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Il toro, l'uomo e le cose di Rafael Morales: lineamenti di un percorso poetico e traduzione di "Poemas del Toro", "El corazón y la tierra" e "Canción sobre el asfalto"

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INDICE

1. La poesia della primera generación de posguerra 4

1.1 Identità e suddivisione di un gruppo poliedrico 4

1.2 La poesia prima e durante la guerra civile: la generazione del ’36 6

1.3 Le conseguenze della guerra nel panorama culturale spagnolo 9

1.4 La poesia ufficiale del primo dopoguerra: il garcilasismo 12

1.5 Le reazioni al neoclassicismo: Espadaña, Corcel, Proel,

Cántico e il postismo 14

1.6 La poesia esistenzialista e la poesía social 18

2. La vita e la traiettoria poetica di Rafael Morales 22

2.1 Una vita per la letteratura 22

2.2 La poesia dei primi anni: dall’energia tellurica del

toro alla contemplazione delle cose umili 25

2.3 Cambio di rotta e ritorno alle origini: la poesia della maturità

e della vecchiaia 31

2.4 L’evoluzione del linguaggio e dell’espressione poetica 35

3. Lettura di Poemas del toro 39

3.1 El toro 41

3.2 Maternidad 44

3.3 Toro de amor y ausencia 46

3.4 Toro en la primavera 50

3.5 Mugido 52

3.6 A un toro viejo 54

3.7 Muerte del toro 55

3.8 Toros en la noche 57

3.9 A un toro blanco 58

3.10 Toro en la serranía 60

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2

3.12 El buey 63

3.13 Picador 64

3.14 Toro muerto 65

3.15 Toro sin mayoral 66

3.16 Choto 67

3.17 Pasión 68

3.18 Toro en su paz 70

3.19 Agonía del toro 71

3.20 Chiquero 72 3.21 Ruedo 73 3.22 Plaza desierta 74 3.23 Toro en el bronce 76 3.24 Toro de casta 76 3.25 Lucha de toros 77

3.25 Poemas del toro: influenze e prestiti letterari 78

4. Lettura di El corazón y la tierra e Canción sobre el asfalto 85

4.1 El corazón y la tierra 85

4.1.1 Madre tierra 86

4.1.1.1 Commento di A un esqueleto de muchacha 89

4.1.2 Esto es amor 92

4.1.3 Soledad e Misterios y fantasías 98

4.2 Canción sobre el asfalto 103

4.2.1 Una poesia impura e humanizada 104

4.2.2 Umana commiserazione e immutabile destino 107

5. Proposta di traduzione 111

Poemas del toro – Poesie del toro 111

El corazón y la tierra – Il cuore e la terra 139

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3

6. Commento alla traduzione 200

6.1 Tradurre la poesia 200

6.2 Scelte traduttive 202

Intervista a Rafael Morales Barba 216

Bibliografia 226

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CAPITOLO 1

La poesia della primera generación de posguerra

1.1 Identità e suddivisione di un gruppo poliedrico

La cosiddetta primera generación de posguerra non ha ottenuto la stessa attenzione da parte della critica rispetto, ad esempio, ad altre generazioni precedenti, come quelle del ’27 e del ’36. Tuttavia, la pubblicazione di antologie, tra cui quella di Leopoldo de Luis nel 1965, che ne inquadra la corrente sociale o, più recentemente, quelle di José Paulino Ayuso, nel 1998, e di Santiago Fortuño Llorens, nel 2008, che ne analizzano le varie tendenze, ha permesso di individuare le caratteristiche che raggruppano questi poeti che hanno scritto negli anni immediatamente successivi alla guerra civile sotto il nome di primera generación de posguerra. Un altro importante studio relativo a questa generazione è il manuale di Víctor García de la Concha, La poesía española de 1935 a 1975, pubblicato nel 1987, nel cui primo volume, De la posguerra a los años oscuros, egli realizza un quadro specifico delle diverse tendenze che si svilupparono all’interno del gruppo tra il 1935 e il 1944, mentre nel secondo, De la poesía existencial a la poesía social, esamina la corrente esistenzialista e la poesía social dal 1944 al 1950.

Per iniziare questo breve quadro sulla poesia della primera generación de posguerra, mi sembra opportuno porsi una domanda fondamentale, a cui Leopoldo de Luis dà risposta nella sua antologia Poesia social:

¿Quienes son estos poetas de las generaciones de posguerra? A mi juicio, son los que han llevado a término con caracteres definidos y de una manera singular y propia la manifestación poética y humana que hemos llamado poesía social, como fenómeno de nuestro tiempo1.

È interessante notare come egli utilizzi il termine generazione non al singolare, quanto piuttosto al plurale, probabilmente per evidenziare la diversità delle poetiche manifestatesi al suo interno, di cui, naturalmente, la poesía social costituisce solo una delle tendenze. Questo a testimonianza del fatto che tentare di dare una definizione univoca a tutte le correnti poetiche sviluppatesi durante gli anni successivi alla guerra civile spagnola sarebbe, a mio avviso, improponibile, in quanto

(5)

5 esse sono diverse e opposte tra di loro. Ragion per cui è preferibile suddividerle, come fa Víctor García de la Concha già nel 1973 in La poesía española de posguerra. Teoría e historia de sus movimientos, in cui mette a confronto e studia questi poeti classificandoli secondo diverse tendenze, quali, ad esempio, quelle garcilasista, neoclassica, neoromantica, neobarocca, españadista, ecc. L’anno seguente, José Luis Cano include sotto il nome di primera generación de posguerra le poesie di Otero, Gaos, Buosoño, Hierro, Garciasol, De Luis, De Nora e Montesinos. Questa prima ondata di poeti, che iniziò a pubblicare le proprie opere negli anni ’30, fu influenzata dagli ideali della generazione del ’27 e la loro poesia appare “asaltada por el dolor de la contienda, obligada a refugiarse en su reducto o a reflexionar sobre su situación en el tiempo”2. Anche la poesia degli anni ’40 richiese

un profondo cambiamento del modo di essere e di comprendere se stessa in relazione all’esistenza umana. Fu, secondo Ayuso3

, un periodo privo di spaccature violente, ma caratterizzato da inflessioni che dipendevano dal cambiamento storico, dall’esaurimento delle formule poetiche e dalla problematica riguardante la relazione tra la realtà e il testo poetico: da un lato, ci si interrogava sull’identità di questa realtà poetizzata (la “realidad verdadera” come avrebbe detto Buosoño), quella attraverso la quale il poeta poteva accedere alla sua visione del mondo come unità, e, dall’altro, ci si domandava quale linguaggio potesse dare conto di tale realtà. Basandosi sulle diversificazione dei vari orientamenti, Ayuso stabilisce tre fasi essenziali che ricoprono un arco di tempo di circa quarant’anni, che va dal 1939 al 1980.

La prima di esse (1939-1959), che comprende l’immediato dopoguerra ed è rappresentata dai poeti della primera generación de posguerra, risponde a delle condizioni sociali e a un contesto di impasse culturale in cui la poesia deve sottostare al rigido controllo della censura. L’immediata manifestazione di tali circostanze è rappresentata dalla poesía social. La seconda fase, invece, che si sviluppa negli anni ’60, appartiene al momento di evoluzione delle strutture economiche, sociali e culturali e si concretizza in una serie di modifiche riguardo la poetica e il linguaggio della tappa anteriore, fino ad allontanarsi in modo considerevole. Infine, nella terza fase, che parte dagli anni ’70, domina una totale rottura con l’estetica e i contenuti

2 J. Paulino Ayuso, Antología de la poesía española del siglo XX. II (1940-1980), Madrid, Clásicos

Castalia, 1998, cit., p. 9.

(6)

6 anteriori, si recuperano modelli del passato, mentre la società si evolve verso forme politiche ed economiche che acquisiscono autonomia propria in un ordine più democratico. Tuttavia, all’interno di questi tre momenti, in particolar modo nel primo, che è quello di cui si parlerà in questo capitolo, si osserva l’esistenza di correnti differenti e nuove tendenze di cui si parlerà nei paragrafi successivi.

1.2 La poesia prima e durante la guerra civile: la generazione del ’36

Il pensiero di molti dei poeti della primera generación de posguerra ha le sue radici negli ideali degli scrittori appartenenti alla generazione precedente, quella del ’36. Questi autori, che pubblicano le loro opere durante la guerra e a ridosso del centenario della morte di Garcilaso (1536), sono Miguel Hernández, Luis Felipe Vivanco, Leopoldo Panero, Dionisio Ridruejo, Luis Rosales, Germán Bleiberg, Ildefonso Manuel Gil, Juan Gil-Albert e Arturo Serrano Plaja4. Secondo Víctor García de la Concha, si tratta di un gruppo di poeti che, in una determinata circostanza storica, si videro obbligati a “tomar partido”, ma che furono accomunati dalla “voluntad integradora” di accettare un’eredità del passato e impegnarsi, rinunciando a non poche spinte innovatrici, a tramandare a loro volta quel bagaglio culturale alle generazioni successive5.

I poeti della generazione del ‘36 diedero vita a una poesia “íntimamente humanizada”, che mostrava interesse nello scoprire e plasmare “lo humano y vital frente a lo bello, exótico y lejano”6

della generazione a loro precedente, quella del ’27. Infatti, il loro interesse si rivolge non tanto a ciò che la poesia suggerisce, quanto piuttosto a ciò che essa comunica e trasmette. Si avvertono in questo pensiero le orme di Unamuno e del suo interesse per l’uomo concreto in carne e ossa, l’idea della “temporalidad lírica” di Machado e la “circunstancia como razón vital”7

di Ortega y Gasset. Secondo quanto egli afferma nel suo saggio La deshumanización del arte, infatti, negli anni ’20 del Novecento si era assistito a una profonda purificazione dell’arte attraverso l’esclusione degli elementi riguardanti l’esperienza

4 Questo elenco di poeti della generazione del ’36 è stato stilato da S. Fortuño Llorens, Poesía de la

primera generación de posguerra, Madrid, Cátedra, 2008, p. 34.

5

Cfr. V. García de la Cocha, La poesía española de 1935 a 1975, t. I, De la preguerra a los años

oscuros 1935-1944, Madrid, Cátedra, 1987, p. 19.

6 S. Fortuño Llorens, Poesía de la primera generación de posguerra, cit., p. 36. 7 Ibidem.

(7)

7 umana, come la passione, i sentimenti e il dolore, che erano state tematiche dominanti della produzione romantica e naturalista. Tale opinione espressa da Ortega y Gasset fu avallata da Machado, Alberti e Aleixandre, i quali ammisero la presenza di questa inflessione anche nella loro poesia degli anni ‘208. Però si avvertì, successivamente, un cambiamento, sicuramente motivato dalle dinamiche sociali del Paese, che portò a guardare all’esperienza umana in modo profondamente sentito e al sorgere di un rinnovato romanticismo che contemplava le preoccupazioni dell’uomo, come l’amore, il dolore, la morte e la religione. I primi poeti a dar voce a questo cambiamento furono Alberti e Cernuda, che si rifacevano a Bécquer, non solo perché era stato il poeta dell’amore in tutte le sue più dure e dolorose sfaccettature, ma soprattutto perché la sua poesia rifiutava qualsiasi ampollosità e tutto ciò che era alieno al lirismo, caratteristica che lo rendeva moderno e vicino al pensiero dei due poeti, cui fece seguito Vicente Aleixandre con Espadas como labios, nel 1932. La coscienza della necessità di un compromesso tra la poesia e la realtà umana, nelle sue dimensioni esistenziale e storica, diventò allora di primaria importanza e si cominciò a parlare di “rehumanización del arte”.

Un altro esempio di tale “rehumanización” è rappresentato dal manifesto programmatico Sobre una poesía sin pureza, scritto dal poeta cilenoPablo Neruda e pubblicato nel primo numero dell’ottobre 1935 della rivista Caballo vervde para la poesía9. La sua poetica si rivolgeva agli oggetti più comuni e umili della quotidianità, invitava a non fuggire dal “mal gusto”, a non dimenticare la “melancolía, el gastado sentimentalismo, perfectos frutos impuros de maravillosa calidad olvidada”10

. Egli inglobava in questa poetica l’uomo, la natura, le passioni, gli avvenimenti, le cose “sin excluir deliberadamente nada, sin aceptar deliberadamente nada”, per una poesia “impura como un traje, como un cuerpo, con manchas de nutrición, y actitudes vergonzosas, […]”11

.

La creazione della Seconda Repubblica spagnola (1931) favorì il nascere di una poesía comprometida, ossia una poesia che esprimesse gli ideali di ciascuna

8 V. García de la Concha, La poesía española de 1935 a 1975, t. I, De la preguerra a los años

oscuros 1935-1944, cit., p. 26.

9

P. Neruda, «Sobre una poesía sin pureza», Caballo verde para la poesía, 1 (ottobre 1935), p. 7.

10 J. M. Rozas, La generación del 27 desde dentro. Textos y documentos seleccionados y ordenados

por Juan Manuel Rozas, Madrid, Istmo, 1986, cit., pp. 250-251.

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8 fazione politica costituita dai repubblicani, da un lato e dai falangisti, dall’altro. I poeti della generazione del ’36 collaboravano con le riviste Hora de España, creata a Valencia, ed Escorial, che apparve nel novembre del 1940 e aveva tendenze eclettiche e aperte al mondo culturale latino e germanico, ma rivendicava l’importanza letteraria dello spagnolo. Coloro che collaboravano con quest’ultima rivista, che era suffragata dal regime e che prestò attenzione alla poesia religiosa e alla tradizione del Siglo de Oro, ammiravano Herrera e Garcilaso: la loro poesia era caratterizzata da “actitudes humanas profundamente sentidas”12

e il verso relegato quasi esclusivamente alle forme classiche. Le migliori manifestazioni di questa poesia, secondo Fortuño Llorens, si ebbero con Abril (1935) di Luis Rosales, Sonetos amorosos (1936) di Germán Bleiberg e con El rayo que no cesa (1936) di Miguel Hernández13. A questi si aggiugono La voz a ti debida (1933) di Pedro Salinas e Cántico (1936) di Jorge Guillén. Il loro ritorno alle forme classiche e al formalismo strofico venne poi ripreso quei poeti della primera generación de posguerra che imposero l’ideale del garcilasismo, di cui si parlerà nel paragrafo 1.4.

Se, da un lato, gli intellettuali repubblicani, organizzati nella Alianza de Intelectuales Antifascistas, proponevano una poesia sociale e rivoluzionaria, controllando, inoltre, le più importanti riviste colte quali Hora de España, Cuadernos de Madrid ed El mono azul, dall’altro, i poeti esponenti della poesía comprometida de derechas affermavano una cultura radicata nella tradizione spagnola. Secondo Víctor García de la Concha:

Por lo que a la poesía respecta, no debemos tampoco perder de vista que la Falange, muy pronto articuladora de gran parte de la ideología del Movimiento Nacional, subrayaba la dimensión poética de su empresa: «en un movimiento poético – decía José Antonio – nosotros levantaremos este fervoso afán de España […] a los pueblos no los han movido nunca más que los poétas»: poesía y lo poético se convierten en núcleo simbólico de oposición marxista en que el discurso oficial sintetizaba los valores del bando republicano14.

Si tratta, quindi, di una poesia utilizzata come arma al servizio dell’ideale falangista e imperialista appoggiato dalla rivista Escorial.

12

S. Fortuño Llorens, Poesía de la primera generación de posguerra, cit., p. 37.

13 Ivi, p. 38.

14 V. García de la Concha, La poesía española de 1935 a 1975, t. I, De la preguerra a los años

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1.3 Le conseguenze della guerra nel panorama culturale spagnolo

Prima di passare in rassegna le caratteristiche di ciascuna delle tendenze sviluppatesi nell’arco dei primi anni del dopoguerra, è doveroso spiegare le ragioni che ne hanno favorito i vari orientamenti, partendo dalla causa scatenante che fu il dramma della guerra civile (1936-1939).

Con la fine della guerra, che sconvolse il sistema politico e turbò la vita sociale, molte personalità della cultura spagnola scelsero la strada dell’esilio. Circa il novanta per cento dell’intellighenzia, infatti, aveva preferito questa via di fuga che costò alla Spagna la perdita di 118 professori universitari, 200 professori di scuola media e 2.000 maestri15. Inoltre, tra il 1936 e il 1939, erano mortiUnamuno, Antonio Machado, Lorca, Valle-Inclán; Miguel Hernández sarebbe deceduto in carcere nel 1942. Vennero a mancare così tutte le figure di spicco e i maestri del panorama culturale spagnolo e, in questo modo, alcuni dei giovani poeti furono influenzati dalle voci di quelle poche personalità rimaste: quella di Vicente Aleixandre, Dámaso Alonso (rimasto in silenzio fino al 1944) e Gerardo Diego all’interno della Spagna; dall’esterno proveniva, invece, l’influenza dei poeti in esilio come Juan Ramón Jiménez, che molti convertirono in un “abanderado de una lírica o ensimismada o evasionista, frente a cuya enseña minoritaria se enarbolaría la de Antonio Machado, verdadero santo civil para los escritores de la posguerra”16

.

Nel 1945, con la vittoria degli alleati, gli spagnoli in esilio videro concretizzarsi la possibilità di un loro ritorno in patria, grazie anche alla speranza di un aiuto da parte delle Nazioni Unite. In seguito, nel 1946, le loro aspettative furono accresciute dalla negazione da parte delle Nazioni Unite della richiesta della Spagna franchista di entrar a far parte del loro organismo internazionale, ma, negli anni successivi, la speranza venne sostituita dal dubbio e poi dalla disillusione finale di un cambiamento mai avvenuto. Le Nazioni Unite, infatti, avevano istituito un embargo contro Spagna, ma questa soluzione ebbe come immediata conseguenza la crescita

15 Dati riportati da S. Fortuño Llorens, Poesía de la primera generación de posguerra, cit., p. 21. 16 Á. L. Prieto de Paula, «El resurgir poético tras la Guerra Civil», Poesía española contemporánea,

Alicante, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, 2005. Disponibile all’indirizzo url:

<http://www.cervantesvirtual.com/bib/portal/pec/ptercernivel0d91.html?nomportal=pec&conten=hist oria&pagina=historia1.jsp&tit3=El+resurgir+po%E9tico+tras+la+Guerra+Civil>. (Consultato il 14 febbraio 2015).

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10 del consenso popolare nei confronti del regime che, in questo modo, potè consolidarsi.

Nel frattempo, dunque, il governo spagnolo si era stabilizzato e aveva favorito l’accentramento del potere nelle mani del capo di stato, da cui dipendevano le decisioni prese dal parlamento. Furono varate delle delle leggi che favorirono il potere e il consolidamento del nuovo regime: la Ley de Organización Sindical del 1940 stabiliva le regole per un nuovo sindacato verticale dipendente dalla FET (Falange Española Tradicionalista) e dalle JONS (Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista); con la Ley de Seguridad del Estado del 1941 e la Ley de Sucesión en la Jefatura del Estado del 1947 si definì, infine, il nuovo governo come unità politica, stato cattolico, sociale e rappresentativo. Inoltre, il controllo indiscriminato, la rigida censura, soprattutto nei primi anni del dopoguerra, la persecuzione di ogni movimento che si allontanava dall’ortodossia stabilita e la difesa dei valori patriottici rendevano difficoltoso ogni barlume di creazione artistica che supponesse un’innovazione o una rottura con tutto ciò che veniva ufficialmente ammesso. Lo stato militarizzato e il potere ecclesiastico rappresentavano le due forze di una classe minoritaria che concentrava il governo nelle proprie mani e che, in questo modo, era in grado di influenzare la società.

Nel febbraio del 1946, l’Assemblea Nazionale dell’ONU condannò il regime di Franco e, nel dicembre dello stesso anno, stabilì il ritiro degli ambasciatori accreditati dalla Spagna. Nel frattempo, all’interno del Paese la situazione si faceva sempre più tesa a causa di una spaccatura che vedeva schierarsi, da un lato, i partigiani, il razionamento del cibo, la fame e, dall’altro, la censura e la repressione. Per di più, il divieto di costituire partiti politici, a eccezione ovviamente del FET e delle JONS, causò un’uniformità di pensiero che, a sua volta, recò immobilismo culturale, evitando il sorgere di idee nocive al regime fra gli intellettuali. Con la Ley de Prensa del 1938, infatti, tutte le future pubblicazioni dovevano passare al vaglio della censura prima di ottenere l’imprimatur, che ne assicurava l’allineamento all’ideologia monolitica del regime. Negli anni successivi, furono fondati vari organismi per la salvaguardia della morale e dell’ordine politico: il Consejo Superior de Investigaciones Científicas nel 1939, la Delegación Nacional de Prensa y Propaganda, istituita nel marzo del 1941, che applicava la censura ed era coadiuvata

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11 dal Cuerpo de Inspectores de Tradicción, creato nel 1945 e, nello stesso anno, la rivista Arbor, che seguiva le linee della censura.

In quell’ambiente fatto di regole, sospetto e repressione vi erano, per fortuna, alcuni tentativi d’instaurare una politica culturale, seppur controllata e instradata. La Ley de Prensa aveva l’obiettivo di estirpare “los posibles ataques al Estado, la religión y la moral”17

e, come già detto, qualsiasi opera letteraria doveva passare al suo vaglio, ma si tendeva a guardare con meno attenzione alle opere poetiche rispetto a quelle narrative e teatrali, a volte per negligenza o per la loro minore diffusione. Lo sforzo culturale di alcuni intellettuali si concretizzò nella creazione della clandestina Unión de Intelectuales libres nel 1945 e dalla presa di posizione di Escorial che, nel 1940, prese le distanze dal falangismo, definendosi non come una rivista di propaganda, ma come una divulgatrice di cultura. A questi tentativi si aggiunse l’apparizione della rivista Ínsula. Revista Bibliográfica de Ciencias y Letras, fondata da Enrique Canito nel 1946, che rappresentò una vera e propria isola di salvezza nel panorama asfissiante della cultura spagnola. Essa, come anche la rivista Índice, permise al Paese di conoscere gli scrittori spagnoli in esilio (come Max Aub, Ramón J. Sender, Juan Ramón Jiménez, Rafael Alberti, ecc.), gli autori stranieri (Miguel Ángel Asturias, Bertold Brecht, Samuel Beckett, Guillermo Cabrera, ecc.) e i movimenti culturali europei, come l’esistenzialismo di Sartre e di Camus.

Negli anni ’50 si assistette a una relativa apertura politica verso il panorama internazionale e a una timida sensibilità verso le correnti di pensiero che circolavano in Europa. Per quanto riguarda la poesia, il 1952 rappresenta una data importante poiché, nel luglio di quell’anno, Francisco Ribes pubblicò a Valencia l’Antología consultada de la joven poesía española, in cui sono inclusi nove poeti selezionati da una lista di cinquantatré scrittori appartenenti a distinte generazioni, critici e professori. Tra di essi vi sono personalità il cui pensiero influì profondamente negli orientamenti delle poetiche che si svilupparono in quegli anni: Carlos Buosoño affermò che “toda verdadera poesía ha sido siempre realista”18 e che essa è uno strumento per mezzo del quale si può trasformare il mondo, mentre per Vicente Aleixandre la poesia era comunicazione; José Hierro sottolineò il valore della poesia come testimone del proprio tempo; Rafael Morales evidenziò, invece, la funzione

17 S. Fortuño Llorens, Poesía de la primera generación de posguerra, cit., p. 24. 18 Ivi, p. 27.

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12 poetica della parola, mentre Eugenio de Nora quella sociale della poesia; infine, Blas de Otero ribadì la componente realista della poesia.

Va detto, infine, che, conclusa la guerra, vi fu un “afán oficialista de normalizar la vida cultural y específicamente poética, fruto del imposible deseo de emular los florecientes años de la República”19

, motivo per cui la storia della poesia spagnola del dopoguerra si evolse seguendo gli esiti dei dibattiti che avvenivano nei circoli culturali del Paese e, soprattutto, si concentrò intorno alle riviste che segnarono il corso degli orientamenti letterari e la fama degli scrittori. L’importanza che acquisirono le riviste, in cui spesso si trovavano manifesti di poetica, giustificò la tendenza a denominare le varie correnti con il titolo della rivista di cui si facevano portavoce.

1.4 La poesia ufficiale del primo dopoguerra: il garcilasismo.

Sulle orme del pensiero falangista, sviluppatosi durante gli anni precedenti e a cavallo della guerra, il 13 maggio 1943 uscì il primo numero della rivista Garcilaso, i cui fondatori furono José García Nieto, Jesús Revuelta, Jusús Juan Garcés e Pedro Lorenzo, un gruppo di poeti che si riuniva al Café Gijón di Madrid.

Gli ideali che influenzarono il pesiero garcilasista si incontrano nel periodico El Español, Semanario de la Política y del Espíritu, diretto da Juan Aparicio e sostenuto dalla Delegación Nacional de Prensa y Propaganda, e nell’antologia pubblicata il 17 aprile 1943 nelle pagine di questa rivista sotto il titolo di “Una Poética, una Política, un Estado”. Il manifesto programmatico del garcilasismo venne redatto da Pedro de Lorenzo e affermava la necessità di una nuova poesia semplice e chiara, che tendesse alla creazione di una coscienza collettiva sensibile, salvatrice dello spirito di una nazione, “que sea y trascienda, si en ello va el mejoramento del hombre, la crecida de su fe y la gloria de España”20

. Secondo Víctor García de la Concha, che si basa sulle dichiarazioni del mecenate della rivista Garcilaso, Juan Aparicio, tale programma poetico si giustificava come un’operazione politica appoggiata dal regime vittorioso che, accusato della morte di Lorca e di Hernández e

19

Op. cit., Á. L. Prieto de Paula, «El resurgir poético tras la Guerra Civil», Poesía española

contemporánea, Alicante, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, 2005.

20 Sono le parole di Pedro de Lorenzo, citate da Santiago Fortuño Llorens nell’introduzione della sua

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13 privato della voce di numerosi intellettuali costretti all’esilio, vedeva così la possibilità di farsi promotore di un “movimiento juvenil de creación”21

. Un altra rivista che influenzò il pensiero garcilasista fu Juventud. Semanario del combate del SEU, che pretendeva una poesia vigorosa e vitalista.

Animato da queste linee propagandistiche, il primo numero di Garcilaso recava una citazione dell’Elegia II di Garcilaso A Boscán, che recita: “Siempre ha llevado y lleva Garcilaso”. Di seguito si giustificava la scelta di prendere come esempio di vita e poetica lo scrittore del Siglo de Oro: la sua morte, infatti, era avvenuta lottando sul campo di battaglia, così come, combattendo, era sorto un secondo rinascimento ispanico nel dopoguerra. Al significato cavalleresco, imperiale e amoroso della poesia di Garcilaso si unisce la volontà di un ritorno allo stile neoclassico che si scaglia contro la “poesía sin pureza” di Neruda, di cui il garcilasismo criticava le pretese audaci e l’accettazione del “mal gusto” delle cose umili nella poesia.

La rivista accettò nelle sue pagine una varietà di tendenze del momento, ma la sua concezione rispondeva alla necessità di offrire al pubblico un tipo di poesia richiesta dalla propaganda politica e consolidare un gruppo di giovani poeti che risorgesse dalle rovine della poesia del periodo precedente. Per questo motivo, essa si orientava verso il neoclassicismo e l’uniformità. I garcilasisti, infatti, consideravano gli scrittori del Siglo de Oro come promotori di un neoclassicismo nazionalista, che univa la concezione imperiale del XVI secolo agli ideali ereditati dalla guerra civile. In questa ideologia eroica dominavano, dunque, la ricerca della perfezione formale, in cui il sonetto rappresentava il metro predominante, la retorica e il tono magniloquente.

Due poeti della generazione del ’36, Germán Bleiberg con Sonetos amorosos (1936) e Dionisio Ridruejo con Primer libro de amor, contribuirono, assieme ad altri scrittori che inaugurarono la collana “Adonais” (José Luis Cano, Rafael Morales, José García Nieto, ecc.), a plasmare la poetica del garcilasismo, che vide nel sonetto e nella decima le forme metriche per eccellenza. Il 20 aprile 1943 si inaugurò, infatti, il primo numero della collana “Adonais” con i sonetti di Poemas del toro di Rafael Morales. Sempre nel 1943 venne istituito un premio che portava lo stesso nome della

21 V. García de la Concha, La poesía española de 1935 a 1975, t. I, De la preguerra a los años

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14 collana e che fu vinto quell’anno da José Suárez Carreño, Vicente Gaos e Alfonso Moreno. L’importanza che “Adonais” ebbe in quegli anni è testimoniata dal fatto che la maggior parte dei poeti della primera generación de posguerra divennero famosi grazie alla pubblicazione delle loro opere in quella collana22.

All’interno della rivista, entrarono, dunque, scrittori appartenenti a diverse correnti estetiche e questo fece sì che Garcilaso assumesse un orientamento più eclettico, che abbracciava temi amorosi, nazionalisti ed esistenzialisti. Come afferma Víctor García de la Concha, tra le varie tematiche, si ebbe un ritorno del cancionero sotto l’influenza di Lorca e Alberti, testimonianze di poesia religiosa e sacra, componimenti neoromantici in cui predominava la melanconia, oltre alla poesia più tradizionalista vicina a quella del Siglo de Oro23.

I detrattori della rivista Garcilaso, alcuni dei quali collaborarono attivamente alla stesura qualche numero, come Vicente Gaos, ne criticarono l’allontanamento dalla realtà e l’eccessiva concentrazione sugli elementi retorici e formali, favoriti dalla cultura del regime. José Fernando Aguirre, altro vecchio collaboratore del gruppo, accusò di ipocrisia i giovani intellettuali garcilasisti perché nessuno di loro aveva vissuto davvero l’impresa militare cantata e l’autentico dolore di cui si facevano portavoce attraverso il grande esempio del poeta-soldato Garcilaso24.

1.5 Le reazioni al neoclassicismo: Espadaña, Corcel, Proel, Cántico e il postismo Accanto al neoclassicismo nazionalista, risuonano le voci dei poeti che iniziarono a pubblicare le loro opere agli inizi degli anni ’40. Questi autori abbracciavano la poesia esistenzialista e manifestavano una comune angoscia nel sentirsi immersi in una tragica condanna. Testimonianza personale e denuncia di una sofferenza collettiva trovarono sfogo in un orientamento religioso e intimista della poesia.

22

Secondo Prieto de Paula “«Adonais» supuso, en el ámbito estricto de la poesía, lo mismo que la revista Ínsula -ésta de la mano de Enrique Canito y José Luis Cano- en el de la cultura literaria en general, respecto a la voluntad de acercamiento entre los escritores del interior y los del exilio”. Op. cit., «El resurgir poético tras la Guerra Civil», Poesía española contemporánea, Alicante, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, 2005.

23

Cfr. V. García de la Concha, La poesía española de 1935 a 1975, t. I, De la preguerra a los años

oscuros 1935-1944, pp. 356-391.

24 Cfr. le affermazioni di José Fernando Aguirre riportate da S. Fortuño Llorens in Poesía de la

(15)

15 Ayuso pone il momento iniziale di questa corrente negli anni 1943 e 1944, segnalando come evento importante la pubblicazione di Poemas del toro che, con la sua linea neobarocca e neoromantica produsse un tono nuovo, una sobrietà formale, una testimonianza di dolore e patetismo, elementi che si avvicinavano alla poetica di Vicente Aleixandre e di Miguel Hernández25. A questa vanno aggiunte le opere prime di Carmen Conde, Victoriano Crémer, José Luis Hidalgo e Vicente Gaos e di giovani come José María Valverde, Carlos Buosoño, Eugenio de Nora, Leopoldo de Luis, José Hierro e Pablo García Baena. La poesia di questa generazione era caratterizzata da tre aspetti principali: solitudine e angoscia esistenziale che il poeta assimila e personifica; l’invocazione di una realtà assoluta e la protesta verso la miseria del tempo e la condizione umana, a volte realizzata con riferimenti a Dio e alla fede; la riduzione a poche forme metriche.

Nel 1944 apparve il primo numero della rivista Espadaña a León, i cui promotori furono Eugenio de Nora, Victoriano Crémer, Antonio González de Lama, Luis López Santos e Manuel Rabanal, che si riunivano nella biblioteca Azcárate della città. La rivista ricevette il benestare della Delegación Nacional de Prensa y Propaganda, che la classificò ufficialmente come Pliegos de Poesía. Il suo proposito era quello di contribuire allo sviluppo della poesia spagnola e di riunire gli orientamenti dei giovani della provincia, nutrendo così la vita culturale del territorio, mentre il titolo venne suggerito da Crémer per la sua “vinculación al paisaje leonés y su analogía con la espada”26

.

La linea di Espadaña era fortemente vincolata a una poetica umana e impura, i cui versi che si avvicinavano all’uomo e alla vita ed erano privi di retorica, ornamenti e soggettivismo. Come si affermava nell’articolo iniziale della prima uscita, infatti, “la poesía no es el sentimiento, es lo que se siente”, e più avanti, con esplicito riferimento a Bécquer: “Poesía eres tú. Tú, es decir, lo concreto, lo inaprehensible en conceptos, lo invenable en las redes de la lógica”27

. Era una poesia che abbracciava ogni aspetto della vita con i suoi sentimenti più diversi di allegria e

25

Cfr. J. Paulino Ayuso, Antología de la poesía española del siglo XX. II (1940-1980), cit., p. 18.

26 V. García de la Concha, La poesía española de 1935 a 1975, t. I, De la preguerra a los años

oscuros 1935-1944, cit., p. 450.

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16 tristezza, profondamente legata alla situazione del proprio tempo, tutti aspetti che ne facero uno degli esempi più evidenti di “rehumanización del arte”.

La pubblicazione della rivista coincise anche con quella di due opere fondamentali, grazie al loro contenuto, per l’inaugurazione di un nuovo tono della lirica spagnola: Hijos de la ira di Dámaso Alonso e Sombra del Paraíso di Vicente Aleixandre, entrambe del 1944. La prima, scritta in versi liberi e con un linguaggio che si avvicina al parlato, presenta una visione cruda dell’uomo e del mondo, in linea con la poetica di Machado, Hernández, Vallejo e Neruda, mentre, la seconda, rivendica l’importanza della semplicità in una poesia legata al proprio tempo. Dámaso Alonso, famoso anche come critico, proponeva così la sua teoria della “poesía desarraigada” contro la “poesía arraigada”, concetti che si basavano rispettivamente su una visione del cosmo disarmonica e indecifrabile, nel primo caso e, nel secondo, armonica ed equilibrata. All’interno della prima categoria egli classificava, oltre a sé stesso, i poeti che alla fine degli anni ’40 fecero sentire la loro voce più violenta, ossia Blas de Otero, con Ángel fieramente humano (1950) e Redoble de conciencia (1951), e Gabriel Celaya, con Las cosas como son (1949), Lo demás es silencio (1949) e Las cartas boca arriba (1951). In effetti, il dibattito poetico in quegli anni si concentrò su queste due linee: da un lato, una poesia in armonia con il mondo e, dall’altro, una parola che esprimeva la desolazione della realtà circostante e il rifugiarsi nel sentimento religioso, unica ancora di salvezza per molti poeti nel mare di tanta distruzione. Altri importanti esponenti di questa tendenza furono José Hierro, con Con las piedras, con el viento (1950), Leopoldo de Luis, con Los imposibles pájaros (1949), e Rafael Morales, con Los desterrados (1947) e Canción sobre el asfalto (1954).

In quegli stessi anni, altre importanti riviste letterarie, supportate da altrettanti gruppi di poeti, fecero la loro comparsa. Una di queste fu Corcel, nata a Valencia nel 1942 da riunioni che si tenevano al Bar Galicia e a cui prendevano parte Ricardo Juan Blasco, José Luis Hidalgo, José Hierro, Pedro Caba, Jorge Campos e Julio Maruri. Il loro obiettivo era quello di “servir a la poesía y que por tal se entiende toda defensa y aliento de la verdad poética”28

, ossia tutto ciò che nasce ed è radicato nell’animo del poeta, libero dall’endecasillabo o da qualsiasi altro metro e sottostante

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17 solo alla volontà del suo cuore. La linea di questi poeti si distingueva, inoltre, per il suo ecletticismo, l’adesione al neoromanticismo e la presa di distanza da ogni avanguardia. Corcel non ebbe, tuttavia, lunga vita, dato che il suo ultimo numero uscì nel 1949.

Fondata nell’aprile 1944 a Santander, Proel si presentò da subito come un periodico divincolato da qualsiasi condizionamento politico, favorevole a una “rehumanización del arte” e con l’unico obiettivo di servire la poesia, senza creare o distruggere mode. Nelle sue pagine scrissero soprattutto Hierro e Hidalgo, ma anche altri poeti della primera generación de posguerra, come Rafael Morales, Vicente Gaos, Rafael Montesinos, Carlos Buosoño, e autori stranieri, quali Paul Valéry e Ungaretti. Corcel e Proel furono legate da un gruppo di cinque poeti, denominato la “Quinta del 42”, formato da José Hierro, José Luis Hidalgo, Jorge Campos, Ricardo Juan Blasco e Pedro Caba, che dopo aver collaborato alla prima rivista si riunirono a Santander dove diedero vita alla seconda. José Hierro definì questo gruppo come parte di una “generación que estuvo a punto de salvarse por la acción, durante la guerra, pero se quedó con su soledad, su alma desbordante de una amargura que su cuerpo no había experimentado”29

.

Qualche anno più tardi, nel sud della Spagna un altro gruppo di giovani poeti, tra cui Ricardo Molina, Mario López, Pablo García Baena e Julio Aumente, iniziò a riunirsi a Cordova intorno alla rivista Cántico, ben lontano dai circoli letterari ufficiali. La linea guida adottata da questo gruppo fu quella di una poesía “no comprometida” ed estetizzante. La loro poesia era chiaramente influenzata da una sensualità e da un’inquietudine tipicamente andaluse, vale a dire caratterizzata da un linguaggio “largo, de inclinación lujosa, a veces con cierto tornasol variable o purpúreo”, come lo definì Vicente Aleixandre30

. Indipendente dalle correnti poetiche coeve, lontana dai toni neoromantici, dal patetismo e dal neoclassicismo di Garcilaso, la rivista Cántico si preoccupava di evidenziare il gusto del bello e del raffinato, il piacere per i sentimenti umani con tinte barocche, nostalgiche, elegiache e con un’inflessione che si avvicinava al simbolismo francese.

Infine, un’ultima reazione alle correnti poetiche dominanti fu portata avanti dal postismo, movimento che ebbe il suo picco tra il 1945 e il 1948. Il suo manifesto

29 Ivi, p. 70. 30 Ivi, p. 60.

(18)

18 venne redatto presso il Café Castilla a Madrid da Eduardo Chicarro Agüera, Carlos Edmundo de Ory e Silvano Sernesi e aveva il proposito di scagliarsi contro il garcilasismo, l’esistenzialismo, la poetica “humanizadora” di Espadaña e la preoccupazione formale e linguistica di Cántico. Inoltre, non accettava nessuna avanguardia (dadaismo, futurismo, surrealismo), giustificando con questa motivazione il nome del movimento, che significa appunto “después de los ismos”. Il postismo fu soprattutto una corrente provocatrice che ricercava la bizzarria e la stravaganza e la sua poetica si basava, quindi, sullo humor, la boutade, il gioco verbale con associazioni lessicali e sintattiche insolite, l’eliminazione della punteggiatura, l’uso di neologismi e la creazione di effetti acustici sorprendenti. Nonostante tutto, la ripercussione di questa corrente ribelle fu alquanto scarsa.

1.6 La poesia esistenzialista e la poesía social

Il colpo inflitto dalla guerra civile e dalla seconda guerra mondiale gravò profondamente sui poeti di questa primera generación de posguerra, non solo per quanto riguarda la loro biografia, ma influenzò soprattutto il loro modo di osservare la realtà. Questi poeti furono indotti dalle circostanze sociali e politiche a riflettere sulle problematiche che più intimamente toccano l’animo umano: il silenzio di Dio, l’irrimediabile destino della morte, il senso della vita, il dolore costante, l’ingiustizia, l’amore, la libertà, ecc. A questo si aggiunse l’influenza della corrente esistenzialista europea, in cui predominavano le opere di Sartre, Camus, Heidegger e Ortega y Gasset. Se la generazione di poeti degli anni ’20 era stata accusata da quest’ultimo di aver coltivato una “arte deshumanizado”, la prima poetica del dopoguerra, al contrario, esternò le sue preoccupazioni esistenziali senza reticenze, motivo per cui diede inizio a un “arte humanizado” con reminiscenze romantiche.

Santiago Fortuño Llorens fornisce, nella sua antologia, un’esaustiva spiegazione di tale sentire poetico ben distante dalle posizioni nazionaliste del garcilasismo:

La poesía de esta primera generación, desarraigada y repleta de patetismo y emoción, estuvo íntimamente ligada a la vida, de la que proviene y a la que tiene como objeto y preocupación primordial […] distante, por consiguiente, de la postura adoptada por el Garcilasismo que, espaldas a la realidad presente, intentaba olvidar lo que de penoso y trágico envolvía al hombre en esta circunstancia vital concreta,

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19 construyendo una poesía, arraigada y conformista, que describía una realidad paradisíaca y al hombre como trovador jubiloso de la misma31.

Hijos de la ira (1944) di Dámaso Alonso è uno dei migliori esempi di questa poetica, per il tono neoromantico e angoscioso con cui si esprime la voce del poeta, che invoca Dio chiedendogli del senso di una vita popolata da mostri e realtà incomprensibili. Buosoño, Morales, Valverde, Gaos e Blas de Otero sono alcuni dei poeti che hanno cantato la ricerca di quest’uomo inquieto, un essere che vaga nella notte cieca, che è la vita, e il cui unico fine è quello inesorabile della morte. La realtà circostante è incomprensibile, oscura, piena di ombre e in essa irrompe il grido del poeta che accusa Dio di tanta miseria, come nel caso di Buosoño, o nega la sua esistenza, come fece Blas de Otero riprendendo il pensiero di Nietzsche, “Dio è morto”, in Così parlò Zarathustra (1833-1835).

Insieme alla corrente esistenzialista si sviluppò anche una poesia sociale di denuncia, che voleva essere testimone del proprio tempo, del dolore, dei limiti e dell’ansia di libertà dell’umanità. Essa proponeva anche modelli concreti di organizzazione del sistema sociale, partendo da una prospettiva collettivista o individualista. Con frequenza si faceva riferimento anche ai sentimenti della sfera privata (amore, quotidianità, famiglia), ma sempre all’interno di un sistema generale che ne causa la repressione o ne favorisce il sorgere, un contesto senza il quale tali stati d’animo non avrebbero ragion d’essere32

.

Le prime opere classificate come poesía social iniziarono a fare la loro comparsa a partire dal 1950 e i suoi maggiori rappresentanti furono José Hierro, Gabriel Celaya, Leopoldo de Luis, Victoriano Crémer e Rafael Morales. La corrente perdurò circa fino al 1965, anno in cui Leopoldo de Luis, dopo aver raccolto diversi componimenti di vari poeti esponenti del movimento, pubblicò l’antologia Poesía social. In essa analizza la natura, il tema e il proposito di tale poesia e la mette a confronto con altri tipi di poesie che hanno dei tratti in comune con essa:

31

Ivi, p. 76.

32 Leopoldo de Luis afferma al riguardo: “Los sentimientos comunes que dan origen a la poesía por mí

comentada son aquellos alcanzadores a todos los hombres integrados en una determinada sociedad y precisamente como tales miembros de la misma. Quizá no sea del todo ocioso añadir que los hechos tematizados, los problemas asumidos son, además, priprios de las gentes que sufren, de las capas sociales sumetidas, los seres humillados o aherrojados, porque lo que entendemos por inquietud social es – bien se sabe – defensa de la dignidad humana y nivelación de desigualidades económicas”.

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20 La poesía es un fenómeno de la cultura y viene, como todos los fenómenos históricos, condicionada por las circunstancias sociales y económicas en que se desarrolla. […] La poesía social coincide con la poesía política en aquellos aspectos de realismo, historicidad y narratividad, comunes a la poesía civil, y además su carácter comprometido. […] La poesía social no prejuzga soluciones [come la poesia politica e quella religiosa], sino que denuncia estados que han de corregirse33.

Inoltre, aggiunge che il poeta non è un semplice testimone della realtà, ma un suo protagonista, essendo immerso come uomo nel contesto che dà vita alla sua poesia. Egli trasforma le sue preoccupazioni e qualsiasi sentimento in materia poetica, parlando a nome del suo personale senso di giustizia o dando voce a un’ideologia, sia essa marxista, cristiana o di qualsiasi altra matrice. L’unica ideologia che non può dar vita a una poesía social è, sempre secondo Leopoldo de Luis, quella fascista, poiché di per sé propugna la discriminazione e giustifica la politica del dominio34.

Le tematiche più frequenti riguardavano, dunque, la guerra civile e mondiale, le sue conseguenze nella realtà politica spagnola, la denuncia del disagio sociale di poveri e lavoratori, la critica a coloro che detenevano il potere. Oltre a questi, il tema della Spagna, presentato sia dal punto di vista di chi semplicemente descrive la patria o ne sente la mancanza, sia da quello di chi impreca contro di essa, fu un soggetto di matrice “noventayochista”, poiché riprendeva il simbolismo del paesaggio di Antonio Machado, e trova i suoi migliori esempi soprattutto in Carlos Buosoño e José Luis Cano. Sebbene, inoltre, la poesía social più ricorrente si limitasse all’espressione del vivere quotidiano, non mancò una tendenza sovversiva, come quella incarnata da Celaya, che animava a mobilitazioni politiche, motivo per cui Ángel L. Prieto de Paula la inserisce nell’ambito della “poesía revolucionaria”35

. La poesía social è stata messa in discussione per i suoi propositi un po’ eccessivi come, ad esempio, la pretesa di poter trasformare la società attraverso la poesia, per di più in un’epoca storica in cui il controllo del regime e della censura

33

Ivi, pp. 10-11.

34 Ivi, pp. 11-15.

35 Á. L. Prieto de Paula, «Del expresionismo tremendista a la poesía social (1944-1952)», Poesía

española contemporánea, Alicante, Biblioteca Virtual Miguel de Cervantes, 2005. Disponibile

all’indirizzo url:

<http://www.cervantesvirtual.com/bib/portal/pec/ptercernivel67a6.html?nomportal=pec&conten=histo ria&pagina=historia2.jsp&tit3=Del+expresionismo+tremendista+a+la+poes%EDa+social+%281944-1952%29>. (Consultato il 14 febbraio 2015).

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21 non lasciavano spazio a tentativi di cambiamento. Inoltre, un altro motivo di critica fu lo stile e il linguaggio che miravano alla prosaicità e, fatta ovviamente eccezione per alcune opere encomiabili, cadeva a volte in una certa “laxitud expresiva”, fino a scadere “en el discurso indolente y vulgar”36

. Realismo, stile narrativo e discorsivo furono gli schemi formali applicati a questa poesia: il primo si spiega soprattutto per la scelta di un lessico denotativo e per i riferimenti collettivi, il secondo per la presenza del racconto o di scene e, infine, il terzo è dovuto all’uso di periodi lunghi, sintassi complessa e quasi colloquiale. Abituali erano anche giochi semantici e fonetici, come paradossi, equivoci, allitterazioni e paranomasie, o rotture dell’ordine sintattico degli elementi della frase. Gabriel Celaya fu, soprattutto, colui che si dimostrò più incline alla prosaicità, oltre ad essere il più combattivo fra i poeti di questo gruppo.

In conclusione, i poeti della primera generación de posguerra vissero una delle epoche sicuramente più difficili per la Spagna e furono stimolati dalle circostanze della storia e della società che permisero loro di creare opere influenzate da profondi sentimenti umani. Non avendo avuto molte possibilità di confrontarsi con la cultura estera, si concentrarono nell’espressione delle inquietudini interne e delle contraddizioni che presentava la realtà in cui si trovavano immersi.

36 Ibidem.

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22

CAPITOLO 2

La vita e la traiettoria poetica di Rafael Morales

2.1 Una vita per la letteratura

La vida es transcurso, tiempo eslabonado de aconteceres, y el poeta va reflejando la suya día a día, poema a poema.

Rafael Morales, Por aquí pasó un hombre, 19991.

La vita e la prima produzione poetica di Rafael Morales furono influenzate dalla guerra civile, che lo colse giovanissimo, tra i diciassette e i vent’anni, e soprattutto dalle dure condizioni del dopoguerra. Per tali ragioni, la critica lo ha annoverato tra quei poeti della primera generación de posguerra, una generazione alla quale toccò vivere un’epoca difficile e di cui seppe esprimere le reali condizioni storiche e sociali in opere emerse da profondi sentimenti umani.

Figlio unico di Leandro Morales e Juliana de las Casas, Rafael nacque nel 1919 a Talavera de la Reina, in una via che oggi porta il suo nome e che anticamente era via Puente del Pópulo. In questa città che costeggia il fiume Tajo il poeta immaginò, in alcune sue poesie infantili e adolescenziali, un possibile scenario de La Celestina, derivante dalla somiglianza che alcuni elementi urbani esistenti a Talavera mostravano con quelli citati nell’opera di Rojas. Durante l’infanzia furono le piccole violenze quotidiane a segnare il suo carattere: egli ricordava i dispetti degli altri bambini e il crudele spettacolo del sacrificio degli agnelli a cui gli capitava di assistere. Queste impressioni elementari ebbero in lui una grande influenza emotiva che si riflesse nella sua opera poetica. Sin da giovane, infatti, Rafael mostrò una straordinaria passione letteraria e si formò leggendo l’Antologia di Gerardo Diego (1932) e iniziando a comporre le prime poesie. In seguito, a soli quindici anni fondò la rivista Rumbos a Talavera de la Reina con i suoi amici González Gil, Niveiro e Camino.

Nel giugno del 1936 si trasferì a Madrid presso alcuni familiari con l’intenzione di frequentare l’università, ma l’inizio della guerra civile cambiò

1 R. Morales, Por aquí pasó un hombre. Antología poética, Madrid, Centro de Estudios y Actividades

Culturales (Comunidad de Madrid/Fundación Gerardo Diego), 1999 (Col. Poesía en Madrid, 1) introducción del autor y palabras preliminares a la selección de cada libro, cit., p. 9.

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23 momentaneamente i suoi piani. Questo non gli impedì di prendere parte alla vita politica e letteraria madrilena, entrando a far parte dell’Alianza de Intelectuales Antifascistas e pubblicando poesie ne El mono azul. Con la frequentazione degli ambienti culturali entrò in contatto con scrittori del calibro di Vicente Aleixandre e Miguel Hernández, ai quali rimase sempre unito da una profonda e sincera amicizia. Al termine del conflitto, il poeta rientrò a Talavera senza complicazioni grazie all’intercessione del suo amico falangista Niveiro e durante quel periodo di ritiro nella casa familiare iniziò la prima stesura di Poemas del toro nell’agosto del 1940. Quello stesso anno Rafael tornò a Madrid e sottopose i primi sonetti che aveva composto all’attenzione di Vicente Aleixandre che li apprezzò particolarmente.

Il ritorno alla capitale permise al poeta di intraprendere gli studi universitari presso la facoltà di Lettere e Filosofia e frequentare i circoli letterari della città, conoscendo di persona altri importanti poeti, come Gerardo Diego, José García Nieto, Vicente Gaos, Eugenio de Nora, José Hierro, José Luis Hidalgo e Blas de Otero. Molti di loro, in particolare Gerardo Diego, elogiarono con entusiasmo i sonetti ancora inediti del poeta, che ne diede pubblica lettura in varie occasioni presso la sede della sua facoltà. Finalmente, nel 1943 diede alle stampe la sua prima raccolta di poesie, Poemas del toro, attraverso le pagine del primo volume della collana “Adonais”, oltre a ricevere altre pubblicazioni nella rivista Garcilaso. Nel frattempo, continuarono le sue partecipazioni ai dibattiti nei circoli letterari e alle riunioni organizzate da riviste o da istituzioni.

Nel frattempo, Rafael trascorse alcuni mesi a Coimbra, grazie a una borsa di studio ottenuta dal governo portoghese, dove ebbe occasione di tradurre in spagnolo alcuni componimenti di Fernando Pessoa. Una volta rientrato a Talavera, pubblicò, nel 1946, El corazón y la tierra e, l’anno successivo, Los desterrados.

Nel 1947 si stabilì definitivamente a Madrid e iniziò a lavorare come professore, anche se ancora in condizioni precarie. Il poeta si sposò nel 1948 con Concepción Barba, anche lei laureata in Filología Románica e insegnante, dalla quale ebbe due figli, Concha e Rafael. In quegli anni, Morales viveva quotidianamente sulla propria pelle il clima di precarietà, paura e sospetto in cui versava la società spagnola, e questo contribuì molto probabilmente a far nascere in lui quel vitalismo

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24 spontaneo con cui contemplava la realtà, la sua attenzione verso la caducità della forza, della bellezza e della vita stessa.

Tra gli anni ’50 e ’60 si moltiplicarono gli incarichi e i riconoscimenti ricevuti. Nel 1954 vinse il Premio Nacional de Literaura con Canción sobre el asfalto e nel frattempo lavorava come giudice per la rivista Poesía española, mentre continuava a tenere lezioni di letteratura. In seguito, a partire dal 1957, lasciò l’insegnamento per essere nominato direttore della rivista editata dall’Ateneo di Madrid La Estafeta Literaria, carica che mantenne fino al 1962 a causa della sua apertura verso figure come Picasso e Sastre, censurati in quel periodo dalla Dirección General de Prensa. Questo non gli impedì di ottenere altri incarichi, come, ad esempio, la stesura dell’Enciclopedia de la cultura española, gli adattamenti teatrali per Radio Nacional de España e le raccolte di racconti tradizionali e leggende. Tra questi si distinguono i racconti Dardo, el caballo del bosque (1961) e Granadeño, toro bravo (1964). Probabilmente a causa dei numerosi impegni e della cura con cui elaborava i suoi scritti, il poeta non pubblicò altre raccolte fino al 1962, anno in cui uscì La máscara y los dientes. Nel 1966, poi, ricevette un finanziamento per attività culturali dalla Fundación Juan March, di cui usufruì per scrivere La rueda y el viento, pubblicato nel 1971. Finalmente, all’inizio degli anni ’70, la sua carriera d’insegnante raggiunse il culmine con l’assegnazione della cattedra di Literatura del Siglo de Oro presso la Facultad de Filosofía y Letras dell’Universidad Complutense di Madrid.

Negli ultimi anni, ritiratosi in parte a causa di problemi di salute, il poeta ha continuato a scrivere pubblicando l’antologia Por aquí pasó un hombre (1999) e la raccolta Poemas de la luz y la palabra (2003), con la quale ha raggiunto la maturità della sua poesia nella traiettoria di una lirica che si è mantenuta sempre al passo con i tempi. La partecipazione di Rafael Morales alla vita letteraria nell’arco di quasi sessant’anni è stata costante e attiva, sempre legata ai mezzi di diffusione culturale, alle amicizie e alle relazioni stabilite dall’inizio dell’attività letteraria. Tutto ciò gli ha permesso di ottenere svariati meriti oltre a quelli già menzionati: il Premio Álamo nel 1970, il Premio Ciudad de Melilla nel 1993 per la raccolta Entre tantos adioses (1993), la Medalla de Oro de la Comunidad de Castilla la Mancha e la Medalla de Oro de Talavera de la Reina nello stesso anno. Dal 1974, inoltre, la sua città natale ha

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25 istituito il Premio de Poesía “Rafael Morales” e nel 2004, infine, José Paulino Ayuso ha editato l’Obra Completa per i tipi di Cátedra, appena un anno prima della scomparsa del poeta nel 2005.

2.2 La poesia dei primi anni: dall’energia tellurica del toro alla contemplazione delle cose umili

Mi poesía soy yo mismo, […]. No tengo más meta que la poesía misma y la expresión de mis sentimientos. Rafael Morales, Antología y pequeña historia de mis versos, 19582.

Rafael Morales ricorda di aver iniziato a comporre poesie da giovanissimo, sin dalla tenera età di circa sette anni, e di averne pubblicate alcune a partire dai quattordici. Tuttavia, egli stesso ha affermato che poesie quali Niebla e Los caballos de la feria “eran versos sin personalidad ninguna”3, che aveva scritto durante gli anni di scuola sotto l’influenza della poetica di Vicente Aleixandre, che lo colpì a partire dai diciassette anni. In quel periodo la lettura di La destrucción o el amor (1933), che nel 1934 aveva ottenuto il Premio Nacional de Literatura, e dell’antologia di Gerardo Diego, Poesía Contemporánea (1934), lo aiutarono a formarsi pian piano un proprio ideale di poesia, sebbene i suoi componimenti dell’epoca “reflejan la luz que de Aleixandre venía”4

. Queste prime poesie non vennero mai pubblicate perché furono composte nel pieno della guerra civile. Altre, invece, apparvero nelle pagine di Rumbos e Cristal, quest’ultima diretta da Hernández Gil.

Durante il suo primo soggiorno a Madrid, quando ancora imperversava la guerra, il poeta compose alcuni romances, prendendo così parte a una corrente che si

2 R. Morales, Antología y pequeña historia de mis versos, Madrid, Escélicer, 1958 (Col. «21», 19),

cit., pp. 13-14.

3 Il poeta ricorda di aver scritto alcune di queste poesie durante le ore di lezione a scuola. In

particolare, un piccolo componimento dal titolo Niebla lo compose mentre il professore di chimica spiegava “unas endemoniadas fórmulas” e la nebbia offuscava i vetri delle finestre dell’aula. Ivi, p. 26.

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26 faceva portavoce dello spirito bellico e militante ispirato dagli eventi5. Pubblicò dunque ne El mono azul poesie come Francisco Villobres, A los milicianos muertos, Madrid, de carne y de piedra ed El toro ibérico. Quest’ultima è di particolare importanza perché anticipa alcuni dei temi fondamentali della raccolta Poemas del toro. I toni e lo stile sono, tuttavia, quelli di un giovane diciassettenne che, animato dalla guerra e dalle circostanze che si ritrovò a vivere, cerca di farsi strada nel mondo della letteratura: la scelta del romance, l’esaltazione dell’eroe morto in guerra e la sua identificazione con il popolo, il canto al valore e allo sforzo collettivo, il ricorso a ripetizioni, parallelismi e antitesi sono elementi da cui è possibile evincere il fine propagandistico di tali componimenti. Eppure, El toro ibérico, pur trattandosi di una poesia di tema bellico, mira già al maturo mito del toro, non solo per la figura centrale dell’animale, ma anche per l’uso di alcuni espedienti linguistici che sono tipici di Poemas del toro. Tra essi figurano in questo componimento i sintagmi formati da sostantivo-aggettivo e la doppia aggettivazione formata dal sintagma aggettivo-sostantivo-aggettivo. Anche dal punto di vista semantico la poesia anticipa elementi come la resistenza interiore, la forza della passione, l’impulso vitale insistente. Si chiude così la primissima tappa della traiettoria poetica di Morales, che Ayuso definisce l’epoca della “prehistoria”6, un periodo di “gestazione” in cui già si

affacciano alcuni temi di quella che sarà poi la poetica della giovinezza a partire dal 1940 con la scrittura di Poemas del toro.

La stesura di questa prima raccolta iniziò il 1° agosto del 1940, giorno in cui Morales ricorda di aver scritto il sonetto El toro7, e i primi dodici sonetti furono pubblicati sulla Escorial nel (1942, n. 20)8. La prima edizione del libro conteneva solo diciannove delle ventisei poesie di quella definitiva, di cui diciassette erano

5 Durante gli anni della guerra civile vi fu una vasta produzione poetica, in cui alle voci di poeti ormai

consacrati si univa quella di soldati quasi analfabeti. Queste poesie cantano la guerra dal punto di vista di chi la viveva dalla trincea e da quello di chi la sentiva lontano dal fronte. In ogni caso, la forma preferita fu quella del romance, non solo per la semplicità della sua struttura, che si presta alla memorizzazione e alla recitazione, ma anche perché la storia della sua tradizione lo rende il metro per eccellenza dei miti eroici. Cfr. V. García de la Concha, La poesía española de 1935 a 1975, t. I, De la

preguerra a los años oscuros 1935-1944, Madrid, Cátedra, 1987, pp. 109-138.

6 OPC (2004), cit., p. 27.

7 R. Morales, Antología y pequeña historia de mis versos, Madrid, Escélicer, 1958 (Col. «21», 19), p.

28.

8 Anche altre riviste, come Corcel, Fantasía, Garcilaso ed Espadaña, pubblicarono poesie di Morales

tra il 1943 e il 1945, a testimonianza del fatto che egli stava ormai entrando a far parte del panorama di poeti e letterati affermati di quel periodo.

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27 sonetti, e venne pubblicata nel 1943 dando il via alla prestigiosa collezione “Adonais”. L’edizione era introdotta da un prologo di José María de Cossío, che riconobbe i meriti e il valore di questa poesia suscitando la soddisfazione del giovane poeta, e dalla dedica a Vicente Aleixandre, che racchiudeva l’ammirazione e l’amicizia che Morales provava nei suoi confronti. Da subito l’opera riscosse un grande successo9, ricevendo il plauso della critica che ne elogiò l’originalità. La raccolta presenta evidenti influenze di altri poeti come Hernández, Alberti e Aleixandre. In questo periodo il poeta giunse a una sintesi personale degli elementi che appartengono definitivamente alla sua poetica e riuscì a raggiungere una maturità espressiva e linguistica, caratterizzata da un suo ordine e da una precisione adeguata. Per il poeta, infatti, l’espressione e la cura del verso (rima, assonanza, allitterazione, ecc.) sono due elementi connaturati nella poesia:

No faltan quienes creen que las metáforas, las imágenes, las sinestesias, oxímoros, etc. son simplemente un ornamento del poema. No es cierto. […] en realidad, tales recursos, en caso de no ser amaneramientos retóricos, son posiblemente el poema mismo, no su adorno. […] se trata de procedimientos intensificadores de la expresión. […] El poema presenta dos aspectos formales. A uno podríamos llamarlo extraformal o técnico, al otro, intraformal o esencial. El primero es el más simple y está al alcance de cualquiera. Tan sólo consiste en hacer correctamente versos asonantes, consonantes, blancos y libres encuadrados o no en determinadas combinaciones estróficas. […] Pero evidentemente, el poema no puede quedarse en eso. El otro aspecto, el que llamamos intraformal por su esencialidad, es el del lenguaje o forma expresiva, para el que ya no existen normas y en el que radica esencialmente el fenómeno poético10.

Nel 1949 all’opera, pubblicata con il titolo di Poemas del toro y otros versos, vennero aggiunte altre due poesie, altre tre nell’edizione del 1952 e un’ultima in quella del 1958. Probabilmente la lunga gestazione di quest’opera fu dovuta al desiderio del poeta di raggiungere un’adeguata e precisa composizione metrica dei suoi versi, basandosi su una tradizione letteraria che vede nel sonetto il metro per

9 Scrive il poeta nel 1958: “Los Poemas del toro fueron recibidos por la crítica sólo con elogios,

algunos tan entusiastas, que me avergonzaría a traerlos a estas páginas. El libro se agotó rapidamente en España. A Hispanoamérica no llegó algun ejemplar. Roque Esteban Scarpa, el ilustre académico y catedrático de la Universidad de Santiago de Chile, me dijo que los estudiantes se lo pedían, pues se había hecho con un ejemplar, y que abundaban las copias a máquina entre los universitarios. Algunos de los poemas del libro se publicaron en revistas y periódicos de Hispanoamérica, Italia, Francia, Alemania, Bélgica, Inglaterra y Portugal y siguen publicándose de vez en cuando. La Editorial Afrodisio Aguado ha hecho, hasta la fecha, dos ediciones de miles ejemplares en la Colección Más

Allá, agrupando en el volumen El corazón y la tierra y Los desterrados, […]”. R. Morales, Antología y pequeña historia de mis versos, cit., pp. 29-30.

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28 eccellenza della poesia, riscoperto dalla poesia spagnola del primo dopoguerra. In effetti, per Morales si rivelò la forma metrica preferita in tutta la produzione poetica giovanile, con poche e rare eccezioni, quali l’ottonario e il doppio alessandrino. Il poeta non vi conferisce, ovviamente, lo stesso significato che il garcilasismo attribuiva a questo metro classico11: Morales era affascinato dal sonetto “no por su dificultades, sino porque en mí se ajusta a ese misterioso molde interior del poema nonato que cada poeta lleva”12. Allo stesso modo, il poeta amava la rima, l’assonanza e la musicalità del verso per la sensualità che da esse scaturisce, perché sono questi espedienti a dar valore ed espressività alla poesia. Tuttavia, egli non approvava né una poesia basata esclusivamente sulla tecnica, né coloro che sottovalutavano la forma e l’espressione cedendo al verso libero o persino alla prosaicità, né un’espressione eccessivamente ermetica. Egli ricercava immagini, metafore e metonimie che “más que a oscurecer, vengan a aclarar, a iluminar, a revelar, a potenciar con su función artística lo que el poema intenta resaltar, es decir, que vengan a aclarar, no a oscurecer y debilitar aquello que quiero decir”13

.

In definitiva, l’obiettivo di Morales era quello di fuggire sia dalla prosaicità che dal vuoto estetismo. La miglior poesia, e lo si vede bene tanto in Poemas del toro, quanto nella sua seconda opera pubblicata nel 1946, El Corazón y la tierra, “casi siempre ha tenido púlpito humano”, vale a dire il sentimento, l’istinto, l’amore, la vita, la morte e tutto ciò che appartiene alla sfera dell’essere umano. In questo modo egli si inserì e promosse la “tendencia rehumanizadora de posguerra”, partecipando alla “restauración formal y de la poesía fundada en el sentimiento existencialista”14

. La relazione fra l’energia tellurica del toro, la sua vita e la sua morte con la sofferenza e il dolore umano, da un lato, e la proiezione dell’io poetico in una natura personificata dalle tinte romantiche e neobarocche in cui si specchiano l’amore, il desiderio, la solitudine e il nulla della morte, dall’altro, sono concetti esplicativi di questa tendenza “humanizadora”. Lo stesso poeta ha affermato che:

Preocupación mía tambén, y creo que de toda mi generación, ha sido siempre lo que con mayor o menor acierto se ha venido denominando la

11 Cfr. infra, par. 1.4, pp. 12-14. 12

R. Morales, Antología y pequeña historia de mis versos, cit., p. 16.

13 R. Morales, Reflexiones sobre mi poesía, Madrid, Escuela Universitaria de formación del

Profesorado del EGB Santa María-Universidad Autónoma, 1982, cit., p. 11.

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