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PREMESSA………..………...3
CAPITOLO I : LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO CON MESSA ALLA PROVA NEL PROCESSO MINORILE 1. Introduzione………...13
2. Il probation processuale nelle scelte normative del sistema minorile: l’articolo 28 del d.P.R. 448/88………...15
3. Presupposti di applicazione………….………...20
4. Ruolo del giudice e della pubblica accusa………...25
5. I servizi minorili………...27
6. Aspetti procedimentali………29
7. Le fasi del procedimento a. L’ordinanza di sospensione del processo………...34
b. L’impugnazione dell’ordinanza di sospensione del processo……37
c. Lo svolgimento della prova………40
d. La revoca della sospensione………...44
8. L’esito della prova: l’articolo 29 del d.P.R. 448/88………...47
9. Il ruolo dei servizi sociali………...52
10. L’utilizzabilità della misura in appello……….…..…53
CAPITOLO II : LA LEGGE 67/2014 E L’ESTENSIONE DELLA MISURA AGLI IMPUTATI MAGGIORENNI 1. Introduzione………...56
2. I requisiti oggettivi: l’art.168 bis del Codice Penale………..62
3. I requisiti soggettivi: giudizio prognostico e il problema della “recidiva”……….68
4. I contenuti della richiesta: il programma di trattamento …………72
5. Modalità di attivazione del rito………...83
6. La richiesta nel corso delle indagini preliminari e i rapporti con il principio di obbligatorietà dell’azione penale………..94
7. segue: La richiesta parziale di messa alla prova……….…99
8. L’ordinanza di sospensione del processo……….104
9. Gli effetti della sospensione del procedimento con messa alla prova: l’articolo168 ter del Codice Penale………....108
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11. segue: L’acquisizione delle prove durante lo svolgimento della
messa alla prova……….115
12. L’impugnazione dell’ordinanza che decide sull’ammissione…...117
13. La revoca della messa alla prova………..121
14. L’esito della prova………126
15. segue: Gli effetti del fallimento della prova……….132
16. Modifiche al Testo Unico del Casellario Giudiziale………136
CONCLUSIONI………..…...139
3 PREMESSA
Con la legge 28 aprile 2014 n.67, recante “Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili” il legislatore ha introdotto una nuova causa di estinzione del reato, mutuata dall’esperienza del diritto minorile e strettamente connessa alle dinamiche processuali: si tratta della sospensione del procedimento con messa alla prova, che si sostanzia nell’immissione di una forma di probation, tradizionalmente sperimentata nella fase di esecuzione della pena, all’interno del processo di cognizione così da realizzare, in caso di esito positivo, l’estinzione del reato e quindi la deflazione immediata del processo1.
Esso trae origine dal probation system anglosassone2 anche se rispetto a questo presenta una importante differenza, in quanto non costituisce un intervento alternativo all’espiazione della pena e pertanto successivo alla emanazione della sentenza di condanna ma interviene nel corso del processo ed è quindi inquadrabile come una forma di probation processuale3. Il probation può essere definito, in termini molto generali,
1 Così V. MAFFEO, I profili processuali della sospensione con messa alla prova, Edizioni Scientifiche Italiane, 2017, pag.14. Precisa C. CESARI, Sospensione del processo con messa alla prova in Enc. dir., 2015, Milano, pag.1055 che la messa alla prova è definita probation quando è collocata all’esito della vicenda giudiziaria e si struttura come alternativa alla pena mentre è qualificata come diversion quando opera nel corso del procedimento penale, interrompendone lo sviluppo e strutturandosi come alternativa al processo prima che alla sanzione
2 Le diverse forme di probation inserite negli ordinamenti di Common law (in Inghilterra si parla di probation, in Scozia di Children’s hearing, in Olanda di works project) sono accomunate dall’intento di evitare la punizione carceraria, in quanto gli studi psicologici hanno rilevato che la detenzione non aiuta il soggetto a recuperarsi socialmente ma, anzi, può costituire essa stessa motivo di conferma della delinquenza e rappresenta essa stessa motivo di conferma della delinquenza: in questi termini F. PALOMBA, Il sistema del processo penale minorile, Giiuffrè, 2002, pag.395
3 Così E. LANZA, La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne, 2003, pag.47 e S. GIAMBRUNO, Lineamenti di diritto processuale minorile, Giuffrè, 2004 pag.70 secondo cui il legislatore del processo minorile, di fronte a personalità labili, personalità da studiare in modo da evitare l’etichettamento in termini di devianza o di delinquenza, da seguire al fine di uno sviluppo ordinato e completo, ha scelto, di fronte all’impegno dell’imputato di sottoporsi ad un programma di trattamento, di rinunciare sia all’esecuzione della pena, sia alla prosecuzione del processo e alla condanna. Sul punto anche P.
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come una misura penale che non comporta la detenzione, ma prescrizioni di condotta per colui che ha violato la legge, che resta affidato alla supervisione di appositi operatori, che hanno compiti di aiuto, sostegno e controllo4.
Una nozione vera e propria di probation può essere ricavata dalla Raccomandazione R(2010)1 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle regole del Consiglio Europeo in materia di probation: in essa si afferma che per probation si intende “l’esecuzione in area penale esterna di sanzioni e misure, definite dalla legge ed imposte ad un autore di reato” e comprenderebbe una serie di “attività ed interventi, tra cui il controllo, il consiglio e l’assistenza, mirati al reinserimento sociale dell’autore di reato, ed anche a contribuire alla sicurezza pubblica”5. A ben vedere, l’istituto previsto nell’ambito del processo penale minorile coniuga aspetti positivi sia della diversion che del probation: rispetto al primo di questi due istituti, infatti, presenta i vantaggi della sottoposizione al controllo dell’autorità giudiziaria in ogni sua fase e della responsabilizzazione del minore in merito al fatto. Rispetto invece al probation, presenta i vantaggi dell’utilizzo potenziale per qualsiasi reato e l’inesistenza degli effetti stigmatizzanti conseguenziali a condanna, intervenendo nella fase processuale. Si consente al giudice, invero, di “valutare la personalità del minorenne all’esito della prova”, lasciandogli ampio margine di discrezionalità nell’adozione del
TRONCONE, La sospensione del procedimento con messa alla prova. Nuove esperienze di scenari sanzionatori senza pena, Roma, 2017, pag.82, che distingue tra probation penitenziario, simile al meccanismo progettato ed attuato nell’ambito dell’esecuzione della pena in stato di libertà del condannato, affidata al controllo del servizio sociale penitenziario, e probation processuale, che trova la sua ragione operativa nella soluzione di mettere alla prova l’imputato prima del processo di accertamento della responsabilità e della condanna. Tale ultima forma di probation, nei paesi anglosassoni, è affidata esclusivamente alle forze di polizia e si configura come misura amministrativa legata ad esigenze di ordine pubblico, che segna una linea di netta demarcazione con gli interventi processuali garantiti dalla giurisdizione e i percorsi di prova sottoposti al giudizio di congruità preliminare e successivamente di verifica consuntiva del giudice.
4 Così M. COLAMUSSI, opera cit., pag.19 e G. LA GRECA, Il probation minorile e i servizi in M.P. CUOMO, G. LA GRECA, L. VIGGIANI (a cura di), Giudici, psicologi e riforma penale minorile,1990, pag.247
5 Si veda sul punto Regole del Consiglio d’Europa in materia di probation in
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provvedimento in esame. Un ruolo “inedito” è altresì attribuito ai servizi sociali minorili dell’amministrazione della giustizia, ai quali il minore viene affidato durante il periodo di prova.
L’istituto in esame si fonda essenzialmente su una intuizione, che ha trovato molteplici conferme nella riflessione sociologica e psicologica: la sanzione detentiva colpisce spesso individui che più o meno facilmente possono essere recuperati ad una normale condotta restando nel proprio ambiente di vita. La detenzione, per contro, li isola dal contesto sociale, impoverisce la loro personalità e crea problemi di sopravvivenza per le famiglie. Il probation quindi, adempiendo alla fondamentale funzione del sistema penale, offre un’alternativa di larga applicabilità, che consente di lasciare alla sanzione detentiva la funzione di estrema ratio, da usarsi nei casi in cui, per la gravità del reato o per le caratteristiche del soggetto, un diverso intervento non lascia sperare esiti positivi o appare comunque mal tollerato dalla società6.
Il principio fondamentale che, dunque, è alla base dell’istituto è che il recupero del soggetto avviene più facilmente nel suo ambiente di vita quotidiano che non nella istituzione chiusa del carcere, che lo isola, lo impoverisce e lo stimola negativamente7.
La sospensione del processo e la messa alla prova di cui agli articoli 28 e 29 del d.P.R. 448/88 si può collocare nell’ambito delle misure volte ad evitare la condanna e l’esecuzione della pena detentiva8. Con questo istituto si risponde alla richiesta venuta dalla riflessione maturata in ambito minorile, con una ampiezza che non pareva facile attendersi. La scarna disciplina presenta infatti caratteristiche di grande flessibilità e si presta ad un’applicazione molto estesa: la messa alla prova, il cui esito positivo conduce alla estinzione del reato, può essere disposta in relazione a qualsiasi reato e quale che sia la pena prevista. La pena, infatti, rileva soltanto ai fini della durata della sospensione, che può prolungarsi fino a tre anni per i reati per i quali è prevista la pena della
6 Così G. LA GRECA, Il probation minorile e i servizi in M.P. CUOMO, G. LA GRECA, L. VIGGIANI (a cura di), Giudici, psicologi e riforma penale minorile,1990, pag.247 7 In questi termini P. GIANNINO, Il processo penale minorile, CEDAM 1997, pag.230 8 Così F. PALOMBA, Il sistema del processo penale minorile, Giiuffrè, 2002, pag.395
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reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni, e deve invece non superare l’anno negli altri casi. Il solo presupposto è che si ritenga di dover valutare la personalità del minore all’esito della prova, durante la quale vengono svolte opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno ad opera dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, ai quali il minore è affidato, anche in collaborazione con i servizi locali9. L’intervento dei servizi minorili è un intervento irrinunciabile in relazione allo svolgimento dell’azione di controllo, ma può avvenire anche per l’attuazione del programma.
L’istituto in esame è una misura penale e non una misura clemenziale10, diretta a responsabilizzare ed impegnare l’interessato, sul presupposto che egli abbia delle risorse personali idonee ad orientarlo e a farlo agire in modo positivo: infatti viene chiamato a mobilitare queste risorse, con il corrispettivo di un premio che elimina le conseguenze di un comportamento contrario alla legge penale.
È inoltre una misura di controllo e di aiuto: nell’azione dei servizi, incaricati di occuparsi del soggetto messo alla prova, devono trovare composizione questi due aspetti. La serietà dell’esperimento e l’operatività giusta dell’istituto presuppongono che non si dia per avvenuto ciò che in realtà non si è verificato e che gli interventi correttivi vengano tempestivamente i senza esitazione adottati. Al contempo, però, non devono essere omessi quegli aiuti che l’azione di trattamento e di sostegno comporta.
Infine il probation è una possibilità alternativa rispetto alle misure detentive e come tale non deve essere utilizzato come mezzo per ricondurre sotto il controllo sociale “rafforzato” comportamenti a questo sottratti o che trovano più adeguata considerazione in sede diversa da quella penale11.
9 Così G. LA GRECA opera cit. pag.252
10 In questi termini sia G. LA GRECA opera cit. pag.252 che P. GIANNINO, opera cit. pag.230-231, secondo i quali si è già fatta, nel nostro ordinamento, l’esperienza, con riferimento sia ai minori che agli adulti, di istituti dotati di una specifica finalità e tuttavia, nei fatti, piegati ad una sorta di “consumismo” che ne ha svalutato la funzione
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Si tratta indubbiamente di un istituto sostanziale, perché conduce, in caso di esito positivo della messa alla prova, alla dichiarazione di estinzione del reato. Per questa ragione erano stati sollevati dubbi di costituzionalità per eccesso di delega, laddove la legge si limitava a prevedere la sospensione per un tempo determinato finalizzata ad una valutazione sulla personalità del minore12.
La ratio dell’intervento operato dalla legge 67/2014 è da individuarsi, da un lato, nella necessità di deflazionare il carico dei processi dibattimentali pendenti e, dall’altro, di diminuire il flusso carcerario “in entrata” derivante dalle esecuzioni delle pene detentive, prevedendo deflazioni processuali alternative alla sentenza di condanna che siano al contempo adeguate e proporzionate alla commissione di fatti penalmente rilevanti caratterizzati da contenuta offensività. La legge 67/2014 si inserisce in un contesto – quello del sistema penale- fortemente caratterizzato da due criticità: da una parte, l’irragionevole penalizzazione di condotte spesso di limitato disvalore, a cui si accompagna l’utilizzo di sanzioni penali ancora incentrate sulla pena detentiva carceraria. E dall’altro l’eccessivo numero di procedimenti che sfociano spesso nella celebrazione di processi eccessivamente dispendiosi in termini di tempo e risorse rispetto alle esigenze di retribuzione e difesa sociale del caso concreto. Da qui la necessità di un profondo ripensamento del sistema processuale e sanzionatorio, nella prospettiva di favorire, ove possibile, il ricorso a sanzioni non penali o, comunque, alternative alla detenzione e di porre un efficace meccanismo di “doppio binario processuale”, idoneo a selezionare per la trattazione con il rito ordinario quei procedimenti afferenti a fattispecie veramente meritevoli di accertamento dibattimentale e implementando, per tutte le altre ipotesi, delle modalità alternative di definizione degli affari penali che, pur rinunciando al processo e alla condanna, perseguano con più probabilità di successo i (non meno cruciali) obiettivi di recupero sociale del reo e della riparazione del danno subito dalla vittima del reato13.
12 Così P. GIANNINO, Il processo penale minorile, CEDAM 1997, pag.231
13 Così F. FIORENTIN, Rivoluzione copernicana per la giustizia riparativa in Guida al diritto, 17 maggio 2014, n°21 pg.63
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Volendo poi distinguere le fattispecie sospensive a seconda che per esse sia prevista l’emanazione di un provvedimento ad hoc oppure che la stasi processuale operi in maniera automatica, senza cioè la previsione di un provvedimento giudiziale che espressamente la disponga, la nuova fattispecie sospensiva deve essere ricondotta alla prima categoria, comportando un temporaneo arresto delle attività procedimentali14. Il nuovo istituto rientra tra le cosiddette “sospensioni improprie”, giacché apre una fase incidentale che si sviluppa dinanzi allo stesso giudice che l’ha disposta e si conclude con un’udienza nella quale viene completata una valutazione in itinere. Esso si colloca nel quadro della necessità di un profondo ripensamento del sistema processuale e sanzionatorio teso a favorire il ricorso a sanzioni non penali o comunque alternative alla detenzione e a portare un più efficace meccanismo di “doppio binario processuale”, idoneo a selezionare per la trattazione con il rito ordinario i procedimenti afferenti a fatti veramente meritevoli dell’accertamento dibattimentale, implementando, per le altre ipotesi, modalità alternative di definizione degli affari penali15.
L’obiettivo che si pongono queste norme è quello di orientare l’attività giurisdizionale verso definizioni del procedimento diverse dalla sentenza penale di condanna, con tutte le conseguenze che ne derivano anche in termini di esecuzione della pena comminata, sollecitando l’interesse dell’imputato o, prima ancora, della persona sottoposta alle indagini a mutare il proprio comportamento, a riparare le conseguenze dannose delle proprie azioni che costituiscono anche reato, ad adempiere spontaneamente agli obblighi determinati dal giudice al fine di ottenere una pronuncia di estinzione del reato16.
14 Anche se non assoluto, essendo consentito il compimento di attività rientranti nelle categorie legislativamente predeterminate
15 FIORENTIN, Rivoluzione copernicana per la giustizia riparativa, pag.63
16 Per taluni profili, anche l’istituto della sospensione condizionale della pena, di cui agli articoli 163 e seguenti del codice penale, si propone di favorire un comportamento successivo del condannato conforme alla legge, sospendendo e quindi limitando nell’immediato l’esecuzione della pena detentiva, laddove al giudice sia possibile formulare un giudizio prognostico favorevole in ordine al fatto che il condannato si asterrà dal commettere ulteriori reati. L’istituto della sospensione condizionale presenta varie analogie con la messa alla prova
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Venendo invece al profilo tecnico-giuridico, l’istituto in esame deve essere visto, da un punto di vista formale, come una causa di estinzione del reato mentre da un punto di vista processuale, come un procedimento speciale. La sospensione del procedimento con messa alla prova degli adulti può ispirarsi a due modelli che potremmo definire “specialpreventivo” e “premiale”: ponendo l’accento sui contenuti della prova piuttosto che sul vantaggio che potrebbe conseguire rinunciando alla piena cognizione del procedimento, la messa alla prova può avere una funzione di diversion a carattere specialpreventivo. In questa prospettiva, l’istituto risulta una sorta di sospensione condizionale o, meglio ancora, di affidamento in prova, anticipati, con conseguente carattere sanzionatorio e centralità della personalità del soggetto subordinato alla prova. Questo modello, proprio perché ispirato ad istanze specialpreventive, ha il vantaggio di offrire una risposta che potremmo definire sanzionatorio-trattamentale. E non solo, perché, a seconda dei contenuti della prova, può permettere di creare un incontro tra autore e vittima mediante la valorizzazione delle condotte riparatorie, nonché incentivando addirittura un’attività di mediazione. Tuttavia, il modello in esame presenta alcune contraddizioni strutturali, difficilmente risolvibili: proprio perché caratterizzato da contenuti afflittivi, nella sostanza assimilabili a quelli di una pena, ma che viene applicato in una fase anticipato rispetto alla condanna, si prescinde da un vero e proprio accertamento della responsabilità del soggetto, ponendosi
giudiziaria: sicuramente con riferimento al giudizio prognostico demandato al giudice, ma anche per il fatto che entrambi gli istituti possono astrattamente trovare applicazione nei confronti del medesimo soggetto (si pensi all’ipotesi in cui l’imputato, che abbia richiesto di essere ammesso alla prova, in caso di esito negativo della stessa, potrebbe beneficiare della sospensione condizionale ove la pena in concreto applicata non superi i limiti di cui all’art.163 c.p.). Ad escludere tuttavia che il nuovo istituto possa essere avvicinato alla sospensione condizionale della pena porta la considerazione della natura sostanziale dello stesso, alla luce dei suoi effetti: la misura implica, infatti, l’assoggettamento dell’imputato ad un complesso di norme e prescrizioni, che incidono sul suo patrimonio e sula sua libertà personale, in forza di un mero giudizio che, allo stato degli atti, abbia escluso si dovesse pronunciare immediata sentenza di proscioglimento o di assoluzione. Sul punto v. A. MARTINI, La sospensione del processo con messa alla prova: un nuovo protagonista per una politica criminale già vista il Diritto penale e processo, 2008, pag.239
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così addirittura problemi di principio. Inoltre, operando l’istituto quando non è ancora venuto in gioco il reale e concreto reo in carne ed ossa, si determina una distonia funzionale rispetto alle stesse istanze spcialpreventive che si vorrebbero perseguire. E per apprezzare queste contraddizioni, è sufficiente osservare le conseguenze che si avrebbero adottando un modello del genere: particolarmente complessa risulta infatti l’individuazione del momento della sua applicazione, poiché optando per un’applicazione durante il processo, al fine di acquisire elementi per valutare la personalità del soggetto, si deve osservare come un eccessivo avvicinamento al momento di accertamento della responsabilità comporti una frustrazione delle istanze deflattive. Per quanto riguarda l’applicazione, pur contrastando con la mancanza di un vero e proprio accertamento della responsabilità e con la scarsità di elementi su cui fondare giudizi valutativi, essa, anziché subordinata al consenso dell’imputato, tende ad essere rimessa nelle mani del giudice anche mediante prognosi di non pericolosità del soggetto, con l’ulteriore conseguenza che la misura può avere come destinatari anche delinquenti “secondari”, del resto in coerenza con le finalità specialpreventive. Mancando un accertamento della responsabilità, e quindi non potendosi fare riferimento alla pena irrogata o (comunque) commisurata dal giudice, per individuare i presupposti formali si deve avere riguardo alle tipologie di reato o alla pena commisurata in astratto, quindi, in entrambe le ipotesi, ad un criterio non solo estraneo alle istanze di prevenzione speciale, ma anche fortemente condizionato da istanze di prevenzione generale. Ed ancora, per quanto riguarda la durata, essa deve essere prefissata dal legislatore, a prescindere dalla personalità del soggetto, ma contraddicendo (ancora una volta) la ratio personalistico-individualizzante.
Rispetto poi ai contenuti, si possono individuare due varianti, una concentrata sulla prova (affidamento al servizio sociale, lavori di pubblica utilità) e un’altra basata sulla valorizzazione del rapporto autore-vittima (condotte riparatorie, mediazione), non potendosi escludere che si possano porre anche esigenze di controllo soddisfatte da obblighi prescrittivi o impeditivi: comunque sia, si tratta di contenuti
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sanzionatori assai consistenti assimilabili a quelli di una pena, che ancora una volta si pongono in contrasto con la mancanza di un vero e proprio accertamento della responsabilità, senza considerare le difficoltà di individuare criteri predefiniti per vagliare la congruità della loro intensità. In questa prospettiva, poi, la revoca, nonché l’esito negativo, dovrebbero comportare lo scomputo dalla pena da eseguire, dell’eventuale periodo trascorso in prova. E infine, a rigore, l’esito della prova non potrebbe che essere rimesso alla discrezionalità del giudice, allo scopo di verificare l’effettivo raggiungimento degli obiettivi specialpreventivi che si intendevano perseguire.
Ciò premesso, si deve subito sgombrare il campo da un possibile equivoco, e cioè che queste contraddizioni si possano giustificare alla luce del ragionamento fatto per la messa alla prova in ambito minorile e ciò in quanto non esistono punti di contatto tra i due istituti: la messa alla prova dei minori, infatti, svolge una funzione che non si riconnette agli scopi della pena, e quindi alla prevenzione speciale, ma ha come obiettivo quello di verificare l’effettiva personalità del minore, contribuendo al contempo alla formazione e alla maturazione della stessa in termini di responsabilizzazione. Lo stesso sistema minorile, infatti, più che a “punire” è orientato a “plasmare” in termini responsabilizzanti una personalità che è in via di formazione, con la conseguenza che, mancando un soggetto privo di una personalità matura, saltano le categorie della responsabilità e della rieducazione, mentre entra in gioco il concetto di vera e propria rieducazione. Al contrario, la sospensione del procedimento con messa alla prova degli adulti, poiché riguarda soggetti aventi una personalità definita, non può che svolgere un ruolo diverso, di tipo sanzionatorio-specialpreventivo, con la conseguenza che le contraddizioni risultano, alla fine, difficilmente superabili17. Non presentando dunque contenuti specialpreventivi, l’istituto in esame avrebbe come destinatari soltanto quei soggetti che non abbiano già
17 In questi termini R. BARTOLI, La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento? In Diritto e processo penale, 2014 pag. 663 ss.
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riportato condanne per precedenti reati, di modo che presupposti formali “astratti” e durata predeterminata sono sia inevitabili che coerenti La sospensione della pronuncia di condanna e la sentenza di proscioglimento per estinzione del reato costituiscono l’incentivo che induce l’imputato a rinunciare al processo in virtù di una libera scelta che si pone quale garanzia ad un trattamento sostanziale e processuale lontano dall’archetipo ordinario, che ne giustifica la collocazione all’interno della disciplina dei riti speciali
13 CAPITOLO I
LA SOSPENSIONE DEL PROCESSO CON MESSA ALLA PROVA NEL PROCESSO MINORILE
1. INTRODUZIONE
L’istituto della sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne è disciplinato agli articoli 28 e 29 del d.P.R. 22 settembre 1988 n.448 e, per la normativa di attuazione, dall’art.27 del D.lgs. 272/8918. Si tratta dell’innovazione più ardita contenuta nel codice, come confermato anche dalla Corte costituzionale, secondo cui la messa alla prova costituisce “l’innovazione più significativa e coraggiosa operata dal nuovo codice di procedura penale”19.
I tentativi di introdurre nel nostro ordinamento l’istituto in esame si rinvengono già nel 1976 e, più precisamente, con il d.d.l. n.622 presentato alla Camera dei deputati il 19 ottobre in tema di “intervento penale nel campo minorile”20, e con il d.d.l. n. 1742 del 24 marzo 1986 intitolato “Riforma del sistema della giustizia minorile”21.
18 Così M. COLAMUSSI, La messa alla prova, CEDAM, 2010 pag.16 19 Così Corte cost., 27 settembre 1990 n.412 in www.giurcost.org
20 Si trattava del d.d.l. recante “Delega legislativa per l’emanazione di una nuova legge in materia di intervento penale nel campo minorile”. La direttiva contemplata dal punto 10 dell’art.2 prevedeva la sospensione del procedimento con ordinanza collegiale, previo espletamento, ove necessario degli atti istruttori urgenti, per reati che avrebbero potuto comportare la concessione del perdono giudiziale, quando il reato o i reati avrebbero potuto ricondursi ad un ciclo temporale di disadattamento sociale e si fosse ravvisata l’opportunità di interventi di protezione e sostegno al minore. Tale progetto, in concreto, prevedeva l’attivazione di interventi di protezione e sostegno, nel corso della sospensione del processo, per i minorenni la cui personalità non apparisse già strutturata in termini delinquenziali, autori di reati di modesto allarme sociale. La sospensione sarebbe sfociata nell’applicazione di una forma allargata di perdono giudiziale. Ma questo disegno di legge venne accantonato in attesa di un intervento di riforma più ampio che coinvolgesse l’intera giustizia minorile: così E. PALERMO FABRIS e A. PRESUTTI (a cura di), Diritto e procedura penale minorile, Vol. V, Giuffrè editore, 2002, pag. 217-218 e M. COLAMUSSI, opera cit., pag.18
21 Si trattò, in questo caso, di un progetto organico di riforma della giustizia minorile, che prevedeva la facoltà del tribunale per i minorenni di sospendere il processo per un periodo non superiore ad un anno, previo accertamento della responsabilità penale, onde valutare la maturità dell’imputato, nonché la capacità di superare le difficoltà di socializzazione attraverso un articolato programma di recupero. La definizione di tale procedimento comportava, in caso di esito positivo, la rinuncia alla condanna. A distanza di un anno, la piena legittimazione all’introduzione dell’istituto nel sistema venne consacrata dalla direttiva e)
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Il nostro ordinamento conosce già alcuni tipi di probation: il più antico riguarda proprio i minori ed è previsto dall’art.25 del r.d.l. 20 luglio 1934 n.1404 istitutivo del tribunale specializzato, che prevede che il giudice possa disporre l’affidamento di minori “irregolari della condotta o del carattere”: l’ampia dizione consente di applicare la misura, oltre che ai minori che abbiano posto in essere comportamenti non lesivi di norme penali, ma indice di uno stato di disadattamento e quindi in qualche modo prodromici di possibili condotte delittuose, anche a minori autori di reato e a vario titolo rimasti in libertà. È previsto che sia il giudice ad impartire prescrizioni al minore, a seguire l’applicazione della misura, a disporne la revoca o la modifica22. Come istituto di applicazione generale, una
dell’art.3 della legge delega 16 febbraio 1987 n.3 che ricollegava al dovere del giudice di valutare compiutamente la personalità del minore sotto l’aspetto psichico, sociale e ambientale anche ai fini dell’apprezzamento dei risultati degli interventi di sostegno disposti la facoltà del giudice di sospendere il processo per un periodo di tempo nei casi suddetti. Tale direttiva ricevette una prima traduzione ad opera dell’art.24 del Progetto preliminare, all’interno del quale l’istituto risultava sufficientemente delineato nei suoi tratti essenziali e la scelta di limitare ad un anno il periodo massimo di sospensione apparve congrua con il fine di evitare che la posizione processuale del minore restasse a lungo pendente. A tale disposizione vennero mosse critiche riguardanti, in primo luogo, l’assenza di limiti esterni alla operatività dell’istituto, applicabile nei confronti di qualsiasi reato, nonché circa la formula di proscioglimento utilizzata, il non doversi procedere per esito positivo della prova, che avrebbe mascherato un evidente contenuto sostanziale di causa estintiva della punibilità. Nel passaggio dal Progetto preliminare a quello definitivo vennero mantenuti i tratti essenziali dell’istituto, ma due punti ricevettero una diversa regolamentazione: in primo luogo, la formula di estinzione del reato per esito positivo della prova e venne dilatato fino a tre anni il periodo massimo di sospensione, stabilendo al contempo due diversi periodi in dipendenza della gravità del reato, fino a tre anni per quei reati per i quali fosse prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 12 anni e un anno negli altri casi. Si trattò di una modifica assai rilevante, introdotta per erigere un discrimine tra reati di diversa gravità: v. sul punto M. COLAMUSSI, opera cit., pag.19 e E. PALERMO FABRIS e A. PRESUTTI (a cura di), opera cit., pag. 218-219
22 Si tratta di un tipo di affidamento al servizio sociale applicato nell’ambito della competenza “amministrativa” del tribunale per i minorenni, introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 888/1956 e, in quanto misura da applicarsi in esternato, costituisce anzitutto un’alternativa alla misura del collocamento in casa di rieducazione. Nelle intenzioni del legislatore, questo istituto avrebbe dovuto offrire uno strumento alternativo all’intervento penale, ma ciò si è poco verificato essenzialmente per due ordini di ragioni. Innanzitutto perché questo intervento, rientrando nella competenza amministrativa del tribunale per i minorenni, non costituisce un mezzo di chiusura del caso sotto il profilo penale: il minore autore di un reato, venga o meno affidato al servizio sociale, deve comunque fare i conti con l’imputazione mossa nei suoi confronti e con le concrete alternative penali del
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forma di probation è stata introdotta per la prima volta in Italia dall’ordinamento penitenziario con la legge 26 luglio 1975 n.354, che all’art.47 prevede l’affidamento in prova al servizio sociale, offrendo dunque una alternativa alla pena detentiva, consentendo che a determinate condizioni il condannato possa essere posto in stato di libertà, con l’obbligo di osservare le prescrizioni impostegli dal magistrato e restando affidato al controllo e all’aiuto del servizio sociale. Ma si tratta di un istituto che presenta evidenti limiti operativi, il principale dei quali, soprattutto per quanto riguarda i minori, è che si tratta di un probation penitenziario, applicato durante l’esecuzione della pena e, quindi, dopo il definitivo passaggio in giudicato della sentenza23
2. IL PROBATION PROCESSUALE NELLE SCELTE
NORMATIVE DEL SISTEMA MINORILE: L’ARTICOLO 28 DEL D.P.R.448/88
Nell’art.28 del d.P.R. 448/88 viene disciplinata una prassi già
sperimentata da tempo nella magistratura minorile, nella convinzione
della positiva influenza dell’approccio trattamentale sulla condotta
del minore
24.
processo. Ne è derivato un forte condizionamento, perché il sistema penale italiano è dominato dal principio di obbligatorietà dell’azione penale e perché nei confronti dei minori non erano previsti altri strumenti di chiusura del caso se non la dichiarazione di non imputabilità, applicabile solo quando viene riconosciuto uno stato di immaturità, e la concessione del perdono giudiziale, che può essere concesso una sola volta ed ha come presupposto la previsione che non vi saranno altri comportamenti antisociali. Questo istituto ha dunque finito con l’operare in maniera svincolata dal momento penale, riuscendo ad influenzare quest’ultimo solo in misura marginale. Inoltre l’ampiezza e la genericità della previsione si è prestata a svariate letture, arrivando a ricomprendere negli “irregolari” quei ragazzi che vivono situazioni conflittuali nell’ambito sociale o familiare o che comunque manifestino difficoltà relazionali o di orientamento del proprio “vissuto”, e a limitare la categoria ai minori che avessero già posto in essere comportamenti illeciti ma che per varie ragioni non ne subissero le conseguenze penali: così G. LA GRECA opera cit. pag.248-249
23 E tenendo conto dei tempi necessari per ottenere una sentenza, si capisce perché questa forma di probation abbia avuto per i minori una scarsissima applicazione: così così G. LA GRECA opera cit. pag.250
24 Così E. LANZA, La sospensione del processo con messa alla prova dell’imputato minorenne, 2003, pag.37
16
La disposizione presenta però una serie di vuoti normativi quanto ai
presupposti, ai limiti e al contenuto delle misure: non dice
espressamente in quali casi il giudice possa procedere alla
sospensione del processo e alla messa alla prova dell’imputato
minorenne, limitandosi soltanto a stabilire che egli debba provvedere
quando “ritiene di dover valutare la personalità del minore all’esito
della prova”: in pratica, questa disposizione affiderebbe al giudice
minorile il difficile compito di processare-educando, di coniugare,
cioè, le esigenze giurisdizionali di accertamento del fatto con quelle
di prevenzione speciale nei confronti di un soggetto la cui personalità
è ancora in formazione, così da evitare un tardivo intervento
post-iudicatum che comporterebbe il rischio di andare ad agire su una
personalità ormai consolidata o comunque con delle caratteristiche
tali da rendere vana la specialità della giustizia minorile. Ecco dunque
che l’istituto in esame diventa uno strumento di attuazione della
funzione educativa del rito minorile, perché consente di trasformare
l’evento processuale da momento traumatico della vita del giovane a
opportunità di riscatto e di crescita sia sul piano individuale che su
quello sociale. In questo senso, l’art.28 del d.P.R. 448/88 si collega
alle Regole di Pechino del 1985
25, dove si sottolinea l’importanza di
percorsi alternativi al procedimento penale come risposta più
adeguata alla specificità del disagio giovanile espresso dalla
commissione di reati e si insiste sui meccanismi di diversion, sulla
mediazione, sulla sospensione del procedimento e sulla applicabilità
di misure di probation. La norma individua il fondamento della
misura nell’esigenza di proposizione della valutazione della
25 Regole minime per l’amministrazione della giustizia minorile approvate dalle Nazioni Unite il 29 novembre 1985 che riguardano innanzi tutto il sistema che deve occuparsi della questione giovanile. Esse dunque ancora rispecchiano, la vecchia concezione della difesa sociale che associa repressione e aiuto e mantiene i servizi del welfare rivolti ai giovani – denominati per l’appunto servizi della giustizia minorile – in un rapporto di subordinazione con l’autorità giudiziaria. V. in proposito www.dirittoegiustiziaminorile.it
17
personalità del minore, vista come un’entità in divenire, orientabile
grazie al supporto degli organismi predisposti dalle istituzioni.
Il fondamento costituzionale della sospensione con messa alla prova
può essere invece individuato nel combinato disposto degli articoli 27
comma 3 e 31 comma 2 della Costituzione, che affidano al legislatore
il compito di individuare strumenti sanzionatori che favoriscano il
recupero tenendo conto della specifica condizione psicofisica. Si
richiamano anche gli articoli 2 comma 2, 3 comma 2 e 4 comma 2
della Costituzione, che descrivono il diritto del minore ad un “pieno
e completo sviluppo della persona e ad un proficuo inserimento
sociale”. All’istituto in esame è stata riconosciuta anche natura
sostanziale, sia per la connotazione afflittiva, sia per gli effetti
estintivi che ne caratterizzano gli esiti: si è parlato di giurisdizione
senza pena. Natura che non vale ad eliminarne il carattere
essenzialmente processuale: da questo punto di vista, l’art. 28 del
d.P.R. 448/88 configurerebbe un caso di sospensione impropria,
facoltativa, che può essere disposta dal giudice valutata la sussistenza
dei presupposti ed in base a considerazioni di discrezionalità, un
istituto caratterizzato da un iter prevalentemente processuale.
Per parte della dottrina il processo a carico di minori, sia pure
utilizzato come risorsa estrema e con le modulazioni applicative rese
necessarie dalle caratteristiche personologiche dell’imputato,
partecipa a tutti gli effetti delle connotazioni e delle finalità tipiche
della giurisdizione penale
26. Secondo invece un diverso orientamento,
il processo costituisce una particolare forma di intervento educativo,
uno strumento “forte ed estremo” per propiziare una positiva
evoluzione della personalità del minore
27. Il processo penale minorile
resta comunque in bilico tra repressione ed educazione e proprio
questa ambiguità si fa più accentuata se si tiene conto che su di essa
26 In questi termini A. PRESUTTI in E. PALERMO FABRIS e A. PRESUTTI (a cura di), opera cit., pag. 391
18
si riflette il plurivoco impiego del termine “educazione”. Ciò che
dunque deve essere chiarito, quando si ricollega al processo penale
minorile una finalità educazione, è se con questa si allude ad un
obiettivo di recupero in chiave rieducativa del minorenne o piuttosto
alla necessità di adattare ogni tutela per evitare che la vicenda
processuale comprometta od ostacoli il processo evolutivo della
personalità. Attribuire però al processo penale minorile un compito
promozionale di rieducazione non è strada costituzionalmente
percorribile in quanto lo stesso processo verrebbe a svolgere una
funzione ancipite di repressione e rieducazione, non dissimile da
quella assegnata alla pena: ed è proprio questo accostamento a
dimostrare l’improponibilità della tesi. L’idea della rieducazione
dell’imputato minorenne si fonda su un (inammissibile)
tralignamento istituzionale del processo penale, ridotto ad un
improponibile luogo di trattamento rieducativo e di emenda, in
dispregio al comma 2 dell’art.27 Cost.: quando gli indizi di reato
divengono non presupposto per procedere alla verifica della
fondatezza dell’accusa ma sintomi di disagio psicosociale, quando le
misure processuali vengono piegate alle esigenze pedagogiche del
minore, significa che l’imputato è presunto colpevole o, addirittura
peggio, che l’accertamento della sua colpevolezza viene considerato
secondario, se non addirittura irrilevante. La sollecitudine rieducativa
ha indotto talvolta la Corte costituzionale a pretermettere simili
considerazioni quando, per salvare l’obbligatorietà dell’istruzione
sommaria nel rito minorile, ha affermato di ritenerla maggiormente
aderente alle finalità della giustizia minorile, “che ha una particolare
struttura, in quanto è diretta in modo specifico alla ricerca delle forme
più adatte per la rieducazione dei minori”
28sino alla pronuncia con la
quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità dell’art.25
d.P.R. 448/88, essendo questa disposizione “volta a tutelare
l’esigenza primaria di recupero del minore assicurata dagli istituti
19
tipici del processo penale minorile, incompatibili con il
patteggiamento”
29. La tesi che attribuisce al rito minorile una finalità
rieducativa, intesa come operazione di ortopedia pedagogica condotta
sul minorenne imputato non appare dunque costituzionalmente
difendibile. L’unica relazione che può intercorrere tra la norma
processuale e l’educazione del minore è che la prima deve essere
configurata ed applicata in modo da evitare o comunque ridurre al
minimo il pregiudizio per la positiva evoluzione della personalità del
minore (c.d. principio di minima offensività): e proprio in tal senso è
orientato l’ordinamento processuale minorile.
Riconosciuta, quindi, una finalità educativa al rito minorile, bisogna
precisare in che rapporto essa si ponga con quella (istituzionale) di
accertamento del dovere di punire. L’art.1 d.P.R. 448/88 stabilisce
che le disposizioni processuali sono “applicate in modo adeguato”:
ferma la doverosa attuazione delle regole della giurisdizione, si deve
operare il massimo sforzo di individualizzazione applicativa
compatibile con la loro finalità processuale. Detto diversamente, una
volta che il legislatore abbia predisposto norme processuali adatte alla
realtà minorile, che il giudice abbia scelto tra queste, ove ciò sia
previsto, quella meno lesiva nel caso concreto e che nel dar loro
esecuzione si siano adottate le più idonee modalità, il processo deve
comunque avere il suo corso, anche ove ciò comporti un grave
pregiudizio per il percorso educativo del minore. L’attenzione per
quest’ultimo e la tensione verso l’individualizzazione del processo
sono sì di primaria importanza, purché se ne colga l’invalicabile
limite implicito, ossia che l’intervento giurisdizionale non deve mai
abdicare al suo compito istituzionale di accertamento delle
responsabilità penali, secondo l’itinerario congiuntivo a ciò
preordinato. Il legislatore può anche decidere di rinunciare al
processo, alla condanna o alla pena quando valuta i vantaggi
individuali e sociali che ne deriverebbero minusvalenti rispetto al
20
nocumento per la positiva evoluzione della personalità del minore,
ma non può permettere che ogni imputato minorenne abbia un suo
processo, quindi una sua giustizia nel segno di generici fini
rieducativi,
tanto
giuridicamente
inammissibili,
quanto
pedagogicamente improponibili. Inoltre, la “pedgogizzazione” del
processo penale sarebbe il più serio vulnus alla stessa finalità
rieducativa: l’imputato innocente non potrebbe che percepirla come
una ingiusta ed intollerabile irruzione dello Stato nel suo percorso
evolutivo mentre l’imputato colpevole ne riceverebbe un
diseducativo messaggio di paternalistico indulgenzialismo.
Ecco che quindi emergono i connotati del processo penale minorile,
espressione di una giurisdizione specializzata che, senza perdere i
caratteri e gli scopi tipici della giurisdizione ordinaria, adegua le sue
forme in ragione della peculiarità del soggetto inquisito o dell’oggetto
dell’accertamento. Lo scopo prioritario e indefettibile del processo
penale minorile è, quindi, l’accertamento dei fatti e della
responsabilità di rilievo penale riferibili a soggetti minorenni
30.
3. PRESUPPOSTI DI APPLICAZIONE
La messa alla prova viene disposta dal giudice ogni qualvolta ritenga
esperibile, con concrete possibilità di successo, un tentativo di
recupero del minore
31: questa formulazione dell’art. 28 del d.P.R.
448/88 è stata più volte criticata per eccessiva indeterminatezza e
ambiguità
32, in quanto lascerebbe spazio alle più disparate
interpretazioni soggettive. Infatti, se da un lato consente enorme
flessibilità ed ampiezza operativa, dall’altro porta con sé il rischio di
applicazioni diseguali, incontrollabili a posteriori ed imprevedibili ex
30 In questi termini G. GIOSTRA, sub. art.21 in Il processo penale minorile : commento al DPR 448/1988, cit. pagg.18 ss.
31 Così ancora C. CESARI, sub. art.28 in Il processo penale minorile : commento al DPR 448/1988, cit. pag.462
32 Così G. FUMU, Le difficili scelte del legislatore minorile tra accertamento, educazione e sanzione in Questioni nuove di procedura penale, Le riforme complementari, 1991 pag.80
21
ante
33. La norma infatti subordina la sospensione del processo ad una
valutazione discrezionale del giudice, al quale compete un giudizio
prognostico sull’opportunità della misura, tenuto conto della
personalità del minorenne: si tratta di una valutazione assai complessa
e articolata, a seguito della quale il giudice adotterà la misura se
riterrà esperibile, con concrete possibilità di successo, un tentativo di
recupero del soggetto. Al giudice è dunque rimesso un giudizio di
valore circa l’esistenza della possibilità concreta di determinare,
attraverso un progetto educativo, una forma di resipiscenza che
induca nel soggetto una netta e definitiva dissociazione dalla scelta
deviante. Al giudice di merito è riservata ampia discrezionalità nella
valutazione dei presupposti, che si sostanziano in una positiva
evoluzione della personalità del soggetto: ai sensi dell’art. 9 del
d.P.R. 448/88, tre sono gli elementi in base ai quali il giudice può
formulare il proprio convincimento, e segnatamente l’osservazione
diretta del minore, l’audizione delle parti e gli accertamenti sulla
personalità del minore. Deve essere in pratica valutato se il
compimento del reato sia il frutto di una scelta deviante radicata, nata
in un contesto che non offre appigli ad un possibile recupero
34.
Non può utilizzarsi l’istituto in esame per conoscere la personalità del
minore o valutarne l’imputabilità, la responsabilità o la rilevanza del
fatto.
I presupposti per l’applicazione della misura vanno distinti in
oggettivi e soggettivi: pur in mancanza di qualsivoglia riferimento
all’accertamento della responsabilità nell’art.28 è sicuramente
prioritario l’accertamento della responsabilità penale
35, in ragione
della natura penale attribuibile all’istituto e della necessità di
33Così C. CESARI, sub. art.28 in Il processo penale minorile : commento al DPR 448/1988, a cura di G.GIOSTRA, Giuffrè, Milano, 2016 pag.463
34 Così M. COLAMUSSI, La messa alla prova cit. pagg.91 ss.
35 V. sul punto Il processo penale minorile, Commento al D.p.R. 448/88, a cura di GIOSTRA, 4’ ed., 2016, pag.463
22
contemperare l’applicazione con la salvaguardia del principio di
legalità e con la presunzione di non colpevolezza.
Sotto questo profilo, anzi, l’accertamento della responsabilità è
indispensabile e neppure sufficiente, mantenendo questo istituto un
profilo di incompatibilità con l’art.27 comma 2 Cost., giacché
comporta l’applicazione di un trattamento risocializzante ad un
soggetto che postula colpevole, senza che però questo sia stato
dichiarato tale con una sentenza definitiva
36: secondo i principi
generali, infatti, è escluso che il minore possa subire le coercizioni
derivanti dalla sottoposizione al progetto di intervento senza che gli
sia stato attribuito con certezza il fatto in contestazione. Ma si tratta
di una opzione che, seppur problematica, in sede minorile è accettata
in quanto prevalenti sarebbero le esigenze di protezione del minore,
che trasformerebbero il processo in momento di verifica della
devianza.
Tra i presupposti per la concessione della misura non appare la gravità
del reato
37: la Corte Costituzionale venne chiamata a pronunciarsi
circa la presunta illegittimità degli articoli 28 e 30 (in quanto norma
transitoria) del d.P.R. 448/88 nella parte in cui escludevano, per i reati
puniti con la pena dell’ergastolo, l’applicabilità dell’istituto in esame.
La Consulta, con la Sentenza 24 settembre 1990 n.412
38, dichiarò
infondata la questione in quanto “gli articoli impugnati consentono
l’applicabilità dell’istituto della sospensione del processo per la
messa alla prova del minorenne anche allorché si proceda per reati
punibili con la pena dell’ergastolo”. Secondo il giudice delle leggi,
l’applicazione generale dell’istituto poteva essere desunta dal primo
periodo dei due periodi di cui si compone l’art. 28 de. d.P.R. 448/88,
36 In questi termini C. CESARI, sub. art.28 in Il processo penale minorile : commento al DPR 448/1988, a cura di Glauco Giostra, Giuffrè, Milano, 2016 pag.463
37 Così S. GIAMBRUNO, Il processo penale minorile, CEDAM, Padova, 2003, pag. 119
23
laddove si determina ed enuncia il generale potere discrezionale del
giudice, allorché ritiene di dover valutare la personalità del minore
all’esito della prova, di sospendere il processo. E nulla vi si dice che
possa far pensare ad un limite di questo potere discrezionale. Secondo
una sentenza del tribunale di Torino del 2002, la sospensione del
processo con messa alla prova dell’imputato minorenne possono
essere concessi laddove il “fatto, seppur grave, abbia connotazione di
stretta occasionalità, ad esempio perché il gesto omicida è reattivo ad
una provocazione, ipotesi nelle quali, il fatto, per quanto grave,
appaia davvero estraneo al ragazzo e alla sua generale condotta di
vita, non connesso con aspetti di fondo della sua personalità”, quindi
tale istituto non può essere disposto nei confronti di un imputato che
“appare proteso a farsi certificare un vizio di mente e riacquistare per
questa via la possibilità di dare sfogo al proprio narcisismo”
39.
Secondo una pronuncia della Corte di Cassazione del 1999, “ai fini
della concessione del beneficio in esame, il relativo giudizio, seppur
con il necessario adattamento ai principi ispiratori del processo
minorile, deve essere condotto secondo criteri analoghi a quelli
previsti dall’art. 47 Ord. Pen.: il giudizio prognostico, pertanto, non
può prescindere da una valutazione probabilistica fondata su una
riapertura del soggetto”
40. Di conseguenza, la “gravità del reato, pur
in mancanza di una espressa previsione normativa, non può costituire
ostacolo all’applicazione dell’istituto in esame: tuttavia, quanto più
grave è il reato, tanto più improbabile deve ritenersi la possibilità di
un ravvedimento da parte del soggetto, la valutazione sulla idoneità
dell’istituto al conseguimento del proprio scopo di rieducazione deve
essere condotta con particolare rigore”
41. Il beneficio della
sospensione con messa alla prova, inoltre, secondo la Corte di
39 G.u.p. trib. Min. Torino, 11.2.02, De Nardo-Favaro in S. GIAMBRUNO, Il processo penale minorile, cit. pag. 126-127
40 Cassaz. Pen. 25.9.99, sez. I, Cherchi in S. GIAMBRUNO, Il processo penale minorile, cit., pag. 127
41 Corte app. sez. min. Messina 20.9.90, Liistro in S. GIAMBRUNO, Il processo penale minorile, cit. pag. 128
24
Cassazione, “prescinde dai precedenti penali e giudiziari”, ostativi
invece all’applicazione del perdono giudiziale, “dalla tenuità del fatto
o dall’occasionalità del comportamento delittuoso, postulando solo
una prognosi di positiva evoluzione della personalità del soggetto”
42.
Nella sentenza Corte cost. 6 luglio 2000 n. 272, la Consulta ha
affermato, sulla stessa linea, che i “precedenti giudiziari o penali non
precludono di per sé il ricorso a forme di definizione anticipata del
procedimento, eccezion fatta per il perdono giudiziale”
43. Accanto
alla responsabilità penale, parte della giurisprudenza richiede come
condizione per l’applicabilità del beneficio della messa alla prova
anche l’imputabilità e la piena confessione
44, la quale ultima
dovrebbe operare come “strumento processuale utile a garantire la
presa di coscienza, da parte dell’imputato, della sua condotta
deviante”, “a dimostrare la sua resipiscenza nonché l’impegno e la
disponibilità a sottoporsi ad un progetto di messa alla prova”. Accanto
a confessione e imputabilità, si ritiene che un’altra condizione per la
sospensione del processo e la messa alla prova dell’imputato sia la
capacità di intendere e di volere: dunque l’imputato deve consentire
alla misura e al progetto di intervento che si impegna a rispettare, che
altrimenti si configurerebbero come trattamento penale dal contenuto
genericamente rieducativo, deciso arbitrariamente dal giudice e
destinato al sicuro insuccesso
45.
42 Cassaz. Pen. 7.4.97, sez. V, Porru in S. GIAMBRUNO, Il processo penale minorile, cit. pag. 129
43 Così Corte cost. 12 luglio 2000 n. 272 in S. GIAMBRUNO, Il processo penale minorile, cit. pag. 129
44 In questo senso Trib. Min. Bologna 10.9.92 in S. GIAMBRUNO, Il processo penale minorile, cit. pag. 129
45 In questi termini MAZZA GALANTI-PATRONE in E. PALERMO FABRIS e A. PRESUTTI (a cura di), Diritto e procedura penale minorile, Vol. V, Giuffrè editore, 2002, pag. 161
25
4. IL RUOLO DEL GIUDICE E DELLA PUBBLICA ACCUSA
La sospensione del processo di cui all’art.28 del d.P.R. 448/88
instaura una fase incidentale, appunto la messa alla prova, che si
sviluppa dinanzi al medesimo giudice che l’ha disposta: prevede
infatti l’art.27 delle disposizioni di attuazione che il presidente del
collegio che ha pronunciato l’ordinanza, o un suo delegato, purché
componente dello stesso collegio, riceve le relazioni periodiche dei
servizi sociali e segue la prova, valutando anche la possibilità di
modifiche del progetto o di abbreviazioni del periodo.
Il collegio deve altresì valutare se sussistano i presupposti per la
revoca della misura e dovrà stabilire se l’esito della prova sia stato
positivo o meno. Sull’ipotesi di mutamento della composizione del
collegio, gli orientamenti non sono concordanti: talvolta si è ritenuto
che il collegio non possa mutare nella sua composizione, perché
l’udienza che viene fissata a conclusione del periodo di prova è una
udienza di rinvio, destinata a completare una valutazione in itinere e
non a rinnovare il processo. L’eventuale esito negativo della prova
porta ad una pronuncia nel merito effettuata dallo stesso collegio che
ha svolto l’intera istruttoria dibattimentale
46.
Circa gli elementi che possono essere utilizzati dal giudice a
fondamento della sua decisione, oltre ovviamente all’osservazione
diretta del minore e all’audizione delle parti, c’è anche il parere, non
vincolante, di esperti chiamati a svolgere gli opportuni accertamenti
sulla personalità del minorenne ai fini della corretta applicazione
delle misure penali
47. Durante, invece, la messa alla prova, non vi è
un coinvolgimento dell’organo decidente nella sua composizione
integrale: le verifiche periodiche in ordine all’andamento della misura
sono infatti svolte dal presidente, o da un suo delegato
48. Al termine
46 In questi termini S. GIAMBRUNO, Il processo penale minorile, cit. pag. 122 47 In questi termini M. COLAMUSSI, La messa alla prova, cit., pag.52
48 Così M. COLAMUSSI, La messa alla prova, cit., pag.53 e F. PALOMBA Il sistema del processo penale minorile, pag.478 secondo cui al presidente competono poteri
26
della sospensione, il giudice esercita una funzione ricognitoria
sull’andamento della prova, avvalendosi della relazione elaborata dai
servizi minorili, come dispone il comma 5 dell’art.27 D.lgs. 272/89
49.
Il giudice può comunque provvedere d’ufficio alla sospensione del
processo valutata la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge
ed invitando i servizi sociali ad elaborare un progetto di intervento
per il minore destinatario della misura. Può addirittura procedere alla
prova anche contro l’eventuale parere negativo dei servizi sociali. In
considerazione della fase in cui la misura può essere disposta, a
deliberare sul punto sarà un giudice collegiale
50.
Volendo invece delineare il ruolo svolto dal pubblico ministero, la
prima parte dell’art.28 del d.P.R. 448/88 gli attribuisce una funzione
di natura consultiva: non sembrerebbe infatti trattarsi di un parere
vincolante, dal momento che il legislatore non lo richiede come tale.
Considerando che lo stesso parere è richiesto, secondo la logica della
parità delle parti, anche all’altra parte, ne consegue che il giudice può
tenerne conto ai fini della formazione del suo convincimento, ma può
anche
disattenderlo,
lasciandosi
guidare
esclusivamente
dall’interesse del minore. L’ufficio della procura, con l’ausilio della
polizia giudiziaria specializzata e con la collaborazione dei servizi
minorili non può limitarsi a esprimere un semplice parere sulla
opportunità della messa alla prova ma ha tutti gli strumenti per
richiedere al giudice l’adozione della misura: rientra infatti tra i
compiti del pubblico ministero, ai sensi dell’art.9 del d.P.R. 448/88,
quello di disporre gli accertamenti sulla personalità del minorenne.
Può altresì promuovere, in una fase pre-processuale, un intervento di
mediazione, che non coincide con la messa alla prova. L’art.28 del
d.P.R. 448/88 riconosce poi al pubblico ministero la facoltà di
ordinatori come ricevere relazioni, delegare altro componente del collegio, fissare l’udienza per la valutazione dell’esito della prova
49 Ancora M. COLAMUSSI, La messa alla prova, cit., pag.53
50 Così C. CESARI, sub. art.28 in Il processo penale minorile : commento al DPR 448/1988, cit. pag. 485
27
promuovere una fase di messa alla prova di cui diviene organo di
iniziativa, consulto e controllo: infatti, laddove ricorrano i
presupposti nella fase processuale, il pubblico ministero può avanzare
la richiesta di sottoporre l’imputato alla prova oppure può esprimere
un parere, quando la richiesta è avanzata dall’altra parte,
nell’esercizio della sua funzione consultiva. La funzione di controllo
della pubblica accusa si manifesta invece attraverso la legittimazione
soggettiva a ricorrere per Cassazione avverso l’ordinanza di
sospensione ai sensi dell’art.28 comma 3, sia nella facoltà di
richiedere la revoca della misura in caso di “gravi e ripetute
trasgressioni alle prescrizioni imposte” secondo quanto disposto dal
comma 5 del medesimo articolo
51.
5. I SERVIZI MINORILI
Il ruolo dei servizi minorili nella disciplina della messa alla prova si
sviluppa fin dalla fase preliminare e si caratterizza in senso
propulsivo: spetta a loro la “gestione tecnica della prova come
continum dell’attività di accertamento svolta sulla personalità del
minore e di elaborazione del progetto
52. Il generico riferimento ai
servizi minorili ricomprende, in primo luogo, i servizi sociali
dell’amministrazione della giustizia, intesi come “referenti necessari
del giudice” ai quali il minore è affidato con l’ordinanza di
sospensione del processo e i servizi socio-assistenziali istituiti dagli
enti locali
53. Possono inoltre essere utilizzati anche altri operatori del
settore minorile, quali ad esempio quelli operanti nell’area
pedagogica o degli istituti di cui all’art.7 del D.lgs. 272/89
54. La prima
forma di assistenza all’imputato attribuita ai servizi minorili si
51 Così M. COLAMUSSI, La messa alla prova, cit., pag.46 ss
52 In questi termini sia F. PALOMBA Il sistema del processo penale minorile, cit. pag.474 che M. COLAMUSSI, La messa alla prova, cit., pag.61
53 Così ancora F. PALOMBA Il sistema del processo penale minorile, cit. pag.124 che M. COLAMUSSI, La messa alla prova, cit., pag.61
54 In questi termini F. PALOMBA Il sistema del processo penale minorile, cit. pag.474
28
estrinseca attraverso il già ricordato affidamento del minore per le
“opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno”: in questa
ipotesi provvede direttamente il giudice, sia dell’udienza preliminare
che del dibattimento, attraverso l’ordinanza di sospensione del
processo e messa alla prova dell’imputato. Quanto invece all’attività
di “osservazione”, si tratta di un’attività funzionale a seguire lo
sviluppo della personalità del minore durante la prova, constatarne i
risultati e le (eventuali) trasgressioni. Il “trattamento” è invece riferito
alla “concreta attuazione del progetto educativo elaborato dai
servizi”, che rappresenta l’impegno assunto dall’imputato minorenne.
Infine il “sostegno” a favore dell’imputato consiste nell’aiuto,
nell’assistenza e nella collaborazione attivata dal servizio sociale per
garantire l’esito positivo della prova, l’effetto risocializzante e il
recupero dell’autostima: si tratta di impegno che possono essere
assolti dai servizi attraverso una presenza costante, attenta e
responsabile a fianco del minore. Ma tra i compiti affidati al servizio
minorile nell’ambito della messa alla prova, particolare rilievo
assume la formulazione del progetto di intervento secondo i criteri di
cui all’art. 27 comma 2 del D.lgs. 272/89. Durante la sospensione del
processo, i servizi minorili interagiscono in senso orizzontale con il
minore e con i suoi familiari per il perseguimento del progetto
educativo e in senso verticale con il giudice, che viene informato
periodicamente dell’attività svolta e dell’evoluzione del caso.
Laddove vengano accertate gravi e ripetute violazioni delle
prescrizioni, l’assistente sociale può proporre al giudice la revoca del
provvedimento di sospensione, secondo quanto disposto dall’art.27 al
comma 3 del D.lgs. 272/89. Il comma 5 della medesima disposizione
prevede inoltre che al termine del periodo di prova o in itinere, nel
caso in cui si intenda promuovere la richiesta di revoca della misura,
i servizi presentano una relazione sul comportamento del minore e
sull’evoluzione della sua personalità al presidente del collegio che ha
disposto la sospensione nonché al pubblico ministero: tale relazione
29
assume rilievo nella misura in cui esprime un giudizio complessivo
in ordine all’esito della prova e perché costituisce la base per la
decisione del giudice poiché la valutazione qualificata dei
comportamenti dei minore assume significatività, in quanto incide
sulla sentenza. Anche la partecipazione dei servizi minorili
all’udienza di verifica finale ex art. 29 del d.P.R. 448/88, benché non
espressamente prevista, è collegata alla funzione di “assistenza” del
minore e al particolare ruolo dagli stessi svolto durante la messa alla
prova
55.
6. ASPETTI PROCEDIMENTALI
Il provvedimento di sospensione del processo e la conseguente messa
alla prova possono essere adottati nel corso dell’udienza preliminare
o del dibattimento
56. Tale decisione presuppone una preventiva
instaurazione del contraddittorio tra le parti dinanzi al giudice,
descritto in termini di mera audizione dal comma 1 dell’art. 28 ma
che in realtà implica un “coinvolgimento specifico” delle parti su
opportunità e modalità del trattamento: l’assunto “sentite le parti”
induce a ritenere che l’instaurazione del contraddittorio sia
condizione essenziale per l’emissione del provvedimento sospensivo.
Anzi, potendo addirittura il giudice procedere d’ufficio alla messa in
prova, si ritiene che il preventivo confronto tra le parti sia l’unico
onere che grava sul collegio. E ottemperarvi incide sulla legittimità
del procedimento, poiché l’istituto è incardinato su un progetto di
intervento elaborato dai servizi minorili sul quale il giudice è tenuto
a compulsare le parti: laddove venga omessa l’indefettibile fase del
contraddittorio, si ha una violazione delle norme concernenti
l’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio o, almeno, nella
prosecuzione dell’azione penale, con correlata nullità di ordine
55 Così M. COLAMUSSI, opera cit., pag. 64 ss.