• Non ci sono risultati.

Uscita o voce? Un'analisi dei conflitti organizzativi attraverso l'uso del modello EVL

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Uscita o voce? Un'analisi dei conflitti organizzativi attraverso l'uso del modello EVL"

Copied!
171
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Sociologia e management

dei servizi sociali

Classe LM-88: Sociologia e ricerca sociale

Tesi di laurea magistrale

USCITA O VOCE?

UN’ANALISI DEI CONFLITTI ORGANIZZATIVI

ATTRAVERSO L’USO DEL MODELLO EVL

Candidata

Relatore

Claudia Bardi

Prof. Matteo Villa

(2)

2

Ai miei genitori.

Sono le scelte che facciamo, Harry, che dimostrano quel

che siamo veramente, molto più delle nostre capacità.

J. K. Rowling

(3)

3

Indice

Introduzione ... 6

Capitolo primo. Le organizzazioni di lavoro ... 9

1.1. Organizzazione e ambiente ... 9

1.1.1. La teoria generale dei sistemi ... 10

1.1.2. La teoria dei sistemi autopoietici ... 12

1.1.3. Economia dei costi di transazione ... 13

1.1.4. La teoria della dipendenza dalle risorse ... 18

1.2. Le risorse umane di una organizzazione ... 21

1.2.1. Come si diventa membri di un gruppo ... 21

1.2.2. I bisogni dei dipendenti ... 24

1.2.3. Membership e groupship ... 27

1.2.4. Le altre risorse di una organizzazione ... 30

1.3. Il leader in un gruppo ... 31

1.3.1. La teoria dei tratti ... 35

1.3.2. L’approccio della leadership situazionale ... 35

1.3.3. La teoria del percorso-obiettivo ... 38

1.3.4. Il punto di equilibrio tra membership e groupship: la leadership di servizio ... 41

1.3.5. La leadership trasformazionale... 43

1.4. Riepilogo ... 46

Capitolo secondo. Dinamiche intraorganizzative ... 48

2.1. Il clima organizzativo ... 49

2.1.1. L’approccio strutturale ... 50

2.1.2. L’approccio percettivo ... 51

2.1.3. L’approccio culturale ... 53

2.1.4. L’approccio interattivo ... 54

2.1.5. Caratteristiche e variabili del clima organizzativo ... 57

2.2. Il conflitto nelle organizzazioni ... 64

2.2.1. Il confronto sociale ... 65

2.2.2. Differenza negli interessi e conflitto organizzativo ... 67

2.3. L’introduzione di un cambiamento organizzativo ... 72

(4)

4

2.4. Uscita, voce e lealtà... 76

2.4.1. L’uscita ... 77

2.4.2. La voce ... 79

2.4.3. L’interazione tra uscita, voce e lealtà: i possibili scenari ... 81

2.4.4. Considerazioni, implicazioni e rischi dell’opzione voce ... 90

2.5. Riepilogo ... 94

Capitolo terzo. Le contro-organizzazioni e la partecipazione dei lavoratori ... 95

3.1. Il sindacato ... 96

3.1.1. La contrattazione collettiva ... 101

3.2. Lo sciopero ... 103

3.2.1. Il sistema delle relazioni industriali ... 106

3.3. La partecipazione dei lavoratori al sindacato ... 107

3.3.1. Partecipazione, integrazione, apprendimento, comunicazione ... 115

3.4. Riepilogo ... 121

Capitolo quarto. L’utilizzo del modello EVL per una analisi delle dinamiche intraorganizzative a seguito di alcuni cambiamenti organizzativi in una azienda pisana che opera nel settore della grande distribuzione ... 122

4.1. Il framework teorico ... 122

4.2. L’oggetto di ricerca ... 124

4.3. Il metodo di indagine... 125

4.4. L’analisi dei dati ... 127

4.4.1. Un breve excursus storico dell’azienda ... 129

4.4.2. Ruolo del lavoratore in azienda, bisogni del dipendente, relazioni lavorative . 131 4.4.3. Sensazioni a seguito della introduzione dei cambiamenti da parte del management ... 138

4.4.4. Ricostruzione delle vicende di conflitto ... 143

4.4.5. Tempi di vita e tempi di lavoro ... 152

4.4.6. Ripensare al passato, uno sguardo al futuro ... 155

Conclusioni... 158

Bibliografia ... 163

(5)

5

Indice delle figure

Fig. 1.1. La piramide di Maslow e i bisogni dei lavoratori ... 26

Fig. 1.2. Modello della leadership situazionale ... 36

Fig. 1.3. La relazione tra il comportamento direttivo del leader e la soddisfazione dei membri del gruppo ... 39

Fig. 2.1. Gli interessi organizzativi e il loro grado di sovrapposizione ... 68

Fig. 2.2. Combinazione tra i meccanismi di uscita e voce ... 82

Fig. 3.1. Determinanti della partecipazione al sindacato ... 113

Indice delle tabelle

Tab. 3.1. Forme della partecipazione dei lavoratori al sindacato ... 110

(6)

6

Introduzione

Tra il 2012 e il 2015, all’ipermercato Carrefour scoppiarono alcuni conflitti organizzativi, in particolare tra l’azienda e i dipendenti e l’azienda e l’organizzazione sindacale del settore del commercio, presente sul territorio. Si trattò di situazioni caratterizzate da insoddisfazioni e frustrazioni dei lavoratori, causate dalla introduzione da parte del management di alcuni cambiamenti concernenti l’organizzazione del lavoro dell’azienda. Allora i dipendenti, supportati dal sindacato, decisero di unirsi per far sentire la loro voce al management.

La domanda che ci siamo posti è stata: come possono sentirsi e comportarsi i dipendenti nel momento in cui si manifestano dei conflitti con la loro organizzazione di lavoro? L’obiettivo principale della tesi è analizzare i conflitti organizzativi e quindi comprendere come un’organizzazione funziona al suo interno. In particolare, si cercherà di comprendere quali risposte comportamentali i lavoratori possono mettere in atto a seguito di un cambiamento imposto da chi ricopre posizioni di status superiori. Dunque, l’interesse sarà quello di capire se e come i lavoratori possono reagire nei confronti della propria organizzazione. A tale scopo abbiamo sviluppato un framework teorico, al centro del quale sarà posto il modello EVL – Exit, Voice, Loyalty – di Hirschman (1970). Il framework rappresenta il tentativo di sviluppare il modello EVL in una prospettiva organizzativa che integra la letteratura sulle relazioni industriali. Ci siamo posti una serie di domande: i lavoratori, a seguito di frustrazioni causate da insoddisfazioni lavorative, come si comportano? Come possono esprimersi riguardo le proprie idee e preoccupazioni di fronte al management? Sono più propensi a farsi sentire oppure abbandonare l’organizzazione? Perché? Se decidono di utilizzare la voce, lo fanno singolarmente o in gruppo? E la lealtà nei confronti della propria organizzazione di lavoro che ruolo gioca? Tali interrogativi hanno accompagnato l’intero lavoro di stesura della tesi.

Per studiare il caso dell’azienda Carrefour e applicare il framework teorico, abbiamo realizzato una ricerca sul campo, con l’obiettivo di comprendere le dinamiche conflittuali che si sono manifestate nell’azienda negli anni passati. Pertanto, sono state condotte una serie di interviste qualitative semi-strutturate, basate sulle storie di vita, ad alcuni dipendenti dell’organizzazione e a soggetti appartenenti al mondo sindacale.

Struttura della tesi

Nella prima parte dell’elaborato, dunque nel corso del capitolo primo, verranno prese in considerazione alcune teorie che descrivono il rapporto tra organizzazione e ambiente, attraverso

(7)

7

approcci che mettono in rilievo aspetti differenti. Questo ci consentirà di capire la complessità delle relazioni che possono esserci tra i vari attori in gioco. Successivamente il focus si sposterà su alcune delle risorse fondamentali per una organizzazione: le risorse umane. In particolare, saranno analizzati i bisogni delle persone e la loro capacità di soddisfacimento da parte della organizzazione di lavoro cui appartengono. Il primo capitolo si concluderà con una analisi di varie prospettive relative alla leadership: questo risulta importante perché in un gruppo di lavoro vi è tendenzialmente sempre qualcuno che ricopre il ruolo di leader, in modo formale ma anche informale, che può ricoprire un determinato ruolo in caso di conflitti. Vedremo come in letteratura sono presenti molti autori e teorie che rivolgono l’attenzione ad aspetti differenti.

Il capitolo secondo rappresenta la parte centrale della parte teorica dell’elaborato, in quanto verranno prese in considerazione alcune dinamiche intraorganizzative. Verranno dunque analizzati i conflitti organizzativi, e il clima organizzativo che può contribuire alla manifestazione degli stessi e che, a sua volta, può modificarsi quando tali dinamiche intraorganizzative sono terminate (ma non necessariamente risolte). Punto focale è stato cercare di capire come i lavoratori si comportano a seguito di insoddisfazioni e frustrazioni maturate nell’ambito delle attività lavorative attraverso l’uso del modello EVL. L’attenzione verrà quindi posta a quelli che Hirschman definì come «meccanismi di recupero»: l’uscita e la voce. Si tratta di due strategie comportamentali che i membri di un’organizzazione possono mettere in atto, dal momento in cui qualcosa non va all’interno della stessa, nei confronti dei propri datori di lavoro o della propria organizzazione di lavoro. Si tratta di azioni che potrebbero essere percepite come estreme sia dal soggetto che le mette in atto, sia dall’organizzazione che le “riceve”; azioni che potrebbero mobilitare il cambiamento organizzativo, permettere una ricostruzione della realtà organizzativa oppure, contrariamente, essere respinte e non essere prese in considerazione. Verranno analizzati i possibili scenari e quindi le possibili combinazioni che potenzialmente possono verificarsi tra l’uscita e la voce, unitamente alla lealtà come fattore che gioca un ruolo importante nella scelta tra le due opzioni. Nel capitolo secondo, infine, si è rivolta l’attenzione alla voce e a tutte quelle che sono le considerazioni, i rischi e le implicazioni che essa comporta per coloro che prendono il nome di voicers.

Non si è potuto non notare come la voce sia uno strumento più efficace se portata avanti da più attori, e non dal singolo individuo. Pertanto, sarà preso in considerazione un ulteriore attore, ossia l’organizzazione sindacale, descritta nel corso del capitolo terzo. Le organizzazioni sindacali rappresentano un attore che in qualche modo ricopre il ruolo di intermediario tra lavoratori e organizzazione, a volte ricorrendo a modalità di interazione di tipo conflittuale. Per questo le organizzazioni sindacali verranno chiamate «contro-organizzazioni», per il fatto che esse mettono

(8)

8

in atto un «contro-potere», basato sulla strategia del compromesso, per portare avanti le proprie rivendicazioni. Verrà poi posta l’attenzione sullo strumento dello sciopero come modalità per far sì che i lavoratori utilizzino la propria voce in maniera organizzata. L’interesse si rivolgerà poi alla partecipazione dei lavoratori al sindacato, che risulta centrale per l’esistenza e la legittimazione del sindacato stesso. Infine, verrà analizzato il concetto di integrazione, inteso come un metodo alternativo alla tattica del compromesso. Integrazione che è strettamente legata alla partecipazione degli attori in gioco, ma anche alla comunicazione tra gli stessi e all’apprendimento da parte della organizzazione.

Dopo aver analizzato la letteratura concernente questi argomenti, abbiamo realizzato una ricerca empirica per capire come si sono sviluppate le dinamiche comportamentali, analizzate nei capitoli precedenti, all’interno dell’azienda Carrefour. Come vedremo, dall’analisi emergeranno risultati interessanti riguardo i bisogni dei dipendenti: alcuni tipi di bisogni, in particolare quelli “primari”, quali lo stipendio, sembrano venire soddisfatti da parte dell’azienda, contrariamente a tutti quei bisogni che riguardano la capacità di poter sviluppare la propria autonomia, dunque l’auto-realizzazione all’interno della azienda. Vedremo come l’uscita si sia verificata spesso, al contrario della voce, la quale viene utilizzata (sia singolarmente che in gruppo) ma con più preoccupazioni relative alle implicazioni che possono conseguirvi in termini di ritorsioni lavorative. Inoltre, sarà possibile comprendere un senso generale di minaccia, percepita dai dipendenti, a seguito dei cambiamenti introdotti dal management, riguardante la possibilità di poter essere sostituiti da altri lavoratori nello svolgimento delle loro attività. Sarà poi possibile comprendere che l’azienda sembra non aver effettivamente preso in considerazione le preoccupazioni, i timori e i pensieri dei lavoratori. Il capitolo quarto sarà dunque dedicato alla spiegazione del caso studio e alla presentazione dei dati raccolti mediante le interviste semi-strutturate.

(9)

9

Capitolo primo

Le organizzazioni di lavoro

Come indicato nell’introduzione, l’obiettivo di questo elaborato consiste essenzialmente in una analisi dei conflitti all’interno di una organizzazione. Per analizzare questo argomento, teoricamente e attraverso un caso studio, abbiamo deciso di considerare determinati aspetti e teorie. In particolare, in questo capitolo verranno prese in considerazione alcune teorie che analizzano il rapporto tra organizzazione e ambiente; ciò risulta necessario per una analisi esaustiva dell’argomento. Infatti, se vogliamo analizzare i conflitti che possono crearsi all’interno di una organizzazione e capire quali implicazioni posso verificarsi e quali attori possono entrare in gioco in tale scenario, non possiamo non preoccuparci dell’ambiente entro cui una organizzazione è inserita. Fondamentale sarà poi un approfondimento relativo a chi risulta essere il protagonista di determinate situazioni organizzative: le risorse umane. Si è deciso di porre particolare attenzione a quelli che sono i bisogni dei lavoratori e al fatto che questi potrebbero (e dovrebbero) trovare un equilibrio con i bisogni dell’organizzazione. Infine, si è deciso di analizzare diverse prospettive concernenti la leadership per comprendere se all’interno di un gruppo uno dei membri possa ricoprire un tale ruolo (non necessariamente in modo formale) e si impegni nel motivare e coordinare il gruppo e aiutarlo in situazioni potenzialmente negative per il gruppo stesso e il suo (buon) funzionamento.

1.1. Organizzazione e ambiente

Si potrebbe parlare di organizzazioni come

entità sociali, intese come un processo di azioni e di decisioni, che perseguono un obiettivo, o un insieme di obiettivi, basandosi su processi di differenziazione e integrazione, con ruoli distinti assegnati ai partecipanti e con un sistema di autorità riconosciuta e accettata dai membri come decisore, in interazione dinamica con l’ambiente esterno (Catino, 2012 : 18).

Tale definizione restituisce l’idea di una organizzazione come un processo, e non come un qualcosa di statico, che gli attori in gioco co-costruiscono in maniera dinamica; si evidenzia l’importanza del raggiungimento di un obiettivo, il quale si baserà su una differenziazione delle mansioni tra i soggetti. L’obiettivo molto probabilmente sarà definito non dai membri ma dalla “coalizione dominante, ovvero da chi governa e controlla l’organizzazione” (ibid.). Di fondamentale importanza è, dunque, la specificità del ruolo che ogni membro assume all’interno

(10)

10

dell’organizzazione. La definizione proposta da Catino si conclude ponendo rilevanza all’interazione che l’ambiente organizzativo ha con l’ambiente esterno. Per ambiente organizzativo si intende “l’insieme degli elementi e delle forze esterne all’organizzazione che sono in grado di influenzarne il comportamento” (Catino, 2012 : 73). L’attenzione, dunque, è posta al rapporto che l’organizzazione di lavoro ha con il suo ambiente di riferimento; di seguito, sono descritte alcune teorie che prendono in considerazione tale rapporto.

1.1.1. La teoria generale dei sistemi

Parlare di una organizzazione e del suo rapporto con l’ambiente significa sicuramente ricorrere all’utilizzo dell’approccio sistemico aperto allo studio delle organizzazioni; tale approccio ha permesso di comprendere la complessità organizzativa di diversi tipi di sistemi (Fontana, 1999). Esso si basa sui principi della «teoria generale di sistemi» sviluppata da L. Von Bertalanffy negli anni Cinquanta, quali, ad esempio, il concetto di sistema aperto, equifinalità, omeostasi ed evoluzione sistemica. Un sistema è aperto quando questo e l’ambiente sono in interazione tra loro e si delinea un rapporto di dipendenza reciproca. Esso è caratterizzato da un ciclo che vede degli input trasformarsi in output e feedback; risulta quindi fondamentale il rapporto che intercorre tra l’ambiente e il funzionamento interno del sistema (Morgan, 2002). Con il concetto di equifinalità, il biologo austriaco faceva riferimento al fatto che in un sistema aperto lo stato finale può essere raggiunto in differenti modi, contrariamente a ciò che accade nei sistemi chiusi, nei quali lo stato finale è determinato dalle condizioni iniziali (Von Bertalanffy, 1950). I sistemi viventi sono, dunque, caratterizzati da modelli organizzativi flessibili e ciò permette loro la realizzazione di risultati grazie all’utilizzo, in qualche modo “strategico”, di risorse e percorsi differenti. Centrale è poi il principio dell’omeostasi, il quale si riferisce alla capacità di un sistema di autoregolamentarsi e mantenersi in un determinato stato; il sistema rimane stabile nonostante gli scambi che esso ha con l’ambiente entro cui è inserito. Rilevante è poi il concetto di evoluzione sistemica: questa dipende dalla capacità di affrontare l’ambiente mediante lo sviluppo di forme di differenziazione e di integrazione ed il raggiungimento della maggiore varietà sistemica possibile (Morgan, 2002). Vi sono altri concetti fondamentali per la teoria generale dei sistemi: struttura, funzione, differenziazione ed integrazione. La teoria sottolinea che questi elementi sono in un rapporto di influenze reciproche; una maggiore differenziazione e specializzazione funzionale sarà propria dei sistemi più complessi che necessitano di sistemi di integrazione complessi per mantenere la propria identità sistemica. Di qui, la necessità dei sistemi di sviluppare dei meccanismi regolatori interni che dovranno essere variegati quanto lo è l’ambiente esterno. Questo perché solo “interiorizzando la varietà necessaria nei sistemi di controllo interno, il

(11)

11

sistema è in grado di gestire con successo la varietà e le sfide che gli provengono dall’ambiente” (Morgan, 2002 : 65).

Il concetto di sistema si riferisce, dunque, ad una entità concettuale o concreta che è costituita da più parti in interazione tra loro; tale interazione, a sua volta, è resa possibile da ciò che Von Bertalanffy definisce «organizzazione» (Fontana, 1999). I principi erano stati creati per comprendere i sistemi biologici ma in un secondo momento sono stati utilizzati per comprendere anche altri tipi di realtà (Morgan, 2002). La teoria generale dei sistemi è, infatti, una teoria interdisciplinare che può essere utilizzata per studiare fenomeni di natura differente (Von Bertalanffy, 1967).

L’approccio sistemico pone, inoltre, l’attenzione ai sottosistemi di un sistema, andando a definire una organizzazione come l’insieme di sottosistemi interrelati. Dobbiamo cioè pensare ad una organizzazione come un sistema, al cui interno si trovano degli individui, i quali sono a loro volta dei sistemi; e ancora, questi individui vanno a formare dei gruppi, che appunto, sono dei sistemi, e così via. Morgan afferma che “i sistemi sono assimilabili a delle scatole cinesi in quanto ognuno contiene un altro sistema che a sua volta ne contiene un altro” (Morgan, 2002 : 66). Tutti i sottosistemi di un sistema hanno lo stesso scopo, ossia quello di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo dell’organizzazione; ciò prende il nome di primary task (obiettivo primario) (Rice, 1963 cit. in Gabassi, 2006). I sottosistemi interagiscono tra loro e Shein (1965) ritiene che tale interazione non sia causale, ma appunto volta al perseguimento del primary task. I sottosistemi organizzativi sono di varia natura, ad esempio, strategica, umana, tecnologica, strutturale e manageriale. Ogni sottosistema si occupa di trasformare le risorse (input) in altri elementi, cioè gli obiettivi (output), che saranno le risorse future di un altro sottosistema (Morgan, 2002). Parlare di “sistema aperto” significa dare importanza all’ambiente entro cui una organizzazione è collocata. La prospettiva sistemica mostra come sia necessario “considerare il contesto sociale, l’ambiente e le sue dinamiche elementi centrali per la comprensione dell’agire organizzativo” (Catino, 2012 : 74). La prospettiva sistemica ha fatto sì che gli studiosi dell’organizzazione si siano interessati a tali aspetti, dato che precedentemente “l’organizzazione veniva trattata come un sistema meccanico «chiuso» e ci si preoccupava di problemi di progettazione intraorganizzativa” (Morgan, 2002 : 63). L’interesse principale era, dunque, relativo al comportamento dei soggetti nel contesto organizzativo e non ci si preoccupava di considerare l’ambiente esterno (Catino, 2012).

Si è iniziato a porre l’attenzione all’analisi del task environment, cioè quelle interazioni dirette che l’organizzazione ha con altri attori, come ad esempio i clienti, i concorrenti, ma anche i sindacati. Si tratta di tutti i “fattori ed elementi che hanno un impatto diretto sull’organizzazione

(12)

12

nel perseguimento dei suoi obiettivi” (Catino, 2012 : 74). I cambiamenti che avvengono nell’ambiente rappresentano delle sfide che l’organizzazione dovrà affrontare per garantirsi la sopravvivenza, in quanto le maggiori difficoltà derivano in particolar modo da cambiamenti ambientali esterni e l’organizzazione dovrà essere in grado di adeguarsi a tali cambiamenti (Gabassi, 2006; Morgan, 2002).

1.1.2. La teoria dei sistemi autopoietici

Risulta ora interessante prendere in considerazione una diversa teoria, sviluppata intorno agli anni ’70 da due studiosi cileni, Humberto Maturana e Francisco Varela. La loro teoria prende il nome di teoria dei sistemi autopoietici. I due studiosi ritengono che ogni sistema vivente sia autonomo e organizzativamente chiuso (Morgan, 2002). Più precisamente, i sistemi possono avere dei rapporti con l’ambiente ma tali rapporti sono determinati internamente. La peculiarità della loro visione sta nel fatto che l’ambiente è parte del sistema e “l’interazione di un sistema con il suo ambiente, quindi, non è altro che un processo di riflessione della sua stessa organizzazione” (ibid. : 322). Tale affermazione evidenzia la differenza sostanziale con la teoria generale dei sistemi, descritta precedentemente; quest’ultima sottolinea l’interazione che intercorre tra sistema (organizzazione) e ambiente esterno ed il fatto che sia necessario un equilibrio tra essi affinché il sistema possa sopravvivere, mentre la teoria di Maturana e Varela evidenzia che i sistemi viventi seguono un processo di chiusura e di autodeterminazione in modo tale da mantenere un modello stabile di rapporti (Morgan, 2002). Si tratta di una organizzazione circolare che va a costituire un “sistema omeostatico la cui funzione è di produrre e mantenere questa stessa organizzazione circolare” (Maturana, Varela, 1985 : 55). La circolarità del sistema rappresenta una delle caratteristiche principali, insieme alla autonomia e alla autoriproduzione. La circolarità è fondamentale in quanto permette al sistema di “conservare la sua identità attraverso differenti interazioni” con un “ambiente sempre in mutamento” (ibid.). In un modello così delineato, al cambiamento di un elemento del sistema corrispondono ulteriori cambiamenti e questo fa sì che abbia luogo un modello interattivo che si autodetermina (Morgan, 2002). Il sistema si autodetermina perché può intrattenere rapporti che sono previsti dal modello di rapporti che dà luogo alla sua organizzazione, pertanto, l’“ambiente è parte stessa del sistema” (ibid. : 322). Il termine autopoiesi indica, infatti, autoriproduzione del sistema. La circolarità permette di predire ciò che accadrà: se una interazione ha avuto luogo una volta, avrà luogo di nuovo e se ciò non si verifica, il sistema perderà la propria integrità, e viceversa. La predizione concerne, non eventi, ma classi di interazioni; una classe di interazione è definita dalle “caratteristiche dei suoi elementi che permetteranno al sistema vivente di conservare la sua organizzazione circolare dopo

(13)

13

l’interazione e, così di interagire di nuovo” (Maturana, Varela, 1985 : 56). Si tratta, dunque, di un dominio di interazioni auto-referente e “la sua condizione di essere una unità di interazioni è mantenuta perché la sua organizzazione ha significato funzionale solo in relazione al mantenimento della sua circolarità” (ibid. : 55).

Morgan (2002) sottolinea come sia possibile applicare la teoria dell’autopoiesi allo studio delle organizzazioni se utilizzata come una metafora. Questo permette di comprendere che le organizzazioni “tendono naturalmente ad una sorta di chiusura autoreferenziale nei confronti dei rispettivi ambienti” (ibid. : 325). La teoria di Maturana e Varela sottolinea che un problema che può sorgere tra organizzazione e ambiente dipende dal tipo di identità che l’organizzazione cerca di mantenere. Questo proprio perché l’organizzazione cerca di mantenere la sua identità, pertanto “un sistema vivente subisce un cambiamento interno senza perdere d’identità se le predizioni causate dal cambiamento interno sono predizioni che non interferiscono con la sua organizzazione circolare fondamentale” (Maturana, Varela, 1985 : 58). Morgan (2002) sottolinea poi come l’approccio dei sistemi autopoietici permetta di spiegare il cambiamento e l’evoluzione organizzativa se si prendono in considerazione i fattori che influenzano i modelli organizzativi e i modelli ambientali.

Nonostante gli stessi autori, Maturana e Varela, si mostrino scettici all’applicazione della teoria autopoietica alle organizzazioni, essa “ha rafforzato l’opinione di chi vede fortemente ridimensionata la concezione dell’azienda che si adatta organizzativamente all’ambiente” (Fontana, 1999 : 63).

1.1.3. Economia dei costi di transazione

Vi sono altre teorie che analizzano il rapporto che l’organizzazione ha con l’ambiente di riferimento: riteniamo che sia meritevole di attenzione, per la costruzione del framework teorico, la teoria dei costi di transazione, più precisamente l’approccio noto come economia dei costi di

transazione (ETC). Williamson (1930) sviluppò la teoria prendendo in considerazione

l’organizzazione e l’ambiente, riferendosi, in particolare, al contesto istituzionale in cui l’organizzazione è inserita. Con il termine organizzazione si intende “qualsiasi modello stabile di rapporti tra soggetti siano essi individuali o collettivi” (Bonazzi, 2002 : 128).

Le organizzazioni, in particolare, sono concepite come strutture che governano le relazioni di scambio e che hanno come obiettivo principale quello di “stipulare e garantire contratti affidabili ed efficienti” (Catino, 2012 : 75). L’azienda è quindi intesa come una «struttura di governo», una costruzione organizzativa, diversamente da come veniva considerata dalla teoria neoclassica,

(14)

14

ovvero come «funzione della produzione», tipica del periodo fordista della produzione di massa (Catino, 2012). Il fine ultimo era quello di produrre beni e servizi cercando di massimizzare i benefici (profitto) e utilizzare al meglio le tecnologie disponibili. L’impresa era altamente verticalizzata e il più alto grado di verticalizzazione si verificava quando l’impresa era proprietaria di tutto il processo produttivo; inoltre, i confini fisici dell’impresa coincidevano con quelli economici, tecnici, finanziari ed umani. La tecnologia, ossia l’insieme di macchinari, che l’impresa utilizzava, era considerata il fattore determinante per stabilire i confini della stessa (Bonazzi, 2002).

Negli anni Settanta iniziano a diffondersi concezioni diverse dell’impresa; inizia a diffondersi il processo di deverticalizzazione in quanto le grandi imprese capirono che era più conveniente affidare ad altre imprese, generalmente più piccole, “l’appalto di specifiche lavorazioni o di componenti complesse dei propri prodotti” e queste piccole imprese, a loro volta, subappaltavano all’esterno “parte del lavoro affidato alle grandi imprese” (ibid. : 130). Questo portò alla creazione di reti di fornitori e subfornitori. L’economia dei costi di transazione si sviluppa proprio in conseguenza al proliferarsi di tali fenomeni. L’attenzione si sposta, dunque, dal bene da produrre (oggetto di analisi dell’economia neoclassica) alla transazione, la quale diviene la principale unità di analisi (Trigilia, 1989).

Risulta necessario comprendere perché la produzione non avviene più all’interno di una singola impresa. Williamson iniziò a considerare l’impresa come una “struttura di governance delle transazioni, con l’obiettivo di minimizzare i costi” (Catino, 2012 : 76). Dunque, in questo scenario, l’impresa si trova a dover scegliere “tra produrre al suo interno oppure comperare sul mercato esterno” (Bonazzi, 2002 : 130), ossia scegliere tra il to make e il to buy. L’economia dei costi di transazione concepisce l’organizzazione come un sistema razionale in quanto, appunto, essa dovrà effettuare una scelta tra le due alternative.

La tesi su cui si fonda la teoria presa in considerazione è che “transazioni caratterizzate da differenti attributi sono associate in maniera selettiva – principalmente in base alla capacità di economizzare costi di transazione – con strutture di governo che si differenziano per costo e competenza” (Williamson, 1994 : 43). L’economia dei costi transazionali si basa quindi sulla ipotesi di corrispondenza selettiva.

La transazione concerne lo scambio che riguarda, ad esempio, beni o servizi con fornitori esterni o prestazioni di lavoro (Catino, 2012). In particolare, si riferisce al fatto che l’impresa è in grado di stipulare dei contratti con fornitori esterni di beni e di servizi, contratti con lavoratori che andranno a lavorare alle dipendenze dell’impresa oppure contratti per delle prestazioni specifiche.

(15)

15

Come afferma Trigilia (1989), si tratta di spiegare perché alcune transazioni avvengono attraverso il mercato e altre vengono internalizzate nell’impresa, ma anche capire perché in alcuni casi l’impresa cresce e si affida alla gerarchia e in altri casi resta di piccole dimensioni.

I costi di transazione, infatti, sono costituiti “dal costo di definire anteriormente e di eseguire successivamente un contratto per una specifica transazione” (ibid. : 134).

La teoria dei costi di transazione ritiene che ci siano due meccanismi, la razionalità limitata1 e

l’opportunismo, che minano l’efficienza delle attività economiche. Secondo la teoria, la capacità cognitiva umana è soggetta a razionalità limitata (Williamson, 1994), la quale rappresenta “lo strumento essenziale per caratterizzare in forma più realistica le decisioni degli operatori economici” (Trigilia, 1989 : 134). Si era reso necessario “superare i postulati della piena razionalità e della condotta ottimizzante dei decisori, propri del modello economico tradizionale” (ibid.). L’opportunismo si riferisce al fatto che gli attori ricercano il proprio interesse mediante mezzi illeciti, come l’inganno e la frode; si tratta, dunque, di comportamenti scorretti, illeciti o falsi (Catino, 2012). L’opportunismo significa “perseguimento dell’auto-interesse con astuzia” (Williamson, 1994 : 45). Esso si manifesta con frequenza in situazioni di «piccoli numeri», ossia quando vi sono pochi soggetti che prendono parte alla transazione. È necessario, allora, uscire dai piccoli numeri in quanto all’aumentare dei soggetti coinvolti nella transazione, tendono a diminuire le situazioni opportunistiche; questo grazie al fatto che cresce la competizione e diminuisce la possibilità di bloccare le informazioni (Bonazzi, 2002). Gli attori, infatti, omettono le informazioni rilevanti oppure forniscono intenzionalmente informazioni incomplete e sbagliate: mettono in atto questi tipi di azioni per perseguire il proprio interesse (Catino, 2012). Se aumentano i soggetti coinvolti nella transazione, queste azioni sicuramente tenderanno verso una diminuzione. In questo senso la razionalità limitata e l’opportunismo favoriscono il blocco delle informazioni; ciò conduce ad una situazione che prende il nome di asimmetria informativa. Essa è caratterizzata dal fatto che solo pochi soggetti sono a conoscenza delle informazioni che risultano rilevanti per prendere una determinata decisione. L’asimmetria informativa può verificarsi ex ante ed ex post. Il primo scenario si verifica nel momento in cui gli attori in gioco stanno negoziando e alcuni sono in possesso di quelle informazioni rilevanti per la decisione; gli attori che invece non sono in possesso di tali informazioni si trovano a decidere in assenza delle

1 Il termine razionalità limitata (bounded rationality) è strettamente legato alla figura di Herbert Simon e fa

riferimento all’idea secondo la quale un soggetto commette errori cognitivi pur in un quadro di sostanziale razionalità. Quindi, le azioni degli individui sono soggette ad un intelletto che può incorrere in errori e distorsioni e non da un intelletto che è totalmente razionale. Questa ipotesi, comunque, non mette in dubbio l’individualismo metodologico e la concezione per cui il soggetto è un agente perfettamente razionale e che effettua le proprie scelte sulla base di un calcolo costi-benefici (homo oeconomicus) (Balestrino et al., 2019).

(16)

16

stesse e questo caso prende il nome di selezione avversa. Il caso della asimmetria informativa ex

post è, invece, quello in cui “un attore potrebbe comportarsi in modo opportunistico, usando in

maniera ingannevole l’informazione” (Catino, 2012 : 76). Si evince, dunque, che entrambe le situazioni fanno sì che alcuni dei soggetti coinvolti subiscano inganni e ingiustizie, mentre altri, attraverso i loro comportamenti opportunistici, cercano di trarre più benefici possibile.

I fattori ambientali sono rappresentati dalle condizioni di incertezza e di complessità e di scambio di «piccoli numeri», mentre i fattori umani riguardano la razionalità limitata e l’opportunismo (Trigilia, 1989). I fattori umani si riferiscono agli orientamenti cognitivi e normativi degli attori e per questo sono variabili (e non dati); ciò significa che “sono una costruzione sociale, un prodotto del processo storico di una determinata società” (ibid. : 140). Williamson originariamente riteneva che i costi di transazione variassero al variare dei fattori ambientali e dei fattori umani; di fatto, però, considera quelli umani come dati. Infatti, “sono le loro conseguenze a essere più o meno accentuate a seconda delle condizioni ambientali: maggiore incertezza-complessità aumenta i limiti della razionalità; condizioni di piccoli numeri favoriscono l’opportunismo” (ibid.).

Una situazione caratterizzata da razionalità limitata e opportunismo produce incertezza diffusa e rende difficile stipulare contratti. Viene meno la completezza del contratto in quanto risulta impossibile prevedere le situazioni che si possono verificare oppure perché una parte realizza prestazioni inferiori rispetto a quelle che ci si attendeva dal contratto (Bonazzi, 2002). Come accennato sopra, Williamson parla dei costi di transazione riferendosi ai costi “necessari per stipulare e gestire un contratto” (Bonazzi, 2002 : 132). Si possono pagare prima del contratto: questo per cercare la controparte, per condurre la trattativa e per stipulare il contratto stesso oppure si possono pagare i costi in un momento successivo il contratto; un esempio è rappresentato dai costi legali nel caso di vertenze (Bonazzi, 2002).

L’economia dei costi di transazione e, più in generale, la nuova economia istituzionale (NEI) sostengono che il mercato non possa essere considerato come un qualcosa di astratto e universale e regolato da leggi valide in ogni tempo e luogo; ciò rappresenta una “critica alle pretese di generalizzazione astorica dei modelli economici” (Trigilia, 1989 : 131). La teoria ritiene, quindi, che sia necessario prendere in considerazione il contesto sociale e istituzionale (Bonazzi, 2002)2.

2 Con la NEI e, soprattutto, la ETC, vengono unificati due campi di ricerca che in passato erano distinti e

che sviluppavano discorsi indipendenti e paralleli: l’economia di impresa e la sociologia dell’organizzazione. Accadeva che l’economia studiava i meccanismi di massimizzazione dei profitti e minimizzazione dei costi mentre la sociologia studiava l’organizzazione burocratica dell’impresa e le sue conseguenze. Oggi, invece, i diversi studiosi cooperano sempre più nell’ambito di comuni progetti di ricerca (Bonazzi, 2002).

(17)

17

Se prendiamo in considerazione il contesto entro cui una organizzazione è inserita, è necessario comprenderne le opportunità e i vincoli che sono delineati dal contesto stesso. A seconda del contesto, una organizzazione dovrà effettuare quella scelta tra il to buy e il to make: valuterà se orientarsi verso una opzione o l’altra. Tale scelta rappresenta il dilemma dell’impresa in quanto la scelta da compiere tra le due alternative, in relazione ai costi di transazione, non è semplice. Infatti, “il ricorso al mercato o alla gerarchia dell’impresa varia in relazione ai fattori ambientali e umani, che condizionano il costo della transazione” (Trigilia, 1989 : 134). Williamson ritiene che la scelta di rivolgersi al mercato (to buy) è quella migliore nel caso in cui i beni e servizi che devono essere prodotti non necessitano di tecnologie specifiche e le transazioni sono poco frequenti (Bonazzi, 2002). Al contrario, se per la produzione di quel bene e/o servizio è necessaria una tecnologia specifica e le transazioni sono continue “e c’è il rischio di controversie per il rispetto del contratto, la scelta più conveniente è quella di produrre in casa” (ibid. : 133) e quindi ricorrere all’opzione to make. Ad esempio, se una impresa opera in un contesto caratterizzato da un forte sistema di relazioni industriali, con un sindacato forte e una contrattazione centralizzata, sarà orientata verso l’opzione to make con costi del lavoro negoziati istituzionalmente. Viceversa, l’impresa si orienterà verso l’opzione to buy se essa opera in un contesto in cui il sindacato è debole o inesistente e i contratti di lavoro sono prevalentemente privatistici.

Il concetto di transazione diventa, dunque, lo strumento principale per sviluppare una diversa lettura delle istituzioni economiche, quali il mercato, l’impresa, il rapporto di impiego, ecc. che vengono intese come reti di contratti tra soggetti volti a massimizzare il proprio interesse. I costi di transazione sono variabili a causa dell’incertezza e delle carenze informative e per questo emergono accorgimenti contrattuali che tendono verso una riduzione degli stessi (Trigilia, 1989). Vi sono alcune critiche alla teoria di Williamson. Un limite concerne il fatto che la teoria intende spiegare gli assetti organizzativi solo in termini di efficienza. Ma Williamson sostiene che l’efficienza sia il risultato di una selezione per cui la poca efficienza conduce all’uscita dal mercato; Bonazzi (2000) ritiene però che tale processo di selezione potrebbe valere per quelle organizzazioni piccole e nuove e non quelle grandi e già “mature”. Una ulteriore critica ruota intorno al concetto di potere. Williamson è accusato di trascurare l’importanza del potere come strumento strategico. Infatti, la critica posta da Pfeffer (1982) e Perrow (1986) si sofferma sul fatto che molte delle scelte strategiche dell’impresa, come i contratti e gli accordi, obbediscono più alla logica di massimizzazione del potere e non tanto alla logica di massimizzazione dell’efficienza. Vi è anche Dow (1987) che muove la critica per quanto concerne la funzione dell’autorità nel determinare le transazioni; il fatto è che coloro che occupano posizioni di autorità, con molta facilità approfitteranno della loro posizione per imporre soluzioni a proprio vantaggio.

(18)

18

Williamson sostiene che esistono delle relazioni di potere ma allo stesso tempo ritiene che “il principale problema legato al potere è l’essere il suo concetto definito così malamente che è impossibile invocare il potere per spiegare praticamente tutto” (Williamson, 1986a : 370 cit. in Bonazzi, 2000 : 429).

Vi è una ulteriore critica posta a Williamson da parte di Granovetter, il quale afferma che alla base della impostazione dell’economia classica e neoclassica, troviamo la medesima concezione dell’agire umano, ossia inteso come prodotto di attori atomizzati: si tratta di una concezione ipo-socializzata (Granovetter, 2017). Secondo tale versione, l’atomizzazione deriva dal perseguimento ristretto del proprio interesse. L’altra concezione di cui parla Granovetter è quella iper-socializzata, secondo la quale l’atomizzazione è collegata “a pattern di comportamento interiorizzati e, quindi, poco influenzati dalle relazioni sociali in corso” (ibid. : 16). Il fatto è che le due versioni sembrano fondersi l’una nell’altra per quanto concerne la “loro comune atomizzazione degli attori rispetto al contesto sociale immediato” (ibid.). Lo studioso afferma che risulta necessario analizzare l’interazione umana e l’agire economico evitando l’atomizzazione, pensando quindi agli attori come soggetti che non si comportano come “atomi avulsi dal contesto sociale” (ibid. : 17), ma come soggetti che compiono azioni e che sono “incorporati in sistemi concreti e durevoli di relazioni sociali” (ibid.). Granovetter ricorre infatti al concetto di

embeddedness (termine caro a Karl Polany), secondo cui l’elemento fondamentale è rappresentato

proprio dalle relazioni tra le persone: egli sottolinea che le transazioni economiche sono immerse nel contesto sociale. Questa visione sottolinea l’importanza che i rapporti personali e le reti di relazione – networks – hanno nel generare fiducia e allo stesso tempo scoraggiare l’opportunismo. Granovetter critica, inoltre, la concezione del mercato e della gerarchia di Williamson: partendo dal presupposto che ci sono più elementi di cooperazione nel mercato e di conflitto nell’impresa, “a parità di condizioni (...) bisogna aspettarsi pressioni verso l’integrazione verticale in un mercato in cui le imprese coinvolte nelle transazioni mancano di un network di relazioni personali che le collega o dove tale network produce conflitti, disordine, opportunismo e scorrettezza” (Granovetter, 1985 : 493 cit. in Trigilia, 1989 : 151).

1.1.4. La teoria della dipendenza dalle risorse

Pur sempre riferendosi alla connessione che sussiste tra organizzazione e ambiente, o se vogliamo, contesto sociale di riferimento, risulta interessante, al fine di sviluppare il framework teorico della tesi, prendere in considerazione una ulteriore teoria: la teoria della dipendenza dalle risorse (TDR) sviluppata da Jeffrey Pfeffer e Gerald Salancik nel 1978. Secondo gli studiosi, per capire il comportamento di una organizzazione, occorre capire il contesto in cui esso si manifesta (Catino,

(19)

19

2012). La configurazione dell’ambiente, infatti, rappresenta uno dei fattori più importanti ed influenti sulla struttura manageriale e sulla struttura organizzativa (Hatch, 2013).

La teoria pone l’attenzione sugli aspetti interorganizzativi (Fontana, 1999), i quali si riferiscono a tutte quelle “caratteristiche delle organizzazioni viste come entità collettive, operanti in un ampio sistema di relazioni” (Catino, 2012 : 29); se effettuiamo uno studio dell’organizzazione a questo livello (interorganizzativo, detto anche ecologico), risulta cruciale studiare le relazioni e le interazioni che esistono all’interno dell’organizzazione stessa ma anche tra aggregati di organizzazioni.

Considerando le organizzazioni in relazione tra loro, ne consegue che una organizzazione dipenderà da altre organizzazioni o da elementi del proprio ambiente di riferimento. La dipendenza di una organizzazione da un’altra può dipendere da diversi fattori. Il primo fattore concerne la dipendenza vera e propria: è il caso secondo cui una organizzazione dipende da un’altra per la sua sopravvivenza e qui, il riferimento va a quelle che sono le risorse rare (ad esempio, i clienti strategici) oppure gli input scarsi (ad esempio, le materie prime per la produzione di un bene o servizio) (Catino, 2012). Il secondo fattore concerne il controllo di una risorsa, in particolare “il grado in cui una data risorsa è controllata da altre organizzazioni” e secondo tale logica “maggiore è la dipendenza da un’altra organizzazione, minore è l’autonomia decisionale” (ibid. : 80).

L’obiettivo è quello di minimizzare tale dipendenza “per l’acquisizione di risorse scarse presenti nell’ambiente” ma anche per “trovare il modo di influenzarle” (ibid. : 79). In effetti, l’assunto principale della teoria è che la dipendenza dalle risorse «critiche» influisce sull’azione delle organizzazioni; inoltre, decisioni e azioni organizzative possono essere spiegate in relazione alla situazione di dipendenza (Nienhüser, 2008). Dunque, è l’ambiente che è in possesso di quelle risorse di cui l’organizzazione necessita. Di conseguenza, l’organizzazione dovrà essere in grado di mettere in atto delle strategie necessarie per perseguire la propria autonomia (Catino, 2012). La prospettiva afferma che “l’elusione delle richieste ambientali ed il controllo delle loro fonti costituiscono due risposte strategiche alternative ai problemi posti all’incertezza ambientale” (Fontana, 1999). Questo perché l’ambiente è la principale fonte di incertezza e l’entità della stessa varia a seconda della distribuzione delle risorse «critiche» (Nienhüser, 2008).

Abbiamo evidenziato che l’assunto centrale è quello secondo cui vi sono alcuni attori che controllano le risorse e altri che hanno bisogno delle stesse. Infatti, la teoria è strettamente legata al concetto di potere: chi controlla le risorse ha il potere sugli altri attori che hanno bisogno delle risorse critiche; inoltre, coloro che detengono grandi quantità di risorse critiche faranno molte richieste all’organizzazione. Tutto questo si traduce in rapporti di dipendenza. Ed il controllo delle

(20)

20

risorse è efficace solo se tale risorsa è scarsa oppure è difficile accedere ad essa; affinché possa essere esercitato tale controllo, è necessario che ci sia una relazione di dipendenza (Morgan, 2002). Gli attori che dipendono da altri vogliono ridurre tale dipendenza (e, allo stesso tempo, incrementare il proprio potere). L’organizzazione che, invece, detiene una vasta quantità di risorse, avrà la possibilità di ridurre la dipendenza da altri attori e i conflitti con altri attori (Nienhüser, 2008). Se la vita dell’organizzazione dipende dalle risorse scarse, riuscire a controllarle rappresenta una importante fonte di potere all’interno dell’organizzazione ma anche nell’ambito dei rapporti interorganizzativi (Morgan, 2002).

Come evidenziato dall’economista tedesco Nienhüser, Pfeffer e Salancik ritengono che lo scambio di risorse non debba essere applicato solo alla relazione tra l’organizzazione e gli attori esterni (ad esempio i sindacati), ma anche alle relazioni di scambio che avvengono all’interno della organizzazione; questo perché le persone e le organizzazioni scambiano delle risorse e ne consegue che “depending on resource control etc., they have more or less power and can influence decisions according to their interests” (Nienhüser, 2008 : 14). Le risorse in questione possono essere finanziarie, possono riguardare alcune competenze strategiche o le risorse umane, ma anche il sostegno emotivo di cui una persona può avere bisogno (Morgan, 2002). Alle volte può essere possibile mettere in atto strategie che hanno come obiettivo quello di aumentare il potere mediante “la creazione ad hoc di rapporti di dipendenza ottenuti pianificando il controllo delle risorse critiche” (ibid. : 231).

La prospettiva, quindi, pone l’accento “sugli aspetti interorganizzativi, che verrebbero determinati dalle scelte strategiche dell’organizzazione, finalizzate a ridurre e controllare l’incertezza ambientale, soprattutto quella derivante dalla dipendenza delle risorse” (Fontana, 1999 : 74). Può accadere, però, che la dipendenza si trasformi in interdipendenza. Le organizzazioni sono in qualche modo interdipendenti fra loro. L’interdipendenza tra l’organizzazione focale e le altre organizzazioni può assumere due forme: transazionale oppure competitiva. Nel primo caso, l’interdipendenza deriva dall’esistenza di transazioni di input o di output; nel secondo caso, invece, si ha interdipendenza in termini di competizione sulle stesse risorse. In alcuni casi, dunque, la situazione ambientale favorisce l’utilizzo di forme negoziali per governare tali interdipendenze; questo è possibile grazie all’esistenza di reciprocità e interessi comuni, alle elevate barriere all’integrazione umana, alla elevata incertezza ambientale e moderata concentrazione delle imprese in quel determinato settore. Può manifestarsi la situazione di bassa concentrazione, ossia un elevato numero di imprese nel settore ed in questo caso non vi è l’esigenza di costituire forme di coordinamento interorganizzativo, in quanto non esistono effettivamente forme di dipendenza. Al contrario, se la situazione è caratterizzata da elevata

(21)

21

concentrazione, dunque un basso numero di imprese nel settore, tendono a manifestarsi situazioni di coordinamento informale (tacito). Infine, in situazioni in cui la concentrazione si mantiene su livelli intermedi, si manifestano con molta facilità forme incisive di coordinamento interorganizzativo (Fontana, 1999).

Data la non-autonomia delle organizzazioni, esse dovranno cercare dei modi per gestire le dipendenze; parlare di dipendenze è diverso che parlare di interazione con l’ambiente esterno (Catino, 2012). Si evidenzia, dunque, una differenza con altre teorie prese in considerazione in questo paragrafo, che prendono in considerazione la relazione tra ambiente e organizzazione ma in termini differenti. La teoria della dipendenza delle risorse utilizza un diverso punto di vista per osservare il legame che sussiste tra organizzazione e ambiente e questo attraverso proprio il concetto di dipendenza. Da sottolineare, però, che i concetti di dipendenza e indipendenza nella teoria della dipendenza dalle risorse e nell’economia dei costi di transazione sono in qualche modo simili: Nienhüser (2008) afferma che ciò che cambia è il meccanismo teorico, infatti “power versus efficiency versus norms and values and social forces” (Nienhüser, 2008 : 18).

1.2. Le risorse umane di una organizzazione

Vi è uno stretto legame tra una organizzazione e il suo ambiente e tra una organizzazione e gli attori che operano al suo interno: si potrebbe pensare a ciò che Giddens definisce processo di strutturazione; in effetti, le organizzazioni, in quanto strutture, condizionano l’azione dei soggetti mediante vincoli, i quali possono essere normativi, tecnici, economici e culturali. Ma allo stesso tempo sono i soggetti che modellano, modificano ed interpretano tali vincoli e questo porta loro a mettere in atto un processo che va a modificare le organizzazioni (Bonazzi, 2002). Le persone rappresentano, quindi, una delle principali risorse di ogni organizzazione. Secondo Quaglino e Cortese (2003) i componenti di un gruppo rappresentano una delle risorse più ovvie per il gruppo stesso.

1.2.1. Come si diventa membri di un gruppo

Risulta interessante considerare il momento in cui il gruppo si compone. Alcuni gruppi si formano in maniera spontanea senza che vi siano rigidi requisiti di cui essere in possesso; in altri casi vi sono dei gruppi i cui membri vengono scelti sulla base di determinate caratteristiche, qualità o capacità che possiedono. La scelta dei membri di un gruppo, come nel caso di un gruppo di lavoro, può essere pensata per raggiungere la massima coerenza tra le competenze dei soggetti e le attività che gli stessi andranno a svolgere e per ottenere la massima complementarietà, intesa in termini

(22)

22

di eterogeneità delle competenze (Quaglino, Cortese, 2003). I due elementi, coerenza e complementarietà, devono raggiungere un equilibrio, il quale non può essere definito a priori ma “va individuato di volta in volta, gruppo per gruppo […] e obiettivo per obiettivo” (ibid. : 72). Entrare a far parte di un gruppo (di lavoro) rappresenta un momento saliente; spesso si tratta di un processo che può provocare ansia (Brown, 2000).

Levine e Moreland (1994) hanno proposto un modello temporale concernente la socializzazione al gruppo; esso analizza il processo che riguarda l’entrata, da parte di un soggetto, in un gruppo fino all’uscita dallo stesso. Infatti, “the goal of the model is to clarify the changes (affective, cognitive and behavioral) that groups and individuals produce in one another from the beginning to the end of their relationship” (ibid. : 306). Gli studiosi si chiedono perché i gruppi ricercano determinate persone e non altre e, allo stesso tempo, perché gli individui sono attratti da determinati gruppi e non da altri. Il modello risulta interessante in quanto gli autori attribuiscono importanza alla reciprocità che intercorre tra individuo e gruppo. Non si tratta, dunque, di un processo che segue un’unica direzione: da un lato, quando l’individuo entra in un gruppo subisce alcuni cambiamenti, e dall’altro, anche il gruppo dovrà adattarsi ai nuovi membri (Brown, 2000). La relazione tra individuo e gruppo cambia nel corso del tempo ed entrambe le parti in gioco sono considerate come potenziali agenti di influenza (Levine, Moreland, 1994).

Vengono utilizzati tre processi psicologici per spiegare la socializzazione di gruppo, che sono la

valutazione, l’impegno e la transizione di ruolo. Nel momento della valutazione, le parti –

individuo e gruppo – valutano le possibili ricompense che possono ottenere nel caso in cui decidano di instaurare una relazione. Un gruppo ha degli obiettivi da raggiungere e, per farlo, valuta gli individui e quanto essi potranno contribuire al raggiungimento dell’obiettivo stesso (Levine, Moreland, 1994). Tale valutazione risulta importante in quanto l’obiettivo rappresenta la finalità, lo scopo che “istituisce il gruppo definendone l’origine e il fine, e consente di rispondere alla domanda “perché ci siamo riuniti”?” (Quaglino, Cortese, 2003). Si tratta, dunque, di una fase di indagine durante la quale il gruppo (in fase di reclutamento) cerca le persone più adatte ai ruoli che dovranno ricoprire. Ma la valutazione viene effettuata anche dal potenziale membro del gruppo, il quale metterà in atto un processo di ricognizione per valutare quanto un certo gruppo possa soddisfare i suoi bisogni personali (Levine, Moreland, 1994). Dunque, questa fase concerne il fatto che i soggetti si trovano a compiere una scelta relativamente al gruppo in cui entrare a far parte. In alcuni casi è ovvio che tale scelta risulti impossibile, ad esempio per quanto riguarda la scelta del nostro sesso. In altri casi, però, Levine e Moreland affermano che i soggetti seguono un criterio preciso, ossia quello di massimizzazione dei profitti e minimizzazione dei costi; ciò prende il nome di «modello dello scambio sociale». Il nome del

(23)

23

modello richiama effettivamente l’atto dello scambiare qualcosa per ricevere altro, e quindi al fatto di “dare una cosa in cambio di un’altra”. In questo momento i soggetti svolgono una sorta di attività di perlustrazione, la quale ha lo scopo di soppesare ciò che i gruppi possono fare per il soggetto e cosa i gruppi si attendono in cambio dallo stesso (Brown, 2000).

L’impegno rappresenta un altro processo fondamentale del modello di socializzazione al gruppo. Può avere conseguenze importanti per il comportamento sia del singolo che del gruppo. Questo perché se un soggetto sente un forte impegno nei confronti del gruppo al quale appartiene, accetterà gli obiettivi che il gruppo ha deciso di realizzare, lavorando duramente per il raggiungimento dello stesso; inoltre, il soggetto cercherà di mantenere l’appartenenza a quel gruppo. È importante anche considerare l’impegno che il gruppo ha verso l’individuo: il gruppo deve porre attenzione ai bisogni dell’individuo e cercare di soddisfare le sue esigenze. Dunque, le relazioni tra i gruppi e i propri membri sono più equilibrate e fluide se entrambe le parti si impegnano allo stesso modo l’una verso l’altra (Levine, Moreland, 1994).

Quando un soggetto entra a far parte di un gruppo, accade che egli tenda a categorizzarsi (ed essere categorizzato) come “nuovo” rispetto ai “vecchi” membri (Brown, 2000). Si tratta del momento della transizione di ruolo. Il nuovo membro e il gruppo modificano le proprie aspettative; il nuovo arrivato, in particolare, subirà un processo di ridefinizione di sé, il quale si esplicherà nel cambiamento del modo in cui il soggetto vede se stesso. Le transizioni di ruolo spesso comportano cerimonie speciali, che prendono il nome di «riti di passaggio» (Levine, Moreland, 1994). I rituali avvengono soprattutto nelle organizzazioni e nei gruppi più stabili (Brown, 2000). Tali cerimonie di iniziazione possono assumere varie forme e possono essere positive o negative per il “novizio”: può trattarsi di caldi benvenuti durante i quali il nuovo membro riceve un trattamento favorevole oppure, al contrario, può trattarsi di una esperienza spiacevole durante la quale il soggetto viene, ad esempio, messo in imbarazzo (ibid.).

Se la relazione tra individuo e gruppo termina, si verificherà un momento di ricordo; è un periodo durante il quale il gruppo ricorda i contributi che l’individuo ha dato per il raggiungimento degli obiettivi del gruppo; viceversa, l’individuo ricorda ciò che il gruppo ha fatto per lui in termini di soddisfazione dei suoi bisogni personali (Levine, Moreland, 1994). Da precisare che questo non avviene sempre e per tutti i membri del gruppo in quanto ognuno ha percezioni e pensieri differenti rispetto al gruppo al quale apparteneva, e viceversa, in quanto il gruppo non necessariamente ricorderà tutti i membri allo stesso modo. Il ricordo, quindi, è presente o meno e varia a seconda anche dei sentimenti e percezioni degli attori in gioco.

(24)

24

1.2.2. I bisogni dei dipendenti

Abbiamo visto come si presti particolare attenzione a quelli che sono i bisogni dei membri di un gruppo. Questo perché lo stretto legame fra l’organizzazione e i membri della stessa richiama l’importanza che assumono i bisogni dei dipendenti. Si tratta di bisogni complessi che devono essere soddisfatti “se si vuole che gli individui abbiano una vita sana e piena e siano in grado di operare efficacemente sul posto di lavoro” (Morgan, 2002 : 57).

Inoltre, per effettuare una buona analisi di un sistema organizzativo, è necessario prendere in considerazione le determinanti del comportamento organizzativo, il quale dipenderà dalla struttura motivazionale dell’individuo, dai meccanismi di incentivazione e dalle caratteristiche del contesto ambientale, quest’ultimo sia interno, cioè quello organizzativo, sia quello esterno (Fontana, 1999).

L’attenzione a tali questioni è maturata a partire dagli studi di Hawthorne che Elton Mayo effettuò allo stabilimento di Hawthorne della Western Electric di Chicago. Le ricerche da lui svolte, in collaborazione con i colleghi del cosiddetto “gruppo di Harvard”, sono state molto importanti in quanto hanno permesso una nuova visione della componente umana all’interno delle organizzazioni. In particolare, tali studi oggi sono famosi per aver posto l’attenzione ai bisogni dei membri di una organizzazione sul posto di lavoro. Il lavoro di Elton Mayo ha stimolato la promozione di un approccio sociologico e antropologico alla gestione industriale (Bendix, Fischer, 1949)3.

Una maggiore ed esplicita attenzione ai bisogni dei lavoratori si è concretizzata nel contributo fornito da Abraham Maslow con la sua teoria della motivazione. Maslow afferma che la teoria motivazionale non equivale ad una teoria del comportamento in quanto le motivazioni sono le determinanti dei comportamenti e i comportamenti sono sempre motivati (biologicamente, culturalmente o in relazione alla situazione) (Maslow, 1943).

I bisogni umani fondamentali sono organizzati secondo una scala che Maslow definisce «di prepotenza» per indicare il fatto che vi sono, alla base della stessa, dei bisogni primari (fisiologici) legati alla sopravvivenza e quando questi saranno soddisfatti con continuità, emergeranno bisogni

3 Il gruppo di studiosi, composto da Elton Mayo e altri colleghi, venne chiamato da una azienda (lo

stabilimento di Hawthorne) per risolvere delle problematiche concernenti il turnover nel reparto dei filatoi intermittenti e che arrivava ad un livello elevatissimo, del 250%, durante i periodi di massimo sforzo produttivo. Mayo notò che il tipo di lavoro implicava una sorveglianza continua sulle macchine e i lavoratori erano sottoposti a continua tensione. La soluzione che trovarono fu quella di inserire delle pause per riposarsi durante l’orario lavorativo. Questo permette di capire l’attenzione che venne posta a quelle che erano le esigenze (di riposo) dei dipendenti. Per ulteriori approfondimenti si veda “Psicologia del

(25)

25

di livello superiore (Fontana, 1999). Dunque, alla base della scala troviamo i bisogni fisiologici, quelli di cui una persona necessita per sopravvivere. In effetti, “a person who is lacking food, safety, love, and esteem would most probably hunger for food more strongly than for anything else” (Maslow, 1943 : 373).

I bisogni primari essenzialmente riguardano ciò di cui un lavoratore necessita per vivere, dunque lo stipendio. La persistenza dei bisogni primari impedisce l’emergere di altri bisogni. Dunque, se tali bisogni rimangono insoddisfatti, “tutti gli altri bisogni possono essere annullati o respinti nell’ombra” (Maslow, 1992 : 85). Ma quando un soggetto riesce a soddisfare i bisogni primari, questi ultimi non rappresentano più i determinanti attivi o gli organizzatori del comportamento ma sussistono in maniera potenziale (Maslow, 1992) e se essi saranno ragionevolmente soddisfatti, bisogni di livello superiore inizieranno a dominare e a motivare il comportamento umano (McGregor, 1975).

Nel gradino superiore ai bisogni fisiologici, Maslow pone quelli di sicurezza. Essi si riferiscono a sicurezza, stabilità, protezione, bisogno di ordine e così via. In particolare, si tratta, ad esempio, della sicurezza del posto di lavoro o della possibilità di carriera nell’ambito dell’organizzazione (Morgan, 2002). I bisogni di sicurezza sono, quindi, molto importanti, in quanto

azioni arbitrarie da parte della direzione, comportamenti che suscitano insicurezza rispetto alla continuità dell’impiego o che riflettono favoritismi e discriminazioni, una gestione imprevedibile della politica aziendale, possono diventare tutti potenti motivazioni nei riguardi dei bisogni di sicurezza nel rapporto d’impiego ad ogni livello, dall’operario a vice-presidente (McGregor, 1975 : 29).

Successivamente troviamo i bisogni di affetto, di amore e di appartenenza; seguendo la logica di soddisfazione del bisogno, nell’individuo nasceranno questi bisogni solo nel caso in cui i bisogni fisiologici e quelli di sicurezza sono stati soddisfatti; dunque, la persona “desidera un posto nel suo gruppo o nella sua famiglia e cerca intensamente di realizzare questo scopo” (Maslow, 1992 : 95). Il fatto è che un lavoratore se si trova in una situazione disperata, sicuramente accetterà un posto di lavoro spiacevole e mal pagato; ma se la sua situazione migliora, ricercherà un posto più sicuro e migliore dal punto di vista economico. Saranno poi soddisfatti i bisogni di affetto e di appartenenza nel momento in cui il lavoratore si sarà inserito nel suo gruppo di lavoro (Fontana, 1999). Già Maslow riteneva che questi tipi di bisogni dovessero essere soddisfatti in quanto una loro non gratificazione avrebbe potuto portare a frustrazione e conseguentemente causare situazioni di disagio; possiamo immaginare tale situazione nell’ambito delle organizzazioni: un luogo di lavoro poco stimolante potrebbe causare sensazioni di insoddisfazione-frustrazione per il lavoratore. Di conseguenza, far sentire i dipendenti più importanti, assegnare loro mansioni più

(26)

26

significative e dare loro maggiore autonomia e responsabilità rappresentano alcune delle azioni che una organizzazione può mettere in atto per migliorare il clima e l’ambiente organizzativo (Morgan, 2002).

Salendo la scala, troviamo i bisogni di stima che concernono il desiderio di successo, di padronanza, di competenza e di indipendenza, ma anche il fatto che una persona vuole essere rispettata e stimata dagli altri (Maslow, 1992). Il lavoratore, quindi, dopo esser diventato membro del gruppo e aver maturato un forte senso di appartenenza nei confronti dello stesso, cercherà di raggiungere il prestigio, di essere il più possibile adeguato alle situazioni e utile per raggiungere gli obiettivi che il gruppo si è posto; questi tipi di bisogni riguardano l’autostima, ossia “una coerenza di sé che egli cerca di difendere in ogni circostanza” (Fontana, 1999 : 184).

Infine, il lavoratore cercherà di realizzare le proprie capacità e di sviluppare la propria autonomia (Fontana, 1999). Ciò si riferisce al vertice della gerarchia dei bisogni umani, ossia il bisogno di autorealizzazione. Esso concerne il desiderio di autocompimento da parte dell’uomo, il bisogno di svilupparsi autonomamente e in modo costante (McGregor, 1975); per ogni persona tali bisogni assumeranno una forma differente (Maslow, 1992). Nuovamente, secondo il ragionamento di Maslow, si evince che se emergono i bisogni di autorealizzazione significa che tutti gli altri bisogni sono stati precedentemente soddisfatti.

Fonte: elaborazione propria

(27)

27

La fig. 1.1 riassume ciò che è stato descritto precedentemente: a sinistra è illustrata una piramide che racchiude quelli che sono i bisogni di Maslow, in maniera gerarchica, a partire, dunque, dal basso con i bisogni fisiologici per arrivare al vertice della piramide, dove sono indicati i bisogni di autorealizzazione. Sulla destra della fig. 1.1, invece, sono indicati i principali riferimenti dei bisogni per il lavoratore: si tratta di una sorta di trasposizione dei bisogni degli individui nei bisogni dei lavoratori.

È necessario sottolineare come la teoria della motivazione rappresenti ancora oggi un riferimento teorico importante per lo studio dei bisogni dei dipendenti di un’azienda, ma è stata oggetto di alcune critiche. Il fatto è che Maslow non prende in esame la possibilità che un soggetto possa avere più di un bisogno da soddisfare nello stesso momento. Studi successivi hanno infatti mostrato come non sia possibile l’esistenza di una gerarchia universale dei bisogni e quindi l’idea che un individuo soddisfi i propri bisogni necessariamente l’uno dopo l’altro, dunque in maniera così rigorosa come spiegato da Maslow; ogni individuo soddisfa i bisogni in maniera diversa e con una intensità diversa. Nonostante ciò, è comunque rimasta l’idea secondo cui la tensione al soddisfacimento di un bisogno sia da stimolo al comportamento (Bagdadli, 2017).

Un’altra teoria dei bisogni è quella elaborata da David McClelland nel 1961. Lo studioso poneva al centro della teoria il potere motivazionale di alcuni bisogni precisi, che lui stesso chiamava «spinte» (“motive”). Si tratta di bisogni che gli individui possiedono a diversi livelli e ognuno li sviluppa a seconda dei propri processi di socializzazione: il potere, l’affiliazione e il risultato/successo (“achievement”). McClelland si soffermò, in particolare, sui bisogni di potere e achievement. Il potere viene inteso come il bisogno di controllare l’ambiente di riferimento, mentre l’achievement si riferisce al bisogno di competizione con uno standard di eccellenza. Si evince che la motivazione al successo di un individuo dipende dai suoi bisogni di potere e di successo; questi bisogni sono appresi dal soggetto mediante il processo di socializzazione (Bagdadli, 2017).

1.2.3. Membership e groupship

Risulta ora interessante analizzare quello che è il legame tra i bisogni di un individuo e il gruppo (al quale appartiene) che può essere in grado di soddisfarli. Questo perché il fatto stesso di essere parte di un gruppo può condurre al soddisfacimento dei propri bisogni, anche se ciò non necessariamente “garantisce autonomia e capacità di sopravvivenza al gruppo come soggetto sociale” (Quaglino et al., 1992 : 27). Il gruppo è quel luogo in cui i bisogni possono essere soddisfatti, oppure, viceversa, possono condurre a frustrazione, per il fatto stesso di non esser

Riferimenti

Documenti correlati

L’azione combinata di alcune associazioni di categoria del settore servizi, prime fra tutte Angem, ha ottenuto il risultato di emendare la legge che d’ora in

Durante l’attuale trattativa per la stesura del Contratto nazionale della Ristorazione Collettiva, Angem ha più volte suggerito un ripensamento strutturale

I fatti ne sono a dimostrazione: se nella fase iniziale, anche a fronte di un tasso di inflazione negativo, la proposta è stata di un aumento complessivo durante la

Tuttavia, a parte queste singole casistiche che sono comunque tipiche durante scioperi nazionali, Angem reputa sempre più necessaria una regolamentazione completa

Dottorato di ricerca in Formazione della persona e mercato del lavoro PhD in Human Capital Formation and Labour Relations.. Sabato 12 maggio 2018

Tale elemento assume ancora più valore, nella vicenda oggetto della presente analisi, se letto assieme alla mancanza, da un lato, del rischio economico in capo agli associati

Nel contesto di uno scenario energetico altamente volatile, le cui discontinuità sono state amplificate dagli impatti della pandemia di Covid-19, Eni e le

zionale delle Ricerche rilascia non più di trenta articoli espressamente dedicati alla ana- lisi di uno specifico contratto collettivo nazionale di lavoro del settore privato