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Competenze grammaticali e dislessia. Un nuovo protocollo di valutazione.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI LETTERATURA,FILOLOGIA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN LINGUISTICA

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Competenze grammaticali e dislessia.

Un nuovo protocollo di valutazione.

Candidata Relatore

Federica Stefàno Chiar.ma Prof.ssa Giovanna Marotta

Correlatori Prof. Alessandro Lenci Dott. Filippo Gasperini

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“Quando si osserva il linguaggio si parla dell’uomo tutto intero. E non si può parlare dell’uomo senza parlare del linguaggio.” Andrea Moro

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3

INDICE

INTRODUZIONE………6

1. LA DISLESSIA: STORIA DI UN DISTURBO ……….9

1.1 Quando viene identificata la dislessia………...9

1.1.2 Definizioni del termine “Dislessia”………...12

1.2 Basi neurobiologiche e teorie sulle cause della dislessia………...16

1.2.1 Modelli e teorie sulle cause della dislessia………...17

1.3 Classificazioni delle dislessie………...22

1.3.1 Classificazione delle Dislessie Acquisite………...23

1.3.2 Classificazione delle Dislessie Evolutive………...26

1.4 La dislessia e gli altri Disturbi Specifici dell’Apprendimento: la comorbilità ………...27

1.4.1 La Dislessia………..33

1.4.2 Dislessia e memoria………...37

1.4.3 Test per la valutazione della dislessia evolutiva………...39

1.4.4 La Comorbilità………...43

1.5 Le nuove frontiere degli studi sulla dislessia: il confronto con i Disturbi Specifici del Linguaggio………45

2. L’ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO ORALE E SCRITTO……….48

2.1 L’acquisizione del linguaggio: una panoramica………...48

2.1.1 L’acquisizione del linguaggio articolato……….53

2.1.2 Le fasi dello sviluppo linguistico………...55

2.2 La competenza linguistica………..58

2.2.1 L’apprendimento della lettura……….60

2.2.2 L’apprendimento della scrittura………...67

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4

3. LA DISLESSIA EVOLUTIVA NEL GIOVANE ADULTO………..75

3.1 Dislessia compensata, recuperata e persistente………..76

3.2 I processi di lettura e scrittura nei giovani adulti dislessici………78

3.3 Gli studi in corso: una panoramica………...81

4. PROTOCOLLO DI VALUTAZIONE DELLE ABILITÀ LINGUISTICHE DEI GIOVANI ADULTI DISLESSICI………...84

4.1 Obiettivi………..84

4.2 Metodologia: descrizione del campione………...85

4.3 Strumenti e procedure: il Protocollo………...88

4.3.1 Prove orali………...89

4.3.2 Prove scritte……….92

5. ANALISI DEI DATI………95

5.1 Criteri di analisi………...95

5.1.1 Produzione scritta e orale………...95

5.1.2 Esercizi di grammatica………97

5.1.3 Denominazione lessicale, TROG2 e lettura………...97

5.2 Modalità di analisi dei dati……….99

5.3 Competenze fonologiche………..102

5.3.1 Competenze fonologiche nelle produzioni orali………...104

5.3.2 Competenze fonologiche nelle produzioni scritte……….110

5.4 Competenze morfosintattiche………...120

5.4.1 Competenze morfosintattiche nelle produzioni orali………121

(6)

5

5.4.3 Esercizi di grammatica………..152

5.5 Competenze sintattiche……….156

5.5.1 Competenze sintattiche nelle produzioni orali………...157

5.5.2 Competenze sintattiche nelle produzioni orali ………...164

5.5.3 La punteggiatura………168

5.5.4 TROG2………..171

5.6 Competenza lessicale ………..174

5.6.1 Competenza lessicale nelle produzioni orali……….175

5.6.2 Competenza lessicale nelle produzioni scritte………...177

5.6.3 Denominazione lessicale………...178

5.6.7 Velocità e accuratezza nella lettura………...181

6. DISCUSSIONE………...183

7. CONCLUSIONE………192

7.1 Dislessia: solo un disturbo della lettura?...192

7.2 Progetti futuri………...198

APPENDICE A-IL PROTOCOLLO DI VALUTAZIONE………...………200

APPENDICE B-PRODUZIONI SCRITTE E ORALI DEI SOGGETTI DISLESSICI....222

APPENDICE C- PRODUZIONI SCRITTE E ORALI DEI SOGGETTI DI CONTROLLO...248

APPENDICE D- TABELLE DATI ASSOLUTI………...272

Bibliografia………...284

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6

INTRODUZIONE

Questa tesi nasce con l’obiettivo di guardare alla Dislessia Evolutiva non solo come ad un disturbo specifico della lettura, ma considerandone anche altre caratteristiche, ed in particolare l’impatto che essa ha sulle competenze grammaticali di chi ne è affetto.

A questo scopo è stato creato un protocollo di valutazione delle competenze grammaticali dei giovani adulti dislessici attraverso il quale verificare se e in quali ambiti della grammatica i soggetti da noi presi in esame si dimostrino carenti.

Tale protocollo è composto sia da test standardizzati che da test creati ad hoc per lo scopo:

 Prova di lettura di brano;

 Prova di Denominazione Lessicale;

 Test for Reception of Grammar (TROG2)1;

Racconto orale e scritto della storia ad immagini Frog where are you? (Meyer 1969);

 Esercizi di grammatica;

 Composizione scritta spontanea;  Dialogo spontaneo.

L’intera batteria è stata somministrata ad un campione sperimentale composto da 6 soggetti affetti da dislessia evolutiva di cui 3 maschi e tre femmine. L’età presa in considerazione è tra i 14 e 25 anni.

Dei sei soggetti, inoltre, 3 frequentano le scuole superiori e 3 frequentano l’Università.

I dislessici sono stati selezionati e testati presso l’IRCCS Fondazione Stella Maris di Calambrone (PI).

La loro performance è stata confrontata con quella di un gruppo di controllo composto da 6 soggetti, 2 maschi e 4 femmine; 3 iscritti alle scuole superiori e 3 iscritti all’Università.

1 Test di vocabolario recettivo che permette di valutare la capacità di comprensione del linguaggio verbale e

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La scelta dell’età è stata determinata in primis dalla volontà di indagare come si evolve il disturbo dislessico nei giovani adulti che, dopo la diagnosi, hanno ricevuto un trattamento logopedico per tentare di compensare il deficit nella lettura.

La seconda motivazione riguarda il tipo di test scelti per comporre il protocollo: per non rischiare di attribuire erroneamente alla dislessia un errore di scarsa dimestichezza dovuta al livello di istruzione, sono stati scelti esercizi di grammatica e testi per le produzioni scritte studiati per le scuole superiori. Questo esclude a priori tutti i dislessici di età inferiore ai 14 anni, frequentanti le scuole medie inferiori e le elementari.

Gli aspetti grammaticali presi in considerazione nella presente tesi sono:  Fonologia

 Morfosintassi  Sintassi  Lessico

Parallelamente è stata valutata la prosodia di ogni soggetto per stabilire se essa abbia un qualche effetto sulla produzione orale degli stessi.

I dati su cui si basa la presente tesi sono stati raccolti e analizzati creando un database con il sistema statistico SPSS che ha reso possibile calcolare le medie e le deviazioni standard di tutti i test.

Al fine di constatare se l’assunto di partenza era corretto o meno, sono state confrontate tra loro le produzioni del gruppo sperimentale e del gruppo di controllo; successivamente si è ritenuto opportuno raffrontare anche le prove dei soggetti dislessici tra loro per verificare se ci siano differenze anche all’interno dello stesso gruppo.

PRESENTAZIONE DEI CAPITOLI.

Il primo capitolo della tesi è dedicato all’inquadramento della dislessia dal punto di vista storico-clinico.

Ad un breve excursus storico sulla scoperta del disturbo e sugli studi che hanno portato gli studiosi a definirla come disturbo specifico della lettura, segue un’ampia trattazione su quelle che sono le principali teorie sull’origine della dislessia evolutiva.

A seguire si è proceduto con una breve panoramica sui Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) per poter poi illustrare quali sono le possibili comorbilità cui la dislessia evolutiva si associa con frequenza.

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8

Infine si dà uno sguardo agli studi recenti (Tallal et al. 1997; Bishop & Snowling 2004) che indagano il rapporto tra dislessia evolutiva e Disturbi Specifici del Linguaggio (DSL).

Il secondo capitolo si concentra sull’acquisizione del linguaggio e sulla competenza linguistica. Un’ampia trattazione è dedicata all’apprendimento della scrittura e alla capacità di pianificazione del messaggio orale e scritto. Questo capitolo funge infatti da base per comprendere quali sono gli aspetti che vogliono essere indagati in questa tesi.

Il terzo capitolo è totalmente dedicato alla dislessia evolutiva nel giovane adulto. Oltre a illustrare quali sono le caratteristiche della dislessia in età adulta, vengono presentati i pochi studi condotti negli ultimi anni in merito al disturbo dislessico in questa fascia d’età che va dai 14 ai 30 anni.

Si cita in particolare lo studio di Milne et al. dal quale è emerso che le difficoltà di scrittura dei giovani adulti dislessici non si limitano al livello della parola e della frase, ma sono presenti anche a livello di organizzazione del discorso che risulta poco coerente e coeso a causa di ripetuti errori morfosintattici e sintattici.

L’oggetto del quarto capitolo è il protocollo di valutazione di cui vengono illustrati i test suddivisi in base al tipo di competenze da valutare: orali e scritte. Vengono inoltre presentati il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo testati.

Il quinto capitolo contiene l’analisi dei dati ed è suddiviso in base alle competenze grammaticali analizzate. Affiancata alla presentazione dei grafici contenenti i dati numerici dell’analisi compare una descrizione linguistica dei fenomeni rintracciati nei vari test.

Lo scopo delle due analisi è presentare un quadro completo delle competenze grammaticali dei soggetti dislessici in rapporto a quelle dei soggetti del gruppo di controllo. Verranno fatte notare le differenze tra le produzioni scritte e orali, guidate e spontanee mettendole inoltre a confronto con i test standardizzati relativi ai vari aspetti grammaticali presi in considerazione.

Il sesto capitolo contiene la discussione finale nella quale si traggono le conclusioni sulla base dell’osservazione delle analisi condotte nel capitolo precedente e sulla base anche degli studi citati in precedenza a sostegno dalla tesi alla base di questo lavoro.

L’ultimo breve capitolo è dedicato alle conclusioni in cui si cerca di delineare un disegno di ricerca futuro che prevede, non solo l’estensione del protocollo ad altri due test (un di comprensione e uno di comprensione lessicale), ma anche la somministrazione dello stesso ad un gruppo sperimentale composto da più soggetti che consenta di trarre statistiche significative in merito alle competenze grammaticali dei giovani adulti dislessici.

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1. LA DISLESSIA: STORIA DI UN DISTURBO

1.1 Quando viene identificata la dislessia.

Di dislessia si iniziò a parlare nel 1881, quando il fisico tedesco Oswald Berkhan ipotizzò un collegamento tra una difficoltà nell'imparare a leggere e particolari disturbi biologici mostrati dai soggetti da lui osservati. Il termine dislessia fu però usato per la prima volta nel 1887 dall'oftalmologo Rudolf Berlin, il quale lo impiegò per descrivere il caso clinico di un paziente adulto che presentava difficoltà nella lettura a seguito di un trauma cranico. La dislessia descritta da Berlin era dunque di tipo acquisito2 cioè legata a disturbi neurobiologici causati da traumi cerebrali.

Con gli studi del chirurgo oculista James Hinshelwood si cominciò invece a parlare di Dislessia evolutiva3, cioè di un disturbo di tipo visivo non dovuto a lesioni cerebrali. Nel 1895, infatti, egli pubblicò una serie di articoli comparsi su varie riviste mediche, riguardo un fenomeno che definì word blindness (cecità per le parole). Hinshelwood osservò che la difficoltà principale del paziente era memorizzare le parole e le lettere che spesso venivano confuse tra loro. Aveva inoltre riscontrato grosse difficoltà nell'ortografia delle parole e nella comprensione del testo.

Nel 1896 l'oftalmologo W. Pringle Morgan descrisse, in un rapporto pubblicato nel British Medical Journal, il caso di un ragazzo di quattordici anni che non aveva imparato a leggere, malgrado avesse un livello normale di intelligenza e dimostrasse competenze adeguate in tutte le altre aree del linguaggio. Erroneamente questo ragazzo fu trattato come un caso di “Alessia congenita4” e non di dislessia evolutiva nonostante non avesse subito traumi cerebrali ai quali si potesse ricondurre il disturbo.

2 Cfr § 1.3.1 3 Cfr § 1.3.2

4 Il termine Alessia Congenita è utilizzato in neuropsicologia dal 1892 per descrivere il disturbo che rende

incapaci di identificare le singole lettere e di leggere ad alta voce (Agliotti e Fabbro, 2006:141). La confusione tra Alessia è dislessia è generata dal fatto che entrambi i disturbi riguardano la lettura, ma mentre l’Alessia è legata a lesioni del lobo parietale sinistro, la Dislessia è un disturbo dell’apprendimento della lettura che, come si vedrà nei paragrafi successivi è di tipo evolutivo e solo in rari casi può derivare da traumi cerebrali. Data la precocità degli studi sull’Alessia rispetto a quelli sulla Dislessia, è comprensibile dunque che il caso descritto dall’oftalmologo sia stato associato al disturbo meglio conosciuto.

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Il vero "padre della dislessia" viene tuttavia identificato nel neurologo americano Samuel T. Orton che, dal 1920 in poi, contribuì significativamente a diffondere l'interesse circa le difficoltà di lettura e ortografia, dando inizio anche a un importante filone di ricerca negli Stati Uniti. In quegli anni si riteneva che la causa principale della dislessia fosse il trauma cranico, ma Orton, in una serie di articoli pubblicati tra il 1925 e il 1946, suggerì che non si poteva stabilire un collegamento di questo tipo. Osservò inoltre che il deficit nella lettura dovuto alla dislessia non sembrava avere particolari collegamenti con i deficit visivi. Orton riteneva che la dislessia fosse dovuta a una mancata dominanza emisferica nel cervello.

Fu sempre il neurologo a coniare il termine "strefosimbolia" ad indicare l'aspetto della dislessia per cui le lettere vengono trasposte, rovesciate o confuse (per esempio, la lettera b viene letta come d). Con l'aiuto della psicologa ed educatrice Anna Gillingham, Orton sviluppò gli interventi educativi che ancora oggi costituiscono la base dell'insegnamento multisensoriale per i bambini dislessici.

Negli anni Settanta, nel campo della psicologia, Isabelle Y. Liberman sostenne l’ipotesi che le difficoltà di lettura dei dislessici fossero di origine linguistica. Questa linea fu seguita da molti studiosi che osservarono l’effettiva presenza di deficit fonologici nei dislessici, come ad esempio una scarsa consapevolezza fonologica. Vellutino (1979:50) inoltre scoprì una relazione tra deficit fonologico e deficit alla memoria a breve termine nei normo-lettori. Secondo Vellutino la dislessia non è un disturbo visivo ma un disturbo del linguaggio che coinvolge l’elaborazione fonologica delle parole5.

In seguito, nel 1979 il neurologo americano Albert M. Galaburda e il collega Thomas L. Kemper, osservando i risultati di alcune autopsie, si accorsero dell'esistenza di differenze anatomiche nel centro del linguaggio delcervello di soggetti dislessici. Durante lo studio risultò chiaro uno sviluppo corticale atipico risalente probabilmente o al periodo precedente o al sesto mese di sviluppo del cervello nel feto.

Tra il 1980 e il 1990, lo sviluppo delle neuroimmagini come la PET (tomografia ad emissione di positroni) e la fMRI (risonanza magnetica funzionale), consentirono un grande progresso nello studio della dislessia. Considerando diversi approcci e paradigmi sperimentali (ad esempio: la ricerca e la selezione di rime e lettura di parole e non parole), i

5 Per un ulteriore approfondimento sulle teorie proposte e sull’evoluzione della ricerca sulla dislessia si veda

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nuovi studi localizzarono la disfunzione dell'elaborazione fonologica nell'emisfero sinistro e nelle regioni perisilviane, soprattutto per quanto concerne il sistema di scrittura alfabetico.

In Italia, per avere una definizione di dislessia e perché diventi oggetto di interesse e di studio bisogna aspettare gli anni Novanta quando si comincia a parlare di disturbo specifico della lettura e vengono pubblicati i primi testi scientifici a riguardo, tra i quali ricordiamo: "I disturbi dell'apprendimento" di Cesare Cornoldi del 1991 e il "Manuale di neuropsicologia infantile" di Giorgio Sabbadini, pubblicato nel 1995. Prima del 1990, in Italia, i bambini dislessici non venivano classificati come tali, ma il loro disturbo veniva inquadrato o come ritardo mentale o come psicosi precoce (o grave disturbo relazionale). Solo nel 1997 e cioè venticinque anni dopo la fondazione della British Dyslexia Association (BDA) nel 1972, nasce in Italia l'Associazione Italiana Dislessia (AID).

Prima di concludere, è interessante osservare che i primi ad accorgersi della dislessia e a classificarla come disturbo evolutivo della lettura furono gli oftalmologi. Ancora oggi (come si vedrà nel prossimo paragrafo) la teoria di una compromissione congenita del sistema visivo magnocellulare è tra le più diffuse e sostiene che i soggetti dislessici abbiano uno scarso controllo dei movimenti oculari che generano un effetto di movimento e sfocatura del testo causando una confusione visiva dell’ordine delle lettere. Questo porterebbe a una memorizzazione errata delle parole e sarebbe dunque la causa delle difficoltà ortografiche dei dislessici.

È bene sottolineare tuttavia che, almeno fino a dieci anni fa, quando questo disturbo non era ancora ben conosciuto, prima di parlare di dislessia e procedere a una valutazione neuropsicologica, psicologica e logopedica in questo senso, venivano proposte visite specialistiche che comprendevano visite oculistiche e valutazioni audiometriche del soggetto, per escludere che la causa delle difficoltà riscontrate fosse riconducibile ad un disturbo di tipo sensoriale. Una volta escluse problematiche legate a questi due campi, si procedeva con il follow up per la valutazione di dislessia6. Oggi durante la prima visita di valutazione, viene chiesto ai genitori del bambino di cui si richiede la diagnosi di compilare un questionario anamnestico nel quale si richiede di segnalare anche se il paziente ha subito danni all’udito e/o alla vista, al fine di poter escludere un disturbo del linguaggio dovuto a queste cause7.

6 Per un approfondimento sui test per la valutazione della dislessia si rimanda al paragrafo 1.4.3.

7 Qui si fa riferimento all’iter diagnostico in uso presso l’”IRCCS Fondazione Stella Maris” presso il quale

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Lo scetticismo riguardo ad una connessione tra un deficit del sistema visivo magnocellulare e dislessia evolutiva emerge non solo dalla propensione dei ricercatori per una teoria del deficit fonologico, ma anche da quanto affermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)8 nel “The ICD-10 Classification of Mental and Behavioural Disorders”:

“[…] The SDDSS9

must not be directly due to uncorrected visual or hearing impairments.”10

La stessa specifica si trova sul sito web dell’Associazione Italiana Dislessia (AID) in risposta alla domanda “Cos’è la dislessia?”:

“La dislessia non è causata da deficit cognitivi (intelligenza), né da problemi ambientali o psicologici, né da deficit sensoriali (vista – udito) o neurologici.”

(www.aiditalia.org)

1.1.2 Definizioni del termine “dislessia”.

La parola dislessia è un neologismo greco ed è composta da léxis "discorso, parola" con il prefisso negativo dys-. Il termine denota dunque una "difficoltà con le parole" (Nocentini, 2010:113).

Nel corso degli anni sono state fornite molte definizioni di dislessia in quanto, come si è visto, fin dalla sua scoperta si è reso necessario trovare un termine con cui identificare il disturbo al fine di fornire tutte le informazioni sulle difficoltà che comporta. Di definizioni se ne trovano in tutti i testi sull’argomento, ma sovente sono vaghe e di carattere troppo generale come la seguente tratta dal vocabolario on line Treccani (www.treccani.it):

8 In inglese World Health Organization (WHO) 9 Specific Developmental Disorders of Scholastic Skill.

10 “I disordini specifici dello sviluppo delle abilità scolastiche (SDDSS) non devono essere causati direttamente

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“Disturbo, generalmente di tipo neurologico, rilevato soprattutto a carico dei bambini, consistente nell’incapacità di apprendere a leggere con la rapidità e l’abilità normali per una data età e conformi al rendimento del soggetto in altre attività.”

(www.treccani.it)

La Federazione Mondiale di Neurologia nel 1968 definì la dislessia in questi termini:

"A disorder manifested by a difficulty in learning to read despite conventional instruction, adequate intelligence and socio-cultural opportunity. It is dependent upon fundamental cognitive difficulties which are frequently of a constitutional character."11

(www.bdadyslexia.org.uk)

Nel 2003 l’International Dyslexia Association (IDA) ha utilizzato una definizione di dislessia che ad oggi sembra la più corretta:

“Dyslexia is a specific learning disability that is neurobiological in origin. It is characterized by difficulties with accurate and/or fluent word recognition and by poor spelling and decoding abilities. These difficulties typically result from a deficit in the phonological component of language that is often unexpected in relation to other cognitive abilities and the provision of effective classroom instruction.”12

(Lyon et al. 2003:2)

11 “Un disordine che si manifesta attraverso la difficoltà nell’apprendimento della lettura nonostante

un’istruzione convenzionale, un’intelligenza e opportunità socio-culturali adeguate. Essa dipende da difficoltà cognitive tradizionali che sono frequentemente di tipo costituzionale”.

12 “La dislessia è un disturbo specifico dell’apprendimento che ha origine neurobiologiche. È caratterizzata da

difficoltà nel riconoscimento accurato e/o fluente delle parole, da scarsa capacità nello spelling e nelle abilità di decodifica. Queste difficoltà derivano tipicamente da un deficit nelle componenti fonologiche del linguaggio inattese rispetto alle altre abilità cognitive e all’effettivo livello di istruzione.”

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In fine nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder (DSM), un manuale che raccoglie, attualmente, la definizione e la descrizione di più di 370 disturbi mentali, la dislessia è classificata tra i disturbi dell’infanzia, della fanciullezza e dell’adolescenza come uno dei disturbi dell’apprendimento (DSA):

“Il disturbo della lettura, noto come dislessia, produce nel bambino gravi difficoltà nel riconoscere le parole e nel comprendere ciò che legge, nonché nello scrivere correttamente le parole.”

(DSM-5, 2014:467)

In questa definizione compare anche un’altra delle caratteristiche della dislessia, cioè la difficoltà di comprensione del testo.

La dislessia ha molte sfaccettature ed è per questa ragione che non è ancora stata trovata una definizione condivisa da tutto il mondo scientifico. C’è però un accordo sui fattori che possono contribuire alla dislessia. Un elenco esaustivo è stato stilato dagli psicologi inglesi J. Everatt e G. Reid (2009:3-21) 13:

 Fattori strutturali e funzionali del cervello;

 Fattori genetici che intaccano la migrazione magnocellulare nell’utero e influenzano il loro funzionamento futuro;

 Correlazioni genetiche;  Velocità di elaborazione;

13 In lingua originale:

- Structural and functional brain-related factors;

- Genetic factors affecting the developmental migration of magnocells in utero and influencing their subsequent function;

- Genetic correlations; - Processing speed; - Inter-hemisphere transfer; - Difficulty in automatising skills; - Working Memory difficulties; - Phonological deficit;

- Language features – orthographic transparency; - Comorbidity between learning disabilities;

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15  Trasferimento interemisferico;

 Difficoltà di automatizzazione;  Difficoltà con la memoria di lavoro;  Deficit fonologico;

 Caratteristiche della lingua (trasparenza ortografica);  Comorbilità con altri disturbi dell’apprendimento;

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1.2 Basi neurobiologiche e teorie sulle cause della dislessia.

Figura 1 Le principali strutture dell’encefalo e la suddivisione della corteccia cerebrale in lobi. Vengono inoltre messe in rilievo (in arancione) le aree dedicate alla produzione, alla comprensione del linguaggio e alla comprensione della lettura (tratto dal sito web: www.aid.it)

Catalogata fra i disturbi di linguaggio e comunicazione, la dislessia è un disturbo di tipo neurobiologico, sovente ereditario, che interessa una percentuale della popolazione non trascurabile (dal 2-2,5% nelle stime italiane più prudenti) (Stella, 2004:47).

Le indagini svolte tramite le neuroimmagini ed in particolare con la TAC, la PET e la fMRI mettono in evidenza differenze di funzionamento in alcune aree cerebrali tra lettore dislessico e non dislessico, durante l’esecuzione di un compito di lettura. Prima dell’avvento di queste tecnologie, il neuroscienziato statunitense Albert Galaburda, attraverso numerose autopsie condotte su pazienti che in vita avevano sofferto di difficoltà di lettura, aveva già avanzato l’ipotesi che nel cervello dei dislessici ci fossero delle piccole alterazioni nelle aree dedicate al linguaggio. Egli scoprì minuscole esfoliazioni del tessuto corticale che sembravano essere la causa di deficit funzionali come la dislessia. Attraverso le tecniche di neuroimmagine si è potuto scoprire che queste esfoliazioni alterano in modo consistente l’attività di molti neuroni e possono compromettere le funzioni complesse come appunto l’uso del linguaggio, la lettura e la scrittura.

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Dagli studi più recenti risulta che nel dislessico sono meno attive in particolare le aree parieto-temporale (adibita alla decodifica fonologica) ed occipito-temporale (adibita al riconoscimento automatico rapido della forma della parola) dell’emisfero sinistro, mentre si osserva una maggiore attività nel giro frontale inferiore, specializzato per l’articolazione (area di Broca).

Lo studioso olandese D. Bakker considera invece la dislessia come il risultato del funzionamento scadente di uno dei due emisferi: il mal funzionamento dell’emisfero sinistro ridurrebbe la lettura ad un mero esercizio di tipo percettivo caratterizzato da un lettura lenta e scandita; un deficit all’emisfero destro (responsabile delle operazioni visuo-spaziali), invece, renderebbe l’attività linguistica molto faticosa perché dovrebbe supplire al deficit di informazione percettiva attraverso una sorta di “tiro ad indovinare” incoerente poiché privo di verifiche (Stella, 2004:38).

Grazie ai molteplici studi condotti negli ultimi anni, si è oggi in grado di affermare che la dislessia presenta caratteristiche di familiarità ed ereditarietà. La storia familiare è uno dei più importanti fattori di rischio ed alcuni studi evidenziano che dal 20% al 65% dei bambini dislessici hanno un genitore dislessico. Quindi il rischio che un bambino con parenti di primo grado dislessici sia dislessico è circa del 40%. I cromosomi implicati sarebbero il 6, il 15 e soprattutto il cromosoma 2, che trasmetterebbe il deficit della consapevolezza fonologica ed i conseguenti problemi di lettura (Stella 2004: 42-45).

1.2.1 Modelli e teorie sulle cause della dislessia evolutiva.

Stabilite le aree cerebrali coinvolte dalla dislessia, sono stati condotti molti studi che hanno portato a quattro teorie in merito alle cause della dislessia evolutiva.

A. Teoria del deficit fonologico

La teoria del deficit fonologico è la più diffusa delle quattro e postula che alla base del disturbo di lettura vi sia una persistente compromissione del modulo linguistico dedicato alla fonologia, che interessa pervasivamente vari aspetti dell’elaborazione fonologica (Catts, 1989:50-64), intesa come capacità di:

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b) mantenere l’informazione fonologica nella memoria di lavoro; c) recuperare l’informazione fonologica dalla memoria;

d) avere una consapevolezza esplicita della struttura fonologica delle parole e, successivamente, degli enunciati.

e) la presenza di un doppio deficit fonologico e una inefficienza nel recupero rapido della pronuncia della parola in prove di denominazione veloce (RAN Rapid Automatized Naming).

Il pre-requisito per imparare a leggere è l’acquisizione delle corrispondenze tra grafema e fonema del sistema alfabetico, cioè imparare che esiste una corrispondenza tra le lettere e i suoni della lingua. Se i suoni del linguaggio sono rappresentati, immagazzinati nella memoria e recuperati con difficoltà, le basi per l’apprendimento della lettura vengono irrimediabilmente compromesse. I sostenitori di questa teoria ritengono che la fonologia ricopra un ruolo centrale e sia causa della dislessia, e suggeriscono che esista un legame tra il deficit cognitivo e i problemi di comportamento.

La teoria del deficit fonologico è supportata dalla scoperta che i dislessici hanno più difficoltà nello svolgere compiti che richiedono una consapevolezza fonologica. Questa consapevolezza fa riferimento alla capacità di segmentare e manipolare i suoni della lingua. Un tipico esempio di consapevolezza fonologica è la capacità di discriminare tra vocali e consonanti. Secondo la psicologa M. Snowling (2001:75) anche una scarsa memoria verbale a breve termine e un lenta automatizzazione nella denominazione è da collegarsi al deficit fonologico.

A livello neurale, gli studi sul cervello tramite le immagini funzionali (Galaburda et al., 1985; Paulesu et al., 1996) suggeriscono che alla base del deficit fonologico ci sia una disfunzione congenita delle aree perisilviane dell’emisfero destro. Questa teoria ha generato un dibattito che è tuttora in atto. Nel criticarla, gli oppositori non mettono in dubbio l’esistenza di un collegamento tra problemi fonologici e dislessia, ma ritengono che questa sia solo una faccia della medaglia che fa parte di un disordine generale più ampio; in particolare, ritengono che i deficit fonologici potrebbero essere causati da un deficit acustico.

B. Teoria del deficit dell’elaborazione uditiva rapida

L’assunto principale di questa teoria è proprio che un deficit fonologico sia secondario ad un deficit uditivo. Essa afferma che il deficit uditivo falsi la percezione delle variazioni brevi e rapide dei suoni (Tallal, 1980; Tallal et al., 1993). A supporto di questa tesi vi è l’evidenza che i dislessici producono performance scarse in un ampio numero di

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compiti uditivi, inclusa la discriminazione della frequenza e i giudizi di ordine temporale delle parole presentate acusticamente. In origine l’aspetto temporale aveva un ruolo di rilievo tanto che la teoria era nata come Teoria del deficit dell’elaborazione temporale. Il motivo per cui si dava tanta importanza all’aspetto temporale era l’evidenza che i bambini dislessici non sono in grado di percepire ed elaborare le brevi e rapide variazioni durante un evento acustico, comprese quelle cruciali per il riconoscimento dei suoni del linguaggio. Questo causa gravi difficoltà soprattutto se l’evento acustico riguarda la discriminazione fonetica (come, ad esempio, tra ba e da). Tuttavia, poiché non è chiaro se le difficoltà di elaborazione riguardino o meno le caratteristiche temporali della lingua, la psicologa D. V. M. Bishop (1997) ha suggerito di sostituire al termine temporale il termine rapido (come compare nella dicitura qui utilizzata). Ad oggi non vi è ancora accordo tra i ricercatori riguardo la natura dei fattori che causano questa difficoltà nell’elaborare le sequenze di suoni presentate rapidamente e per un breve periodo di tempo.

C. Teoria del deficit visuospaziale o Teoria Magnocellulare

Alcuni studiosi, sulla base soprattutto di risultati ottenuti da esami effettuati con la RMF e la PET, sostengono che in molti dislessici il sistema visivo magnocellulare non sia del tutto efficiente e che la sensibilità del sistema visuomotorio in essi sia minore rispetto a quella dei soggetti che leggono senza difficoltà. L’ integrazione tra visione e movimento è permessa dall’azione del “sistema magnocellulare”, una rete di neuroni di grandi dimensioni che va dalla retina, attraverso la corteccia cerebrale ed il cervelletto, fino ai motoneuroni dei muscoli oculari. Questo sistema è specializzato nel rispondere particolarmente bene agli stimoli in movimento e rende possibile la percezione delle relazioni spaziali tra gli oggetti. Ha quindi un ruolo fondamentale anche nel meccanismo di posizionamento dell’occhio su ciascuna lettera in sequenza e nel determinare il loro ordine nella costruzione di ogni parola. La presenza di una disfunzione magnocellulare nel trattare stimoli visivi in rapida successione fa sì che il dislessico compia un numero eccessivo di puntamenti oculari (anche più di uno sulla stessa parola) ed esamini il testo in modo meno strategico. Si produce di conseguenza un effetto di affollamento visivo nell’affrontare il testo; ciò causerebbe ad esempio l’inversione delle lettere in una parola che a sua volta causa una errata memorizzazione della stessa.

Lo psichiatra J. Stein (2008) ritiene che il sistema visivo dia l’input maggiore per entrambe le vie di accesso alla lettura, ovvero quella lessicale e quella sublessicale. Ne deriva che la vista sia il senso più importante per la lettura.

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Nella visione di Stein inoltre, il sistema magnocellulare sembra implicare aspetti delle varie teorie viste fin ora, ma anche una immaturità cerebellare.

I dati ottenuti da uno studio post-mortem di cinque cervelli di soggetti dislessici compiuto dal neurologo statunitense M. A. Galaburda (Galaburda et al., 1994), mostrano che le magnocellule di questi soggetti sono alterate e più del 20% di esse sono di dimensioni ridotte rispetto a quelle di un cervello normale. Sebbene questi risultati mostrino un effettivo deficit del sistema visivo magnocellulare, non vi è ancora un accordo su quale possa essere l’effettivo collegamento tra questo difetto e i disturbi di apprendimento della lettura.

D. La teoria cerebellare dell’automatizzazione

La teoria cerebellare (Fawcett e Nicolson 2004) ha basi biologiche, in quanto assume che il cervelletto dei dislessici abbia una leggera disfunzione. Il cervelletto è responsabile della coordinazione delle contrazioni muscolari e della pianificazione di molti movimenti. È riconosciuto da molti che esso svolga un ruolo importate durante la lettura, perché è responsabile dei movimenti legati alle operazioni cognitive come la lettura silente e il controllo visuo-motorio per la scrittura. Essendo responsabile della programmazione motoria, il cervelletto è anche responsabile dell’articolazione dei suoni del linguaggio, il che porterebbe ad una errata rappresentazione fonologica dei suoni.

Recenti studi su pazienti che avevano subito traumi cerebrali (Reid et al., 2008:66) hanno dimostrato che l’emisfero destro del cervelletto, che è collegato all’emisfero destro della corteccia cerebrale, gioca un ruolo importante nella lettura dato che i pazienti, dopo il trauma, presentavano gli stessi problemi dei dislessici nella lettura14. Secondo quanto scoperto da Fawcett e Nicolson, il cervelletto è responsabile anche della corretta automatizzazione dei movimenti, inclusi, ad esempio, il guidare e il leggere; quando vi è un malfunzionamento cerebellare oltre ad una difficoltà nell’automatizzazione di compiti viene danneggiata anche l’acquisizione delle corrispondenze grafema-fonema.

Come si può evincere da questo rapido quadro, non si è ancora giunti ad un accordo su quale sia l’effettiva causa della dislessia. I ricercatori si dividono in due gruppi: i

14 Bisogna distinguere tra Dislessia Acquisita dovuta a traumi cerebrali che impediscono temporaneamente o

permanentemente le abilità di lettura e Dislessia Evolutiva che è congenita e impedisce l’apprendimento corretto della lettura fin dai primi anni di scolarizzazione. Per un maggiore approfondimento si rimanda al paragrafo successivo.

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sostenitori della teoria fonologica ritengono che la dislessia si determinata da un deficit fonologico; i sostenitori che supportano la teoria magnocellulare, invece, affermano che le difficoltà di lettura siano dovute ad un deficit generale del sistema sensoriale che genera anche deficit visivi, uditivi e motori.

Gli studi recenti in neurologia dimostrano, però, che l’ipotesi di un danno generale del sistema sensoriale non possa essere responsabile della dislessia dato che sono pochi i casi di soggetti dislessici che presentano contemporaneamente deficit visivi, uditivi e motori. Gli psicologi A. J. Fawcett e R. I. Nicolson (2001) hanno infine spiegato le differenza tra i sintomi della dislessia con l’ipotesi dell’esistenza di due subtipi di dislessia: alcuni dislessici soffrirebbero di un deficit cerebellare, mentre altri avrebbero un danno nel sistema magnocellulare.

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1.3 Classificazioni delle dislessie.

La prima distinzione che viene comunemente fatta quando si parla di dislessia è tra Dislessia Acquisita (DA) e Dislessia Evolutiva (DE). Il fisiologo italiano Giovanni Berlucchi ha sottolineato le differenze del deficit funzionale a seconda che sia riconducibile ad una lesione neurologica o ad una peculiare organizzazione congenita (tratto da Stella 2004:38).

Con il termine Dislessia Acquisita si fa dunque riferimento ai disturbi di lettura che si presentano a seguito di un danno cerebrale in persone che precedentemente presentavano abilità di lettura normali. Può anche essere la conseguenza dell’invecchiamento cerebrale o vascolare o di deficit sensoriali. Le persone con dislessia acquisita hanno bisogno di una rieducazione alla lettura che avevano già appreso prima del trauma. Secondo Berlucchi, il cervello in seguito al danno sarebbe in grado di reagire in senso ripartivo in modo che i tessuti e le aree circostanti al danno sopperiscano al mancato funzionamento (Stella 2004:38).

Con Dislessia Evolutiva, invece, si intende il disturbo di lettura proprio di persone che non hanno mai imparato a leggere correttamente. È la forma di dislessia più comune e i suoi sintomi si manifestano durante l’infanzia ed in particolare all’inizio del percorso scolastico quando il bambino impara a leggere. I soggetti con dislessia evolutiva non hanno bisogno di una rieducazione alla lettura, ma di una educazione personalizzata per sviluppare un’abilità che non hanno mai appreso. Lo sviluppo delle loro capacità di lettura è strettamente legato ad una diagnosi precoce ed a specifiche strategie educative.

In questo caso, secondo Berlucchi, il cervello non sviluppa meccanismi riparatori perché “non sa di essere costruito in modo anomalo” (Stella 2004:38). Solo l’accumulo di esperienza fa scoprire se la sua attività produce effetti di resistenza o effetti di compensazione. Il fisiologo italiano ipotizza che nella rete neurale dei dislessici vi sia un’inversione della disposizione dei neuroni che produce configurazioni che portano a rappresentazioni finali diverse ed errate delle lettere lette, nonostante lo stimolo sia lo stesso dato ad un normo lettore (Figura 2).

Questo spiegherebbe come mai un dislessico durante la lettura confonde lettere simili come d e b, m e n, u e n e così via15.

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A partire da questa suddivisione fondamentale, dal punto di vista neuropsicologico abbiamo una classificazione che non considera i differenti tipi di performance dei dislessici, ma il tipo di processo neuropsicologico inibito.

1.3.1 Classificazione delle Dislessie Acquisite.

Dislessie periferiche

Sono definite dislessie periferiche quei tipi di dislessia che provocano errori di elaborazione della forma visiva della parola.

 Dislessia da neglect: Questo tipo di dislessia è un disturbo dell'elaborazione visiva delle parole che comporta la mancata elaborazione di una parte del campo visivo, generalmente la parte sinistra. Il soggetto con questo tipo di disturbo commette errori nella lettura perché non presta attenzione alle porzioni delle parole corrispondenti

Figura 2 Il grafico rappresenta l’attività neurale di un normolettore (a sinistra) e di un dislessico (a destra) durante la lettura della lettera b. Con questo grafico, Berlucchi ha voluto mostrare come nella rete neurale dei dislessici una variazione nella disposizione dei neuroni (rappresentati dalle frecce in neretto) determini cambiamenti significativi nei circuiti neuronali, producendo rappresentazioni finali diverse ed errate, rispetto a quelle di un normolettore, nonostante ai soggetti venga mostrato lo stesso stimolo. A Sinistra: le colonne cellulari del normolettore simulano la configurazione neurale che si attiva per leggere la lettera b. A destra: le colonne cellulari simulano la diversa configurazione determinata dall’inversione dell’ordine dei neuroni nella colonna cellulare (indicata dalla freccia) posta all’estrema destra della figura (Tratto da Stella 2004: 39).

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alle aree dello spazio negletto. Gli errori commessi, in genere, sono costituiti dall'omissione o dalla sostituzione delle lettere che compongono la parte di parola negletta. Un esempio di errore riscontrabile in questo tipo di dislessia è che la parola "LETTO" può essere letta come ETTO o PETTO, SETTO, TETTO.

 Dislessia attenzionale: I soggetti cono questo tipo di dislessia sono in grado di leggere le parole, ma non le lettere che le compongono. Ovvero sono in grado di leggere la parola CASA, ma non riescono a denominare le lettere presenti in essa C-A-S-A. Inoltre, sono in grado di leggere le parole e le lettere solo qualora vengano presentate separatamente, mentre non riescono a leggerle se fanno parte di una serie. Ad esempio possono leggere la parola CASA se presentata singolarmente, ma non più se fa parte di una serie come CASA, PERA, MELA o SEDIA. Uno degli errori più tipici di questi pazienti è la "migrazione" delle lettere, per cui se vengono presentate contemporaneamente le stringhe PANE-RITO esse possono essere lette come RINE-PATO.

 Dislessia lettera per lettera o Alessia pura16: Questo tipo di dislessia fa sì che i soggetti leggano solo le singole lettere che compongono la parola, ma non la parola intera. Qualora i soggetti commettano errori, questi sono di tipo visivo, ovvero di confusione tra parole visivamente simili. La dislessia lettera per lettera viene denominata anche Alessia pura perché, generalmente, i pazienti che ne soffrono mantengono inalterata la capacità di scrittura e di spelling e solitamente non sono associati altri disturbi del linguaggio, quali per esempio l'afasia.

Dislessie centrali

Le dislessie centrali sono quei disturbi di lettura il cui deficit è a carico delle due procedure necessarie per la lettura ad alta voce, ovvero quella della via fonologica e quella della via visiva.

16 Forma di afasia, detta anche afasia visiva o cecità verbale, che consiste nella perdita della capacità di leggere;

si riscontra in seguito a una lesione dei centri cerebrali per la perdita dell'associazione tra i segni grafici e i concetti corrispondenti.

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 Dislessia superficiale o lettura fonologica: è un disturbo della lettura di parole non regolari e che costituiscono eccezioni di pronuncia. Per questa sua caratteristica è più facilmente diagnosticabile in soggetti la cui lingua madre è una lingua opaca che contiene parole con ortografia irregolare o con eccezioni di pronuncia (ad esempio l'inglese). Chi è affetto da dislessia superficiale è solitamente in grado di leggere le non parole presentate attraverso la conversione grafema-fonema.

Per quanto riguarda la produzione scritta sono frequenti errori ortografici, cioè sostituzioni, eliminazioni o aggiunte di lettere.

Es. A DOGNI invece che AD OGNI

 Dislessia fonologica o lettura visiva: La dislessia fonologica è un disturbo causato dal danneggiamento del sistema dedicato al controllo delle regole di conversione grafema-fonema e consiste nell'incapacità di leggere le non-parole e le parole sconosciute, mentre viene conservata la capacità di leggere le parole familiari al soggetto. La lettura delle parole può essere molto accurata o presentare dei deficit nella lettura di parole astratte e parole funzione in quanto prive di significato e di rappresentazione visiva. Questo pattern di sintomi rende molto labili i confini tra dislessia fonologica e dislessia profonda (sebbene in quest'ultima siano sempre presenti errori di tipo semantico).

 Dislessia profonda: I soggetti che soffrono di questo tipo di dislessia vedono compromessa la loro capacità di leggere stringhe di lettere che non formano parole, come ad esempio PRENO. Gli errori comuni e i sintomi più frequenti nei pazienti affetti da dislessia profonda, oltre all'incapacità di leggere a voce alta le non parole, sono: errori di tipo semantico (ovvero quando vengono presentate parole singole non viene letta la parola scritta, ma una di significato correlato a questa. Es. CANE  GATTO); errori visivi (errore frequente quando una parola ha molti grafemi in comune con un’altra parola. Es. LETTO  METTO); errori prima visivi e poi semantici (es. QUANDO  QUANTO); errori morfologici (quando viene modificato il prefisso o il suffisso della parola. Es. ANDAVO ANDATO).

 Dislessia diretta o iperlessia o lettura senza comprensione: L'iperlessia è un disturbo di lettura che comporta un’incapacità di leggere le non parole e una mancata comprensione delle parole che però vengono lette correttamente.

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1.3.2 Classificazione delle Dislessie Evolutive.

Dislessia fonologica evolutiva: i sintomi di questa dislessia evolutiva sono simili a quelli della dislessia fonologica acquisita, sebbene si presentino in forma più sfumata e le dissociazioni siano meno marcate. Questo tipo di dislessia inibisce la “via fonologica” della lettura arrestando il processo di apprendimento della lettura allo stadio della conversione grafema-fonema. Per questo motivo il soggetto non riesce ad applicare le regole per la creazione di sillabe, morfemi e affissi. In particolare, la dislessia fonologica evolutiva crea difficoltà nel leggere le non parole.

Dislessia superficiale evolutiva: la dislessia superficiale è presente sia come disturbo evolutivo che come disturbo acquisito, sebbene in letteratura siano stati descritti pochi casi di dislessia evolutiva superficiale. Uno dei sintomi caratteristici di questo deficit è la sostanziale inefficienza della lettura di parole contenenti eccezioni di pronuncia o accentate in modo irregolare, mentre vengono lette senza errori le non parole. Un deficit di questo tipo dovrebbe essere il risultato di un blocco dello sviluppo a livello dello stadio ortografico, per cui il soggetto non ha problemi a compiere le conversioni grafema-fonema, ma non possiede l’inventario lessicale necessario ad automatizzare la lettura.

Dislessia mista: È il tipo di dislessia evolutiva più comune in quanto colpisce circa il 40% dei bambini con dislessia. I soggetti che presentano questa forma di dislessia leggono lentamente o commettono molti errori di omissione, sostituzione di lettere e di parole. Si ritiene che alla base di questo disturbo vi sia una compromissione di entrambi gli emisferi cerebrali.

Un’altra classificazione molto utilizzata in Europa è quella di D. Bakker (1990) che oltre alla dislessia mista ne propone altri due tipi:

Dislessia linguistica: vengono commessi molti errori come la sostituzione e l’omissione di lettere e/o parole. La causa di questa dislessia è un carente sviluppo funzionale dell’emisfero sinistro che va a compromettere l’analisi linguistica durante la lettura.

Dislessia percettiva: la lettura è molto lenta, ma vengono commessi pochi errori. Si ritiene che questo tipo di dislessia dipenda da una compromissione dell’analisi visiva delle lettere e delle parole.

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1.4 La dislessia e gli altri Disturbi Specifici dell’Apprendimento: la

comorbilità.

La definizione Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA)17 si riferisce ai disturbi delle abilità scolastiche caratterizzati da una significativa difficoltà nell’acquisizione di abilità di lettura, scrittura e calcolo che interferiscono con il normale funzionamento del soggetto. Questi disturbi si presentano in soggetti che hanno un Q.I. nella norma, che hanno usufruito di una opportunità di apprendimento normale e non presentano disturbi neuromotori o sensoriali o disturbi significativi della sfera emotiva o psicopatologica preesistenti.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) li inserisce, secondo la classificazione dell’International Classification of Deseases (ICD-10), tra i “Disorders of psychological development” come “Specific developmental disorders of scholastic skills”18 (Tabella 2) e li definisce in questo modo:

“These are disorders in which the normal patterns of skill acquisition are disturbed from the early stages of development. They are not simply a consequence of a lack of opportunity to learn, nor are they due to any form of acquired brain trauma or disease. Rather, the disorders are thought to stem from abnormalities in cognitive processing that derive largely from some type of biological dysfunction. As with most other developmental disorders, the conditions are substantially more common in boys than in girls. […]Specific developmental disorders of scholastic skills (SDDSS) comprise groups of disorders manifested by specific and significant impairments in learning of scholastic skills. These impairments in learning are not the direct result of other disorders (such as mental retardation, gross neurological deficits, uncorrected visual or auditory problems, or emotional disturbances), although they may occur concurrently with such conditions.

SDDSS frequently occur in conjunction with other clinical syndromes (such as attention deficit disorder or conduct disorder)

17 L’etichetta Disturbi Specifici dell’Apprendimento è la traduzione dell’inglese Specific Learning Disabilities. 18 Disordini dello sviluppo psicologico – Disordini specifici dello sviluppo delle abilità scolastiche.

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or other developmental disorders (such as specific developmental disorder of motor function or specific developmental disorders of speech and language).”19

(ICD-10 Classification of Mental and Behavioural Disorders)

Lo psicologo statunitense D. D. Hammill nel 1990 definiva le caratteristiche generali del Disturbo di Apprendimento (Specific Learning Disability è l’espressione corrispondente in lingua inglese) basandosi sulla intesa a cui erano giunte numerose associazioni di ricerca ed intervento nel campo:

“Learning Disability (L.D.) is a generic term that refers to a heterogeneous group of disorders manifested by significant difficulties in the acquisition and use of listening, speaking, reading, writing, reasoning or mathematical abilities. These disorders are intrinsic to the individual and presumed to be due to central nervous system dysfunction. Even though a learning disability may occur concomitantly with other handicapping conditions (e.g., sensory impairment, mental retardation, social and emotional disturbance) or environmental influences (e.g., cultural differences,

19 “Essi sono disturbi nei quali le modalità normali di acquisizione delle capacità in questione (lettura, scrittura

e calcolo) sono alterate già nelle fasi iniziali dello sviluppo. Essi non sono semplicemente una conseguenza di una mancanza di opportunità di apprendere e non sono dovuti a una malattia cerebrale acquisita. Piuttosto si ritiene che i disturbi derivino da anomalie nell’elaborazione cognitiva legate in larga misura a qualche tipo di disfunzione biologica. Come per la maggior parte degli altri disturbi dello sviluppo, queste condizioni sono marcatamente più frequenti nei maschi. I disturbi evolutivi specifici delle abilità scolastiche (SDDSS) comprendono un gruppo di disturbi che si manifestano attraverso difficoltà specifiche e significative nell’apprendimento delle abilità scolastiche. Questi disturbi dell'apprendimento non sono il risultato diretto di altri disturbi (come il ritardo mentale, deficit neurologici gravi, problemi visivi o uditivi, o disturbi emotivi), anche se possono verificarsi in concomitanza con tali condizioni. I SDDSS spesso si verificano in concomitanza con altre sindromi cliniche (come il Disturbo da Deficit di Attenzione o il Disturbo della Condotta) o altri disturbi dello sviluppo (come il Disturbo Specifico dello Sviluppo della Funzione Motoria o i Disturbi Specifici dello Sviluppo della Parola e della Lingua). ”

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insufficient/inappropriate instruction, psychogenic factors), it is not the direct result of those conditions or influences.”20

(Hamill, Leigh, McNutt & Larsen, 1990)

Le principali caratteristiche dei DSA sono:

 Inattese e importanti difficoltà nella letto-scrittura e/o nei numeri e nel calcolo;  Difficoltà nella consapevolezza fonologica (difficoltà nel riconoscere quanti, quali e

in che ordine sono i suoni di una parola);

 Lentezza nell’automatizzazione di diverse abilità;

La specificità intesa come disturbo che interessa uno specifico dominio di abilità in modo significativo ma circoscritto, lasciando intatto il funzionamento intellettivo generale.

Prima di continuare questa veloce panoramica sui DSA, è necessario soffermarsi sull’ultima caratteristica attribuita a questi ultimi: la specificità. L’uso di questo termine potrebbe sembrare fuorviante dato che sembrerebbe rimandare a una specificità che, di fatto, non esiste. L’ambiguità del termine fa pensare che ci si riferisca a un dominio di abilità specifico nonostante, come si è visto nel paragrafo 1.3.2, per quanto riguarda la dislessia evolutiva non sia così21. In realtà, con il termine specifici si vuol far riferimento al fatto che questi disturbi non hanno nulla a che fare con un ritardo generalizzato.

20 “Il termine Learning Disability (LS) si riferisce ad un gruppo eterogeneo di disturbi manifestati da

significative difficoltà nell’acquisizione e nell’uso di abilità di ascolto, espressione orale, lettura, ragionamento e matematica, presumibilmente dovuti a disfunzioni del sistema nervoso centrale. Possono coesistere con la L.D. problemi nei comportamenti di autoregolazione, nella percezione sociale e nell’interazione sociale, ma non costituiscono di per sé una L.D. Le L.D. possono verificarsi in concomitanza con altri fattori di handicap o con influenze estrinseche (culturali, d’istruzione, ecc.), ma non sono il risultato di quelle condizioni o influenze.”

21 Nel quarto e nel quinto capitolo verranno riportati i dati di alcuni test compiuti per dimostrare che la dislessia

evolutiva comporta anche difficoltà nella progettazione e nella formulazione di un testo scritto e di un racconto orale e che questo disturbo causa anche grosse difficoltà nell’uso di alcuni elementi grammaticali quali: i pronomi clitici, i pronomi relativi e le preposizioni semplici e articolati.

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Concentrandoci in particolare sulla dislessia, i problemi di apprendimento della lettura possono essere suddivisi in due categorie:

 Un ritardo generalizzato in cui i deficit di lettura e/o scrittura sono associati a un deficit globale nello sviluppo cognitivo e, di conseguenza, il QI del soggetto è inferiore a 85;

 Disturbo specifico della lettura (la dislessia evolutiva) che caratterizza i bambini con un QI normale (≥ 85) o superiore alla norma (da 100 in su).

Per tornare al focus del paragrafo, il principale criterio necessario per effettuare una diagnosi di DSA è quello della “discrepanza” tra abilità nel dominio linguistico specifico e l'intelligenza generale. I domini specifici dei DSA sono: lettura, ortografia, grafia, numero, procedure esecutive del numero e calcolo.

L’incidenza di questi disturbi è stimabile mediamente attorno al 3-4% a seconda dell’età, nonché dei criteri e degli strumenti utilizzati dai ricercatori. Si tratta in ogni caso di valori importanti, poiché questo significa che in media ci possiamo aspettare la presenza di un alunno per classe con queste difficoltà (Cornoldi 1999:10).

Studi recenti (Morris et al. 2000) hanno confermato l’origine genetica dei DSA. Esisterebbero dunque dei geni che vengono trasmessi dal genitore al figlio come parte del proprio corredo cromosomico. Da questi studi è anche emerso che i maschi sono più predisposti a sviluppare un DSA rispetto alle femmine (vedi Tabella 1).

Sono considerati DSA: disortografia, disgrafia, discalculia e dislessia. L'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel manuale diagnostico della Classificazione Internazionale delle Malattie - ICD-10 (OMS, 2008), denomina i Disturbi di Apprendimento nella categoria F-81.0, F-81.1, F-81.2, "Patologie mentali e del comportamento dello sviluppo psicologico- Disordini specifici dello sviluppo delle abilità scolastiche.”. (Tabella 2).

La Disortografia: è un disturbo specifico della scrittura che non fa rispettare le

regole di trasformazione del linguaggio parlato in linguaggio scritto e non è imputabile alla mancanza di esperienza o a deficit motori o sensoriali. A causa di questo disturbo vengono perciò commessi molti errori di tipo fonologico (confusione tra fonemi simili v/f, s/z, t/d) e visuospaziali (vengono confusi grafemi simili: b/d/p/q/g). Il soggetto tralascia spesso parti della parola come le doppie (PALLA PALA), le vocali e le consonanti mediane (FUOCO  FOCO; CARTOLINA  CATOLINA). Un’altra caratteristica dei soggetti disortografici è la difficoltà nell’usare le maiuscole, gli accenti, gli apostrofi e la punteggiatura (Cappa et al., 2012:18).

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La Disgrafia: è un disturbo specifico della scrittura che rende difficoltosa la

riproduzione di segni alfabetici e numerici; essa è caratterizzata da una bassa qualità dell’aspetto grafico e rende il soggetto disgrafico più affaticabile durante la scrittura. Quindi si può dire che la disgrafia è un’anomalia del movimento corsivo e della condotta del tratto che si traduce in difficoltà di coordinamento, irregolarità delle spaziature, malformazioni e discordanze di ogni tipo associate a un tratto di pessima qualità.

La Discalculia: è anche chiamata Disturbo specifico delle abilità aritmetiche ed è

un deficit che può riguardare sia il sistema della cognizione numerica sia le procedure esecutive di calcolo. La discalculia si manifesta in bambini a sviluppo tipico, di intelligenza normale e che non hanno subito danni neurologici e può presentarsi associata a dislessia e ad altri disturbi dell'apprendimento. Riguardo alla discalculia evolutiva, sulla base della Consensus Conference del 2009 si distinguono due profili, caratterizzati da:

1. Primo tipo: debolezza nella strutturazione cognitiva delle componenti numeriche (cioè negli aspetti basali, quali meccanismi di quantificazione, seriazione, comparazione, strategie di calcolo mentale, ecc.);

2. Secondo tipo: compromissioni a livello procedurale e di calcolo (lettura, scrittura e incolonnamento dei numeri, recupero dei fatti numerici e degli algoritmi del calcolo scritto).

Tabella 1Incidenza percentuale dei tipi fondamentali di difficoltà di apprendimento scolastico in studenti della scuola secondaria di I e II grado (Tratto da Cornoldi 1999: 11)

Tipo di difficoltà Maschi Femmine

Basso rendimento scolastico DSA

Disturbi del linguaggio Disturbi di attenzione Ritardo mentale Disturbi di personalità Disabilità plurime Sordità e ipoacusia 13 4,5 1,5 5 1 1 0,15 0,1 7 3,5 1 1,25 1 1 0,15 0,1

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Tabella 2 Quadro dei disturbi dell’apprendimento in base al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) e all’International Classification of Deseases ICD (Tratto da Cornoldi, 1999:50). Nell’ICD la classificazione delle malattie è ripartita in ventidue capitoli e ad ogni gruppo di malattie vengono assegnate una lettera e un codice alfanumerico. I codici qui riportati fanno riferimento al gruppo cui appartengono i disturbi di lettura, scrittura e calcolo, cioè il gruppo F delle Patologie mentali e del comportamento nel capitolo V. Il numero si riferisce alla posizione di questi disturbi rispetto agli altri novantanove che compongono il gruppo, nello specifico nelle posizioni da F80 a F89, rientrano le Patologie mentali e del comportamento dello sviluppo psicologico22.

Codice ICD (2007) Tipo F 81.0 Disturbo di lettura F 81.2 Disturbo di calcolo F 81.1 Disturbo di scrittura Fisionomia Difficoltà in accuratezza,

velocità e comprensione; frequenti sostituzioni, distorsioni e omissioni.

Difficoltà di aritmetica e nel ragionamento logico

Difficoltò nel comporre testi, nel dettato, nella copia, sul piano della grammatica, ortografia e calligrafia.

Caratteri associati

Ritardo nel linguaggio, deficit in scrittura, calcolo, attenzione, memoria e coordinazione

Deficit di lettura, scrittura, coordinazione, attenzione e memoria

Deficit di lettura-calcolo, linguistici, percettivi e motori Prevalenza Stimata al 4% Stimata all’1% circa Raro in forma associata da altri

disordini di apprendimento Decorso Positivo nei meno gravi ? Problematico per i gravi Familiarità Comune il riscontro nei

familiari

? ?

Diagnosi differenziale

Deficit visivi-uditivi, linguistici, di sviluppo generalizzato, ritardo mentale Deficit visivi-uditivi, linguistici, di sviluppo generalizzato, ritardo mentale

Deficit visivi-uditivi, linguistici, di sviluppo generalizzato, di coordinazione motoria Criteri

diagnostici

A) basso rendimento rispetto all’età, al QI e al livello di educazione;

B) interferisce sui risultati scolastici e sull’adattamento; C) non dovuto ad handicap sensoriale.

A) basso rendimento rispetto all’età, al QI e al livello di educazione; B) interferisce sui risultati scolastici e

sull’adattamento;

C) non dovuto ad handicap sensoriale.

A) basso rendimento rispetto all’età, al QI e al livello di educazione;

B) interferisce sui risultati scolastici e sull’adattamento; C) non dovuto ad handicap sensoriale.

22 Il capitolo V include disturbi psichici e comportamentali di natura organica (F00-F09), dovuti all'uso di

sostanze psicoattive (F10-F19), affettivi (F30-F39), nevrotici (F40-F48), legati a disfunzioni fisiologiche (F50-F59), disturbi della personalità (F60-F69), dello sviluppo psicologico (F80-F89) e comportamentali (F90-F98).

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1.4.1 La Dislessia.

La dislessia è il disturbo dell’apprendimento maggiormente diffuso, ed è caratterizzata da un disturbo dell’apprendimento della lettura che colpisce i bambini con intelligenza normale e che frequentemente si associa a difficoltà nella scrittura (Aglioti e Fabbro 2006:160). Stime recenti indicano che circa il 2,5% della popolazione italiana presenta disturbi di lettura non attribuibili a scarso esercizio o a disturbi neurologici. Quindi su circa 60 milioni di abitanti, circa un milione di persone ha difficoltà a leggere a causa della dislessia evolutiva (Stella 2004:47-48). Per lungo tempo si è sostenuto che la dislessia evolutiva fosse un disturbo più frequentemente maschile, con un’incidenza che può raggiungere anche l'80% di uomini sulla popolazione dei dislessici. Tuttavia, questo dato potrebbe essere in parte il risultato della modalità di segnalazione dei soggetti con disturbi d’apprendimento.

Si parla di dislessia solo quando il disturbo di transcodifica è isolato e non può essere messo in relazione con altri disturbi, di cui la lettura può essere considerata una conseguenza indiretta. Risulta chiaro che il disturbo di lettura non è sufficiente per definire un soggetto come dislessico (Stella 2004:15).

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito le cinque condizioni che devono sussistere affinché si possa parlare di dislessia (tratto da Stella, 2004:15):

 Livello di intelligenza nella norma (Q.I. ≥ 85);

 Il livello di lettura deve essere significativamente distante da quello di un bambino di pari età o classe frequentata. Più nello specifico deve essere al di sotto di due deviazioni standard per l’età o la classe frequentata;

 Assenza di problemi neurologici o sensoriali che possano giustificare la difficoltà di lettura come conseguenza indiretta;

 Il disturbo deve essere persistente nonostante un livello di educazione adeguato e uno specifico intervento didattico;

 La difficoltà nella lettura deve presentare conseguenze dirette sul rendimento scolastico e nelle attività sociali che richiedono abilità di lettura e scrittura (Stella, 2010).

Nelle lingue a ortografia trasparente come l’italiano, il parametro che viene riconosciuto come il più rilevante per la diagnosi di dislessia è la velocità di lettura. Essa

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viene misurata tramite la lettura di brani e liste di parole e non parole, mentre la correttezza viene misurata in base al numero di errori commessi durante la lettura di un brano.23 Non concorre invece alla diagnosi la comprensione del testo scritto anche se fornisce dati rilevanti sull’efficienza del lettore (Linee guida DSA 2011).

Quindi, per riassumere, vengono considerati dislessici i soggetti che risultino due o più deviazioni standard sotto la media nella correttezza e rapidità della lettura e che presentino un ritardo nelle abilità di lettura superiore a due anni rispetto alla classe frequentata (Aglioti e Fabbro, 2006:160).

La dislessia si può presentare in modalità molto diverse da soggetto a soggetto. Di seguito vengono presentate le caratteristiche più comuni relative alla decodifica della singola parola o del testo scritto. Queste possono non essere tutte presenti contemporaneamente (tratto da Denes e Pizzamiglio, 1990):

a) Scarsa discriminazione di grafemi.

Il soggetto mostra difficoltà nel discriminare grafemi uguali o simili, ma diversamente orientati; nella lettura può confondere ad esempio p e b; d e q; u e n; a e; b e d.

b) Scarsa discriminazione di grafemi simili.

Il soggetto mostra difficoltà nel discriminare grafemi che presentano somiglianze. In particolare quando deve leggere la scrittura corsiva, il soggetto può confondere ad esempio m con n; c con e; f con t; e con a.

c) Scarsa discriminazione di grafemi che all’ascolto corrispondono a fonemi sordi

e fonemi sonori.

Il soggetto mostra difficoltà nel discriminare grafemi relativi a fonemi con somiglianze percettivo-uditive. Le coppie di fonemi simili sono le seguenti:

f e v; t e d; p e b; c e g

d) Difficoltà di decodifica sequenziale.

Leggere nella lingua italiana richiede al lettore di procedere con lo sguardo in direzione sinistra-destra e dall'alto in basso; tale processo appare complesso per tutti gli individui nelle fasi iniziali di apprendimento della lettura ma, con l’affinarsi della tecnica e

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