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Modalità di attivazione del rito

CAPITOLO II : LA LEGGE 67/2014 E L’ESTENSIONE DELLA

5. Modalità di attivazione del rito

Laddove ricorrano i presupposti previsti all’art.168 bis c.p., solo l’imputato, ai sensi dell’art.464 bis c.p.p., può avanzare richiesta di sospensione del procedimento penale con messa alla prova200: la misura prevede sempre la sua istanza espressa201 e lo stesso che può interloquire anche sul contenuto del programma di trattamento e sulle prescrizioni annesse al beneficio. La misura si caratterizza per la natura dispositiva,

comunicazione tra due o più soggetti in conflitto ed individuare le modalità di riparazione delle conseguenze del reato. Tali figure, nella messa alla prova per imputati maggiorenni, assumono rilievo sia nella fase di predisposizione del programma di trattamento da sottoporre al giudice ai fini dell’ammissione al probation quanto nei successivi meccanismi di verifica e controllo dell’esito della prova. Il nostro ordinamento già conosce una applicazione della mediazione nel procedimento penale dinanzi al giudice di pace: prevedono infatti i commi 4 e 5 dell’art.29 del D.lgs. 274/00 che, nell’udienza di comparizione relativa a reati procedibili a querela, il giudice promuove la conciliazione tra le parti e, a tal fine, può rinviare l’udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può avvalersi dell’attività di mediazione di strutture pubbliche o private presenti sul territorio. In caso di esito positivo, viene redatto processo verbale attestante la remissione della querela o la rinuncia al ricorso introduttivo di cui all’art.21 D.lgs. 274/00 e la relativa accettazione. Il tutto è finalizzato all’adozione di una sentenza di non luogo a procedere per mancanza della condizione di procedibilità. Sempre nel procedimento dinanzi al giudice di pace, l’art.35 contempla l’eventualità di una estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie quando l’imputato dimostra di aver proceduto, prima dell’udienza di comparizione, alla riparazione del danno cagionato dal reato, mediante restituzioni o risarcimento, e di aver eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il giudice può disporre la sospensione del processo, per un periodo non superiore a tre mesi, se l’imputato chiede, nell’udienza di comparizione, di poter provvedere agli adempimenti risarcitori e dimostri di non averlo potuto fare in precedenza. In questo caso è necessaria la previsa consultazione sia delle parti che della persona offesa, il cui parere non è, comunque, vincolante. Questa impostazione si rinviene anche nella messa alla prova per gli imputati maggiorenni, ove la persona offesa viene ad essere più volte sentita, sia ai fini dell’ammissione al probation, sia ai fini della valutazione sui suoi esiti: il suo parere, non vincolante, servirà al giudice per capire il grado di offensività dell’illecito percepito dalla vittima. In ogni caso, il contraddittorio con la persona offesa deve essere instaurato a prescindere dalla sua costituzione come parte civile

200 Così Così M. MONTAGNA, Sospensione del procedimento con messa alla prova in Le nuove norme sulla giustizia penale cit., CEDAM, 2014 pag. 385 e A. DIDDI, La fase di ammissione alla prova, in N. TRIGGIANI (a cura di), La deflazione giudiziaria: messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto, 2014, pag.114 201 È necessario il consenso del pubblico ministero ove l’istanza di sospensione sia presentata nel corso delle indagini preliminari (art.464 bis c.1 c.p.p.): così M. MONTAGNA, Sospensione del procedimento con messa alla prova e attivazione del rito, 385

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nel senso che non è applicabile in via officiosa dal giudice, ma è sempre subordinata al consenso espresso dell’imputato. La richiesta in questione costituisce un atto personalissimo e può essere pertanto esercitata o dall’imputato personalmente o dal difensore munito di procura speciale202. Investito della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice resta libero di valutare discrezionalmente il quadro istruttorio, essendo il giudizio sul raggiungimento dello scopo normativamente imposto riservato, in via esclusiva, alla valutazione giudiziale203.

La richiesta deve essere proposta entro un termine finale, diversamente cadenzato in base ai moduli procedimentali che sta seguendo il processo: secondo, infatti, quanto disposto dal comma 2 dell’art.464 bis c.p.p., l’istanza può essere avanzata fino a quando non sono state formulate le conclusioni nell’udienza preliminare a norma degli articoli 421 e 422 c.p.p. ove si tratti di procedimento ordinario; fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio. Se invece è stato notificato il decreto di giudizio immediato, la richiesta è formulata entro il termine e con le forme stabilite dal primo comma dell’art.458 c.p.p., ossia quindi giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato all’imputato o dalla comunicazione del relativo avviso al difensore. Infine, nel procedimento per decreto la richiesta è presentata con l’atto di opposizione204

202 La sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall’art.583 c.3 c.p.p.: così M. MONTAGNA, Sospensione del procedimento con messa alla prova e attivazione del rito, 385

203 F. FIORENTIN, Una sola volta nella storia giudiziaria del condannato in Guida al diritto, 17 maggio 2014, n°21 pag.72

204 Il legislatore, nel prevedere un termine massimo entro cui il percorso di probation deve essere attivato, traccia un elemento di differenziazione rispetto al corrispondente istituto previsto nel processo penale minorile: l’art.28 D.p.r. 448/88, infatti non individua alcun termine per l’attivazione dell’istituto. La norma, nell’individuare quale termine finale per il procedimento ordinario quel momento sintetizzato con l’espressione “fino a quando non sono state formulate le conclusioni” corrisponde a quanto previsto per il giudizio abbreviato all’art.438 comma 2 c.p.p. Si tratta di una locuzione ampia e, come rilevato anche dalla Corte di cassazione (Cass., sez. I, 18 dicembre 2013, n. 348, in Diritto & Giustizia, 9 gennaio 2014) idonea a comprendere l’intera fase della discussione ex art.421

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Da queste prime indicazioni si evince una lacuna in cui è incorso il legislatore, il quale, nel concepire la messa alla prova come un procedimento speciale, ha omesso di apportare le opportune integrazioni agli avvisi di cui all’art.552 lett. f) c.p.p.205

Sul punto è intervenuta la sezione feriale della Corte di cassazione206, che ha posto un primo punto fermo in ordine ad una delle questioni di diritto intertemporale relative al nuovo istituto. Infatti la novella codicistica non prevedeva alcuna disciplina transitoria, limitandosi a scolpire i termini perentori entro i quali la sospensione del procedimento per la messa alla prova doveva essere richiesta.

La struttura dell’istituto, costruito come una sorta di rito alternativo al dibattimento e la ratio evidentemente deflattiva del carico giudiziario perseguita dal legislatore inducono a ritenere che essa non possa essere richiesta nei procedimenti già in corso all’entrata in vigore della norma istitutiva, in quanto sarebbero già spirati i termini finali previsti per la richiesta.

Al contrario, una prima decisione del Tribunale di Torino207aveva “rimesso in termini” le imputate al fine di consentire loro di chiedere la sospensione per la messa alla prova, pure pendendo la fase dibattimentale. La decisione era fondata sulla natura sostanziale

comma 2 c.p.p. fino al suo epilogo. Ne deriva che il termine finale per la proposizione della domanda è rappresentato dal momento in cui si esaurisce la discussione con la formulazione delle conclusioni di tutte le parti. Più precisamente, la richiesta di giudizio abbreviato può essere proposta fino al momento in cui il gup dichiara chiusa la discussione, quindi anche dopo l’eventuale integrazione delle indagini o delle prove disposta ex officio. Individuare in un momento anteriore la preclusione a presentare la domanda di sospensione del procedimento con messa alla prova non sarebbe stato corretto in quanto non in linea con il dettato normativo che fa riferimento, in generale, alle “conclusioni”: e in questa prospettiva è ragionevole identificare la preclusione alla richiesta dell’imputato con la formulazione delle conclusioni del suo difensore. Identica soluzione può essere suggerita anche nel caso di procedimento che coinvolga una pluralità di imputati: così M. MONTAGNA, Sospensione del procedimento con messa alla prova in Le nuove norme sulla giustizia penale cit., CEDAM, 2014 pag. 387

205 L’avviso della facoltà di essere ammesso alla prova ex art.168 bis c.p.p. viene riportato nell’informazione sul diritto di difesa ex art.369 bis c.p.p.: così A. DIDDI, La fase di ammissione alla prova cit. 2014, pag.115

206 Corte cassazione 35717-2014 in www.questionegiustizia.it 207 Tribunale Torino 21.5.2014 in www.questionegiustizia.it

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dell’istituto. Invero, in caso di esito positivo, il reato si estinguerebbe e dunque la messa alla prova sarebbe causa estintiva del reato, ascrivibile al novero delle fattispecie di diritto sostanziale.

Trattandosi di una modifica in melius, sarebbe sempre applicabile retroattivamente, anche ai processi pendenti al momento dell’entrata in vigore della norma: a ragionare invece in senso opposto, varrebbe la regola generale del tempus regit actum,

Evidentemente, a ragionare in senso opposto, ossia a definire la sospensione per messa alla prova un istituto processuale, varrebbe la regola generale del tempus regit actum, tesi che sembra fondata se si pone mente alla circostanza che l’esito positivo della messa alla prova non si verifica mai fuori dal processo ma solo dopo e durante la sospensione del processo. Ossia, l’imputato non dedurrebbe l’esistenza di un fatto estintivo del reato, che il giudice è tenuto a valutare, ex art.2 c.p., seppure introdotto con norma successiva alla data di commissione del reato, ma chiederebbe la sospensione del processo per essere messo alla prova ed il giudice, se non ritiene sussistere cause ostative, dispone di conseguenza; dunque, l’effetto estintivo del reato è una conseguenza eventuale e successiva alla decisione “processuale” di sospendere il processo.

Ne consegue che la norma transitoria da verificare è quella che disciplina la richiesta dell’imputato di sospensione del processo e la conseguente decisione del giudice. Si tratta di vicende propriamente processuali, la cui disciplina non è quella ex art. 2 cp ma quella vigente al momento dell’inizio del processo.

Con la sentenza in esame, la Corte di cassazione non prende posizione espressa sull’istituto ma lo ritiene inapplicabile alla fase del giudizio di legittimità spiegando che il legislatore ha previsto una sorta di “rito- procedura” alternativa al dibattimento, attribuendo al giudice poteri di verifica e controllo che sono incompatibili con la natura del giudizio di legittimità.

Quanto alla necessità di garantire l’efficacia retroattiva di una legge mitius (perché introduttiva di una nuova ipotesi di estinzione del reato), la Corte ribadisce l’obbligo costituzionale ed inderogabile di non dare

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efficacia retroattiva alle norme penali in pejus ma precisa che invece, anche secondo la giurisprudenza della Corte Europea (è palese il richiamo alla celebre sentenza Scoppola contro Italia), la regola della retroattività delle norme penali in melius può trovare deroghe o limitazioni, se fondate su motivi oggettivamente ragionevoli.

Nel caso di specie, il legislatore italiano, nel non prevedere un regime transitorio, ha inteso non dare efficacia retroattiva delle norme, seppure più favorevoli.

Tale deroga al principio della retroattività delle norme penali più favorevoli sarebbe, secondo la Corte, giustificato proprio per la natura dell’istituto, intrinsecamente incompatibile con il giudizio di legittimità208.

Continuando nell’analisi della disposizione, sembrerebbe ravvisarsi un’aporia laddove si ammette che la richiesta di sospensione con messa alla prova possa essere avanzata nel corso dell’udienza preliminare. Infatti, ai sensi dell’art.168 bis c.p., la richiesta in esame può essere avanzata solo nei procedimenti relativi a reati puniti con pena pecuniaria o con pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, nonché per i delitti di cui all’art.550 comma 2 c.p.p. per i quali è previsto l’esercizio dell’azione penale attraverso citazione diretta a giudizio. Sembrerebbe dunque che una richiesta di sospensione non possa intervenire dinanzi al gup: tuttavia la previsione che ne consente la presentazione può spiegarsi che, siccome ai sensi dell’art.551 c.p.p., anche nel caso di procedimenti soggettivamente connessi, il PM deve presentare per tutti gli imputati la richiesta di rinvio a giudizio ex art.416 c.p.p., si potrebbe verificare che in udienza preliminare il giudice debba esaminare la richiesta avanzata da uno degli imputati con riferimento al quale ricorrono i presupposti per la sospensione. Un’altra lettura della previsione in esame potrebbe essere originata dal fatto che la disciplina non spiega come debba essere determinato il tetto sanzionatorio e, in particolare, come operino le circostanze aggravanti, soprattutto quelle ad

208 In questi termini G. ZACCARO, No alla “messa alla prova” in Cassazione in

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effetto speciale. Qualora si ritenga che, non essendo richiamato l’art.4 c.p.p., ai fini della sospensione occorra prendere in esame solo la pena edittale del reato, a prescindere dalle forme di manifestazione, l’istituto può essere applicato tutte quelle volte in cui il PM, in base al combinato disposto degli artt. 4 e 550 comma 1 c.p.p., sia costretto a richiedere il rinvio a giudizio nelle forme dell’art.416 c.p.p. in relazione a reati, quali ad esempio il furto o la truffa ai danni dello Stato, che, nella forma non circostanziata, prevedono una pena edittale non superiore ai quattro anni209

Un dubbio che si pone, stante la formulazione del quarto comma dell’art.464 ter è se il giudice è comunque tenuto a concedere la messa alla prova laddove ravvisi l’idoneità del programma di trattamento e ritenga, in base ai parametri di cui all’art.133 c.p., che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati o se mantiene una facoltà di apprezzamento discrezionale anche nella fase decisionale. Il tenore letterale della disposizione sembra orientare verso la prima opzione, laddove considerazioni di opportunità parrebbero, invece, indicare come preferibile la seconda: quest’ultima sembra infatti più coerente con il ruolo del giudice, che non può essere ridotto ad un mero “applicatore amministrativistico” del beneficio, anche alla luce della delicatezza dei profili connessi alla decisione, che si configura, come detto, ad una rinuncia dello stato al processo nei confronti del beneficiario della messa alla prova 210.

La disciplina relativa al momento e alla iniziativa pone alcune questioni relative all’accertamento della responsabilità: infatti la richiesta dell’imputato potrebbe far ritenere che siano superati i problemi derivanti da una applicazione della misura in assenza di un accertamento autentico della responsabilità, ma così non è. Tant’è che l’art. 464 quater c.p.p., al comma 1, sancisce che l’ordinanza che dispone la messa alla prova presuppone l’insussistenza delle ragioni che, ai sensi dell’art.129

209 Sul punto A. SCALFATI, La debole convergenza di scopi nella deflazione promossa dalla l. n. 67/2014 in www.processopenaleegiustizia.it

210 F. FIORENTIN, Rivoluzione copernicana per la giustizia riparativa in Guida al diritto, 17 maggio 2014, n°21 pg.72

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c.p.p., impongono l’immediato proscioglimento dell’imputato. Quindi non può mancare un accertamento, pressoché semplificato o “allo stato degli atti” simile a quello realizzato nel patteggiamento211.

La sospensione del procedimento è finalizzata alla messa alla prova e pertanto dovrà avere una durata in funzione di questo percorso di sperimentazione ed essere correlata alla gravità del reato contestato desunta dalla natura della pena edittale: l’art.464 quater comma 5 c.p.p. prevede che il procedimento non possa essere sospeso per un periodo superiore a due anni laddove si proceda per reati per i quali è prevista la pena detentiva (sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria) mentre la sospensione non potrà essere superiore ad un anno laddove si proceda per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria. Il termine di sospensione decorre dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova da parte dell’imputato, secondo quanto disposto dal comma 6 dell’art.464 quater c.p.p. Anche, quindi per la messa alla prova degli imputati maggiorenni il legislatore ha fissato un termine massimo di durata della sospensione, ma non un termine minimo, lasciando così alla discrezionalità del giudice l’esatta individuazione della durata del percorso di prova: tale valutazione sarà correlata, da un lato, alla gravità del reato e dall’altro alle esigenze trattamentali e di reinserimento sociale dell’imputato, oltre che all’attività di riconciliazione con la vittima. Il limite massimo previsto dal legislatore non ammette proroghe o rinnovazioni della misura: l’art.141 ter comma 4 disp. att. c.p.p. prevede che nell’ambito dei controlli svolti dall’UEPE in fase di esecuzione della messa alla prova l’ufficio può proporre al giudice eventuali abbreviazioni del programma, ma non si fa nessun cenno ad un possibile aumento dei tempi inizialmente previsti212.

211 Questo vale anche nell’ipotesi in cui l’applicazione avvenga nella fase delle indagini preliminari dove, a causa della notevole anticipazione, l’accertamento della responsabilità risulta ancora più problematico: in questi termini R. BARTOLI, La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento? in Diritto e processo penale, 2014 pag. 667

212 Così M. MONTAGNA, Sospensione del procedimento con messa alla prova in Le nuove norme sulla giustizia penale cit., CEDAM, 2014 pag. 407-408, che osserva come i dati statistici dimostrano che tempi troppo brevi di probation non producono effetti positivi e non agevolano la mediazione con la vittima

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La presentazione della richiesta di sospensione introduce una fase incidentale, le cui cadenze sono disciplinate dall’art.464 quater c.p.p.213 Il giudice, prima di dare inizio al procedimento incidentale, deve svolgere un vaglio preliminare sulla richiesta214 riguardante la sussistenza dei requisiti formali e sostanziali, oggettivi e soggettivi richiesti, a pena di inammissibilità, dall’art.168 bis c.p. ed il rispetto del termine e del giudice competente per la proposizione della richiesta215. In questa prima fase il giudice decide con ordinanza (implicita) di ammissibilità, fissando l’udienza camerale e decidendo ex art.464 quater c.p.p. oppure, in difetto di uno dei presupposti, di inammissibilità della richiesta. Tale ultima ordinanza può essere pronunciata per difetto di uno dei requisiti essenziali (ad esempio perché proposta da un soggetto dichiarato delinquente abituale o per tendenza o perché già ammesso alla prova) o perché presentata oltre i termini di fase: entrambe queste situazioni configurano ipotesi di inammissibilità assoluta dell’istanza, che quindi non può più essere riproposta. Ma l’inammissibilità può essere pronunciata anche per difetto di uno dei requisiti formali (istanza

213 Con la sentenza Corte cost., 21 febbraio 2018 (dep. 27 aprile 2018), n. 91, Pres. e Red. Lattanzi si è pronunciata anche su una questione riguardante la disposizione in esame posta dal Tribunale di Grosseto, secondo il quale il giudice dibattimentale chiamato a valutare la richiesta di sospensione con messa alla prova, in esordio del procedimento, dovrebbe assumere la propria decisione in base allo scarno fascicolo del dibattimento, non prevedendo, l’art.464 quater comma 1 c.p.p., la possibilità di accesso al fascicolo delle indagini preliminari e degli eventuali atti successivi in esso contenuti. Su questo presupposto si prospetterebbe una violazione degli artt.3, 111 comma 6, 25 comma 2 e 27 comma 2 Cost. La Corte Costituzionale ha concluso per la inammissibilità delle questioni, perché le stesse sono state poste senza tenere conto della praticabilità di una interpretazione costituzionalmente orientata diversa da quella prospettata e coerente con la cornice normativa in cui la norma si colloca. Il rimettente, infatti, non ha considerato la possibilità di una interpretazione analogica dell’art.135 disp. att. c.p.p. Secondo la Corte, dunque, già in base alla legislazione vigente, è consentito al giudice del dibattimento prendere visione degli atti del fascicolo del pubblico ministero ai fini della decisione sulla richiesta di messa alla prova: in questi termini A. CAPITTA, Messa alla prova – Corte cost. n.91 del 2018 in www.archiviopenale.it

214 Che, in un procedimento a carico di più imputati, potrebbe rendere necessaria anche una ordinanza di separazione ex art.18 comma 1 lett. b) c.p.p.: così A. DIDDI, La fase di ammissione alla prova, in N. TRIGGIANI (a cura di), La deflazione giudiziaria: messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto, 2014, pag.121

215 Così M. L. GALATI – L. RANDAZZO, La messa alla prova nel processo penale, le applicazioni pratiche della legge n. 67/2014, GIUFFRÈ pag.91 ss.

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presentata dal difensore non munito di procura speciale oppure presentata personalmente dalla parte per iscritto ma con sottoscrizione non autenticata): in queste ipotesi il giudice potrebbe dichiarare inammissibile tout court la richiesta ovvero, se non sono decorsi i termini di preclusione, concedere un rinvio, consentendo alle parti di proporre nuovamente l’istanza.

Un’altra inammissibilità formale dell’istanza è quella pronunciata dal giudice per le indagini preliminari in caso di dissenso del PM: in questa ipotesi, l’interessato potrà riproporre l’istanza prima dell’apertura del