UNIVERSITÀ DI PISA
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT
Corso di Laurea Magistrale in Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari
BANCHE E SOCIAL MEDIA: OPPORTUNITÀ E MINACCE
Candidato:
Giacomo Donati
Relatore:
Prof.ssa Paola Ferretti
INTRODUZIONE 7
1- LA DIFFUSIONE DI INTERNET E DEI SOCIAL MEDIA 11
1.1 L’utilizzo di internet e dei social: dati e statistiche 11
1.2 Breve descrizione dei principali social media 14
1.3 Social marketing: inquadramento generale 21
2- LE BANCHE E I SOCIAL MEDIA 27
2.1 Inquadramento specifico e tendenze evolutive 27
2.2 Opportunità e rischi 34
2.3 L’operatività sulle piattaforme social 40
2.3.1 Obiettivi e attività svolte 40
2.3.2 Strumenti utilizzati 48
2.4 Le metriche per misurare le performance sui social media 50
3- I CAMBIAMENTI GESTIONALI APPORTATI DAL SOCIAL
BANKING 57
3.1 La struttura organizzativa del social banking 57
3.1.1 La gestione delle piattaforme social 61
3.2 Gli impatti sulla cultura aziendale e sulla policy 66
3.2.1 La cybersecurity 71
3.3 La relazione con la clientela 73
3.3.1 La customer experience 75
3.3.2 La customer relatioship management 79
4- LE OPPORTUNITÀ E LE MINACCE PER IL SETTORE
BANCARIO 85
4.1 Millennials, chi sono i clienti del futuro 85
4.1.1 Il rapporto con le banche 86
4.2 I nuovi strumenti al servizio del social banking 91
4.2.2 L’evoluzione della consulenza: i robo advisor 98
4.3 I nuovi player: quali rischi per le banche? 101
4.3.1 Lo sviluppo del fintech 102
4.3.2 I primi servizi finanziari erogati dai social media 106
4.3.3 La consulenza social 109
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 113
BIBLIOGRAFIA 115
INTRODUZIONE
Il mondo in cui viviamo oggi ruota attorno ad Internet ed ai Social Media.
Originariamente il web è stato concepito come modo per visualizzare documenti ipertestuali statici, il cosiddetto Web 1.0, diffuso fino agli anni Novanta e che non consentiva alcuna possibilità di interazione con l’utente, eccetto la normale navigazione ipertestuale tra le pagine, l’uso delle e-mail e dei motori di ricerca. La fase successiva (chiamata Web 2.0) è invece caratterizzata dalla possibilità per gli utenti di interagire e modificare i contenuti delle pagine web online. Questa fase costituisce anzitutto un approccio filosofico alla rete che ne connota la dimensione sociale, della condivisione, dell’autorialità rispetto alla mera fruizione: sebbene dal punto di vista tecnologico molti strumenti della rete possano apparire invariati, è proprio la modalità di utilizzo della rete ad aprire nuovi scenari fondati sulla compresenza nell’utente della possibilità di fruire e di creare/modificare i contenuti multimediali.
Ma l’apice di questo processo di democratizzazione del web lo si raggiunge con l’avvento dei social media: adesso chiunque può essere autore e “consumatore” di dati, condividendo e ricercando testi, immagini e video. Queste reti di condivisione sono entrate sempre più rapidamente nel nostro quotidiano, tanto da mettere radici culturali profonde nel nostro modo di vivere e diventare indispensabili. Niente di più facile che utilizzare Facebook per contattare una persona che non si vede da anni, niente di più veloce che informarsi su quello che succede nel mondo utilizzando Twitter, o ancora: non so come aprire un conto online con una determinata banca? Posso imparare guardando un video tutorial su YouTube. Questi strumenti infatti sono entrati a tempo pieno anche nell’operatività delle aziende e, più recentemente, nel mondo bancario: non è raro che quella determinata banca abbia una propria pagina in cui posti video in aiuto dei clienti o con la quale faccia attività di ingaggio dei prospect.
Valutare l’attività social delle banche, le opportunità che questi nuovi strumenti possono offrire ad un settore tradizionale per definizione in termini di marketing,
comportano e le minacce che possono scaturirne sono il punto centrale del presente lavoro.
Nel primo capitolo si riportano i dati sull’utilizzo del web e dei social media nel mondo e in Italia, con un focus riguardante le principali piattaforme nel quale, per ognuna, si prendono in considerazione la nascita, gli sviluppi e le principali caratteristiche. In seguito, si dà un inquadramento generale sulla fruizione dei social network per il marketing aziendale, con i vantaggi che possono derivarne. Nel capitolo seguente si fa riferimento proprio all’interazione specifica tra banche e social media, osservando il percorso di sviluppo negli ultimi quattro anni, le opportunità ed i rischi dell’implementare strategie di social banking e l’operatività effettiva, ovvero quali sono gli obiettivi generali e specifici che le banche intendono raggiungere e le attività e gli strumenti con cui intendono farlo. Infine, si prendono in esame le metriche per la misurazione delle performance sui social media, ossia gli strumenti mediante i quali è possibile valutare il successo o meno di una strategia messa in atto dalla banca.
Andando avanti, nel terzo capitolo, si entra nella sfera di gestione interna della banca e si chiariscono le varie strutture organizzative con cui si può gestire il social banking, prendendo anche due casi pratici come esempi: Deutsche Bank e BCC di Monastier e del Sile. Successivamente si valutano gli impatti che questi strumenti hanno sulla cultura aziendale e sulla conformità, fornendo una serie di documenti (social media policy) che avrebbero lo scopo di formalizzare un framework che definisca il rapporto tra dipendenti e social media e che dovrebbero garantire la protezione dei dati personali anche nelle nuove forme di comunicazione elettronica: per questo si fa un excursus riguardante la cybersecurity. L’ultimo paragrafo fa riferimento alla relazione con la clientela, fornendo una definizione di customer experience e customer relationship management e spiegando come queste siano migliorate e migliorabili con l’utilizzo della nuova tecnologia dei Big
Data.
Nell’ultimo capitolo, infine, si esaminano le opportunità che gli istituti bancari dovrebbero cogliere velocemente per sostenere la propria operatività e non rischiare di perdere quote importanti di mercato, quali: riuscire ad ingaggiare i
Millennials come clienti (per tutta una serie di motivi che verranno presi in considerazione), ed introdurre al proprio interno i nuovi strumenti forniti dalla tecnologia come i chatbot ed i roboadvisor. Il lavoro si conclude con uno sguardo alle principali minacce per il settore bancario che giungono dal FinTech, ossia aziende tecnologiche che forniscono alcuni servizi tipici degli intermediari finanziari e che stanno guadagnando sempre più mercato, e dai social media stessi.
CAPITOLO 1
LA DIFFUSIONE DI INTERNET E DEI SOCIAL MEDIA
Internet e i social media sono entrati ormai nella vita quotidiana della maggior parte della popolazione. Se la diffusione di questi strumenti, nella maggior parte dei casi, è partita con finalità di intrattenimento, oggi queste piattaforme sono utilizzate dalle aziende come supporto alla clientela, come strumento di marketing e per sviluppare il proprio business; d’altro lato, gli stessi strumenti vengono presi in considerazione dai clienti come canale informativo per farsi un’opinione sui prodotti/servizi da acquistare.
Il presidio di questi strumenti sta diventando, quindi, strategico per le aziende che intendono garantire un servizio affidabile e tempestivo alla clientela e promuovere nuovi prodotti/servizi (KPMG, 2013).
1.1 L’UTILIZZO DI INTERNET IN ITALIA
Secondo la prima edizione della ricerca “Social Banking” redatta da KPMG nel 2013, l’utilizzo di internet in Italia ha fatto registrare un aumento costante negli ultimi anni: è stato misurato infatti, considerando un periodo storico e previsionale che va dal 2000 al 2016, un CAGR (Compound Annual Growth Rate) del 24,1%. Se all’inizio del nuovo millennio solo poco più di 13 milioni di italiani utilizzavano la rete, nel 2013 gli utenti sono passati a 36 milioni e ad oggi (in linea con quanto previsto dalla ricerca) questi sono circa 39 milioni, ovvero il 64% della popolazione totale.
Andando più nello specifico a monitorare l’utilizzo di internet in base alla fascia d’età emerge, sempre da tale ricerca, come la percentuale più alta si individui nella fascia dei giovani (20-24 anni) con un 86%, e dei giovanissimi (15-19 anni) con un 89%. Per queste due categorie il dato è costante negli ultimi anni, o comunque ha registrato un lieve aumento, mentre per l’età adulta vi è stata una crescita decisamente superiore: le fasce da 35 a 59 anni hanno avuto, negli ultimi 5 anni, un incremento del 20% nell’utilizzo di internet dovuto al progressivo invecchiamento della popolazione.
Si prendono poi in considerazione le attività per cui viene utilizzato internet: consultare news e wiki e partecipare a social media/network sono le attività principali che vengono svolte; un gradino più in basso troviamo giocare, lo streaming, caricare contenuti e fare chiamate e videochiamate; concludono, con percentuali nettamente inferiori, cercare lavoro e partecipare ai network professionali.
Su una base di 31.910.000 individui, ovvero soggetti di età compresa tra gli 11 e i 74 anni che dichiarano di aver navigato in rete negli ultimi 30 giorni, si evidenzia che, in assoluto, il principale device da cui si accede alla rete è il computer di casa (74,2%). Seguono a grande distanza, ma con percentuali significative, lo smartphone (34,8%) e il computer del lavoro (22,6%). Infine, sulla stessa base di popolazione, vengono riportate le principali motivazioni che inducono all’utilizzo di internet (Tabella 1).
Tabella 1
Uso di internet: principali motivazioni Valori
%
Stime in ‘000 Mi permette di acquisire informazioni su qualunque argomento 42,0% 13.396
Ci sono cose che si trovano solo su internet 26,5% 8.453 Posso usufruire di servizi a distanza, velocemente (PA, università,
viaggi, ecc.)
25,0% 7.966
Mi piace aggiornarmi in tempo reale sui principali avvenimenti di cronaca
22,9% 7.319
Mi piace mettermi in contatto con persone in ogni parte del mondo 18,4% 5.859 Lo studio e il lavoro diventano più divertenti/efficienti 17,5% 5.591 Mi consente di risparmiare tempo e denaro 16,6% 5.296 Mi diverto a navigare tra i siti più impensati 12,8% 4.093 Mi sembra di avere il mondo a portata di mouse 11,5% 3.677
Gli altri media mi interessano meno 6,1% 1.936
Per raccontare qualcosa di me 4,9% 1.555
Per giocare ad essere qualcun altro 3,3% 1.053
Particolarmente rilevante, per lo sviluppo di internet e per il suo utilizzo quotidiano, è la grande ascesa dei mobile device quali smartphone e, più recentemente, tablet. Secondo la ricerca effettuata da KPMG nel 2013, 16,8 milioni di individui accedono ad internet tramite smartphone e 2,7 milioni mediante tablet. Rivoluzionarie in questo senso sono state le applicazioni mobili, le cosiddette App, che hanno stravolto l’utilizzo del web e il modo in cui accedervi, rendendoli più facili e veloci. Considerando le applicazioni utilizzate almeno una volta nell’arco di 30 giorni, il 45% di esse sono app che permettono di accedere e chattare sui social network, mentre solo il 4,9% riguardano i mercati finanziari (Audiweb, 2012).
Il trend a cui si assiste al giorno d’oggi è perfettamente in linea con quanto previsto da KPMG, ed è in continua evoluzione. La penetrazione dell’online sulla popolazione di età pari o superiore ai 18 anni si attesta al 64%, ciò significa che un italiano su tre sopra i 18 anni non accede alla rete nel corso del mese, e quelli che vi accedono trascorrono la metà del tempo sui social media e sulle app di messaggistica.
A dimostrazione della grande importanza che hanno assunto negli ultimi anni le piattaforme mobile si è registrato, nell’arco che va da dicembre 2015 a dicembre 2016, un decremento nell’utilizzo del desktop del 4%, in favore di un incremento del 12% per i dispositivi mobili. Questi ultimi, infatti, raggiungono anche utenti non attivi su desktop poiché una componente sempre più consistente di chi naviga in rete accede solo da mobile. Trascinatori di questo fenomeno sono soprattutto due:
- lo sviluppo delle già citate App, le quali rappresentano la stragrande maggioranza del tempo trascorso sulla rete con i device mobili. Alcune delle applicazioni più scaricate, come il social media Instagram e l’app di messaggistica WhatsApp, nascono come App Native, di conseguenza gli altri social, le aziende e anche le banche che avevano investito nella costruzione di un proprio sito internet, sono state costrette ad adeguarsi al nuovo modo di intendere il web e a dotarsi anch’esse di una versione mobile
del proprio sito (per adattarsi alle dimensioni di smartphone e/o tablet) e/o di un’App (Figura 1);
- l’utilizzo di internet da parte di fasce sempre più giovani della popolazione, i digital native (anche se questa definizione è stata oggetto di molte critiche e modificata più volte) che non solo passano in media più tempo sui dispositivi mobili, ma sono anche più predisposti ad eliminare totalmente l’uso del desktop (Angelini, 2017).
Figura 1 (Angelini, 2017)
1.2 BREVE DESCRIZIONE DEI PRINCIPALI SOCIAL MEDIA
Si possono definire Social Network Sites quei servizi web che permettono:
• la creazione di un profilo pubblico o semipubblico all’interno di un sistema vincolato;
• l’articolazione di una lista contatti;
• la possibilità di scorrere la lista di amici dei propri contatti.
Un’altra definizione che viene data dei social media è quella fornita da Kaplan e Haenlein (2010), che li definiscono come un gruppo di applicazioni internet-based
0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80% 90% 100%
Le principali App in termini di penetrazione
(Solo Smartphone Android | DIC 2016)
costruite sulle fondazioni ideologiche e tecnologiche del Web 2.0 e che permettono la creazione e lo scambio di contenuti generati dagli utenti.
Il primo servizio di social networking ad aver avuto tutte e tre le caratteristiche fu lo statunitense SixDegrees.com, lanciato nel lontano 1997. Ma è solo nel 2003 che il termine “social network” iniziò a diventare di uso comune grazie al successo di Friendster. Per la prima volta un servizio web mostrava le foto degli utenti con il loro nome vero, permetteva di cercare le persone, amici di amici, di vedere il loro profilo e decidere se connettersi alla loro rete (Cosenza, 2014).
Il 15 agosto 2003 venne lanciato MySpace che aveva l’obiettivo di dare ai giovani uno spazio franco dove fare tutto ciò che volevano. Gran parte del successo di questa piattaforma scaturì dal fatto che veniva anche utilizzata come luogo d’incontro tra giovani artisti, desiderosi di mostrare le proprie capacità musicali, e case discografiche a caccia di nuovi talenti. Si può quindi parlare di un primo esempio di e-recruitment, quello che adesso viene svolto su piattaforme come LinkedIn e Youtube.
L’interesse che hanno suscitato i primi network, tuttavia, non è niente in confronto al successo planetario che hanno oggi i principali social media, i quali possono vantare centinaia di milioni di utenti che si collegano quotidianamente da tutte le parti del mondo.
Facebook è un servizio di rete sociale a cui gli utenti possono accedere previa registrazione gratuita. Venne lanciato il 4 febbraio 2004 negli Stati Uniti con l’obiettivo di creare un social network esclusivo e basato su identità reali, un servizio di comunicazione per rimanere in contatto con gente conosciuta. Nei primi anni il merito del team fu quello di portare avanti una strategia e una execution precisa e oculata, evitando di fare gli errori dei predecessori. Solo in seguito arriveranno quelle innovazioni che renderanno unico il social network, come l’applicazione Foto, la prima ad avere caratteristiche sociali come il tagging e il
news feed, fondamentale per portare in superficie le novità del network di amici
Successivamente l’intuizione di trasformare il servizio in una vera e propria piattaforma, in un sistema operativo in grado di ospitare applicazioni di terze parti, porrà le basi per garantire all’azienda quel keystone advantage che l’ha portata a superare il miliardo di utenti (ottobre 2012) e a sfidare il gigante Google (Cosenza, 2014).
Il 18 maggio 2012 Facebook si è quotato al NASDAQ e, ad oggi, ha raggiunto la soglia record di 2 miliardi di utenti. In Italia le persone iscritte al social network di Zuckerberg sono 30 milioni, ovvero una penetrazione del 97% se si considera che gli utenti mensili di Internet sono stimati in circa 31 milioni. In un giorno mediamente sono 24 milioni gli italiani che visitano il social network ma, ancora una volta, il dato più impressionante riguarda l’utilizzo in mobilità: sono 28 milioni coloro che, almeno una volta al mese, lo usano da un tablet o da uno smartphone, mentre 23 milioni vi accedono quotidianamente (www.vincos.it).
Twitter è un servizio gratuito di social network e microblogging che fornisce agli utenti una pagina personale aggiornabile tramite messaggi di testo con lunghezza massima di 140 caratteri. Questi messaggi possono essere etichettati con l’uso di uno o più hashtag: parole o combinazioni di parole precedute dal simbolo cancelletto. È stato creato nel marzo 2006 ed è costruito totalmente su architettura Open source (KPMG, 2013).
Se da un punto di vista convenzionale si può considerare Twitter come un vero e proprio social network, da quello comunicativo tende a contribuire allo sviluppo di processi sociali più vicini ai media broadcast come radio e televisione (Bennato et al., 2010). Si può notare, infatti, come questo social network venga utilizzato quale strumento leggero di reporting sia da parte dei giornalisti professionisti sia da parte di non professionisti, testimoni di eventi difficilmente raccontabili dai mass media. Nel 2014 il servizio poteva vantare 218 milioni di utenti collegati nell’arco di un mese (anche se solo una parte lo faceva ogni giorno), mentre oggi si contano 328 milioni di account collegati mensilmente. In Italia il dato invece
non raggiunge i 7 milioni, a dimostrazione del fatto che la popolazione web del nostro paese sia più orientata verso altri social media.
YOUTUBE
YouTube, fondato il 14 febbraio 2005, è una piattaforma web di video sharing, ovvero consente la condivisione e la visualizzazione in rete di video. Sul sito è possibile vedere videoclip, trailer, video divertenti, notizie, slideshow e altro ancora; gli utenti possono anche votare e commentare i video (Wikipedia). Nel 2006 YouTube è stato acquistato da Google per 1,65 miliardi di dollari.
Ogni giorno un miliardo di persone guardano 300 milioni di video; ogni minuto ne caricano 300 ore. Nel novembre 2014, scrive il “New York Times”, l’83% degli utenti internet negli Usa hanno guardato almeno un filmato su YouTube.
In Italia le visualizzazioni sono 1,2 miliardi al mese, gli utenti unici 20 milioni: un italiano su tre, neonati e novantenni compresi. Quattro utenti su dieci hanno un’età compresa tra 18 e 34 anni. Da quando è nata ad oggi la piattaforma fai-da-te per gli appassionati di video è diventata uno strumento professionale: oggi produce più filmati di successo di qualsiasi studio di Hollywood. Il passaggio dall’artigianato al mercato ha creato nuovi mestieri, portato pubblicità, generato redditi, aperto questioni di diritti d’autore e censura (Severgnini, 2015).
Ad oggi si contano nel mondo più di un miliardo di utenti attivi, dei quali 24 milioni solo in Italia.
LinkedIn è un servizio web di social network, impiegato principalmente per lo sviluppo di contatti professionali. Nasce nel 2003 negli Stati Uniti con lo scopo di consentire agli utenti registrati di mantenere una lista di persone conosciute e ritenute affidabili in ambito lavorativo. La rete di contatti a disposizione dell’utente è costituita da tutte le connessioni dell’utente, tutte le connessioni di 2° grado e quelle di 3° grado.
Su LinkedIn il profilo personale dell’utente diventa il proprio curriculum vitae, le relazioni non sono quelle amicali ma quelle professionali, con il fine di intessere relazioni utili alla propria carriera.
Gli introiti provengono da tre fonti: la tipica vendita di abbonamenti premium, le “hiring solution” e le “marketing solution”. La prima tipologia di soluzioni racchiude servizi di consulenza (LinkedIn Corporate Solutions) e pubblicità (LinkedIn Jobs) che aiutano le aziende ad individuare i migliori candidati da assumere; la seconda è pensata per offrire ai marketer nuove occasioni per entrare in contatto con partner e consumatori (Cosenza, 2014).
Gli utenti attivi mensilmente nel mondo, ad oggi, sono 106 milioni; in Italia si attestano intorno agli 8 milioni.
GOOGLE+
Google+ è un social network creato da Google nel 2011 che include importanti novità rispetto ad altri “social” più affermati, introducendo nuovi contenuti multimediali: offre la possibilità di avviare sessioni audio e video, tramite ad esempio i “videoritrovi” (hangouts), stanze virtuali dove è possibile condividere video e parlare allo stesso tempo con tutti i componenti presenti all’interno, tramite microfono e webcam. Sempre tramite la chat gli utenti hanno la possibilità di scambiarsi file. Un’altra importante innovazione introdotta da Google+ è l’organizzazione dei contatti suddivisi in cerchie creabili e modificabili dall’utente; questo sistema vuole garantire un maggiore livello di privacy.
Google+ ha raggiunto i 500 milioni di utenti alla fine del 2012 e oggi conta 300 milioni di accout attivi al mese, dei quali 7,3 milioni sono gli attivi in Italia.
Instagram è un social network che permette agli utenti di scattare foto, applicarvi filtri e condividerle in rete. Nasce come App nativa e viene lanciata il 6 ottobre 2010, per essere poi acquistata nel 2012 da Facebook Inc. per un miliardo di dollari. Probabilmente è il social network che ha avuto il successo più repentino, avendo in pochissimo tempo superato piattaforme consolidate e con più esperienza
nel settore. Oggi infatti viene classificato come il terzo social network (dopo Facebook e YouTube) forte dei sui 800 milioni di utenti attivi in tutto il mondo e il titolo è detenuto anche in Italia con 14 milioni di utenti attivi; la peculiarità di questa piattaforma è quella di essere la preferita dai giovani e dai giovanissimi: l’età prevalente è quella che va dai 19 ai 24 anni.
Pinterest è un social network fondato nel 2010, dedicato alla condivisione di fotografie, video e immagini. Basato sull’idea di creare un catalogo online delle ispirazioni, permette agli utenti di creare bacheche per gestire la raccolta di immagini in base a temi predefiniti o da loro generati; è integrato e integrabile con altri social network, come Facebook e Twitter, e con i siti web.
Gli utenti a gennaio 2012 erano 11 milioni e Pinterest era tra 100 siti web più visitati al mondo. Oggi registra circa 150 milioni di accessi al mese, mentre in Italia gli utilizzatori mensili sono soltanto 4,7 milioni.
CANALI DI MESSAGGISTICA SOCIAL
Sono piattaforme di messaggistica istantanea che permettono agli utenti di chattare tra loro, inviando messaggi, foto e brevi video, ma anche di effettuare chiamate e videochiamate, il tutto online e gratuitamente. Le differenze principali rispetto alla
posta elettronica o altri tipi di chat stanno non solo nella brevità dei messaggi o nella velocità della loro consegna, ma anche nel fatto che lo scambio di messaggi avviene in modalità sincrona. Negli ultimi anni hanno assunto un’importanza sempre maggiore, con percentuali di utenti attivi che raggiungono quelle dei principali social network. I più importanti canali di messaggistica social sono: Facebook Messenger, WhatsApp (anch’esso di proprietà di Facebook Inc. dal 2014), Skype, Telegram, WeChat, Snapchat e il Direct Messaging di Instagram. Come possiamo osservare dalle Figure 2 e 3, la crescita dei social media negli ultimi dieci anni è stata esponenziale.
Figura 2 (Ambrosio, 2017)
Figura 3 (Ambrosio, 2017)
Esaminando il periodo necessario, dal lancio di una nuova invenzione sul mercato, per raggiungere 50 milioni di utenti, possiamo osservare come per il telefono siano stati necessari 75 anni, per la radio 38 e per la televisione solo 13. La diffusione
0 500000 1000000 1500000 2000000 2500000
Utenti attivi al mese nel Mondo
(in migliaia) 0 5000 10000 15000 20000 25000 30000 35000
Facebook Youtube Instagram LinkedIn Google+ Twitter Pinterest Tumblr Snapchat
Utenti attivi al mese in Italia
delle innovazioni tecnologiche sta diventando sempre più veloce, con un’accelerazione mai vista in precedenza: il World Wide Web ha raggiunto 50 milioni di utenti al quarto anno dalla sua nascita, Facebook al secondo anno, mentre una delle app di giochi più scaricate di sempre in soli 35 giorni.
Con questa velocità e questa penetrazione, i social media sono delle armi irrinunciabili per il marketing e per le relazioni con i clienti delle aziende e delle banche; tutte le attività degli utenti, i loro contatti e le loro preferenze vengono registrate in un immenso database che oggi non viene ancora pienamente sfruttato, ma che non è pensabile ignorare.
1.3 SOCIAL MARKETING: INQUADRAMENTO GENERALE
Il panorama dei social media che si presenta alle aziende è talmente variegato e mutevole da richiedere un’attenta ponderazione delle strategie di comunicazione da utilizzare e dei luoghi nei quali essere presenti. Ogni media ha una propria identità che va compresa prima di poterne valutare l’utilizzo, in termini di codici e dinamiche di comunicazione, aspettative dell’utenza, ma anche di costi e benefici (Cosenza, 2014).
Per fare degli esempi, YouTube è solitamente usato dalle aziende come archivio di documenti video, ma può anche divenire un vero e proprio strumento di marketing attivo; Twitter può essere utilizzato non solo per rilanciare contenuti prodotti altrove, ma può anche diventare un progetto strutturato in grado di far leva sulle specificità della piattaforma, diventando quindi essenziale per annunciare nuovi prodotti e offerte di breve termine oppure per dare risposte tempestive a clienti e prospect; la gestione di una pagina ufficiale su Facebook consente l’impiego di minori risorse iniziali, non necessita del coinvolgimento dei dipendenti e permette di avere risultati misurabili in tempi ragionevoli.
Ma quali sono i reali vantaggi che le aziende possono conseguire decidendo di implementare una strategia di gestione social?
Innanzitutto, un utilizzo ottimale dei social media permette di incrementare la visibilità del brand e il rapporto di lungo termine con i clienti, e per le aziende è essenziale tenere informati i propri clienti in modo continuo e interagire con loro.
Le compagnie che offrono servizi altamente complessi e che richiedono un alto livello di lealtà, come le banche, possono migliorare la propria “value proposition” e il “customer value” mediante un uso corretto dei social media (Angelini et al., 2017). Tuttavia, le interazioni non sono soltanto tra le aziende e i propri clienti, attuali e potenziali, ma esiste anche il rapporto cosiddetto peer-to-peer: i clienti di un’azienda interagiscono tra loro, chiedendo consigli, dando suggerimenti, ma soprattutto raccontando ai “prospect” la propria esperienza, influenzando le decisioni di acquisto altrui.
Come detto, si sta diffondendo sempre più tra i consumatori la tendenza a reperire in rete e attraverso i canali digitali le informazioni a supporto delle scelte d’acquisto; pertanto, il loro corretto e adeguato presidio è il punto di partenza per fidelizzare la clientela e cogliere nuove opportunità. In rete i clienti possono reperire informazioni attraverso molteplici canali (motori di ricerca, esperienze di compratori, social media) e gran parte di essi ormai adotta questo approccio nelle scelte d’acquisto (KPMG, 2014).
Da quanto riportato dalla seconda edizione della ricerca KPMG del 2014, inoltre, il 40% degli utenti dichiara di cercare informazioni in rete per la scelta di servizi finanziari, anche più complessi rispetto a quelli semplici pensati per il segmento mass/retail. Le scelte di acquisto dei prodotti/servizi finanziari si basano su più step: nel primo, quello del reperimento delle informazioni preliminari, risultano più importanti le informazioni raccolte da siti, blog e profili corporate; nella seconda e terza fase, rispettivamente di approfondimento e decisione, assumono maggiore rilevanza le esperienze di altri utenti (esperti del settore, altri clienti, contatti personali).
Creare un account aziendale su Twitter o una fanpage su Facebook non è però sinonimo di buona gestione dei social media. Un “like” alla pagina può rappresentare un primo contatto con l’azienda da parte della clientela soprattutto prospect, ma non corrisponde automaticamente ad un acquisto o ad un vero interesse. È in questo senso che deve nascere una vera e propria strategia di Social Media Marketing: bisogna essere in grado di catturare l’interesse degli utenti ma
anche imparare a rispondere repentinamente a situazioni contingenti e risolvere eventuali crisi scaturenti da notizie negative riguardanti l’azienda, che possono innescare una serie di commenti da parte degli utenti sui social.
Il marketing, quindi, sta evolvendo secondo i seguenti driver: - minore pianificazione nel medio periodo;
- comunicazione many-to-many e non più solo one-to-many;
- conversazione “real time” per rispondere alle necessità del cliente;
- relazione con clientela attuale e potenziale impostata su una logica di scambio;
- effort consistente in termini di risorse e pianificazione strategica delle risposte.
(KPMG, 2014).
Come tutte le innovazioni e i cambiamenti, anche la svolta del marketing verso i canali social ha richiesto e richiede tutt’ora profondi cambiamenti strutturali, organizzativi e culturali. Vi è stata inizialmente una fisiologica cautela, da parte del management aziendale, nell’approcciarsi a questi nuovi strumenti dovuta al fatto che la funzionalità ed i risultati non sono sempre numericamente “controllabili” secondo logiche consolidate, o meglio, vi è difficoltà nel farlo. La valutazione del ritorno dell’investimento (ROI) nel marketing online non è sempre di facile determinazione ed è necessario integrare la componente nel marketing mix aziendale; infatti, secondo la ricerca KPMG, la maggior parte delle aziende dichiara di “avere difficoltà nel misurare l’efficacia dei social media nel raggiungimento dei risultati di business”. In realtà, secondo Cosenza, il ROI è soltanto uno dei tanti indici di risultato (KPI) che si possono misurare e non tutte le attività attraverso i social media devono necessariamente essere misurate in termini di ritorno sull’investimento. Nel corso degli anni si sono susseguiti tutta una serie di studi e di teorie su come calcolare la profittabilità del marketing sui social media, sono stati presentati vari parametri per valutare il successo di una campagna e si è iniziato a parlare di Social Media Analytics come una nuova disciplina in grado di aiutare le aziende a misurare, valutare e spiegare le
performace delle iniziative sui social media nel contesto di specifici obiettivi di business (Lovett, Owyang, 2010).
Vi sono quindi più possibilità di misurare la performance di una campagna di marketing e dipendono da più fattori, come la piattaforma che si è utilizzata o l’orizzonte temporale di riferimento. Quel che è certo è che le aziende non possono più fare a meno di questi nuovi strumenti: nonostante un utilizzo ottimale richieda una pianificazione e una gestione attenta e possano sorgere nel tempo varie problematiche da fronteggiare, sicuramente la decisione di non presidiare in maniera ottimale questi canali comporterà un danno superiore a quelli che saranno i costi di gestione ed i rischi in termini di reputazione aziendale.
Nel 2013 uno studio dello IULM condotto su 720 aziende italiane mostrava come stava crescendo la consapevolezza dei social: il 64% del campione dichiarava di usare qualche strumento partecipativo nelle attività di comunicazione e il dato saliva all’80% per le grandi imprese, mentre scendeva al 50% per le piccole. Nella maggior parte dei casi si trattava di Facebook (75%), YouTube (51%), Twitter (45%) e LinkedIn (44%).
I dati sono confermati da uno studio recente condotto dal Centro di ricerca interuniversitario in economia del territorio (Criet) dell’Università di Milano-Bicocca, che ha analizzato il comportamento di 274 imprese appartenenti a diversi settori che operano nel nostro Paese, 268 delle quali attive sui social media. Dall'analisi delle loro attività e dal confronto con i dati del 2016 emerge che il social network più gettonato resta Facebook: solo una realtà su 20 dichiara di non ricorrervi, in linea con le rilevazioni dell'anno precedente. Alle sue spalle si piazzano YouTube, utilizzato dall'81% del campione considerato (in crescita rispetto al 70% del 2016) e Twitter che si ferma al 72%, in flessione di 3 punti percentuali rispetto allo studio precedente. Da sottolineare però anche l'affermarsi deciso negli ultimi 12 mesi di Instagram, che passa dal 29% al 69% e supera LinkedIn che ha comunque registrato un incremento che l'ha portato dal 45% al 64% (SkyTG24, 2017).
Queste considerazioni evidenziano l’importanza dei social media all’interno di una strategia di marketing; comunque, per il settore bancario, l’argomento è poco esplorato. Nel campione degli studi presi in considerazione precedentemente, è presente anche il settore degli intermediari bancari. Sebbene siano partite con un leggero ritardo nell’adottare questi nuovi strumenti, poiché hanno dovuto attivare sistemi (che sono in continua evoluzione) per la protezione dagli attacchi digitali e discutere in materia di privacy e trattamento dei dati personali, oggi le banche, come vedremo, sono grandi utilizzatrici dei social media. Con le pressioni che giungono dal crescente settore della tecnofinanza e la popolazione che sta diventando sempre più “digitale” (con la crescita dei cosiddetti Millennials), le banche sono state costrette ad inserirsi in un questo processo di trasformazione per evitare di venire tagliate fuori dal mercato.
Adesso andiamo ad osservare, nello specifico, come è nato e si è sviluppato il Social Media Marketing tra gli intermediari bancari, quali sono i suoi principali utilizzi ed alcuni degli sviluppi a cui assisteremo nei prossimi anni.
CAPITOLO 2
LE BANCHE E I SOCIAL MEDIA
2.1 INQUADRAMENTO SPECIFICO E TENDENZE EVOLUTIVE
Abbiamo visto che la diffusione dei social media nel mondo del business sta cambiando radicalmente le abitudini dei consumatori. La rete è utilizzata non più solo per cercare informazioni ma anche per condividerle, mentre le aziende sfruttano le piattaforme dei social network per creare o difendere una reputazione, fare customer care, marketing, educare. In questo nuovo ecosistema cambia il paradigma di comunicazione con la clientela e l’imperativo per i gruppi bancari è quello di allinearsi ai nuovi modelli, cercando di sfruttare al meglio le opportunità derivanti da questi strumenti (KPMG, 2013). Partendo dagli anni ’90, in cui vigeva un modello di comunicazione tra banca e clienti di tipo verticale uni-direzionale in cui i consumatori subivano passivamente il messaggio, si è arrivati al modello laterale sviluppatosi nel 2010 passando per un modello verticale bi-direzionale che abbiamo avuto modo di osservare all’inizio del nuovo millennio: il modello verticale bi-direzionale permette un’esperienza online più collaborativa e incentrata sul cliente (presenza di blog su cui è possibile lasciare commenti); inoltre la comunicazione si evolve da monologo a forme rudimentali di dialogo. Il modello laterale, invece, si è sviluppato grazie alla diffusione delle reti peer-to-peer che ha permesso ai clienti di condividere contenuti e il passaparola ha assunto una dimensione universale; infine, il messaggio è veicolato dai consumatori e i social media ne moltiplicano velocità e portata.
È proprio nel settore dei servizi finanziari che le innovazioni affermatesi con il web 2.0 determinano cambiamenti rilevanti, in grado di influenzare il core business degli istituti di credito. Le nuove tecnologie, infatti, rendono praticabili interessanti alternative al modo tradizionale di erogare i servizi bancari, consentendo di operare autonomamente sui conti correnti, i quali, grazie alle web-technologies, sono accessibili anche da remoto e in mobilità (Box 1).
Il rapporto tra banche e tecnologie internet-based è relativamente recente: i primi impieghi del web per effettuare transazioni finanziarie risalgono alla metà degli anni ’90 (Garczynski, 2013). Lo sviluppo dell’e-banking è caratterizzato da 4 fasi, distinte per tipo di prodotti bancari trattati e livello di interazione con gli utenti:
I. Siti internet statici, per fornire informazioni di routine (localizzazione degli sportelli ATM, orari di apertura, ecc.);
II. Pagine web interattive, per accedere a servizi self-service di base (trasferimenti di somme di denaro di modesta entità);
III. Disponibilità di servizi evoluti fruibili in modo autonomo, come lo svolgimento di operazioni passive (richiesta dell’estratto conto) e attive (trasferimento di denaro di importi elevati) e l’accesso online all’offerta di prodotti non bancari (come i prodotti assicurativi) o non finanziari (acquisto di ricariche per telefoni cellulari, abbonamenti per pay TV, ecc.);
IV. Impiego strategico di internet nel business delle banche, attraverso servizi complessi e personalizzati che consentono una vasta operatività sul conto e la possibilità di utilizzare da remoto strumenti di analisi finanziaria e servizi Box 1
E-banking
Con questo termine, detto anche online banking o home banking, si definiscono quei servizi bancari che consentono al cliente di effettuare operazioni bancarie da casa o dall’ufficio, mediante collegamento telematico. Con la nascita e lo sviluppo di internet e delle reti di telefonia cellulare, è stato reso possibile per i clienti effettuare operazioni bancarie tramite una connessione remota con la propria banca. Sotto questa generica definizione sono compresi anche i servizi di mobile
banking, per i quali l’accesso avviene tramite reti GSM, GPRS e UMTS.
L’introduzione di questo sistema ha permesso anche la nascita di banche totalmente online, per le quali le operazioni bancarie possono essere effettuate esclusivamente in rete.
Alcuni dei servizi di home banking più diffusi attualmente sono: visione
dell’estratto conto, bonifici bancari online, operazioni di ricarica del cellulare e pagamenti online.
di consulenza virtuali. Ciò che caratterizza la quarta fase è l’uso strategico dei social media per costruire relazioni con i consumatori (Gandolfo, 2016).
Come visto, l’ultimo passo dell’evoluzione dell’internet banking è appunto quello dell’utilizzo delle piattaforme social perché anche l’innovazione in ambito bancario segue quelli che sono i più recenti ritrovati della tecnologia. Storicamente le banche sono le ultime ad approcciarsi ai nuovi strumenti (es. telefono, tv, internet): essendo istituti per definizione tradizionali e che svolgono un ruolo delicato, preferiscono restare nell’ambito di meccanismi collaudati ed ampiamente diffusi tra la popolazione; per cui vi è sempre stata una successione temporale di utilizzo di una nuova tecnologia che va dalla diffusione al pubblico, all’utilizzo da parte delle aziende e, infine, da parte delle banche. È però innegabile che ad oggi i social media stanno rivoluzionando il modo di fare business: in particolare, stanno aprendo la possibilità di fare marketing diretto ed in tempo reale, fornendo una risposta immediata e customizzata alle esigenze di una clientela che potrebbe trovarsi potenzialmente anche all’altro capo del mondo. Si ritiene perciò che i tempi siano maturi per l’implementazione di tali canali anche da parte delle banche.
Il concetto di prossimità su cui il settore bancario ha impostato il proprio modello di servizio e che ha portato, fino al 2008, ad un aumento costante del numero di sportelli sull’intero territorio nazionale potrebbe cambiare forma, con la digitalizzazione e soprattutto i social media, assumendo piuttosto i confini di una prossimità virtuale grazie alla quale in ogni momento il cliente può entrare in contatto con la propria banca per richieste di informazioni o per assistenza su problematiche specifiche (KPMG, 2014).
Nel corso degli ultimi anni la presenza delle banche sui social media è mutata e incrementata notevolmente, muovendosi di pari passo con lo sviluppo delle piattaforme e le preferenze dei clienti per esse. Questo andamento è costantemente monitorato da KPMG (anche in collaborazione con l’ABI), che pubblica annualmente una ricerca che analizza un campione significativo di banche e la sua attività social sotto vari aspetti.
I primi dati fanno riferimento al biennio 2013-2014 e, in entrambi i casi, alla survey hanno aderito 21 tra i principali operatori bancari, nazionali ed internazionali, attivi sul mercato italiano, che rappresentano circa il 60% del total asset del settore in Italia; il campione include gruppi bancari maggiori e grandi, gruppi di dimensione medio-piccola, operatori multicanale e banche prevalentemente online.
Secondo il primo report, l’81% degli intervistati riteneva che i social network fossero importanti per lo sviluppo del business e un 43% li riteneva addirittura fondamentali: infatti, solo il 14% del campione dichiarava di non aver ancora definito una strategia e di non aver lanciato alcuna iniziativa social. Questo dato scompare già l’anno successivo, quando le banche che avevano già attivato i canali social rappresentavano il 90% del campione, e comunque il restante 10% non aveva ancora una presenza attiva su queste piattaforme ma aveva pianificato il proprio ingresso nei successivi 12/18 mesi.
Tra i social network maggiormente diffusi tra gli operatori bancari, nel 2013, vi erano Facebook e Youtube (già attivati dal 79% dei rispondenti), seguiti da Twitter (63%) e da LinkedIn e Google+ (tra il 40% e il 50%); tra gli altri social network di interesse per le banche si segnalavano Pinterest e SlideShare (ovvero un’applicazione web che consente di condividere presentazioni, che vengono classificate con i tag, attraverso un indirizzo pubblico). L’anno seguente si registrava un notevole sviluppo nel campione: YouTube era il social con maggiore diffusione (90%), seguito da Facebook e da Twitter (entrambi all’81%); inoltre, il 67% del campione era presente sul canale LinkedIn e il 48% su Google+. La predominanza di YouTube si spiega con l’aumento dei contenuti multimediali e la propensione di gran parte delle banche a veicolarli tramite questo social media. Tuttavia, nonostante il grande successo e l’ampia diffusione che avevano raggiunto queste piattaforme, nei primi report risultavano alcuni intermediari che non avevano ancora implementato l’utilizzo di questi canali o che si trovavano in una fase di pianificazione. Per questo motivo KPMG riporta quelle che sono le motivazioni che avevano impedito alle banche il ricorso ai social media:
- Nel primo report, le banche attribuivano soprattutto alla mancanza di risorse (83%) e alla difficoltà nel valutare i rischi connessi all’utilizzo di questo
tipo di canali (67%) le principali motivazioni del mancato utilizzo dei social network. Una discreta quota del campione (33%) dichiarava di essere diffidente rispetto a questi nuovi strumenti e, tra le altre motivazioni, i rispondenti avevano indicato la scarsa conoscenza degli strumenti;
- Da quanto evidenziato in “Social Banking 2.0”, in cui vi era soltanto un 10% del campione che non aveva ancora attivato canali social, tra le principali motivazioni gli intervistati avevano indicato la difficoltà nel valutare i rischi legati all’utilizzo dei social media (33%), la difficoltà di pianificare le attività (17%) e la diffidenza nei confronti dello strumento (17%). Tra le altre opzioni, il campione aveva indicato l’esigenza di individuare il corretto ruolo e gli obiettivi specifici del canale social per una sua integrazione organica insieme alle altre attività e leve di marketing e comunicazione digitale e il timore di esporsi a critiche degli utenti relativamente a prodotti e servizi.
Come visto, a distanza di un anno non solo è fortemente calato il numero di intermediari che non sono presenti su queste piattaforme, ma sono anche cambiati i motivi di tale scelta. Emblematico il fatto che nessun intermediario ha addotto come motivazione l’assenza di risorse, mentre l’anno precedente era la ragione principale della mancanza di un canale social.
Per esaminare dati più recenti si riportano gli esiti di un’indagine presso le banche, finalizzata a conoscere lo stato dell’arte e le prospettive di sviluppo delle loro attività sui social media, realizzata dall’ABI con la collaborazione di KPMG nei mesi di luglio-agosto 2016. L’indagine ha coinvolto 66 operatori del settore, che sono stati suddivisi in due cluster a partire dalla classificazione dimensionale indicata da Banca d’Italia:
- Banche Grandi, rappresentate dai primi 5 gruppi bancari italiani e dalle altre banche grandi o appartenenti a grandi gruppi (21 casi, pari al 32% del campione);
- Banche Piccole, rappresentate dalle banche di dimensioni piccole e minori e dalle filiali di banche estere (45 casi, pari al 68% del campione).
Complessivamente il campione analizzato rappresenta il 79% del totale attivo del settore.
L’importanza strategica delle nuove logiche 2.0 di interazione banca-cliente è dimostrata dai risultati della survey: l’80% del campione di banche intervistate è infatti attivo sui canali social e l’8% ha in programma di attivarsi nei successivi 12 mesi. Analizzando i due cluster emerge che la totalità del campione di banche grandi è già attivo sui social; di poco inferiore (71%) è invece la percentuale di banche piccole già presenti su tali canali, con l’11% di questo cluster che provvederà ad attivarsi entro l’anno seguente.
Tra le banche grandi il canale più diffuso è LinkedIn (95%), seguito da Twitter, Facebook e YouTube (90%); tra le banche piccole, invece, Facebook rappresenta il canale social maggiormente diffuso (88%), seguito da YouTube (75%), Twitter (50%) e LinkedIn (47%). Inoltre, si segnala la crescita di Instagram che non compariva nei due precedenti report di KPMG analizzati, ma che adesso raggiunge risultati importanti: ad oggi vengono individuate 29 banche; i big player ci sono, ma mancano all’appello alcuni operatori che ci si aspettava invece di trovare, non fosse altro per il loro posizionamento di banca online (WeBank, ING Direct, Banca Sella, Hello bank!). Esiste poi una miriade di piccoli istituti con account più o meno vivi, taluni apparentemente senza una strategia precisa. Comunque, alla data del 31 maggio 2017, le 29 banche individuate si spartiscono un paniere di 24.000 utenti, di cui le fette principali appartengono a UBI Banca (18,44%), Banca Mediolanum (14,52%) e BNL Cultura (12,55%), che da sole raccolgono oltre il 45% della follower base (Giotto, 2017).
Nel complesso, le banche sono presenti in media su 5 diversi social network. C’è da dire che molti operatori (il 55% di quelli presenti sui social) non si limitano più a dialogare con i clienti mediante i propri profili nelle pagine social, ma usano anche i canali di messaggistica per sostenere conversazioni dirette e personalizzate con i clienti. In questo senso, Facebook Messenger rappresenta il canale preferito: il 52% di banche grandi e il 44% di banche piccole hanno attivato strategie di comunicazione attraverso questo canale di messaggistica; percentuali molto più ridotte fanno riferimento a coloro che utilizzano Whatsapp (10% e 6%), mentre
Skype e Telegram vengono segnalati solo dalle banche appartenenti al secondo cluster. Infine, tra i canali alternativi, alcuni istituti intervistati hanno indicato la chat proprietaria, il canale di messaggistica della community della banca e il Direct messaging di Instagram
Anche per questa indagine vengono poi presentate le principali motivazioni che finora hanno disincentivato il ricorso ai social media. Prendendo ovviamente come base le banche non presenti su tali piattaforme, pari al 12% del campione totale, si vede come le ragioni di tale scelta sono da ricercarsi principalmente nella difficoltà di valutare i rischi legati all’utilizzo di questi strumenti (46%) e nella mancanza di professionalità specifiche per governarli (38%). Con percentuali inferiori (15%) si evidenziano la difficoltà nel pianificare l’attività e la difficoltà di misurazione del ROI dell’attività. Solo una minima parte degli intermediari non presenti sui canali social dichiara di non avere le risorse economiche disponibili per attuare progetti di innovazione su tali canali.
La presenza nell’ambiente digitale richiede agli operatori un grande cambiamento anche di tipo culturale e, in questo ambito, l’uso dei social media costituisce un’ulteriore sfida. Nonostante questi ultimi rappresentino una valida opportunità per ampliare i touch-point e le occasioni di contatto con i clienti, quando non anche il proprio perimetro di offerta, non tutti gli intermediari si sentono pronti ad intraprendere oggi questo percorso di innovazione (ABI, KPMG, 2016). Tuttavia, non è questo il pensiero della stragrande maggioranza degli operatori che, sebbene siano consapevoli dei rischi a cui possono andare incontro, sanno anche che la prospettiva di integrazione tra e-banking e social media favorisce, dunque, la progettazione di nuovi modelli di business i cui vantaggi consistono, oltre che in maggiore offerta di prodotti e servizi finanziari, nella possibilità di costruire relazioni dirette, personalizzate e interattive con la clientela.
Le opportunità introdotte dal web 2.0 aprono, dunque, nuove prospettive agli istituti di credito impegnati nella sfida del social banking (Gandolfo, 2016).
2.2 OPPORTUNITÀ E RISCHI
Ci sono molte ragioni per cui le banche non dovrebbero ritardare la decisione di approcciarsi attivamente all’utilizzo dei social media e, negli ultimi anni, queste sono diventate cruciali. In generale, si fa riferimento all’importanza sociale e culturale sempre più grande che stanno assumendo i social media, all’ampio uso che ne fa la popolazione e al comportamento dei competitor. Andando più nello specifico, invece, si osserva come la crisi finanziaria stia giocando un ruolo molto importante, perché ha fortemente influenzato la percezione che si ha dei brand; in questo senso le banche dovrebbero incentrare le loro relazioni con i clienti nell’ottica di riconquistarne la fiducia, che negli ultimi anni è stata persa.
Affidabilità, prontezza di risposta, chiarezza e trasparenza sono aspetti imprescindibili per l’utente, specialmente in un contesto in cui la reputazione del settore è ai minimi storici e le persone sono sfiduciate e molto più informate di un tempo. È attraverso i social che le banche cercano un dialogo, un riavvicinamento con gli utenti, un modo per far conoscere prodotti, servizi, promozioni ed è proprio con questa consapevolezza che esse pianificano la loro presenza sui social (Mengato, 2017).
Strategie di social media efficaci forniscono opportunità interessanti per approfondire la customer engagement, incrementando la capacità di conoscere in modo più approfondito i bisogni, le aspettative e le caratteristiche del pubblico; l’obiettivo finale è quello di includere i social media all’interno di una strategia di Customer Relationship Management. In questo modo le banche possono creare prodotti più innovativi e servizi che riflettono in tempo reale i bisogni dei clienti. Inoltre, queste strategie possono anche portare ad una riduzione dei costi e ad un aumento dei ricavi. Comunque, la più grande sfida per le banche è quella di incorporare effettivamente queste piattaforme all’interno della loro strategia di marketing, in modo da espandere il proprio business e migliorare i processi decisionali. A questo fine, alcuni operatori hanno iniziato ad utilizzare i dati provenienti dai social media per il tasso dei prestiti ed il prezzo dei prodotti: per esempio, MoveBank (U.S.) combina tradizionali elementi di punteggio con i dati
dei consumatori dei vari social network per stabilire il merito di credito e, di conseguenza, il tasso dei prestiti (Angelini et al., 2017).
Questa strategia di social marketing è motivata prevalentemente da alcune necessità primarie, che sono anche le opportunità fornite dal ricorso a queste piattaforme:
1. Creare/sfruttare relazioni bidirezionali con clienti/prospect: la comunicazione banca-cliente non è più soltanto unidirezionale ma diventa bidirezionale permettendo un dialogo a due. Questo è vantaggioso per entrambe le parti, poiché permette all’istituto di capire quali siano le percezioni e le preferenze del target di riferimento e di cogliere il grado di fiducia della clientela, con un’attività di monitoraggio che si avvicina molto ad una ricerca di mercato. Infatti, sui social gli utenti hanno la massima libertà di espressione e questo è un grande aiuto nel monitoraggio del sentiment, ma potrebbe anche essere fonte di problemi e insidie per la banca. Infine, questo permette di raccogliere idee e proposte per migliorare e innovare l’offerta;
2. Aumentare la “brand awareness”: la presenza del brand sui canali social può consentirne un rafforzamento in termini di immagine e reputazione; la banca trasmette all’interlocutore una disponibilità al sostegno e al suo benessere finanziario, condividendo spesso contenuti che sono veri e proprio consigli di natura finanziaria o indicazioni su come utilizzare al meglio i servizi; Intesa San Paolo, ad esempio, utilizza YouTube come un vero e proprio contenitore di video-tutorial al servizio dei follower. Parallelamente, il monitoraggio del sentiment, la gestione efficace dei commenti ed il controllo delle conversazioni sono azioni essenziali per mantenere alta la brand reputation;
3. Promuovere i prodotti e i servizi bancari: i social media offrono nuovi modi per presentare e promuovere soluzioni bancarie; attraverso questi canali, vi è la possibilità di offrire ai clienti/prospect prodotti altamente personalizzati e customizzati. Facebook, in questo senso, mette a disposizione i Facebook Audience Insights: uno strumento che permette di accedere ad una
targetizzazione molto dettagliata e, soprattutto, consente di distribuire messaggi agli individui in base a criteri molto precisi come posizione geografica, età, sesso, carriera, istruzione e interessi. Questa capacità di definire i destinatari della comunicazione istituzionale è vantaggiosa per quelle banche che mirano a determinate categorie di persone o ad un certo territorio;
4. Fornire un servizio di Customer Care: se da un lato la banca è facilitata nella comunicazione con i clienti e nella comprensione delle loro esigenze, dall’altro è fondamentale gestire correttamente la quantità di feedback presentati sotto forma di commenti, recensioni, richieste di approfondimento, al fine di preservare e accrescere la reputazione e la fidelizzazione del portafoglio clienti. Negli ultimi anni le banche hanno investito fortemente per rendere disponibile un servizio di social customer care con lo scopo di seguire attivamente le conversazioni online per chiarire le preoccupazioni dei consumatori e rispondere alle loro richieste;
5. Analizzare le performance: come già detto, i social offrono l’accesso a dati di Insights molto approfonditi e determinanti per indirizzare le attività verso quelle a maggior valore aggiunto; mediante i dati registrati si possono valutare importanti KPI come le visite al sito web, nuove aperture di conto e utilizzo dei servizi online. Si pongono così le basi per impostare eventi e report personalizzati e monitorare efficacemente il raggiungimento degli obiettivi definiti (Mengato, 2017).
Se da un lato appare inevitabile che gli istituti si debbano dotare di nuove tecnologie social che consentano di presidiare questi nuovi strumenti, dall’altro sarà necessario valutare anche i rischi legati alla presenza sulle piattaforme di social network. Questi ultimi, infatti, rappresentano uno strumento potente e allo stesso tempo pericoloso attraverso il quale i clienti possono esprimere più facilmente e con una risonanza maggiore la propria insoddisfazione.
Nonostante il potenziale dei social media, le banche sono ancora abbastanza scettiche riguardo all’utilizzo di queste piattaforme a causa di alcune difficoltà, come il regolamento, la compliance e problemi legali che potrebbero rappresentare degli ostacoli allo sviluppo dei canali social. Il settore finanziario è altamente regolamentato e, proprio per questo, le banche sono preoccupate per la mancanza di linee guida riguardo all’utilizzo dei social media: in questo contesto, l’attività social potrebbe entrare in contrasto con regolamentazioni future o portare al controllo da parte di associazioni della clientela. Per questo motivo, la mancanza di chiarezza nelle regole sulla gestione di questi canali ha causato incertezza nell’adozione di strategie di social media e nell’impatto che potrebbe avere qualsiasi attività a questi collegata (Angelini et al., 2017).
Lo scetticismo nei confronti delle piattaforme di networking è alimentato principalmente da due questioni: la potenziale minaccia alla privacy della clientela e l’impossibilità di tenere sotto controllo i contenuti che transitano sui canali digitali, con il rischio di pesanti conseguenze negative sulla “corporate image” in caso di incidenti mediatici (Gandolfo, 2016). Infatti, tutti i contenuti che vengono postati e le attività social in generale della banca sono pubblici, quindi potenzialmente accessibili a tutti e ciò potrebbe costituire un vantaggio prezioso per l’azienda, ma potrebbe anche rivelarsi devastante per la sua reputazione dal momento che contenuti relativi a comportamenti scorretti, disservizi o rumors trovano ampia ed immediata eco attraverso i canali digitali.
Per quanto riguarda l’aspetto della privacy dei clienti, il rischio a cui si potrebbe andare incontro è riferito sostanzialmente all’affidabilità tecnologica delle piattaforme di networking e alla loro capacità di sostenere il volume di traffico di contenuti. A tale scopo e per ovviare alla possibilità concreta di subire violazioni informatiche dei server e dei database, poiché si potrebbero trovare dati sensibili all’interno degli scambi di informazioni, è richiesta la presenza di elevati standard di sicurezza che, ovviamente, comportano per la banca impiego di risorse in termini di personale e denaro, con continui aggiornamenti per presidiare la continua evoluzione che è peculiare del settore.
Infine, le metriche utilizzate per valutare l’efficacia del coinvolgimento prodotto dai social media (engagement) ed il loro effetto sulle scelte dei consumatori, spesso sono ritenute ancora imprecise e approssimative, mentre mancano evidenze solide sui reali vantaggi dei social media per il marketing relazionale.
Questi sono i motivi principali che spiegano la cautela degli istituti bancari nell’implementare le piattaforme social all’interno della propria operatività; tuttavia, un breve periodo di incertezza nell’approcciarsi a nuovi strumenti è fisiologico ma, con il passare del tempo, non presidiare attivamente e attentamente questi canali potrebbe essere fonte di problemi ben più gravi di quelli discussi in precedenza. Allora, come dovrebbero comportarsi le banche in mancanza di linee guida del settore e cosa dovrebbero fare per attivare strategie di social media marketing, evitando così di restare indietro rispetto ai competitor e di essere spazzate via dal mercato?
Esistono degli accorgimenti che gli intermediari possono adottare per ovviare a situazioni spiacevoli nella relazione con i clienti e a difficoltà nel garantire la privacy e la compliance.
Innanzitutto, le banche dovrebbero fare affidamento su normative già esistenti e, sulla base di queste, interpretare come i social media dovrebbero essere gestiti; nel frattempo dovrebbero lavorare di concerto con i regolatori per rivedere le linee guida e gli standard, in modo da ottenere maggiore chiarezza sulle regole riguardanti i social media. Questo primo punto è particolarmente importante a causa della grande varietà di rischi coinvolti dalle attività social e perché, così facendo, ci sarà modo di giungere a dei framework sempre più appropriati.
Un altro punto di fondamentale importanza riguarda la sicurezza dei sistemi informatici, quindi la privacy della clientela, e bisogna prendere in considerazione anche la natura sempre mutevole dei social media. Per fare ciò si deve agire con una prospettiva di lungo periodo, per fornire flessibilità, una governance completa e strutture organizzative; quindi gli intermediari saranno chiamati a sostenere investimenti strategici nell’aggiornamento delle infrastrutture tecnologiche e ad identificare specifici strumenti per progettare un modello operativo per i social network. Oggi il finance spende tre volte di più degli altri settori in sicurezza
informatica, i budget sono in crescita e il 64% delle banche prevede nuovi investimenti in cybersecurity per far fronte a minacce sempre più numerose e per soddisfare le richieste degli organi governativi di regolamentazione, del top management e dei clienti (Rusconi, 2017).
Infine, per le banche è cruciale superare la paura del confronto con le critiche della clientela. Tutti gli operatori del settore indicano tra i problemi principali il rischio reputazionale e le difficoltà nel mitigarlo all’interno di un forum o una community incontrollati, per questo le banche dovrebbero imparare ad utilizzare i canali social a proprio vantaggio e a trasformare un cliente che si lamenta in un’opportunità, piuttosto che in un motivo di scontro. Inoltre, potrebbero avere a che fare con situazioni di crisi derivanti dalla rapida diffusione di cattive notizie da parte della clientela, ed è necessario quindi implementare un processo di gestione delle crisi basato sul monitoraggio delle conversazioni degli utenti sui social network, con l’obiettivo di rispondere rapidamente agli eventi negativi ed intervenire in maniera ottimale (in termini di tempo e contenuti) per mitigarne gli effetti corrispondenti: è meglio essere presenti e controllare le discussioni per essere sempre in grado di replicare in modo efficace, piuttosto che subire passivamente le critiche.
In letteratura, dunque, gli argomenti pro e contro l’impiego dei social media nelle strategie di marketing delle banche non sono conclusivi. Del resto, la maggior parte delle conoscenze sull’impiego professionale dei canali digitali deriva da studi condotti su settori industriali, dunque su imprese che fabbricano o vendono prodotti, mentre le ricerche sull’impiego dei social media in ambito finanziario sono relativamente limitate (Gandolfo, 2016). La gran parte degli operatori bancari tiene nella giusta considerazione la valenza strategica dello strumento social network e ne ha compreso le potenzialità e i rischi, dal momento che la competizione nel segmento retail già oggi è molto influenzata da questi canali innovativi. In prospettiva ci si attende un’ulteriore diffusione dei social network nel settore bancario. L’universo social, infatti, se opportunamente approcciato e gestito, può garantire un’interazione continuativa con la clientela che consente un
accesso senza precedenti a informazioni su stili di vita e di consumo dei clienti e prospect.
2.3 L’OPERATIVITÀ SULLE PIATTAFORME SOCIAL
Abbiamo visto quali sono le opportunità e i rischi che possono derivare dall’implementazione di strategie di Social Media Marketing, ma quali sono gli obiettivi che gli intermediari bancari si prefiggono di raggiungere e che li portano ad investire nell’utilizzo di questi strumenti?
2.3.1 OBIETTIVI E ATTIVITÀ SVOLTE
La presenza sulle piattaforme social dovrebbe consentire agli operatori bancari di aumentare i contatti con la clientela attuale e prospect e di soddisfare le sue esigenze anche in orari non convenzionali per gli sportelli bancari, di fidelizzarla, di monitorare e gestire i commenti per prevenire gli effetti moltiplicativi di eventuali perdite di business o, come abbiamo già visto, per sfruttare idee ed opportunità che possono scaturirne. Le principali finalità con cui le banche utilizzavano i social media erano la comunicazione e il marketing (tutti gli intervistati hanno indicato questa opzione), l’engagement della clientela attuale e prospect (72%) ed il customer care e supporto ai clienti (56%) (KPMG, 2013). L’anno successivo queste percentuali restano pressoché invariate: raggiungere un più ampio numero di utenti e far conoscere il proprio marchio è ancora lo scopo principale dello sviluppo di progetti social nelle banche; inoltre, gli operatori vogliono coinvolgere i clienti in una relazione più stretta con la propria banca e fornire un servizio di customer care. L’utilizzo di queste piattaforme può essere strategico anche nel rapporto con i propri dipendenti. Si segnalano infatti, l’ingaggio dei dipendenti per effettuare crowdsourcing, la realizzazione di nuove community intere per agevolare la condivisione di esperienze, la diffusione di valore aziendali e la realizzazione di wiki.
Quali sono gli obiettivi generali e specifici che le banche intendono raggiungere mediante l’inserimento dei social media all’interno della propria operatività, e gli strumenti con i quali si intende raggiungere tali obiettivi?
Per quanto riguarda gli obiettivi generali, si raccolgono indicazioni sul grado di importanza di alcuni macro-obiettivi:
• il rafforzamento dell’immagine e della reputazione;
• il marketing e business (acquisizione nuovi clienti, miglioramento qualità dei servizi, supporto allo sviluppo di nuovi business…);
• la raccolta di dati/informazioni sulla clientela attuale e potenziale;
• il sostegno alla cultura finanziaria e all’uso dei servizi bancari (customer care, assistenza clienti, educazione finanziaria);
• l’attivazione di operazioni bancarie sui social;
• l’innovazione di prodotti/servizi/brand attraverso il coinvolgimento partecipativo di clienti/prospect;
• la selezione del personale.
Da questa analisi emergono soprattutto due obiettivi che sono ritenuti “importanti” o “estremamente importanti” dagli operatori intervistati, e sono il rafforzamento dell’immagine e della reputazione e il marketing/business. Queste due categorie presentano però una sostanziale differenza tra loro: se il lavoro sull’immagine e la reputazione appare più immediatamente perseguibile, così facilmente raggiungibile non è invece lo sviluppo del business attraverso le attività social. Grazie ai social media è possibile contribuire a migliorare il rapporto banca-cliente e la percezione nei confronti dell’istituto soprattutto mediante l’attivazione di nuove forme di coinvolgimento degli utenti, volte a generare un sentimento di maggiore appartenenza e identificazione, potenziando la fiducia del mercato (ABI, KPMG, 2016). Invece, nonostante le maggiori difficoltà che gli operatori incontrano, per lo sviluppo di marketing e business le piattaforme social vengono utilizzate principalmente per le campagne di lancio di nuovi prodotti, per accrescere la fedeltà dei clienti attraverso iniziative di loyalty e per l’acquisizione di nuovi clienti.