq). Il divorzio può essere consensuale o per colpa. I presupposti per il divorzio per colpa, esercitabile da entrambi gli sposi, sono diversi a seconda degli ordinamenti. Tra i possibili motivi vi possono essere l’apostasia, i gravi maltrattamenti, l’insorgenza di malattie, l’abbandono della casa coniugale o la condanna per gravi reati.72

Il ripudio è unilaterale ed è consentito solo al marito. Può essere anche revocabile ma diventa irrevocabile dopo la terza volta. La triplice formula (talaq, talaq, talaq), che in origine avrebbe dovuto essere proferita ad intervalli di tempo anche lunghi (a garanzia di un’attenta riflessione), può essere oggi proferita anche in una sola volta, addirittura telefonicamente.

Come risulta di tutta evidenza, nel nostro ordinamento il ripudio risulta essere contrario all’ordine pubblico in quanto presuppone la diseguaglianza dei coniugi.73 Il principio dell’eguaglianza morale

e giuridica dei coniugi è infatti imprescindibile nel nostro ordinamento alla luce dell’art. 29 Cost. ed anche dell’art. 5 del Protocollo n. 7 del 22 novembre 1984 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché dell’art. 21 della Carta dei diritti

72ANCESCHI A.,op. cit., p. 149

73 “Deve ritenersi contrario all’ordine pubblico internazionale, l’art. 1133 del

codice civile iraniano, il quale, consentendo al marito di divorziare, secondo il suo arbitrio senza che la moglie possa paralizzare la volontà di quest’ultimo, prevede un vero e proprio ripudio unilaterale” , App. Milano 17.12.1991, RDIPP, 1993,

109; “poiché la normativa egiziana in tema di divorzio sembra univocamente

fondarsi sull’istituto del ripudio, e risulta così incompatibile con l’ordine pubblico internazionale, allo scioglimento di un matrimonio tra una cittadina italiana ed un cittadino egiziano si applicano esclusivamente le norma italiane”, Trib. Milano

fondamentali dell’Unione europea, così come imprescindibile è anche il vaglio da parte dell’autorità giudiziaria.74

Interessante è il provvedimento della Corte d’appello di Cagliari del 16 maggio 2008, secondo cui è efficace nell’ordinamento italiano e deve essere trascritto nel registro dello stato civile il provvedimento di divorzio ottenuto in Egitto attraverso la procedura del talaq (ripudio), pur in assenza della moglie. Tale procedura non sarebbe contraria all’ordine pubblico, né violerebbe il diritto del contraddittorio, in quanto in essa sarebbe stata salvaguardata la possibilità della moglie di intervenire (la mera possibilità, si badi, non già la presenza). Significativo il fatto che sul punto relativo all’ordine pubblico in relazione al principio d’uguaglianza la Corte abbia motivato come segue: «Peraltro è utile ricordare che nel diritto civile egiziano la moglie ha un uguale diritto (unilaterale) di sciogliersi dal vincolo matrimoniale anche in mancanza del consenso del marito, secondo la procedura del cd. khola, per cui non vi sarebbe violazione neppure del principio di uguaglianza tra i generi». Ora, la sopra citata decisione sembra non aver preso in considerazione l’effettiva distinzione che si ha nell’ordinamento egiziano tra talaq e khul (o khola). In Egitto la moglie chiede unilateralmente il divorzio khul, senza che sia necessario il consenso del marito, a condizione di rinunciare a tutti i diritti economici. Infatti, al momento delle nozze, l’uomo offre alla moglie una porzione della dote (muqaddam), che viene integrata al momento del divorzio unilaterale maschile (talaq). Se invece è la moglie a chiedere il divorzio, ella rinuncia all’integrazione della muqaddam, e deve restituire la porzione iniziale della stessa che aveva a suo tempo ricevuto. Non si può dunque affermare che la disciplina sia identica o quanto meno equivalente per uomo e

74 MOSCONI F. e CAMPIGLIO C., Diritto internazionale privato e processuale, vol. II, UTET giuridica, 2011, p. 153

donna. Per ottenere un divorzio, quindi, la donna deve poter disporre di una quantità sufficiente di denaro per «riscattarsi».75

Il tribunale di Varese con sentenza 13 novembre 2012 ha deciso che non contrasta con l’ordine pubblico l’applicazione della legge egiziana che prevede il ripudio da parte della moglie ovvero lo scioglimento giudiziale del vincolo su richiesta unilaterale della stessa quando l’altro coniuge scompaia senza giustificato motivo per più di un anno.76

Inoltre, anche la giurisprudenza della Corte di cassazione francese nei casi del 17 febbraio 200477 ha rifiutato il riconoscimento di una

decisione marocchina di ripudio perché contraria all’ordine pubblico, in quanto lesiva del principio di uguaglianza degli sposi, nel momento della dissoluzione del matrimonio, sancito nell’art. 5 del Protocollo n.7 addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. I fatti portati all’attenzione degli alti magistrati sono classici. La sposa aveva avanzato una richiesta di divorzio di fronte al giudice francese, ma prima che quest’ultimo avesse potuto pronunciarsi, il marito aveva eccepito la presenza di una decisione di scioglimento del matrimonio pronunciata in Marocco, che se riconosciuta avrebbe avuto l’effetto di neutralizzare l’azione della moglie. I giudici hanno rigettato la richiesta del marito perché riconoscere tale decisione significava

75 OBERTO G., “Matrimoni misti e unioni paramatrimoniali: ordine pubblico e

principi sovranazionali” in Famiglia e diritto 1/2010, p. 82. Cfr. Corte di Appello

di Cagliari, sent. 16 maggio 2008, in RDIPP, vol.45, 2009, pp.647-651

76 Nel caso in esame, la moglie dopo tre giorni dalla celebrazione del matrimonio

a Il Cairo (non trascritto nei registri dello stato civile italiani, ma preceduto da regolari pubblicazioni presso il Comune di Varese) è rientrata in Italia e non era più riuscita a reperire il coniuge. Sulla base della legge egiziana 25/1929, modificata dalla l. 100/1985, se il marito è assente per più di un anno senza una giustificazione accettabile e se ciò cagiona danno alla moglie, essa può chiedere al giudice di pronunciare il ripudio definitivo. Tale normativa, facendo riferimento al ripudio per giustificato motivo, da emettersi solo a mezzo di provvedimento dell’autorità giudiziaria, non contiene una norma contraria all’ordine pubblico ed è pertanto applicabile. In Riv. Dir. Int. Pr. Proc., 2014 n.1, pp. 105-107.

violare il principio di uguaglianza degli sposi, poiché alla donna non era riconosciuto un analogo diritto di mettere fine, in maniera unilaterale e discrezionale, al rapporto coniugale.

Tuttavia, probabilmente tale giurisprudenza andrebbe rivista alla luce del nuovo codice marocchino della famiglia, entrato in vigore il 3 febbraio 2004, dodici giorni prima della pronuncia in esame. La più grande novità consisteva nella nuova procedura di divorzio, definita “divorce pour discorde”, che concretizzava il principio di uguaglianza tra gli sposi (facendo venir meno la contrarietà all’ordine pubblico). Infatti, si prevedeva un eguale diritto in capo all’uomo e alla donna di mettere fine al vincolo matrimoniale in presenza di una situazione di fatto che rendesse impossibile il mantenimento della relazione coniugale, previo tentativo di conciliazione. La sposa può, dunque, liberarsi di un matrimonio non più desiderato, senza nessun pregiudizio, malgrado l’opposizione del marito e senza dover specificare i motivi, svuotando altrimenti nella sostanza tutta la riforma e la sua ratio di facilitazione dell’accesso alla dissoluzione del legame familiare. La donna è, quindi, dotata sostanzialmente di un potere del tutto analogo al ripudio maschile.78

Una considerazione merita infine di essere svolta. Dal momento che il limite dell’ordine pubblico ha la funzione di impedire la produzione in Italia – da parte di norme o sentenze straniere – di «effetti» contrari ai nostri principi fondamentali, il suo intervento dovrebbe essere vagliato caso per caso, e ammesso solo in via eccezionale. La tendenza giurisprudenziale a farlo scattare sistematicamente, ogniqualvolta si discuta di ripudio, ne tradisce la ratio: non e` piuttosto contrario ai nostri principi tenere legata ad un matrimonio una donna che, avendo acconsentito al ripudio o

78 Cfr. ZAHER K., “Plaidoyer pour le reconnaissance des divorces marocains” in Revue critique de droit International privè, 2010 n.1, pp. 313-332

addirittura avendone chiesto il riconoscimento in Italia (magari per potersi risposare), ritenga ormai irrimediabile la rottura della vita coniugale?79

3.5 La mancata regolamentazione degli aspetti patrimoniali e