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L’approccio della leadership situazionale

1.3. Il leader in un gruppo

1.3.2. L’approccio della leadership situazionale

Una teoria in completa opposizione alla teoria della personalità è quella secondo la quale la leadership esiste in quanto prodotto della situazione: la leadership situazionale. In particolare, si tratta di una spiegazione della leadership in termini di richieste funzionali della situazione (Brown, 2000). L’obiettivo delle ricerche concernenti questo tipo di leadership è quello di

8 Risulta interessante una teoria che si basa sull’intelligenza emotiva sviluppata da Daniel Goleman (1995);

essa ha fatto sì che la teoria dei tratti in qualche modo riprendesse vita. Infatti, la teoria sostiene che i leader efficaci sono coloro che possiedono intelligenza emotiva, ovvero quella capacità di saper gestire le proprie emozioni e quelle dei membri del gruppo. La peculiarità della teoria è che nonostante ogni persona non abbia le stesse competenze, l’intelligenza emotiva può essere appresa. I fautori di questa prospettiva pongono inoltre l’accento sui feedback che gli altri membri possono dare e devono dare al leader, in modo tale da migliorare la propria intelligenza emotiva. Da sottolineare, però, che anche per tale teoria non ci sono state ricerche empiriche in grado di confermare le ipotesi della stessa e, dunque, il legame di efficacia tra leader e intelligenza emotiva (Castellucci, 2017).

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“comprendere l’efficacia degli stili di leadership in relazione al loro contesto attuativo, ponendo enfasi sulla rilevanza della situazione ambientale” (Gabassi, 2006 : 155).

Il riferimento va sicuramente a Hersey e Blanchard che verso la fine degli anni ’60 svilupparono proprio il modello della leadership situazionale. Si tratta di una teoria del ciclo di vita della leadership (Vecchio, 2007). Secondo gli studiosi non esiste aprioristicamente un unico modello valido per qualsiasi tipo di situazione (Gabassi, 2006). Infatti, secondo il modello esistono due tipi di comportamento di leadership: l’orientamento al compito e l’orientamento alle relazioni. La peculiarità della teoria è che il comportamento del leader deve modificarsi in base al livello di maturità dei collaboratori per far sì che la leadership sia efficace. La maturità è distinta in maturità tecnica (saper fare) e maturità psicologica (saper essere). La maturità dei collaboratori è suddivisa, come mostrato dalla fig. 1.2, in quattro livelli: alta (M4), media (M3 e M2) e bassa (M1) ed è determinata dalla capacità e dalla volontà del collaboratore di eseguire e completare un determinato compito. La maturità può, quindi, essere alta o bassa e ciò dipende dal compito che deve essere svolto. Il leader ha il compito di valutare la maturità di ogni collaboratore rispetto ad ogni compito; a seconda del livello di maturità, il leader adotterà un comportamento differente, come è possibile osservare dalla figura.

Fonte: Blanchard e Hersey (1984) tratto da Salvemini (2017)

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Il leader dovrà utilizzare uno stile di leadership prescrittivo (S1) se il lavoratore non ha né la volontà né l’abilità di eseguire il compito. Ne consegue che un tale comportamento del leader sia orientato al compito e non alle relazioni; il leader, dunque, si occuperà di monitorare i collaboratori e starà attento ai risultati. Un altro caso è quello in cui il collaboratore ha la volontà di completare il compito ma non ha l’abilità. Secondo Hersey e Blanchard, il leader dovrà utilizzare uno stile di vendita (S2). In questo caso, si nota come entrambi i livelli di orientamento (ai compiti e alle relazioni) siano elevati; il leader dovrà spiegare le decisioni che prende ai collaboratori e ogni collaboratore potrà chiedere chiarimenti al leader. Vi è poi il caso in cui un soggetto sia abile nello svolgimento di un compito ma non ha la volontà di svolgerlo. In tale situazione, il leader dovrà seguire uno stile partecipativo (S3), ovvero con un basso orientamento al compito e un elevato orientamento alla relazione. Il compito essenziale del leader è quello di incoraggiare il collaboratore. Infine, si ha la situazione in cui il collaboratore ha sia la abilità per svolgere un certo compito sia la volontà per la realizzazione dello stesso. In tal caso, il leader non potrà che seguire uno stile di leadership delegante (S4), ossia con bassi livelli di orientamento al compito e bassi livelli di orientamento alle relazioni: si evince quindi che il leader sia poco coinvolto. Quindi i livelli di maturità (sia psicologica sia rispetto al compito) aumentano e, di conseguenza, il leader assumerà un comportamento poco orientato al compito e mostrerà un basso supporto socio-emotivo (Gabassi, 2006; Vecchio, 2007).

Vecchio (2007), spiegando la teoria della leadership situazionale, afferma che nei momenti iniziali in cui un dipendente entra a far parte di una organizzazione e inizia a svolgere i suoi compiti, si renderà necessario un elevato orientamento al compito, unito ad un basso livello di orientamento alla relazione: tale combinazione è considerata l’ideale. Nel corso del tempo quel dipendente sarà sempre più in grado di svolgere le proprie attività e aumenterà la sua maturità, pertanto dovrà aumentare il supporto emotivo da parte del leader, con una conseguente diminuzione dei livelli di orientamento al compito da parte dello stesso.

Il modello elaborato da Hersey e Blanchard presenta un grande limite che concerne la difficoltà e complessità della sua applicazione; il fatto è che per essere efficace, sarebbe necessario coinvolgere l’intera organizzazione e tutti i componenti della stessa dovrebbero essere a conoscenza dei criteri e dei metodi utilizzati e che permettono la funzionalità della leadership. Questo sarebbe possibile mediante costanti verifiche sperimentali di tipo longitudinale (Gabassi, 2006). Nonostante ciò, si tratta di una teoria molto conosciuta nell’ambito della formazione manageriale (Castellucci, 2017) e la cosa interessante è che gli studiosi hanno pensato alla leadership come un processo dinamico e non statico, non isolato ad un singolo contesto/ambiente di riferimento. Hersey e Blanchard sono riusciti a “individuare una relazione tra lo sviluppo

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dell’organizzazione interna e l’abilità del leader e dei suoi collaboratori nel saper giungere all’integrazione interna e nel sapersi costantemente adattare alle necessità del cambiamento esterno” (Gabassi, 2006 : 158).