Immagini/foto 38%
Testi 32%
Video e altri contenuti multimediali 22%
Documenti di approfondimento (report, ricerche,ecc.) 8%
applicati al web 2.0. Nonostante questo, si intravedono comunque delle linee evolutive.
• Dalla misurazione centrata sulla pagina alle metriche di durata: inizialmente la modalità preferita dai marketer per l’identificazione del consumo di contenuti in rete era la misurazione del numero di pagine visitate. L’arricchimento dei contenuti, il loro utilizzo non statico e l’evoluzione delle tecnologie di produzione/visualizzazione hanno dato valore alla misurazione del tempo di fruizione;
• Dalla misurazione basata sul clic al modello a eventi: quando i siti hanno iniziato a diventare più complessi e ricchi di stimoli, il clic non era più in grado di esprimere adeguatamente la qualità dell’esperienza dell’utente; quest’ultima va quindi misurata mediante “eventi” che permettono di interpretare l’interazione degli utenti con gli oggetti mediali predisposti; • Dalla misurazione focalizzata sull’interazione alle nuove misurazioni
sociali: il paradigma interaction-based è un modello di misurazione delle attività in rete, si basa sulla rilevazione delle interazioni tra utenti e oggetti e le metriche principali sono le conversioni e il tasso di conversione. In un ambiente sociale, invece, si sviluppano molte altre interazioni tra i soggetti stessi; inoltre gli utenti creano contenuti non completamente predefinibili o comunque non misurabili con le conversion. Si deve aggiungere quindi il conversation rate per tener conto della socialità sviluppata e favorita dall’ambiente sociale (Cosenza, 2014).
Di fronte a questi scenari si inizia quindi a parlare di social media analytics, ossia una nuova disciplina in grado di aiutare le aziende a misurare, valutare e spiegare le performance delle iniziative sui social media nel contesto di specifici obiettivi di business. È evidente la confusione iniziale che si è creata rispetto al concetto di misurazione in generale e a quello specifico delle attività sui social. Per lungo tempo la maggior parte delle agenzie di marketing ha provato a sottacere il problema ma questo comportamento omissivo, comprensibile nelle prime fasi di sperimentazione, non è più utile per le aziende che vogliono ottenere benefici
tangibili dalle strategie di social media marketing; devono quindi progettare un quadro di riferimento delle misurazioni utile a guidare il loro operato.
A questo fine sono state individuate quattro tipologie di misurazioni di cui un framework dovrebbe comporsi.
1. Counting metrics; 2. Business value metrics; 3. Foundational metrics; 4. Outcome metrics.
Nella prima categoria rientrano le metriche di base e specifiche per piattaforma: numero di fan, di follower, di visitatori sono dati che hanno valore soltanto se vengono utilizzati per derivare le altre tipologie di metriche.
Business value metrics sono quelle metriche che sono state create per essere comprensibili al team management; ci sono quindi impatto sul fatturato, impatto sulla soddisfazione (net promoter score) e market share. A livello invece di singole funzioni aziendali si distinguono ad esempio: brand awareness, numero di download e menzioni generate per i responsabili del marketing; citazioni, share of
voice e sentiment per i responsabili delle pubbliche relazioni; numero di richieste
derivanti dai social media, tasso di risposta, di soluzione del problema per il customer care team.
Foundational metrics sono una serie di metriche fondanti che dovrebbero essere utili a costruire i KPI specifici per obiettivi; la loro caratteristica è quella di essere trasversali a varie attività di marketing e di PR, non solo quelle sui social, quindi dovrebbero avere il vantaggio di poter essere usate come benchmark. Appartengono a questa categoria:
interaction = misura della risposta ottenuta a determinati stimoli engagement = misura dell’attenzione e partecipazione individuale influence = potere di una persona/azienda di determinare le azioni altrui
advocacy = capacità di un brand di indurre alcuni soggetti ad agire spontaneamente, promuovendone le iniziative o prendendone le difese
impact = abilità di una persona o di un gruppo di determinare il risultato desiderato di un’attività.
Infine, nell’ultima categoria, vi rientrano le cosiddette metriche di risultato o indicatori di performance, ovvero quelle metriche che sono state create per permettere di comprendere il grado di approssimazione ad un obiettivo predeterminato. Dato che sono costruite in funzione di uno specifico obiettivo, bisogna anche individuare quelle metriche che potrebbero essere realmente interessanti per un’azienda. Per esempio, alcuni obiettivi a cui associare dei KPI (Key Performance Indicators) potrebbero essere: incrementare la visibilità, generare interazioni, facilitare il supporto, promuovere l’advocacy e stimolare l’innovazione (Cosenza, 2014).
Per misurare l’efficacia dei social network adottati dalle banche si prende in considerazione uno studio condotto nel 2014 su un campione rispettivamente di 21 banche italiane e confrontato con il medesimo dell’anno precedente. Del campione fanno parte istituti con caratteristiche differenti sia per dimensione (maggiori, grandi, medi, piccoli), sia per profilo (banche tradizionali, online, operatori “atipici”). I social media considerati sono Facebook e Twitter, in quanto sono i più utilizzati e diffusi. I profili mappati sono 27 per Facebook e 20 per Twitter, poiché alcuni operatori hanno scelto di aprire pagine diverse in funzione del target; di queste, solo 4 delle pagine Facebook sono chiuse ai commenti dei fan.
Al 30 aprile 2014, il numero di fan complessivo del campione su Facebook si attestava a circa 1.300.000, con un aumento del 90% rispetto all’anno precedente. Nelle prime posizioni per numero di fan sono presenti operatori con caratteristiche molto diverse tra loro: banche grandi e piccole, banche digitali e operatori atipici come Poste Italiane. Per quanto riguarda Twitter, invece, figurano prevalentemente banche online per natura più disposte ad adottare le innovazioni digitali; il campione raggiunge quasi i 70.000 follower, con un incremento del 179% rispetto al 2013. Questa evidenza dimostra come Facebook abbia più successo, non solo perché è stato il primo, ma anche perché è un social network di “massa”, mentre Twitter è preferito da persone più innovative e con una particolare propensione alla comunicazione digitale.
Le distanze tra i due canali social si riducono se si considerano gli utenti attivi, ossia coloro che hanno generato contenuti, postando o commentando sui profili delle banche: secondo i dati, gli utenti attivi medi nel mese per pagina Facebook sono stati 5.170, mentre per pagina Twitter 1.950; in relazione all’anno precedente, però, il primo ha registrato una contrazione dallo 0,6% allo 0,4%, mentre l’altro un aumento dallo 0,6% al 3%. Nonostante la quota degli utenti attivi su Facebook si sia ridotta, il passaparola dei contenuti al di fuori delle pagine delle banche è aumentato notevolmente: se nel 2013 il People Talking About medio era 976, nel 2014 ha raggiunto quota 21.400. Questo significa che i post pubblicati in bacheca dai brand hanno una diffusione maggiore grazie alla condivisione dei fan. In ogni caso, i contenuti generati dagli utenti ha subito un incremento su entrambe le piattaforme.
Un altro tema da considerare riguarda le tempistiche di utilizzo delle piattaforme. La frequency fa riferimento alla frequenza di inserimento dei contenuti sulle pagine, mentre l’acceleration è il tempo medio dopo il quale i contenuti non ricevono ulteriori commenti/reply. I dati riguardanti questi due fattori sono espressi in Figura 2. Figura 2 (KPMG, 2014) 0 10 20 30 40 50 60
Frequency del brand Frequency dei fan Acceleration del brand Acceleration dei fan