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Lettura di El corazón y la tierra e Canción sobre el asfalto

4.1 El corazón y la tierra

4.1.3 Soledad e Misterios y fantasías

Nelle pagine di queste ultime due sezioni della raccolta El corazón y la tierra il lirismo assume toni di straziante dolore, sofferenza e impotenza dinanzi alla morte. Unica via di scampo può essere l’amore36, che da solo è in grado di riempire il vuoto immenso della notte e la solitudine causata dalla morte nell’animo dell’essere umano, giorno dopo giorno.

Quest’idea, che permea quasi tutti i versi delle ultime due parti del libro, risalta per lo più in En una tarde de ausencia y pena, Sin ti e Ausencia: “Soledad, soledad late en mis venas”, “Yo me siento vacío, sólo siento / la ausencia enorme que en mis venas queda” (En una tarde de ausencia y pena); “¡Cómo duele este cielo silencioso y desietro! / ¡Cómo duele en el alma la soledad inmensa!, “Yo me muero, ay, sin ti, de esperanza y tristeza” (Sin ti); “[…] El mundo está vacío / sin ti. Yo palpo, triste la soledad del cielo…” (Ausencia). In alcuni di questi versi riaffiora il

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Cfr. il sonetto Erano i capei d’oro a l’aura sparsi in Giulio F. et al., L’esperienza letteraria in

Italia. Volume 1. Dalle origini al Cinquecento, Milano, Einaudi, 2006, pp. 433-434.

35 Ivi, pp. 435-439.

36 Morales esprime questo pensiero in una poesia, Poema del cuerpo amante, che faceva parte della

sezione Esto es amor, ma che è stata soppressa nell’edizione dell’OPC (2004) di Ayuso. I versi a cui mi riferisco sono: “Tan sólo el amor puede colmar estas ausencias / cuando la carne es grito para el amor nacido. / Tan solo el amor colma la soledad inmensa / que siente el hombre y siente a través de los siglos”. R. Morales, Antología y pequeña historia de mis versos, Madrid, Escélicer, 1958 (Col. «21», 19), cit., p. 81.

99 ricordo di Miguel Hernádez e Antonio Machado. In A ella, desde lejos Morales scrive, infatti: “Barro sin nombre, en el olvido, solo, / corazón de la nada y de la ausencia, / trozo de soledad, amargo barro, / pobre fantasma ciego entre la niebla”, richiamando le parole di Hernández, “Me llamo barro aunque Miguel me llame” e di Machado, “pobre hombre en sueños / siempre buscando a Dios entre la niebla”37

. Ma tale condizione di disperazione, in cui l’amore e la morte sono i fili che reggono la vita dell’uomo, fa eco anche alla raccolta La destrucción o el amor di Vicente Aleixandre il cui titolo, come El corazón y la tierra, “nos revela que ya, para Aleixandre […] amor y muerte son inseparables. Amor es destrucción, amor es muerte”38. Come Morales, egli canta un amore cosmico, un sentimento che si fonde con la natura e descrive l’amata con le qualità dei suoi esseri viventi e dei suoi elementi: “Este beso en tus labios como una lenta espina, / como un mar que voló hecho un espejo, / es todavía unas manos, un repasar de tu crujiente pelo, / un crepitar de la luz vengadora”39

.

Come un fiume sotterraneo scorre, inoltre, in questi versi d’amore la contrapposizione principale di Poemas del toro, ossia quella tra l’ansia e la forza di amare, da un lato, e l’impotenza, la prigionia angosciante, la repressione forzata di questa energia, dall’altro: “Este dolor de ave de aprisionado vuelo / que llevo en la mirada y en mis labios sin nadie” (El amante solitario). Da ciò è ora possibile comprendere come il tema del toro nella raccolta precedente fosse solo apparente e che “lo que en definitiva se cantaba allí, era la tensión angustiosa común a todos los seres: elementos del cosmos, animales, hombre”40.

Un’altra particolarità rilevante di queste poesie è il tema dell’impotenza dell’uomo a realizzarsi e la condanna alla solitudine, che sono espressi tramite una visione “drammatizzata” del paesaggio: “El cielo es plomo gris que se derrumba / sobre el pavor silente del paisaje, / es un inmenso buitre hambriento y sordo, / un infinito dios amenazante” (Paisaje); “Era el cielo una vasta pregunta silenciosa” (Cielo en la tarde); “La llanura sin flores de este campo es un llanto / interminable y

37 V. García de la Concha, La poesía española de 1935 a 1975, t. I, De la preguerra a los años

oscuros 1935-1944, cit., p. 409.

38 V. Aleixandre, Espadas como labios. La destrucción o el amor, edición de José Luis Cano, Madrid,

Castalia, 1972, cit., p. 29.

39 Ivi, p. 127.

40 V. García de la Concha, La poesía española de 1935 a 1975, t. I, De la preguerra a los años

100 pardo de silenciosa tierra” (Llanura); “Un yermo eran los aires, deshabitado y frío” (Niebla); “La tristeza es arena de desierto”, “Madera de ataúd es lo que crece / en esta primavera de los árboles” (Dolor). Nel presentare la natura in funzione della vita umana, infatti, specialmente come mezzo espressivo della soggettività, Morales non fa ricorso alla personificazione convenzionale del paesaggio, ma lo anima di impulsi psicofisici che servono da trait d’union oggettivo con i sentimenti del poeta. Egli, inoltre, in questa visione drammatica della natura, conferisce ai suoi elementi tratti dinamici e persino violenti, unendo in modo sinestesico la realtà materiale con lo spirito che il poeta proietta in essa per infonderle vita propria. Così, ad esempio, il cielo appare a tratti “remoto”, “vacío”, “indiferente”, “silencioso”, “desierto”, “impasible”, “desolado”. In Cielo en la tarde Morales, non solo conferisce qualità umane al cielo della sera quando sembra scendere sulla terra e svanire nel silenzio oscuro della notte, come un corpo pesante che “curvaba su silencio intangible” e la sua “soledad grandiosa”, ma lo personifica con elementi mitologici come un “dios olvidado”, un “arcángel derribado” che si arrende alla “noche implacable” di un mondo che gira nel vuoto “sin destino”. Il cielo divenuto arcangelo sperimenta la stessa angoscia esistenziale dell’uomo di fronte all’enigma di una vita condannata a un infinito interrogarsi sul senso dell’esistenza stessa (“vasta pregunta silenciosa”). Quest’immensità fisica del firmamento acquisisce un significato affettivo collegato al sentimento umano, che rappresenta ancora una volta la sua impotenza e che viene ingigantito da aggettivi che puntano alla “magnificación”41, ossia a una descrizione iperbolica ed esagerata: “tremenda fuerza inútil”, “mundo, tremendo y sin destino”.

Tale visione “desorbitada de una naturaleza agitada por violentas fuerzas cósmicas de connotación anímica, en un estilo apocalíptico, de gran vigor expresivo”42

trova un altro significativo esempio nei versi di Paisaje, in cui vi è una drammatizzazione del paesaggio con immagini che combinano l’aspetto fisico della vasta natura deserta con l’effetto che essa provoca nell’animo dell’uomo. In quella “inmensidad vacía” con la sua “tremenda / tristeza derramada por los aires”, gli elementi più alti, ossia “sierra” e “cielo”, fanno sentire la loro pesantezza smisurata e

41 D. Marín, Poesía paisajística española 1940-1970. Estudio y antología, London, Támesis Books,

1976, cit., p. 25.

101 minacciosa a quelli del suolo, cioè “valles” e árboles”, che riflettono nella loro angoscia e nella loro paura gli stati d’animo dell’uomo stesso.

In altre occasioni, la natura arriva addirittura a fondersi con l’uomo, come accade con il toro in Poemas del toro, e il corpo umano viene descritto utilizzando termini paesaggistici. Così, nel sonetto Llanura, nelle vene e nei piedi si insinuano paesaggi deserti e solitari che sono metafora di tristezza e solitudine: “Sentimos nuestras venas como caminos secos” e “Desde los pie nos crece, silencioso y ajeno, / el paisaje tristísimo que nos atrae y nos puebla, / y en su llanto rodamos, derrotados y oscuros, por la extensa llanura, / fundidos con la tierra”. Lo stesso accade in En una tarde de ausencia y pena: “Soledad, soledad late en mis venas”, “y es una ausencia el río y sus arenas”. In Ausencia, invece, a fondersi con la natura è il corpo della donna amata, per cui toccando la sabbia, il poeta prova la stessa sensazione piacevole che può avere accarezzando la pelle delicata della propria amata: “y acaricio tu piel si toco las arenas”.

Nella trattazione di questo tema Morales avrà sicuramente pensato a Soledades di Machado, che fa degli elementi del paesaggio l’espressione dell’intimità e dei sentimenti umani tramite la personificazione. L’opera di Machado utilizza toni malinconici, presenta la stessa ossessione per la morte e un linguaggio simili a quelli del poeta di Talavera: “Y todo el campo un momento / se queda, mudo, y sombrío, / meditando […]” (XI), “La gloria del ocaso era un purpúreo espejo, / era un cristal de llamas, que al infinito viejo / iba arrojando el grave soñar en la llanura…”(XVII), “La tarde caía triste y polvorienta” (XLVI). Anche il tema della fusione del corpo dell’uomo con la natura richiama i versi di Machado: “Mis viejos mares duermen; se apagaron / sus espumas sonoras sobre la playa estéril” (XXIII); “una fontana fluía / dentro mi corazón” (LIX)43.

Se, da un lato, aggettivi come “sideral”, “infinito”, “vasto”, “inmenso”, “cósmico”, “brutal” abbondano in queste due sezioni di El corazón y la tierra, dall’altro, secondo Víctor García de la Concha44, una sorta di “barroquismo

intensificador” porta il poeta a moltiplicare i vocaboli di uno stesso campo

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A. Machado, Soledades. Galerías. Otros poemas, edición de Geoffrey Ribbans, Madrid, Cátedra, 1986, cit., pp. 99-100, 108, 118, 155-156, 173-174.

44 V. García de la Concha, La poesía española de 1935 a 1975, t. I, De la preguerra a los años

102 semantico: “Yo estaba solo, amor, y te pensaba, / solo en la tierra solitaria, inmensa, / que llevaba al aire de la tarde / su soledad de roca, su tristeza” (A ella desde lejos). L’uso di questo tipo di lessico fece in modo che alcuni critici definissero El corazón y la tierra come “tremendista”45, aggettivo che si riferisce alla crudezza e alla violenza con cui sono trattati i temi presenti nella poesia. Tuttavia, Morales si discosta da questo giudizio, infatti egli stesso afferma che, nonostante la presenza di immagini eccessive di tensione umana, il suo libro non può considerarsi né parte della corrente tremendista, né tantomeno suo nucleo di partenza, poiché non si giunge fino al mostruoso, come invece accade nelle opere che seguono questa corrente letteraria. José Luis Cano, piuttosto, “ha intentado […] sustituir el adjetivo tremendista por el de neorromántico, señalando que aquellos vocablos que ponía en circulación El corazón y la tierra ya fueron usados por nuestros poetas de la época romántica”46. Dunque, come non fare riferimento all’angoscia esistenziale, alla solitudine e alla presenza della morte che traspaiono da alcune delle Rimas di Bécquer, come ad esempio dalla XI e dalla LII. In esse, immagini quali “vano fantasma de niebla y luz” (Rima XI)47, “Olas gigantes que rompéis bramando”, “playas desiertas y remotas”, “Ráfagas de huracán que arrebatáis / del alto bosque las marchitas hojas”, “Nubes de tempestad que rompe el rayo / y en fuego encienden las sangrientas orlas, / arrebatado entre la niebla oscura” (Rima LII)48 richiamano il “vano fantasma ciego entre la niebla”, la “sierra” che “se derrumba sobre la mansa angustia de los valles”, la “gravedad de amoratada roca” e altre figure di simile violenza ed evocatrici di morte che sono presenti nelle poesie di Morales.

45 Cfr. D. Marín, Poesía paisajística española 1940-1970. Estudio y antología, p. 25 e V. García de la

Concha, La poesía española de 1935 a 1975, t. I, De la preguerra a los años oscuros 1935-1944, pp. 409-410.

46 R. Morales Antología y pequeña historia de mis versos, cit., p. 69. Si vedano anche le parole di

Morales in Por aquí pasó un hombre. Antología poética, cit., p. 44: “[…] algunos comentaristas lo consideraban iniciador del tremendismo, actitud poética desmesurada y gritona de la que yo solía burlarme. Es cierto que la tensión humana de varios poemas del libro, así como su apasionada expresión contrastaban con el tono mesurado y neorrenacentista de una gran parte de la nueva poesía de posguerra, pero no por eso mi actitud vitalista y neorromántica podía considerarse en la línea tremendista y mucho menos su iniciadora. José Luis Cano se opuso inmediatamente a tal clasificación en un agudo artículo publicado en la revista «Ínsula» y recogido después en uno de sus libros. Para él, sencillamente, se trataba de una actitud neorromántica, y eso era lo cierto”.

47 G.A. Bécquer, Rimas y leyendas, cit., p. 68. 48 Ivi, p. 115.

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