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La disciplina degli aiuti di Stato per la tutela ambientale nell'ordinamento europeo

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UNIVERSITÀ DI PISA

Scuola di dottorato in Scienze Giuridiche

Programma di diritto pubblico e dell’economia

TESI DI DOTTORATO IUS/09

LA DISCIPLINA DEGLI AIUTI DI STATO PER LA TUTELA

AMBIENTALE NELL'ORDINAMENTO EUROPEO

Tutor:

Chiar.ma Prof.ssa Ilaria Lolli

Dottoranda:

Sara Demuru

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Indice

Introduzione...pag.3 Capitolo I

Gli aiuti di Stato tra disciplina della concorrenza e tutela dell'ambiente

1. Ambiente, concorrenza e mercato interno nell'ordinamento europeo...pag.6 2. Il principio di concorrenza e la politica degli aiuti di Stato nel contesto europeo...pag.27 Capitolo II

La nozione di aiuto di Stato e il potere di controllo della Commissione

1. La nozione di aiuto di Stato...pag.39 1.1. La nozione di impresa...pag.42 1.2. L'origine statale della misura: l'imputabilità della misura allo Stato e il finanziamento tramite risorse statali...pag.44 1.3. Il conferimento di un vantaggio...pag.53 1.4. La selettività della misura...pag.60 1.4.1. La selettività materiale...pag.64 1.4.2. La selettività geografica...pag.79 1.5. L'incidenza sugli scambi e distorsione della concorrenza...pag.84 2. Il potere di controllo della Commissione europea...pag.88

2.1. I confini della discrezionalità della Commissione: dall'art.107 TFUE al Regolamento generale di esenzione per categoria...pag.91 2.2. Compensatory justification e trasparenza...pag.95

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3. Il fondamento giustificativo degli aiuti di Stato per la tutela ambientale e il potere della Commissione europea...pag.98 Capitolo III

La compatibilità degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente

1. Aiuti di Stato e principio del “chi inquina paga”...pag.102 2. L'evoluzione della disciplina relativa agli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente...pag.122 3. Il Regolamento Generale di esenzione per categoria...pag.138 4. La Disciplina degli aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020...pag.152 5. Le tipologie di aiuto e le condizioni di compatibilità...pag.168

5.1. Il contributo al raggiungimento di un obiettivo di interesse comune...pag.176 5.2. La necessità dell'intervento statale...pag.179 5.3. L'adeguatezza dell'aiuto...pag.183 5.4. L'effetto di incentivazione...pag.187 5.5. La proporzionalità dell'aiuto...pag.192 5.6. La prevenzione degli effetti negativi sulla concorrenza...pag.199 5.7. La trasparenza...pag.203 6. Gli aiuti di Stato alla prova del principio del “chi inquina paga”...pag.204

Considerazioni conclusive...pag.212 Bibliografia...pag.225

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Introduzione

La progressiva emersione nell'opinione pubblica di una nuova sensibilità nei confronti dei problemi dell'ambiente ha da alcuni decenni indotto le istituzioni nazionali e sovranazionali ad elaborare politiche ambientali e a predisporre strumenti operativi di promozione di un nuovo modello di sviluppo, uno “sviluppo sostenibile”, capace di conciliare le esigenze della crescita economica con quelle della tutela ambientale e sociale.

Tra gli strumenti funzionali alla realizzazione dello sviluppo sostenibile ampio spazio viene riconosciuto, sia a livello europeo che nazionale, agli strumenti di mercato, tra i quali rientrano senz'altro le politiche di incentivazione predisposte dagli Stati per incoraggiare lo sviluppo di un'economia verde.

Tali politiche sono attuate dalle autorità pubbliche attraverso una pluralità di strumenti operativi che comprendono, ad esempio, misure di sostegno della produzione di energia da fonti rinnovabili o della produzione di prodotti ecocompatibili; misure volte a promuovere un utilizzo più razionale delle risorse naturali; sussidi per incoraggiare studi ambientali che possano contribuire ad individuare gli investimenti necessari per raggiungere un livello più elevato di tutela dell'ambiente; esenzioni o sgravi fiscali che possano indirettamente contribuire ad una maggior protezione ambientale; contributi per la ricerca e l'innovazione tecnologica capaci di favorire processi produttivi meno inquinanti.

Le ragioni di questo favore per il ricorso a strumenti incentivanti sono connesse sia alle peculiari caratteristiche della materia ambientale, entro la quale sono radicate significative cause di fallimenti del mercato (si pensi ad esempio al fenomeno dell'inquinamento, caso emblematico di esternalità negativa), sia alla particolare flessibilità e duttilità di tali strumenti1. Le misure di incentivazione

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possono infatti rivelarsi un fondamentale strumento di correzione dei fallimenti del mercato e di ripristino dell'efficienza dello stesso, oltreché un utile strumento per stimolare la crescita.

Tuttavia il ricorso da parte degli Stati a questa tipologia di misure, che implica un intervento nell'economia delle autorità pubbliche, solleva significative questioni attinenti sia alla loro compatibilità con la politica comunitaria della concorrenza (e in particolare con la disciplina sugli aiuti di Stato); sia al loro necessario coordinamento con gli altri strumenti propri della politica ambientale (soprattutto quelli attuativi del principio del “chi inquina paga”).

Tali questioni vengono affrontate dalle istituzioni europee nell'ambito della complessa disciplina sugli aiuti di Stato per la tutela ambientale, investita di recente da un più ampio processo di modernizzazione operato dalla Commissione europea, la quale cerca da tempo di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze sottese alla politica della concorrenza e le istanze che stanno alla base della politica ambientale.

Ed è proprio l'analisi di questa disciplina l'oggetto principale del presente lavoro. Più in particolare, nell'ambito del primo capitolo, dopo una sintetica ricostruzione dell'evoluzione del rapporto tra politica ambientale e politica della concorrenza nell'ordinamento europeo, si tenterà di individuare le linee di fondo della politica di controllo degli aiuti di Stato, quale componente essenziale della più ampia politica di concorrenza; per passare poi, nel secondo capitolo, ad esaminare gli elementi costitutivi della nozione di aiuto ed i poteri di controllo della Commissione. Infine, nell'ambito del terzo capitolo, dopo aver messo in luce i peculiari problemi connessi all'utilizzo degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente e sinteticamente descritto l'evoluzione della disciplina degli stessi, si tenterà di ricostruire la disciplina vigente, attraverso l'analisi dei due principali strumenti che regolano oggi la materia: il Regolamento n. 651/2014 (c.d. GBER)

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e la Comunicazione della Commissione 2014/C 200/01 relativa alla Disciplina degli aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020.

L'analisi di questo complesso sistema di regole non solo sarà utile per comprendere la funzione della politica di controllo degli aiuti, con particolare riferimento a quelli per la tutela dell'ambiente, ma ci potrà anche offrire un punto di vista privilegiato per capire quale è oggi il rapporto tra la politica dell'ambiente e quella della concorrenza nell'ambito dell'ordinamento europeo.

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CAPITOLO I

Gli aiuti di Stato tra disciplina della concorrenza e tutela

dell'ambiente

1. Ambiente, concorrenza e mercato interno nell'ordinamento

europeo

Quello tra concorrenza e ambiente è un rapporto complesso e mutevole, che nel corso del tempo ha attraversato diverse stagioni, come dimostra la singolare vicenda relativa alla stessa emersione dell'interesse ambientale nell'ambito dell'ordinamento giuridico europeo2.

Originariamente, infatti, la tutela dell'ambiente non era contemplata tra le finalità della Comunità economica europea né tra i settori di intervento delle istituzioni comunitarie3.

L'unico indiretto riferimento alla nozione di ambiente si poteva scorgere nell'art. 30 TCEE nella parte in cui prevedeva «la possibilità per gli Stati Membri, nell'assenza di una legislazione comunitaria, di adottare misure tese alla

2 Questo dinamico rapporto in qualche modo riflette le tre fasi di evoluzione del diritto dell'ambiente individuate da Rossi, ad avviso del quale saremmo passati da una prima fase, quella «dalla irrilevanza alla rilevanza giuridica dell'interesse all'ambiente», a una seconda fase, consistente nel «progressivo rafforzamento della tutela giuridica e della affermazione dell'interesse all'ambiente come interesse primario, destinatario, cioè, di una tutela rafforzata rispetto ad altri interessi» ad una terza, attualmente in corso, che è quella nella quale «matura la consapevolezza del carattere non settoriale del diritto dell'ambiente, che richiede non solo la composizione con altri interessi ma la loro stessa trasformazione» in cui il concetto di “sviluppo sostenibile” da una parte si consolida e dall'altra si trasforma in un diverso tipo di sviluppo «fondato sul rispetto della natura, la natura umana e quella della terra». Cfr. G. ROSSI, L'evoluzione del diritto dell'ambiente, in Rivista Quadrimestrale di diritto

dell'ambiente, 2015, (2), pag.3.

3 Alcuni riferimenti all'ambiente potevano rinvenirsi nel Trattato istitutivo della Comunità economica del carbone e dell'acciaio (artt. 53 e 54 Trattato CECA) e in quello istitutivo della Comunità europea per l'energia atomica (Capitolo 3 Trattato EURATOM). Cfr. sul punto il Memorandum della Commissione del 22 luglio 1971, SEC 71 (2616) final.

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protezione della vita e della salute delle persone, degli animali e delle piante»4.

Appare quindi chiaro che originariamente non esisteva una competenza diretta che abilitasse la Comunità ad intervenire dettando politiche e normative in materia ambientale; ciò perché la tutela dell'ambiente non solo era estranea alle competenze comunitarie, ma veniva addirittura percepita come antagonista rispetto al suo principale fine: la ricostruzione delle economie europee spossate dal Secondo conflitto mondiale5.

La mancanza di espresse previsioni normative era principalmente dovuta al fatto che, nel periodo in cui venne stipulato il Trattato istitutivo della CEE (1957), la questione ambientale non era considerata come prioritaria, in quanto il fine principale che l'ordinamento comunitario si prefiggeva era la realizzazione di un mercato unico fondato sul principio della libera concorrenza, all'interno del quale venisse assicurato il rispetto delle quattro libertà economiche fondamentali: libera circolazione dei beni e dei servizi, dei lavoratori e dei capitali6.

Tale obiettivo era frutto dell'ideologia dominante in quegli anni, la c.d. «ideologia dello sviluppo», in cui sostanzialmente il concetto di sviluppo veniva a coincidere con quello di crescita economica7.

Tuttavia l'assenza di riferimenti giuridici espressi non impedì alle istituzioni comunitarie, in particolar modo alla Commissione europea e alla Corte di Giustizia, di rivendicare, in via indiretta, attraverso una sofisticata e creativa

4 Cfr. L. KRAMER, L'evoluzione delle responsabilità della Comunità Europea in materia ambientale, in

La governance ambientale europea in transizione, a cura di M. MONTINI, M. ALBERTON, Milano,

Giuffrè, 2008, pag. 52.

5 M. COSTABILE, Programmazione e strumenti economici per lo sviluppo sostenibile: analisi della

normativa internazionale, comunitaria e nazionale, 2004, in www.isprambiente.gov.

6 Cfr. L. KRAMER, L'evoluzione delle responsabilità della Comunità Europea in materia ambientale, cit.,

pag. 51 ss.

7 Cosa debba intendersi per “ideologia dello sviluppo” è ben riassunto da S. Nespor, il quale richiama le parole di William Nordhaus e James Tobin che nel 1972 ricordavano come fino a dieci anni prima la crescita economica costituisse «l'argomento centrale della politica economica, l'oggetto più importante delle ricerche e l'obiettivo delle politiche pubbliche» e che «un Paese per svilupparsi deve crescere e lo sviluppo economico di una nazione consiste nella crescita economica, nell'aumento della quantità di beni e servizi prodotti e a disposizione dei cittadini che nel loro insieme costituiscono il prodotto nazionale lordo». Cfr. S. NESPOR, Diritto dell'ambiente e diritto allo sviluppo: le origini, in Riv. Giur.

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operazione interpretativa, una competenza in materia di tutela ambientale.

Ciò avvenne mediante la valorizzazione di alcune norme previste dal Trattato8.

Anzitutto l'art. 2 TCEE (oggi confluito con modificazioni nell'art. 3 TUE), il quale includeva tra i compiti della Comunità quello di «promuovere, mediante l'instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della Comunità, un'espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta nel miglioramento sempre più rapido del tenore di vita e più strette relazioni tra gli Stati che ad essa partecipano».

In secondo luogo l'articolo 100 TCEE (corrispondente all'attuale art. 114 TFUE), che consentiva al Consiglio, su proposta della Commissione, di stabilire direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che avessero un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del mercato comune.

Infine l'articolo 235 TCEE (oggi art.352 TFUE), il quale abilitava il Consiglio, su proposta della Commissione e dopo aver consultato l'Assemblea, ad assumere le disposizioni del caso, quando un'azione della Comunità risultasse necessaria per il raggiungimento di uno degli scopi della stessa, senza che il Trattato avesse previsto i poteri a tal uopo richiesti.

A partire dalla fine degli anni Sessanta e soprattutto con l'inizio degli anni Settanta, sulla base di queste norme, in concomitanza con l'emersione della questione ambientale nel dibattito e nel diritto internazionale9, anche a seguito

8 Cfr. G. ROSSI, Le fonti, in Diritto dell'ambiente, cit., p.36 ss.; R. ROTA, Profili di diritto comunitario

dell'ambiente, in Trattato di diritto dell'ambiente, diretto da P. DELL'ANNO, E. PICOZZA, V.1, CEDAM,

2012, pag. 151 ss.; A. RIZZO, L'affermazione di una politica ambientale dell'Unione europea. Dall'Atto

Unico Europeo al Trattato di Lisbona, in Diritto europeo dell'ambiente, a cura di R. GIUFFRIDA, Torino,

Giappichelli, 2012, pag. 9 ss.; O. PORCHIA, Tutela dell'ambiente e competenze dell'Unione europea, in

Riv. Ital. Dir.Pubbl. Comunitario, 2006, pag. 17-18; A.L. DE CESARIS, Le politiche comunitarie in

materia di ambiente, in Diritto ambientale comunitario, a cura di S. CASSESE, Milano, Giuffrè, 1995,

pag. 13-14; B. CARAVITA, L. CASSETTI, Unione europea e ambiente, in Diritto dell'ambiente, a cura di

B. CARAVITA. L. CASSETTI, A. MORRONE, Bologna, Il Mulino, 2016, pag.83;N. OLIVETTI RASON, La

disciplina dell'ambiente nella pluralità degli ordinamenti giuridici, in Diritto dell'ambiente, a cura di A. CROSETTI, R. FERRARA, F. FRACCHIA, N. OLIVETTI RASON, Editori Laterza, 2008, pag. 28.

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della progressiva presa di coscienza nell'opinione pubblica dell'insostenibilità di un modello di sviluppo fondato preminentemente sul consumo e volto alla massimizzazione del profitto a breve termine10, la Comunità cominciò ad

elaborare una politica ambientale mediante la predisposizione di programmi d'azione e attraverso l'adozione di numerosi atti normativi11.

L'art. 2 TCEE, sulla scorta di una interpretazione evolutiva operata dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia facendo leva, potremmo dire a mo' di grimaldello, su quel riferimento allo «sviluppo armonioso delle attività economiche» e al «miglioramento sempre più rapido del tenore di vita», interpretazione volta a scorgere in tale norma i primi segni del concetto di sviluppo sostenibile12, diventava quindi la base giuridica13 che legittimava

Stoccolma, la Dichiarazione sull'ambiente umano (1972), la quale aveva riconosciuto che «la crescita economica non è fine a se stessa […] ma dovrebbe tradursi in un miglioramento della vita e del benessere generale […] in conformità con i tratti fondamentali della cultura europea, attenzione particolare dovrà essere data ai valori intangibili dell'ambiente» Cfr. R. ROTA, Profili di diritto

comunitario dell'ambiente, cit., pag. 153. Sulla Dichiarazione di Stoccolma cfr. M. MANCARELLA, Il

diritto dell'umanità all'ambiente. Prospettive etiche, politiche, giuridiche, Milano, Giuffrè, 2004, pagg. 56 ss.

10 Questa consapevolezza deriva dall'acquisizione, supportata da approfonditi studi scientifici, che uno sfruttamento incontrollato delle limitate risorse del pianeta rischia di compromettere la stessa perpetuazione della specie umana. È del 1972 il c.d. «rapporto Meadows», commissionato nel 1970 al MIT dal Club di Roma, che esaminava l'incidenza dell'attività umana sul pianeta e le capacità di assorbimento dello stesso nonché i risvolti economico-sociali. Tale studio aveva individuato una serie di potenziali fattori di crisi e, studiandone le connessioni, aveva concluso che se l'industrializzazione, lo sfruttamento delle risorse, l'aumento della popolazione mondiale, dell'inquinamento e della produzione di cibo, fossero proseguiti al ritmo dei decenni precedenti, i limiti della crescita del pianeta sarebbero stati raggiunti nell'arco di 100 anni. V. ampiamente M. MANCARELLA, Il diritto dell'umanità

all'ambiente. Prospettive etiche, politiche, giuridiche, cit., pagg. 56 ss.

Il Rapporto Meadows, come mette in luce Rossi, si chiudeva con un appello particolarmente significativo: «per la prima volta da quando esiste l'uomo sulla Terra, gli viene richiesto di astenersi dal fare qualcosa che sarebbe nelle sue possibilità, gli si chiede di frenare il suo progresso economico e tecnologico, o almeno di dargli un orientamento diverso da prima; gli si chiede – da parte di tutte le generazioni future della Terra – di dividere la sua fortuna con i meno fortunti – non in uno spirito di carità, ma in uno spirito di necessità. Gli si chiede di preoccuparsi, oggi, della crescita organica del sistema mondiale totale. Può egli in coscienza rispondere di no?». Vd. G. ROSSI, Storicità e gradualità

della emersione dell'interesse ambientale nella sfera giuridica, in Diritto dell'ambiente, pag.5.

11 Vennero infatti adottate a partire dalla fine degli anni Sessanta una serie di direttive volte a disciplinare specifici settori del diritto ambientale. A titolo esemplificativo si possono richiamare le direttive n.584 del 1967 concernente la classificazione, l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose; n. 157 del 1970 sull'inquinamento acustico; n. 220 del 1970 relativa alle emissioni inquinanti dei veicoli a motore; n. 439 del 1975 sull'eliminazione degli oli usati; n. 472 del 1975 sullo smaltimento dei rifiuti; n. 409 del 1979 sulla tutela degli uccelli selvatici.

12 Cfr. R. ROTA, Profili di diritto comunitario dell'ambiente, cit., pag.152.

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«intrusive incursioni»14 delle istituzioni comunitarie nelle politiche e discipline

ambientali elaborate dagli Stati, incursioni realizzate attraverso misure di armonizzazione (art. 100 TCEE) e tramite il meccanismo dei poteri impliciti (art. 235 TCEE).

Il primo atto con il quale la Commissione manifesterà l'ineludibile esigenza di considerare la protezione dell'ambiente come obiettivo prioritario della Comunità sarà il Memorandum15 presentato al Consiglio il 22 luglio 1971.

Ad esso faranno seguito la Comunicazione della Commissione sul Programma delle Comunità europee per l'ambiente16 presentata al Consiglio il 24 marzo 1972

e il Primo Programma d'azione in materia ambientale adottato dal Consiglio il 22 novembre 1973.

Come emerge da una lettura di questi documenti, che aprono la strada al varo di una politica ambientale comunitaria, l'ottica nella quale si muovono le istituzioni comunitarie è marcatamente economicistica, nel senso che le stesse in tanto legittimano misure ed azioni in materia ambientale in quanto queste ultime siano funzionali alla realizzazione e al funzionamento di un mercato unico che assicuri la libertà degli scambi in condizioni di concorrenza leale.

In special modo la Commissione, sia nel Memorandum del 1971 che nella Comunicazione del 1972, prendendo atto dell'indifferibile necessità di confrontarsi con la questione ambientale, afferma che la lotta contro il degrado della natura e dell'ambiente deve assumere un ruolo di rilievo tra gli obiettivi economici e sociali della Comunità e degli Stati membri, in considerazione del

protezione e il miglioramento dell'ambiente «non dovrà costituire una nuova politica comune separata dalle altre, ma tutto il complesso delle attività comunitarie dovrà promuovere lo sviluppo armonioso delle attività economiche nella comunità, il miglioramento del livello di vita e rapporti più stretti fra Stati membri, secondo i termini dell'art.2 del Trattato CEE, che comprenderanno ormai la protezione dell'ambiente».

14 L'espressione è ripresa da M.P. CHITI, Introduzione. Lo spazio amministrativo europeo, in Lo spazio

amministrativo europeo. Le pubbliche amministrazioni dopo il Trattato di Lisbona, a cura di M.P. CHITI e A. NATALINI, Bologna, Il Mulino, 2012, p.25.

15 Nel Memorandum la Commissione recepiva le indicazioni di un Gruppo di lavoro per l'ambiente costituito al suo interno e presieduto da Altiero Spinelli. Cfr. G. GRIMALDI, La politica ambientale

dell'Unione Europea, in www.iltempietto.it, p.21. 16 GUCE 26 maggio 1972, n.C52.

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fatto che le disposizioni adottate dagli Stati in questo campo potrebbero determinare serie conseguenze sul funzionamento del mercato comune17.

Per meglio comprendere l'inestricabile connessione tra ambiente e concorrenza, può essere utile tentare di ricostruire sinteticamente il percorso argomentativo sviluppato dalla Commissione attraverso gli atti sopra ricordati.

In particolare, nella Comunicazione del 26 maggio 1972 la Commissione prende le mosse dalla constatazione che «non è più possibile garantire uno sviluppo armonioso delle attività economiche e sociali […] senza tener conto delle conseguenze che i provvedimenti economici e politici esercitano sul benessere dell'uomo, sulle sue condizioni di vita e sull'ambiente che lo circonda». Ed è proprio «il buon funzionamento dell'economia di mercato» ad imporre, sempre ad avviso della Commissione che «in linea di massima, e salvo eccezioni debitamente giustificate, il costo sociale dell'inquinamento e degli inconvenienti ambientali, come pure dei provvedimenti da prendere per porre rimedio alle loro conseguenze, venga sostenuto dai responsabili»18.

Il fulcro intorno al quale si muove il ragionamento della Commissione è rappresentato, come emerge con chiarezza, dal problema connesso all'allocazione dei costi ambientali (intendendo per tali sia i costi sociali derivanti dall'inquinamento e dal degrado ambientale, sia quelli legati ai provvedimenti volti a prevenire e a rimediare agli stessi), in quanto proprio tale elemento può rappresentare un fattore potenzialmente idoneo a distorcere la concorrenza.

Per sottolineare, quindi, il carattere quasi necessitato dell'intervento comunitario in tale settore, la Commissione nella Comunicazione del 26 maggio 1972 mette in luce le significative implicazioni della questione ambientale sull'intero impianto ordinamentale della Comunità, rilevando che le disposizioni che garantiscono la protezione e il miglioramento dell'ambiente possono

17 Cfr. l'introduzione della Comunicazione 26 maggio 1972, n. C52 e anche la Prima Comunicazione sulla politica della Comunità in materia di ambiente (Memorandum), doc. SEC (71) 2616.def, par.2.2. 18 Cfr. Sez. I della Comunicazione del 26 maggio 1972.

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influenzare indirettamente la stessa applicazione dei principi e il rispetto delle regole sulle quali è fondato il funzionamento del mercato comune.

Richiamando infine l'art 3, lett. f), del Trattato, quasi inevitabilmente la Commissione conclude affermando che la Comunità può agire direttamente per garantire che la concorrenza non sia falsata nel mercato comune e, poiché il “fattore ambiente” può condizionare la libera concorrenza, allora esso rientra tra gli oggetti di intervento della Comunità.

Appare evidente, pertanto, che la giustificazione di fondo che legittima l'intervento della Comunità è rappresentata dall'esigenza di tutelare la concorrenza19, le cui regole sarebbero compromesse da una difformità delle

discipline ambientali dei singoli Stati membri20 e da un meccanismo differenziato

di ripartizione degli oneri ambientali tra imprese e Stato.

Più diffusamente la Commissione, sempre nella Comunicazione del 1972, quasi a voler rinforzare l'impianto argomentativo a supporto della sua tesi, rileva che «una valutazione troppo diversa della natura o della pericolosità dell'inquinamento, oppure degli obiettivi di qualità dell'ambiente, dei metodi di imputazione degli oneri risultanti dalla lotta contro l'inquinamento, e del miglioramento delle condizioni di vita, oppure dei metodi di sorveglianza e di controllo o delle misure repressive» determinerebbe l'adozione da parte dei vari Stati membri di provvedimenti fortemente differenziati21, i quali finirebbero

19 In ciò si può cogliere quello che Bin qualifica come approccio “funzionalista” dell'Unione. In particolare l'A. osserva che «per definire le competenze delle istituzioni comunitarie, il Trattato istitutivo non ricorre ai tradizionali elenchi di “materie”, ma fissa invece obiettivi e finalità che devono essere perseguiti dalle istituzioni attraverso specifiche “politiche”. La struttura “funzionalistica” del Trattato traspare già dai primi articoli, in cui si indicano i “compiti” della Comunità e i relativi strumenti. […] Le competenze delle istituzioni comunitarie non sono organizzate per “materie” statiche e predeterminabili, ma hanno un carattere spiccatamente dinamico, in quanto finalizzate al raggiungimento graduale di determinati obiettivi, e quindi anche una marcata forza espansiva, di estensione degli strumenti messi a disposizione delle istituzioni che ne sono titolari. Per cui difficilmente le disposizioni del Trattato servono a delimitare con una certa esattezza i margini dell'attribuzione». Cfr., R. BIN, Primo comandamento: non occuparsi delle competenze, ma delle

politiche, introduzione al Convegno Poteri pubblici e sviluppo economico locale, 2009, in

www.robertobin.it.

20 Cfr.N. LUGARESI, Diritto dell'ambiente, Padova, CEDAM, 2012, pag.44.

21 La Commissione esemplifica citando in particolare la fissazione dei livelli massimi ammissibili delle sostanze inquinanti contenute nei prodotti o nei rifiuti. Cfr. Sez. II.1.B della Comunicazione del

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inevitabilmente per determinare distorsioni della concorrenza, oltreché uno spostamento degli investimenti, che sono incompatibili con il buon funzionamento del mercato comune22.

Le ulteriori considerazioni della Commissione confermano la sua presa di posizione in ordine all'esigenza di riconoscere un potere di intervento in materia ambientale in capo alla Comunità in quanto «la disparità fra le disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, riguardanti i prodotti che, per loro natura o in seguito al loro impiego, possono provocare inconvenienti ambientali, potrebbero creare ostacoli tecnici agli scambi che […] devono essere eliminati a norma delle prescrizioni del Trattato CEE» e che è dovere della Comunità «richiamare l'attenzione degli Stati membri attuali e futuri sui pericoli di una loro eventuale concorrenza per attirare gli investimenti a scapito dell'ambiente»: un chiaro richiamo, a me pare, all'esigenza di evitare la c.d. “fuga verso il basso”, cioè il fenomeno di delocalizzazione delle imprese e degli impianti produttivi verso Paesi in cui vigano norme scarsamente protettive dell'ambiente e tali pertanto da portare ad una significativa riduzione degli oneri ambientali gravanti sull'impresa (e, correlativamente, un consequenziale aumento dei costi sociali). Resta peraltro, ma la questione esula dal presente lavoro, il problema della c.d. race to the bottom verso Paesi non appartenenti all'UE.

Prendendo dunque atto della trasversalità della materia ambientale, la Commissione osserva che «tutte le politiche comuni sono più o meno influenzate dalla lotta contro l'inquinamento e dall'azione per il miglioramento delle condizioni di vita» e, affrontando specificamente il rapporto tra ambiente e politica della concorrenza, rileva che quest'ultima «deve tener conto delle

26.05.1972.

22 Cfr. Sez. II Comunicazione del 26. 05.1972. Negli stessi termini si esprime il Memorandum: «any disparities between the measures taken, in the various member countries which may reflect a different assessment of either the effects of pollution, the objectives, or the allocation of the costs due to the fight against pollution would inevitably result in distortions of conditions of competition and investment which would be incompatible with the proper functioning of the common market». Cfr. il punto 2.2 del Memorandum del 1971.

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ripercussioni sugli scambi e sulla concorrenza degli aiuti che gli Stati membri concedono ad alcune imprese per alleviare i costi che dovrebbero normalmente essere sostenuti da queste ultime a causa dell'inquinamento che producono».

Emerge qui in nuce uno dei temi fondamentali connessi alla tutela dell'ambiente e sul quale avremo modo di tornare ampiamente in seguito, quello cioè della necessaria internalizzazione dei costi ambientali, che costituisce, come vedremo, uno dei cardini sui quali poggia la disciplina degli aiuti di Stato.

A questo punto è giocoforza per la Commissione concludere che «la protezione e il miglioramento dell'ambiente fanno già parte dei compiti assegnati alla Comunità e rientrano esplicitamente o implicitamente nei loro obiettivi, influenzando le regole e i principi di base della CEE, integrandosi in varia misura, ma sempre più a fondo nella politica della CEE e nelle azioni specifiche svolte nell'ambito dei tre Trattati»23.

Ciò che emerge con evidenza dalle argomentazioni della Commissione è quindi il fatto che la politica e le norme ambientali non hanno come obiettivo prioritario la tutela dell'ambiente in quanto tale, ma soltanto in quanto essa rappresenta un fattore funzionale ad evitare quelle distorsioni della concorrenza nel mercato comunitario che potrebbero derivare dalle diverse modalità utilizzate dagli Stati membri per attuarla e per scaricare i costi ambientali sulla collettività24.

Provando a sintetizzare, si può sostenere che, poiché la tutela dell'ambiente costituisce un costo per le imprese e poiché politiche e discipline nazionali differenziate, che imponessero agli operatori economici oneri differenti, determinerebbero una alterazione della concorrenza, risulta necessaria un'armonizzazione delle discipline.

Tutto ciò finirà per riverberare sulla produzione normativa europea, mossa dall'esigenza di indurre un progressivo processo di ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri finalizzato, da un lato, a contrastare fenomeni di

23 Cfr. Sez. II Comunicazione del 26 maggio 1972.

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distorsione della concorrenza posti in essere dagli Stati attraverso l'emanazione di norme poco protettive dell'ambiente e, dall'altro lato, a contrastare dissimulate misure protezionistiche perpetrate tramite la fissazione di standard ambientali molto elevati25.

Tale ragionamento viene poi suffragato e completato da alcune sentenze della Corte di Giustizia della Comunità europea26.

Attraverso la sentenza del 18 marzo 1980 (causa C-91/79, Commissione c. Italia), la Corte di Giustizia ha modo di pronunciarsi in merito alla questione relativa alla legittimazione della Comunità ad intervenire in materia ambientale (in particolare, si trattava di un ricorso per inadempimento ex art. 169 TCEE, corrispondente all'attuale art. 258 TFUE, proposto dalla Commissione contro la Repubblica italiana, volto a far constatare che quest'ultima era venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in virtù del Trattato, avendo omesso di adottare entro il termine stabilito le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva del Consiglio 22 novembre 1973, n. 73/404/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai detergenti).

L'occasione viene offerta dalle difese presentate dal Governo italiano, il quale, con una sibillina preterizione, precisa «di non avere l'intenzione di sollevare la questione della validità della direttiva [per il cui mancato recepimento è stato promosso il ricorso per inadempimento], per il motivo che la lotta contro l'inquinamento non è compresa fra le materie in cui il Trattato attribuisce competenza alla Comunità, pur ritenendo che la materia si colloc[hi] “al confine” delle competenze comunitarie e che, in realtà, ci si trov[i] in presenza di una convenzione raggiunta con le forme della direttiva».

La Corte, prendendo una netta posizione in merito alla questione “non

25 Cfr. in proposito M. RENNA, L'allocazione delle funzioni normative e amministrative, in Diritto

dell'ambiente, in Diritto dell'ambiente, cit., p. 145.

26 Per una ricostruzione della giurisprudenza della Corte in materia ambientale cfr. F. FONDERICO, La

giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia di ambiente, in Diritto ambientale comunitario, a cura di S.CASSESE, Milano, Giuffrè, 1995, pag.123 ss.

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sollevata” dall'Italia concernente la competenza della Comunità in materia, afferma che «la direttiva non è stata emanata unicamente nell'ambito del Programma d'azione delle Comunità in materia di ambiente», in quanto essa si inserisce anche nel Programma generale per l'eliminazione degli ostacoli di ordine tecnico agli scambi intracomunitari derivanti da disparità tra le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri, adottato dal Consiglio il 28 maggio 1969. In tal senso, sostiene la Corte, «essa si fonda validamente sull'art. 100», dal momento che «[l]e disposizioni richieste da considerazioni di tutela della sanità e dell'ambiente possono essere tali da costituire oneri per le imprese cui si applicano e, in mancanza di un ravvicinamento delle disposizioni nazionali in materia, la concorrenza potrebbe essere sensibilmente falsata»27.

Ancora una volta l'esigenza di garantire la tutela della concorrenza diventa il “grimaldello” che consente alle istituzioni europee di giustificare gli interventi in materia ambientale della Comunità, a detrimento delle azioni o politiche elaborate dai singoli Stati membri, per impedire disparità normative idonee ad attribuire vantaggi competitivi alle imprese di uno Stato rispetto a quelle degli altri.

Merita senz'altro di essere richiamata la sentenza del 7 febbraio del 198528,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale riguardante l'interpretazione e la validità della direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, n.75/439/CEE, relativa all'eliminazione degli oli usati, con riguardo al Trattato di Roma29.

27 Cfr. punto 8 della sentenza 18.03.1980, causa C-91/79, Commissione c. Italia. Per quanto riguarda poi la questione secondo la quale la direttiva sarebbe in realtà una convenzione raggiunta sotto la forma di direttiva, la Corte, richiamando la sua sentenza del 18 febbraio 1970 (causa 38/69, Commissione/ Repubblica italiana, Race, 1970, pag. 47) osserva che «non si può definire “accordo internazionale” un atto che rappresenta una “decisione” comunitaria sia per il suo oggetto, che per il quadro istituzionale nell'ambito del quale è stato posto in essere. Le stesse considerazioni valgono per una direttiva del Consiglio».

28 Relativa al procedimento C-240/83, caso ADBHU Association de défense des brûleurs d'huiles usagées (associazione per la tutela dei combustori di oli usati).

29 In particolare il Tribunal de grande instance di Créteil, accogliendo la domanda dell'ADBHU chiedeva di verificare se la direttiva sugli oli usati fosse conforme ai principi della libertà del commercio, della libera circolazione delle merci, della libera concorrenza sanciti dal Trattato di Roma, tenuto conto del

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Nella pronuncia, in cui si affronta anche la questione degli aiuti di Stato relativi all'ambiente30, la Corte di Giustizia parte dalla considerazione che il principio

della libertà del commercio, sebbene costituisca un diritto fondamentale e un principio generale del diritto comunitario del quale la Corte garantisce il rispetto, «non ha valore assoluto, ma è soggetto a taluni limiti giustificati dagli scopi d'interesse generale perseguiti dalla Comunità, purché non si comprometta la sostanza di questi diritti».

Ad avviso dei giudici del Lussemburgo la direttiva sugli oli usati non supera questi limiti, ma «si inserisce […] nel quadro di tutela dell'ambiente, che costituisce uno degli scopi essenziali della Comunità»31.

A questo punto la Corte, nel tentativo di circoscrivere il perimetro e le implicazioni di questa dirompente affermazione, rimarcando l'esigenza di un necessario contemperamento con le altrettanto fondamentali libertà economiche, sottolinea che le disposizioni della direttiva devono essere interpretate in modo tale da non ostacolare gli scambi comunitari e che i provvedimenti ivi contemplati «anche se possono avere un effetto restrittivo sul libero esercizio del commercio e sulla libera concorrenza, non debbono tuttavia essere discriminatori né eccedere le restrizioni inevitabili giustificate dal perseguimento dello scopo di interesse generale costituito dalla tutela dell'ambiente»32.

In tal modo, quindi, l'ambiente, neppure menzionato nelle norme del Trattato, diventa un obiettivo primario della Comunità, capace di derogare ai principi fondamentali della stessa, quali i principi della libertà del commercio, della libera circolazione delle merci e della libera concorrenza, sempre che tali deroghe siano non discriminatorie, necessarie e proporzionate.

fatto che essa conferiva all'amministrazione degli Stati il potere di definire delle zone da assegnare a una o più imprese autorizzate dall'amministrazione stessa e da questa incaricate di raccogliere ed eliminare i rifiuti (artt. 5 e 6), nonché la concessione di sovvenzioni (artt.13 e 14); chiedeva inoltre se la direttiva costituisse una base giuridica adeguata per il divieto della combustione degli oli usati. 30 Il profilo afferente alla materia degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente sarà trattato nel successivo

capitolo II par.1.3, al quale si rinvia.

31 Cfr. punti 12 e 13 della sentenza 7 febbraio 1985. 32 Cfr. punto 15 della sentenza 7 febbraio 1985.

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Dando seguito a questo nuovo indirizzo inaugurato dalla Commissione e soprattutto dalla Corte di Giustizia, l'Atto Unico Europeo (entrato in vigore nel 1987) introduce nella parte terza del Trattato un nuovo titolo (il VII, in cui vengono inseriti gli art.130R, 130S, e 130T) dedicato all'ambiente, con ciò riconoscendo formalmente una specifica competenza della Comunità in materia ambientale33, che in tal modo acquisisce una sua autonomia.

Tra i vari principi introdotti per regolare l'azione della Comunità in materia ambientale assume una pregnanza particolare il principio di integrazione (inserito nell'art.130R) che segna un'importante tappa nel processo evolutivo del rapporto tra ambiente e concorrenza.

Tale principio, infatti, impone che «le esigenze connesse con la salvaguardia dell'ambiente costituiscano una componente delle altre politiche della Comunità»; ne consegue, pertanto, che anche nell'elaborazione della politica di concorrenza si dovrà tener conto dell'interesse ambientale. Il principio di integrazione diventa in tal modo un «vincolo procedimentale nella realizzazione delle altre politiche»34.

In una sentenza di poco successiva all'Atto Unico Europeo (sentenza del 20 settembre 1988, causa C-302/86, Commissione c. Regno di Danimarca) la Corte di Giustizia, confermando e forse superando la sua posizione in ordine al rango che la tutela ambientale deve assumere nell'ambito dell'ordinamento comunitario, afferma che la stessa deve essere considerata un'«esigenza imperativa», idonea a legittimare deroghe al principio della libera circolazione delle merci purché tali deroghe siano necessarie e proporzionate35.

Con il Trattato di Maastricht del 1992 (entrato in vigore il 1 novembre 1993) la

33 Cfr. L. KRAMER, Manuale di diritto comunitario per l'ambiente, Milano, Giuffrè, 2002, pag.1 ss.; G.

ROSSI, Le fonti, in Diritto dell'ambiente, cit., p.38 e N. LUGARESI, Diritto dell'ambiente, cit., pag. 18 ss.

34 Così F. ROLANDO, La tutela dell'ambiente nell'Unione europea attraverso la disciplina degli aiuti di

Stato, in www.fedoa.unina.it..

35 Si trattava di una causa avente ad oggetto l'accertamento del fatto che il Regno di Danimarca fosse venuto meno agli obblighi su di esso incombenti in forza dell'art.30 Trattato CEE per via dell'introduzione di un regime obbligatorio di restituzione degli imballaggi per la birra e le bibite che prevedeva che gli imballaggi, per poter essere ammessi sul mercato, dovessero avere determinate caratteristiche ed essere riutilizzabili.

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tutela dell'ambiente viene inserita tra i fini della Comunità (in particolare nell'art. 2 viene introdotto il compito di promuovere «una crescita sostenibile, non inflazionistica e che rispetti l'ambiente») diventando inoltre oggetto di una specifica politica comunitaria (art. 3). Le disposizioni in materia ambientale vengono spostate nel Titolo XVI, sempre dedicato all'ambiente.

Il Trattato di Amsterdam (1997) introduce poi, all'art. 2 TCE, un esplicito riferimento alla necessità di promuovere uno «sviluppo equilibrato e sostenibile» e precisa che la Comunità deve assicurare «un elevato livello di protezione dell'ambiente ed il miglioramento della qualità di quest'ultimo».

Sempre con il Trattato di Amsterdam il principio di integrazione viene completato e trasferito nella parte generale del Trattato (all'art. 6, che sarà poi ripreso, con formulazione sostanzialmente identica, dall'art. 11 TFUE).

Nella sua rinnovata dizione il principio impone che «le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni dell'Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile».

Esso dunque viene direttamente collegato al principio dello sviluppo sostenibile, che impone di contemperare il valore dello sviluppo con quello della tutela ambientale36. Ciò significa che la politica ambientale acquisisce

un'attitudine a condizionare anche sul piano sostanziale la definizione e l'attuazione delle altre politiche e azioni comunitarie, comprese quelle in materia di mercato interno e di concorrenza37.

36 Cfr. G. ROSSI, Le fonti, in Diritto dell'ambiente, cit., p.31. cfr. M. MANCARELLA, Il diritto dell'umanità

all'ambiente. Prospettive etiche, politiche, giuridiche, cit.

37 Cfr. F. ROLANDO, La tutela dell'ambiente nell'Unione europea attraverso la disciplina degli aiuti di

Stato, cit., p. 22. Sul punto cfr. anche S. GRASSI Problemi di diritto costituzionale dell'ambiente,

Milano, Giuffré, 2012, pag. 84, secondo cui «l'affermazione del principio di integrazione implica l'affermazione della primarietà delle esigenze ambientali, in modo che la loro considerazione influisca sia nella fase di formazione delle norme sia nella fase delle loro applicazioni». Lo stesso Autore osserva anche che, poiché fra gli obiettivi della Comunità vi è quello di assicurare un elevato livello di protezione ambientale e poiché lo sviluppo, in quanto sostenibile, deve tener conto delle esigenze di tutela dell'ambiente, le decisioni e i provvedimenti degli organi comunitari e degli stessi Stati che non tengano conto del principio di integrazione, finiscono per poter essere sanzionati, con la conseguenza, conclude sempre Grassi, che «quello che è un obbligo di tipo procedurale (perché l'attività di

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Altra importante tappa nel processo di emersione dell'interesse ambientale è segnata dall'approvazione della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (la Dichiarazione di Nizza del 2000) il cui art. 37 stabilisce che «un livello elevato di tutela dell'ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell'Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile». Giova ricordare che con il Trattato di Lisbona si attribuisce lo stesso valore giuridico dei Trattati alla Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE38.

Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1 dicembre 2009, conferma che «l'Unione si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente»39.

Fatto salvo il settore della conservazione delle risorse biologiche del mare, attribuito alla competenza esclusiva dell'Unione nel quadro della politica comune della pesca (art. 3, lett. d) TFUE), l'ambiente viene inserito tra le materie di

integrazione degli interessi ambientali nelle politiche comunitarie implica un semplice obbligo di bilanciamento tra tali interessi e quelli delle altre politiche) può finire per assumere un valore sostanziale e fornire un importante argomento per l'attribuzione di un significato giuridico più preciso e puntuale allo stesso principio di integrazione». In proposito si veda anche R. ROTA, Profili di diritto

comunitario dell'ambiente,cit., p.172, la quale avvalora la tesi secondo cui il principio di integrazione assumerebbe «il valore di clausola generale autorizzativa di una interpretazione in chiave ambientale delle norme comunitarie, e dunque anche, a valle, dell'esercizio del potere discrezionale da parte dei soggetti tenuti ad attuarle».

38 L'art.6 TUE prevede infatti che «L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati».

39 Così si esprime l'art. 3, par.3, TUE. Significativa appare l'introduzione da parte del Trattato di Lisbona nell'ambito dell'art. 3.3 TUE dell'espressione “economia sociale di mercato”. Essa, come sottolinea Tosato, «serve a qualificare il tipo di mercato interno che l'Unione intende realizzare». Tale termine, rileva sempre Tosato, «risale alle teorie ordoliberali del secolo scorso, come successivamente sviluppatesi dopo il secondo conflitto mondiale» alla cui base vi era l'idea che« il liberismo economico deve essere accompagnato da un'opportuna regolamentazione sia per preservare il mercato da distorsioni monopolistiche sia per assicurare protezione ad istanze (soggetti deboli e beni pubblici) privi di adeguata tutela alla stregua di mere logiche di mercato. Di qui i due elementi che connotano l'espressione economia sociale di mercato: le libertà di mercato e le tutele sociali». Cfr. G.L. TOSATO,

Appunti in tema di economia sociale di mercato, in Nuove sfide in tema di concorrenza e aiuti di stato nell'Unione europea, a cura di M. FRIGESSI DI RATTALMA, P. DE CESARI, Napoli, Editoriale Scientifica,

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competenza concorrente tra Unione e Stati membri (art.4, p.2, lett. e), TFUE). Tale competenza, a norma dell'art.5 TUE deve essere esercitata in conformità ai principi di sussidiarietà40 e di proporzionalità41.

Il Trattato di Lisbona, infine, provvede anche a precisare le competenze dell'Unione nell'elaborazione di una politica ambientale esterna disponendo, all'art. 21, par.2, lett. f), TUE, che «l'Unione definisce e attua politiche comuni e azioni e opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine di […] contribuire all'elaborazione di misure internazionali volte a preservare e migliorare la qualità dell'ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali mondiali, al fine di assicurare lo sviluppo sostenibile».

Tale previsione viene completata attraverso l'inserimento tra gli obiettivi della politica ambientale europea della «promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici»42 .

Come messo in luce da autorevole dottrina, in tal modo si assiste ad un ulteriore rafforzamento del principio dello sviluppo sostenibile e ad una estensione della sua portata «non più limitata principalmente al mercato e alle attività economiche, ma omnicomprensiva, nel senso di uno sviluppo sostenibile economico, sociale ed ambientale e di linea guida nella definizione della politica

40 L'art. 5, par. 3, TUE prevede che «[i]n virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale, né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione». Come acutamente osserva Renna in ambito ambientale il principio di sussidiarietà manifesta la sua “vocazione ascensionale”, tendente cioè ad allocare le funzioni ai livelli più elevati. «L'esame delle fonti e delle competenze della Comunità – oggi Unione – europea in materia ambientale permette di constatare come il principio di sussidiarietà possa bene determinare, fisiologicamente, una “salita” anziché una “discesa” di competenze anche quale canone per l'esercizio “multilivello” di potestà normative». Cfr. M. RENNA, L'allocazione delle funzioni

normative e amministrative, in Diritto dell'ambiente, cit., p.143.

41 L'art. 5, par. 4 TUE dispone che «In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati».

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sia interna che esterna dell'Unione»43.

Alla luce dell'evoluzione che sinteticamente si è provato a ricostruire, emerge con chiarezza l'esistenza di uno stretto legame tra la tutela dell'ambiente e la disciplina della concorrenza.

Si tratta di un legame che (almeno per ciò che concerne la tutela dell'ambiente) si potrebbe a mio avviso definire “genetico”, perché la politica ambientale nasce come strumento di attuazione del principio della libera concorrenza. Nella prima fase di emersione dell'interesse ambientale44, quest'ultimo appare infatti come

secondario ed ancillare rispetto al preminente interesse della concorrenza.

Il rapporto tra ambiente e concorrenza tuttavia, come si è visto, muta a seguito della progressiva emancipazione ed autonomizzazione dell'interesse ambientale, che da strumentale diventa un interesse comprimario rispetto a quello della concorrenza.

La tutela dell'ambiente diventa infatti uno degli scopi primari della Comunità ed un'esigenza imperativa capace di incidere, a certe condizioni, anche sul principio di concorrenza.

Tale nuova dimensione dell'interesse ambientale finisce inevitabilmente per riverberare sul rapporto tra tutela dell'ambiente e disciplina della concorrenza, che a me pare diventare così, come detto, un rapporto “paritario” di interconnessione diretta e di interdipendenza reciproca.

Da un lato infatti la politica ambientale, pur affermandosi come politica autonoma, non risulta tuttavia incondizionata, in quanto deve muoversi all'interno della cornice dei Trattati, in conformità con le disposizioni sulle attività economiche e sul mercato, attraverso un contemperamento necessario con gli altri principi e valori dell'Unione, primo fra tutti il principio di concorrenza.

Dall'altro lato, tuttavia, anche la politica di concorrenza, a seguito

43 Cfr. R. ROTA, Profili di diritto comunitario dell'ambiente, cit., p.158.

44 Sull'evoluzione del rapporto tra interesse ambientale e altri interessi cfr. G. ROSSI, La materializzazione

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dell'affermazione dei principi di integrazione e dello sviluppo sostenibile, non può più prescindere dalla considerazione delle esigenze connesse alla tutela dell'ambiente.

Questo vincolo che lega a doppio filo la tutela dell'ambiente e la disciplina della concorrenza impone, a mio avviso, un contemperamento, nell'elaborazione delle rispettive politiche, tra i due primari interessi, in una prospettiva di sviluppo sostenibile.

Che le misure di protezione ambientale, nell'ambito dell'ordinamento europeo, siano ispirate ad una logica di contemperamento (e che quindi le stesse non siano mai ammesse in maniera incondizionata) si può anche desumere dall'analisi del meccanismo che regola il potere degli Stati di adottare discipline normative derogatorie di maggior tutela ambientale rispetto a quelle fissate a livello europeo45.

Il legislatore europeo può utilizzare due diversi strumenti operativi per intervenire in materia ambientale; da un lato può adottare, sulla base dell'art.114 TFUE, misure di ravvicinamento delle legislazioni ambientali nazionali al fine di uniformare il mercato interno; dall'altro lato, sulla base dell'art.192 TFUE, può adottare misure direttamente volte alla realizzazione degli specifici obiettivi ambientali dell'Unione individuati nell'art.191 TFUE.

Il potere degli Stati membri di adottare una disciplina che deroghi in melius alle norme dettate dal legislatore europeo è in entrambi i casi condizionato dall'esigenza che le misure adottate siano compatibili con i Trattati e che non si traducano in un'alterazione del funzionamento del mercato; tuttavia, il margine di manovra degli Stati membri cambia a seconda della circostanza che la deroga incida su una normativa adottata sulla base dell'art.114 TFUE o viceversa sulla base dell'art.192 TFUE. Tale margine d'azione infatti risulta inversamente

45 Le deroghe in pejus sono ammesse, in via eccezionale e temporanea, solo se espressamente contemplate dalle norme europee. Sul punto cfr. M. RENNA, L'allocazione delle funzioni normative e

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proporzionale all'incidenza della misura derogatoria nazionale sul funzionamento del mercato: maggiore sarà la potenziale distorsione della concorrenza, minore sarà il margine d'intervento degli Stati (e, correlativamente, più rigoroso sarà il potere di controllo della Commissione).

In particolare, se si tratta del mantenimento o dell'introduzione da parte del legislatore nazionale di una disciplina che deroga ad una misura di ravvicinamento, e quindi maggiormente idonea ad incidere sul funzionamento del mercato interno, l'art.114 TFUE prevede che le disposizioni nazionali debbano essere giustificate e notificate alla Commissione con l'indicazione dei motivi del mantenimento o dell'introduzione delle stesse; e, in quest'ultimo caso, ed è un segnale del sostanziale disfavore del legislatore europeo verso deroghe anche in melius, l'introduzione (e non il semplice mantenimento) di misure più restrittive dovrà essere sorretto da nuove prove scientifiche inerenti alla protezione dell'ambiente, giustificate da un problema specifico dello Stato membro insorto dopo la misura di armonizzazione. Quanto ai poteri di controllo, il paragrafo 6 dell'art. 114 TFUE precisa che la misura deve essere appositamente autorizzata dalla Commissione, la quale, «entro sei mesi dalle notifiche [che nei casi di particolare complessità possono essere prolungati per un ulteriore periodo di massimo sei mesi] approva o respinge le disposizioni nazionali in questione dopo aver verificato se esse costituiscono o no uno strumento di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata nel commercio tra Stati membri e se rappresentino o no un ostacolo al funzionamento del mercato interno». La stessa Commissione esamina inoltre, a norma del par. 7 dell'art.114, la possibilità di proporre un adeguamento di detta misura.

Per quanto riguarda invece le disposizioni nazionali che mantengono o introducono provvedimenti di maggiore protezione ambientale rispetto a quella garantita dalla normativa europea adottata ex art. 192 TFUE, l'art. 193 TFUE prevede sul piano procedurale solo un obbligo di notifica alla Commissione

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europea e sul piano sostanziale la mera compatibilità dei provvedimenti in questione con i Trattati46.

Il potere degli Stati di dettare una disciplina maggiormente protettiva dell'ambiente risulta quindi più circoscritto laddove essi pretendano di derogare ad una misura di armonizzazione piuttosto che nel momento in cui decidano di intervenire su una disciplina adottata sulla base dell'art.192 TFUE.

In entrambi i casi, però, la maggior tutela dell'ambiente non è mai ammessa illimitatamente, ma solo a condizione che sia compatibile con il funzionamento del mercato interno47.

Le più recenti tendenze in materia di politica ambientale mettono in luce un'ulteriore trasformazione del rapporto tra tutela dell'ambiente e disciplina della concorrenza discendente dalla evoluzione del concetto di sviluppo sostenibile, il quale non individua più soltanto un'esigenza di contemperamento tra contrapposti interessi (nel nostro caso quello ambientale e quello alla concorrenza), ma assume una nuova accezione in cui la tutela dell'ambiente e la disciplina della concorrenza vengono a convergere verso l'obiettivo comune del miglioramento della qualità della vita.

Tale nuova evoluzione si può cogliere tra le righe del Settimo Programma d'azione in materia ambientale in cui si afferma che «l'Unione si è prefissa di incoraggiare la transizione verso un'economia verde e di addivenire a una completa dissociazione della crescita economica dal degrado ambientale» e che «la piena e uniforme attuazione dell'acquis ambientale in tutta l'Unione rappresenta un investimento oculato per l'ambiente […] e per l'economia»48.

46 Bisogna rilevare che in dottrina c'è chi ha sostenuto che l'interpretazione sistematica degli artt. 114 e 193 TFUE «conduce a ritenere che anche la previsione di cui all'art.193 del Trattato, che dispone solo un obbligo di notifica alla Commissione e non una sua preventiva autorizzazione, imponga di tener conto di quegli stessi presupposti sostanziali fissati dall'art.114. In tal modo assicurando il bilanciamento tra beni di rango primario». Così R. ROTA, Profili di diritto comunitario dell'ambiente,

cit., pag.184.

47 Cfr. M. RENNA, L'allocazione delle funzioni normative e amministrative, cit., pag. 146 ss.

48 Cfr. Decisione n.1386/2013/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013, su un programma generale di azione dell'Unione in materia di ambiente fino al 2020 «Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta», Considerando nn. 18 e 26 e Obiettivo prioritario 2 («trasformare l'Unione in

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Come messo in evidenza dal Presidente dell'AGCM nel corso di un'audizione presso la Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati «l'ottemperanza degli obblighi ambientali genera un nuovo terreno per il confronto competitivo tra imprese»49.

In termini analoghi si è espressa anche la Commissione europea nell'ambito del Piano d'azione nel settore degli aiuti di Stato del 2005, là dove ha affermato che «la tutela dell'ambiente non solo è fondamentale come obiettivo in sé, ma può anche essere fonte di vantaggio competitivo per l'Europa, in quanto offre opportunità di innovazione e consente di creare nuovi mercati e di accrescere la competitività, grazie all'impiego efficiente delle risorse e degli strumenti finanziari»50.

Questa evoluzione conferma ulteriormente il rapporto di interdipendenza reciproca tra disciplina della concorrenza e tutela dell'ambiente: non solo la legislazione ambientale fornisce una nuova opportunità di confronto competitivo tra imprese ma, allo stesso tempo, la tutela ambientale può avvantaggiarsi della operatività dei meccanismi di mercato che sfruttano le dinamiche concorrenziali. Detto altrimenti, se da un lato un'effettiva applicazione della disciplina ambientale (specie quella attuativa del principio del “chi inquina paga”) rappresenta uno strumento di tutela della concorrenza, dall'altro lato anche le norme sulla

un'economia a basse emissioni di carbonio, efficiente nell'impiego delle risorse, verde e competitiva»). 49 Così G. PITRUZZELLA, Audizione del Presidente dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato

nell'ambito dell'indagine sul mercato del riciclo, presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, del 15.02.2016, in

www.agcm.it.

50 Cfr. Piano di azione nel settore degli aiuti di Stato. Aiuti di Stato meno numerosi e più mirati: itinerario di riforma degli aiuti di Stato 2005-2009, presentato dalla Commissione il 07.06.2005, COM(2005) 107 definitivo, pag.13, punto 45. Peraltro, tale passaggio non è sfuggito a C. BUZZACCHI, Aiuti di Stato

in forma di incentivi ed esenzioni fiscali: il nuovo paradigma della politica ambientale europea, in Il diritto dell'economia, 2008, 2, pag.334, che ha sottolineato come definire la tutela ambientale in termini di fonte di vantaggio competitivo per l'Europa significa «assimilare l'interesse ambientale a quello del mercato, nel senso di vedere il primo idoneo a generare possibilità di crescita per l'economia europea: oltre ad essere finalità da perseguire – e ciò ovviamente conferisce a tale interesse la sua fisionomia primaria, quella di obiettivo – ad esso viene riconosciuta anche la natura di presupposto di sviluppo economico, categoria quest'ultima con la quale non si trova più, allora, in relazione conflittuale, bensì di reciproca implicazione».

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concorrenza contribuiscono «a raggiungere gli obiettivi ambientali»51.

Da queste considerazioni emerge che la politica ambientale e quella della concorrenza si integrano a vicenda.

Tuttavia non sempre il libero funzionamento del mercato riesce ad assicurare la miglior tutela dell'interesse ambientale, perché ad esempio non sempre esso è in grado da solo di ridurre le esternalità negative o positive connesse all'esercizio di attività economiche. Proprio in ciò trova la sua ragion d'essere, come vedremo, la disciplina degli aiuti di Stato in materia ambientale.

2. Il principio di concorrenza e la politica degli aiuti di Stato nel

contesto europeo

Quello di concorrenza è uno dei principi fondamentali dell'intero ordinamento europeo.

Prima del Trattato di Lisbona l'art.3 TCE includeva espressamente tra gli strumenti attraverso i quali realizzare gli obiettivi dell'Unione quello dell'instaurazione di un «regime inteso a garantire che la concorrenza non [fosse] falsata nel mercato interno». Con il trattato di Lisbona il riferimento alla concorrenza come strumento per il perseguimento dei fini dell'Unione è stato soppresso all'interno del testo del Trattato52, tuttavia, esso è stato inserito

51 Così G. PITRUZZELLA, Audizione del Presidente dell'Autorità Garante della concorrenza e del mercato

nell'ambito dell'indagine sul mercato del riciclo, cit. Si veda anche M. CLARICH, La tutela

dell'ambiente attraverso il mercato, relazione al Convegno dell'Associazione italiana dei professori di diritto amministrativo su “Analisi economica e diritto amministrativo”, Venezia, 29 settembre 2006, in

www.giustizia-amministrativa.it, pag.3, che rileva come «a livello europeo si sta affermando la consapevolezza che, almeno in determinati settori, la politica di concorrenza e le politiche ambientali debbano essere attuate in modo da puntellarsi e rafforzarsi reciprocamente». Prendendo poi in considerazione a titolo esemplificativo il settore dello smaltimento dei rifiuti, l'A. sottolinea come «secondo la Direzione della concorrenza della Commissione Ue, per un verso, un mercato più efficiente e concorrenziale può costituire uno strumento per una migliore politica ambientale; per altro verso, una politica ambientale condotta attraverso l'adozione di strumenti di mercato ben congegnati può ridurre al minimo il rischio di distorsioni della concorrenza».

52 In particolare il nuovo art.3 par.3 TUE prevede che «l'Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva [...]»

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nell'ambito del Protocollo n.27 sul mercato interno e la concorrenza, allegato ai Trattati, il quale, in forza dell'art.51 TUE, costituisce parte integrante degli stessi53. Nonostante queste modifiche54, la concorrenza continua a mantenere un

ruolo centrale nell'ambito dell'ordinamento dell'Unione europea55.

A norma dell'articolo 3, par.1, lett b), TFUE, l'Unione ha competenza esclusiva nella definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno.

Il Trattato prevede una complessa disciplina a tutela della concorrenza nell'ambito del Capo I (Regole di concorrenza) del Titolo VII (Norme comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul ravvicinamento delle legislazioni) della Parte III (Politiche e azioni interne dell'Unione) del Trattato sul funzionamento

53 Il Protocollo n.27 prevede che «le Alte parti contraenti, considerando che il mercato interno ai sensi dell'art.3 del Trattato sull'Unione europea comprende un sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata, hanno convenuto che a tal fine l'Unione adotta, se necessario, misure in base alle disposizioni del Trattato, ivi compreso l'art.352 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea». 54 In dottrina si è aperto un dibattito sul significato delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona.

Come sintetizza Bastianon sono venute a delinearsi due scuole di pensiero: la c.d. teoria della cassetta degli attrezzi (toolbox theory) e la c.d. teoria dello spartito musicale (music-script theory). In particolare, «secondo i sostenitori della toolbox theory, le modifiche apportate dal Trattato di Lisbona non avrebbero inciso sul contenuto e sulla portata delle norme in questione, essendosi limitate ad un riordino delle stesse, proprio come quando si prende una vecchia cassetta degli attrezzi, la si decora a nuovo e si mettono in ordine i vari utensili in essa contenuti». Secondo i sostenitori della c.d. teoria dello spartito musicale, riferisce sempre Bastianon, «le modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona, pur avendo lasciato invariate le note sullo spartito, avrebbero provveduto ad un loro diverso posizionamento, con la conseguenza di una sensibile modifica della melodia che ne scaturisce». Cfr. S. BASTIANON, Il carattere speciale (pro-integrazionista) del diritto antitrust europeo alla luce del

Protocollo n.27, in Nuove sfide in tema di concorrenza e aiuti di stato nell'Unione europea, cit., pag.26 ss.

55 Cfr. sul punto Corte di Giustizia, sentenza del 17 novembre 2011, causa C- 496/09, Commissione/Repubblica italiana, punto 60, in cui i giudici del Lussemburgo rilevano che «è necessario rammentare il carattere fondamentale delle disposizioni del Trattato in materia di concorrenza, e in particolare di quelle relative agli aiuti di Stato, che sono espressione di uno dei compiti fondamentali affidati all’Unione europea. […] tale carattere fondamentale discende dall’art. 3, n. 3, TUE, ossia l’instaurazione di un mercato interno, nonché dal protocollo n. 27 sul mercato interno e sulla concorrenza, che, in forza dell’art. 51 TUE, costituisce parte integrante dei Trattati, e ai sensi del quale il mercato interno comprende un sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata». In dottrina cfr. G.L. TOSATO, Appunti in tema di economia sociale di mercato, cit., pag.2. Secondo Tosato,

il ruolo centrale della concorrenza sarebbe testimoniato sia dal Protocollo n.27 del Trattato di Lisbona, sia dagli artt. 119, 120 e 127 TFUE. In particolare, a suo avviso, «[i]l Protocollo è inteso a rassicurare che il mercato interno implica sempre l'esigenza di una concorrenza non falsata; e gli articoli citati vincolano la politica economica e monetaria, a livello nazionale ed europeo, al rispetto di un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza. D'altra parte, […] la stessa nozione di economia sociale di mercato comprende l'idea che le regole di concorrenza siano necessarie per garantire un buon funzionamento del mercato».

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