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Aiuti di Stato e principio del “chi inquina paga”

La compatibilità degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente

1. Aiuti di Stato e principio del “chi inquina paga”

Gli aiuti di Stato sollevano significativi problemi di coordinamento (per non dire di compatibilità) non solo in relazione al principio di concorrenza, ma anche con riferimento ad uno dei fondamentali principi che, a norma dell'art.191 TFUE, informano la politica ambientale europea: il principio del “chi inquina paga”.

Tale principio viene definito dalla Commissione con riguardo alla materia de qua sia nel Regolamento generale di esenzione per categoria n. 651/2014, sia nella Comunicazione relativa alla Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente, come «principio in base al quale i costi delle misure di lotta contro l'inquinamento devono essere sostenuti dall'inquinatore», ove per inquinamento si intendono «i danni provocati dall'inquinatore che degrada direttamente o indirettamente l'ambiente, o che crea le condizioni che portano a tale degrado dell'ambiente fisico o delle risorse naturali» e per inquinatore «chiunque degradi direttamente o indirettamente l'ambiente, ovvero crea le condizioni che portano al suo degrado»271.

Il principio è stato elaborato nell'ambito della scienza economica272 e

271 Cfr. Regolamento (UE) n.651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, che dichiara alcune categorie di aiuti compatibili con il mercato interno in applicazione degli articoli 107 e 108 del Trattato, punti 122,123 e 125; Comunicazione della Commissione 2014/C (200/01), Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020, punti 26-28.

272 Esso è stato in particolare studiato nell'ambito di quella branca dell'economia nota come «economia del benessere» che studia «la relazione tra concorrenza perfetta ed efficienza allocativa, ricercando le condizioni atte a creare la massima efficienza del sistema». Cfr. M. MELI, Il principio comunitario “chi

rappresenta uno strumento volto a fronteggiare alcune disfunzioni che si realizzano nel mercato con riguardo all'ambiente.

Tali disfunzioni appaiono strettamente connesse alla natura del bene ambiente che nell'ambito della letteratura economica (secondo una classificazione in tempi più recenti utilizzata anche dalla dottrina giuridica273) viene ascritto alla categoria

dei beni comuni, sulla base di un approccio che, come sottolinea G. Rossi, «prescinde dal regime di appartenenza formale dei beni stessi per incentrarsi sull'analisi delle loro caratteristiche ontologiche»274.

I beni comuni o commons si caratterizzano per il fatto che «pur ammettendo rivalità nel consumo», in quanto il godimento del bene da parte di un individuo può impedire che altri ne usufruiscano simultaneamente, «non presentano il carattere dell'escludibilità», poiché risulta impossibile o troppo costoso impedire che il bene sia utilizzato da chiunque lo desideri275.

Come sottolinea Salvemini, il carattere di rivalità nel consumo comporta che «l'uso da parte di un fruitore [possa] avvenire solo in danno dell'intera collettività» determinando una diminuzione dello «stock complessivo di risorse disponibili per gli altri consociati, anche futuri», mentre la non appropriabilità di questi particolari beni implica «l'impossibilità di assoggettarli, senza difficoltà, ad un regime di consumo basato sul mercato e regolato dal prezzo, che possa garantire un equilibrio, seppur astratto, tra bisogni e disponibilità»; il che porta «ad una situazione di inefficienza, ben lontana dall'ottimo sociale»276.

In questa particolare prospettiva il principio del “chi inquina paga” si pone come principio di efficienza economica connesso all'esigenza di una razionale

273 Cfr. U. MATTEI, Beni comuni. Un manifesto, Bari, Laterza, 2012, pag. 82 ss.

274 Cfr. G. ROSSI, Situazioni giuridiche soggettive, danni e tutele, cit., pag.104; M. CAFAGNO, Principi e

strumenti di tutela dell'ambiente come sistema complesso, adattativo, comune, Torino, Giappichelli, 2007, pag.129 ss.

275 Cfr. G. ROSSI, Situazioni giuridiche soggettive, danni e tutele, cit., pag.104.

276 Cfr. P. SALVEMINI, La parola fine della Corte di Giustizia sui confini della responsabilità per danno

ambientale del proprietario incolpevole del sito inquinato. Nota a Corte di Giustizia UE, sentenza 4 Marzo 2015, C-5344/13, in Rivista AIC, 2015, (2), pag.7.

gestione delle risorse ecologiche277.

Esso si sostanzia in una regola relativa all'allocazione dei costi correlati all'inquinamento, fenomeno quest'ultimo che, in ambito ambientale, rappresenta forse il principale esempio di ciò che gli economisti qualificano come esternalità negativa278, che si realizza quando i costi di produzione sostenuti dall'impresa

risultano inferiori ai costi sostenuti dalla società279, in quanto l'impresa, in

mancanza di un intervento da parte dell'autorità pubblica, non essendo tenuta a farsi carico dei costi dell'inquinamento, è portata naturalmente a non integrarli nei costi di produzione ma a “scaricarli” sulla collettività.

In tali casi il solo mercato, come sottolinea la Commissione, si rivela incapace «di distribuire le risorse in modo efficiente: il produttore non tiene conto degli effetti esterni (negativi) della produzione, che vengono invece sostenuti dalla società nel suo insieme»280.

Il principio del “chi inquina paga”, imponendo un pagamento a fronte dell'inquinamento prodotto, è volto pertanto a fronteggiare queste esternalità negative mirando a realizzare la c.d. internalizzazione dei costi ambientali, cioè l'inclusione da parte degli operatori economici dell'insieme dei costi legati alla tutela dell'ambiente nell'ambito dei costi di produzione281.

In una lettura di analisi economica la ratio del principio è quindi rappresentata dalla traslazione del costo economico delle misure di lotta contro l'inquinamento dalla collettività al soggetto responsabile che lo ha cagionato, al fine di incentivare, come sottolinea Meli, attraverso il meccanismo di internalizzazione, un uso più razionale delle risorse ambientali282. In altre parole, il principio intende

277 Cfr. M. MELI, Il principio comunitario “chi inquina paga”, cit., pag.43.

278 Cfr. Conclusioni dell'Avvocato Generale F.G. Jacobs presentate il 30 aprile 2002, cit., punto 66. Sul punto si vd. anche M. MELI, Il principio comunitario “chi inquina paga”, cit., pag.44 ss.; F. ROLANDO,

La tutela dell'ambiente nell'Unione europea attraverso la disciplina degli aiuti di Stato, cit., p.27. 279 Cfr. Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020, cit., punto

35.

280 Cfr. Disciplina comunitaria degli aiuti di Stato per la tutela ambientale, 2008/C (82/01), punto 7. 281 Cfr. Disciplina in materia di aiuti di Stato a favore dell'ambiente e dell'energia 2014-2020, cit., punto

25.

sollevare la collettività dal costo economico connesso all'inquinamento ambientale per spostarlo in capo al soggetto inquinatore.

Tale principio viene quindi proposto nell'ambito della teoria economica come strumento di correzione di alcuni fallimenti del mercato che si realizzano con riguardo al bene ambiente. Esso tenta di tradurre i costi ambientali in costi d'impresa per indurre indirettamente le imprese, attraverso la leva economica del profitto, ad operare scelte che siano ambientalmente virtuose, mirando a stimolare, nel lungo periodo, le attività di studio e di ricerca, di messa a punto di prodotti e tecnologie con un ridotto impatto ambientale e di modelli di produzione più compatibili con la tutela dell'ambiente283.

Il principio in argomento ha trovato originariamente riconoscimento nell'ambito del diritto internazionale, in ragione delle evidenti connessioni che esso presenta con il sistema economico e con il regolare funzionamento degli scambi; pare innegabile, come rilevato da autorevole dottrina, che il principio di concorrenza sia garantito solo se «i singoli Stati – oltre a rendere progressivamente omogenee le politiche ambientali nazionali – seguono gli stessi criteri in ordine all'imputazione degli oneri derivanti dalla lotta contro gli inquinamenti»284.

Appaiono pertanto evidenti le possibili interferenze e lo stretto collegamento tra l'attuazione di questo principio e la materia degli aiuti di Stato, in quanto gli aiuti rappresentano uno strumento atto ad incidere sui meccanismi di imputazione dei costi ambientali.

Formulato per la prima volta in due Raccomandazioni dell'OCSE degli anni Settanta che ne hanno definito il contenuto e le modalità applicative285, il principio

283 Cfr. E. BLASI, Concorrenza e ambiente, cit. pag.144.

284 Cfr. M. MELI, Il principio comunitario “chi inquina paga”, cit., pag.25.

285 Si tratta in particolare della Raccomandazione sui principi relativi agli aspetti economici delle politiche ambientali sul piano internazionale del 26 maggio 1972, C(72) 128, e della Raccomandazione sull'applicazione del principio chi inquina paga del 14 novembre 1974, C(74/223). Sul punto si veda M. MELI, Il principio comunitario “chi inquina paga”, cit., pag.26. L'A. rileva che l'importanza del

principio in esame era già stata messa in luce dall'OCSE nel 1962 nell'ambito di una riunione tenuta dal Comitato per l'ambiente. In tale occasione il principio veniva indicato quale principio di efficienza

impone di far sostenere agli inquinatori il costo delle misure di prevenzione e di controllo dell'inquinamento stabilite dai pubblici poteri affinché l'ambiente sia mantenuto in uno stato accettabile286.

Ancora le due Raccomandazioni sottolineano inoltre l'esigenza di regolare in maniera uniforme il sistema di eccezioni al principio (e quindi anche il sistema degli aiuti alle imprese) al fine di garantire il corretto funzionamento degli scambi internazionali. Infatti, come osserva M.Meli, solo una generalizzata ed effettiva applicazione del principio, associata ad una uniforme disciplina delle deroghe, può assicurare che nel mercato non si creino ingiustificate posizioni di vantaggio a livello concorrenziale287.

In ambito europeo alcuni riferimenti al principio si possono rinvenire già nella Comunicazione del 1972 sul Programma delle Comunità europee per l'ambiente in cui si afferma che «il buon funzionamento dell'economia di mercato impone […] che in linea di massima, e salvo eccezioni debitamente giustificate, il costo sociale dell'inquinamento e degli inconvenienti ambientali, venga sostenuto dai responsabili»288.

Il principio viene poi menzionato nel 1973 nell'ambito del Primo Programma di azione in materia ambientale, ove esso viene indicato come “principio di causalità” ed individuato come un «principio guida per l'applicazione degli

economica. L'OCSE, riferisce ancora Meli, muove dalla considerazione che le risorse naturali sono scarse e che il loro impiego indiscriminato possa portare ad un irreversibile deterioramento e quando «il costo di tale deterioramento non è adeguatamente preso in considerazione dal sistema dei prezzi, il mercato non riesce a riflettere la scarsità di tali risorse, causando una sovrautilizzazione delle stesse». Il principio del “chi inquina paga” attribuendo un prezzo ai beni ambientali coinvolti nel processo di produzione, consentirebbe di realizzare un'allocazione dei costi ottimale.

286 Cfr. M. MELI, Il principio comunitario “chi inquina paga”, cit., pag.46 e F. ROLANDO, La tutela

dell'ambiente nell'Unione europea attraverso la disciplina degli aiuti di Stato, cit., p.27.

287 Cfr. M. MELI, Il principio comunitario “chi inquina paga”, cit., pag. 27 e 118. Il tema degli aiuti di

Stato concessi alle imprese, sottolinea Meli, viene affrontato nella Raccomandazione del 1974 in cui si afferma che a certe condizioni possono essere considerate compatibili con il principio del “chi inquina paga” le agevolazioni concesse alle imprese per realizzare obiettivi socio-economici (come ad esempio l'eliminazione degli squilibri regionali). Gli aiuti per essere ammissibili «a) devono essere limitati a quei settori dell'economia che si troverebbero, altrimenti, in seria difficoltà; b) devono essere erogati per un periodo determinato, preventivamente stabilito e previsto per particolari problemi socio- economici connessi all'attuazione di un programma di tutela ambientale nazionale; c) non devono creare distorsioni nel commercio internazionale».

strumenti economici diretti alla realizzazione della politica dell'ambiente»289.

Il Programma d'azione, confermando lo stretto collegamento tra il principio in argomento e il funzionamento del mercato, prevede in particolare che «per evitare che intervengano distorsioni negli scambi e negli investimenti, a prescindere dall'applicazione delle disposizioni dei Trattati, converrà precisare il principio di causalità (paghi l'inquinatore) e definirne a livello comunitario le modalità di applicazione ivi comprese le eccezioni»290.

Tale laconica “suggestione” viene accolta dalle istituzioni comunitarie attraverso la Raccomandazione del Consiglio del 3 marzo 1975 concernente l'imputazione dei costi e l'intervento dei pubblici poteri in materia di ambiente e la connessa Comunicazione della Commissione con la quale vengono definiti nell'ambito dell'ordinamento comunitario il significato e le modalità di applicazione del principio del “chi inquina paga”291.

Nella Comunicazione allegata alla Raccomandazione la Commissione, con ciò sostanzialmente allineandosi all'elaborazione del principio operata in seno all'OCSE, parte dalla considerazione che «l'imputazione agli inquinatori dei costi della lotta contro l'inquinamento da essi causato li incita a ridurre l'inquinamento stesso e a ricercare prodotti e tecniche meno inquinanti», consentendo così «una più razionale utilizzazione delle risorse dell'ambiente».

Sempre secondo la Commissione inoltre, e in questo si può osservare un profilo differenziale rispetto all'impostazione dell'OCSE, il principio «corrisponde a criteri di efficacia e di equità»292.

Il principio del “chi inquina paga” viene definito in questo documento dalla

289 Cfr. Dichiarazione del Consiglio delle Comunità europee e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio, del 22 novembre 1973, concernente un Programma di azione delle Comunità in materia ambientale, C 112, 1973, punto a), Cap. IX.

290 Cfr. Dichiarazione del Consiglio delle Comunità europee e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio, del 22 novembre 1973, concernente un Programma di azione delle Comunità in materia ambientale, C 112, 1973, punto 7, lett.b), cap.I, Tit. III.

291 Raccomandazione del Consiglio del 3 marzo 1975 concernente l'imputazione dei costi e l'intervento dei pubblici poteri in materia di ambiente (75/436/ Euratom, CECA, CEE).

292 Raccomandazione del Consiglio del 3 marzo 1975 concernente l'imputazione dei costi e l'intervento dei pubblici poteri in materia di ambiente, art.1.

Commissione come quel principio «secondo il quale le persone fisiche o giuridiche, di diritto pubblico o privato, responsabili di inquinamento debbono sostenere i costi delle misure necessarie per evitare questo inquinamento o per ridurlo, al fine di rispettare le norme e le misure equivalenti che consentono di raggiungere gli obiettivi di qualità o, qualora non esistano i suddetti obiettivi, le norme e le misure equivalenti fissate dai pubblici poteri»293.

La Raccomandazione, inoltre, individua come strumenti di applicazione del principio le norme294 e i canoni295 o una applicazione congiunta degli stessi.

Con questi atti, come rilevato in dottrina, la Comunità non individua ancora tra gli strumenti di attuazione la tecnica riparatoria e quindi, almeno in questa prima fase, guarda al principio «in un'ottica di internalizzazione parziale» dei costi, prendendo perlopiù in considerazione il fenomeno del c.d. inquinamento continuo, controllabile da parte delle pubbliche autorità nella sua dimensione sia qualitativa che quantitativa. Nell'ambito di questi documenti il principio infatti «concerne l'imputazione dei costi necessari per il raggiungimento di un livello di inquinamento accettabile, attraverso meccanismi che realizzano una tutela di tipo

293 Raccomandazione del Consiglio del 3 marzo 1975 concernente l'imputazione dei costi e l'intervento dei pubblici poteri in materia di ambiente, art.2.

294 Più specificamente la Raccomandazione, al punto 4 lett. a) prevede che «tra le norme si possono distinguere: i) le “norme di qualità dell'ambiente” che prescrivono, con mezzi giuridici coercitivi, i livelli di inquinamento o degli inconvenienti ambientali che non devono essere superati in un ambiente o in una parte di ambiente considerato; ii) le “norme sui prodotti” (la parola “prodotto”) è usata qui in senso lato) che: - fissano limiti per quanto riguarda i livelli degli agenti inquinanti o degli inconvenienti ambientali che non devono essere superati nella composizione o nelle emanazioni di un prodotto, oppure; - specificano le proprietà o le caratteristiche di progettazione di un prodotto, o ancora ; - riguardano le modalità d'utilizzazione di un prodotto. Ove sia d'uopo, le norme sui prodotti possono includere specificazioni concernenti i metodi di prova, l'imballaggio, l'apposizione dei marchi e l'etichettatura dei prodotti. iii) le norme per impianti fissi, talora dette “norme di procedimento” comprendono: a) le “norme d'emissione” che fissano i livelli degli agenti inquinanti o degli inconvenienti ambientali che non devono essere superati nelle emanazioni provenienti da impianti fissi; b) le “norme di progettazione o di costruzione degli impianti fissi” che determinano i requisiti per la progettazione e costruzione di impianti fissi allo scopo di proteggere l'ambiente; c) le “norme di utilizzazione” che determinano i requisiti per l'utilizzazione degli impianti fissi allo scopo di proteggere l'ambiente».

295 La Raccomandazione, cit., al punto 4 lett b) prevede che «il canone ha lo scopo di incitare il responsabile dell'inquinamento a prendere lui stesso, al minor costo, le misure necessarie per ridurre l'inquinamento di cui è l'autore (funzione di stimolo) e/o di fargli sostenere la sua parte delle spese per le misure collettive, come ad esempio le spese di depurazione (funzione di ridistribuzione). Il canone sarà riscosso secondo il grado di inquinamento prodotto in base ad un'adeguata procedura amministrativa».

preventivo»296.

Tuttavia nell'elaborazione successiva della politica ambientale e degli strumenti attuativi della stessa il principio viene utilizzato anche come strumento di responsabilità civile il cui contenuto si sostanzia nell'esigenza che ogni autore di un danno ambientale si faccia carico delle conseguenze economiche di questo.

Un riscontro di tale funzione del principio è rinvenibile ad esempio, come riferisce Meli, nella proposta di direttiva relativa alla responsabilità civile per i danni causati dai rifiuti297.

Nel 1986, attraverso l'Atto Unico europeo, il principio viene inserito nel Trattato, che lo annovera, insieme ai principi dell'azione preventiva e della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all'ambiente, tra i principi sui quali si fonda l'azione della Comunità in materia ambientale.

In definitiva quindi il principio del “chi inquina paga” impone che i costi di tutela ambientale, sia preventiva che successiva, siano sostenuti da coloro che possano provocare o abbiano provocato un pregiudizio ambientale298.

Più specificamente, alla luce di quanto detto emerge che il principio può essere applicato in vari modi e, in particolare, che esso può essere considerato come strumento di regolazione economica, che si traduce in un criterio di allocazione dei costi necessari ad operare una politica di tutela preventiva dell'ambiente, ma anche come strumento di responsabilità civile, che impone di porre a carico di colui che li ha causati i costi correlati al danno ambientale.

In dottrina è stato peraltro rilevato che anche tale ultima declinazione del contenuto del principio, sebbene le sue applicazioni siano indicative di un fallimento della prevenzione, è in grado di racchiudere una finalità preventiva «poiché la prefigurazione dell'obbligo di sopportare i costi ambientali e la

296 Cfr. M. MELI, Il principio comunitario “chi inquina paga”, cit., pag.34.

297Tale atto prevedeva un regime di responsabilità oggettiva per i danni ambientali e tale scelta, come si può leggere nei Considerando del documento, era connessa all'esigenza di rendere operativo il principio del “chi inquina paga”. Cfr. M. MELI, Il principio comunitario “chi inquina paga”, cit.,

pag.35.

conseguente responsabilizzazione dell'inquinatore assolvono ad una funzione orientativa e deterrente, prima che di garanzia del reintegro», dal momento che l'imposizione dell'onere di riparazione è volta a condizionare le condotte dei consociati «inducendoli, con la prospettiva della responsabilità, a tener conto, nei rispettivi calcoli di convenienza, dei costi di ripristino ambientale»299.

Per il vero, non è mancato chi, come l'Avvocato Generale Léger nelle Conclusioni relative alla causa Standley300, individua un'ulteriore funzione che

questo principio può realizzare, ovvero quella di «contropartita del versamento di una tassa [in base alla quale] chi inquina è autorizzato a svolgere un'attività inquinante»; tuttavia, a mio parere, questa forma di manifestazione del principio può essere a pieno titolo inscrivibile nell'ambito della sua funzione di regolazione relativa alla ripartizione dei costi della tutela preventiva dell'ambiente.

Particolarmente interessante appare la ricostruzione del principio offerta dall'Avvocato Generale Kokott nelle Conclusioni presentate il 23 aprile 2009 relative alla causa C-254/08301. Secondo l'Avvocato Kokott, il principio del “chi

inquina paga” «rileva […] soprattutto in quanto l'inquinatore è incentivato ad evitare l'inquinamento ambientale»302 e può essere attuato sia come divieto di

porre in essere comportamenti che inquinano l'ambiente, sia come strumento di regolamentazione dei costi. In quest'ultimo caso «l'inquinatore può decidere se cessare l'inquinamento ovvero ridurlo o sostenere invece le spese necessarie alla sua cessazione»303. Sempre secondo l'Avvocato, il principio sarebbe «inoltre

inteso a ripartire equamente i costi legati all'inquinamento dell'ambiente» in modo tale che questi non vengano addossati alla collettività, ma imputati al soggetto responsabile dell'inquinamento. In questa prospettiva, il principio diventa

299 Cfr. M. CAFAGNO, Principi e strumenti di tutela dell'ambiente come sistema complesso, adattativo,

comune, cit., pag.249.

300 Cfr. Conclusioni dell'Avvocato Generale Philippe Léger presentate l'8 ottobre 1998 relative alla causa Standley C-293/97.

301 Cfr. Conclusioni dell'Avvocato Generale Juliane Kokott presentatte il 23 aprile 2009, causa C-254/08,