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Considerazioni, implicazioni e rischi dell’opzione voce

2.4. Uscita, voce e lealtà

2.4.4. Considerazioni, implicazioni e rischi dell’opzione voce

Abbiamo affermato che la voce fa riferimento ai membri di una organizzazione che danno vita ad un conflitto con l’organizzazione stessa, esponendo la loro insoddisfazione “direttamente al management o a qualche altra autorità di cui il management dipende o con una generale protesta rivolta a chiunque sia disposto a prestarvi orecchio” (Hirschman, 2017: 24). Ma l’attenzione posta alla voce, generalmente, prende in considerazione un solo punto di vista: quello del dipendente che “speaks up” / protesta oppure quello del manager che riceve un input (Burris et al., 2013). Analizzare la voce da una prospettiva individuale, però, può condurre gli studiosi a dipingere una immagine incompleta, e conseguentemente, portare ad argomentazioni non esaustive. Pertanto, risulta importante considerare entrambi i punti di vista, quelli dei dipendenti che utilizzano la loro voce, e quella dei manager, che possono ascoltare o meno quelle proteste, e, conseguentemente, prendere atto delle stesse oppure ignorarle.

È importante quindi sottolineare che

because of differences in definitions of what constitutes extra-role behavior like voice (Morrison, 1994) and in the roles that managers and employees hold (Katz, Kann, 1978), employees’ perceptions that they are being “prosocial” and “improvement oriented” when speaking up will not always coincide with managerial perceptions (Burris et al., 2013 : 23).

Vi è, dunque, una differenza nelle percezioni delle parti per quanto concerne il comportamento della voce definito dagli autori come “extra-role”19. In effetti, a volte accade che i dipendenti

ritengono di parlare molto frequentemente, mentre i manager non riconoscono quei

19 Il ruolo fa riferimento alle aspettative legate ad una determinata posizione sociale, mentre i

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comportamenti come “pro-sociali” 20. Altre volte, i dipendenti non ritengono e non etichettano il

proprio comportamento come voce “pro-sociale” ma i capi, invece, “premiano questo input orientato al miglioramento” (Burris et al., 2013 : 23, tradotto dall’autrice). Dovrebbe esser sempre così: se un dipendente espone certe problematiche al management, e lo fa mediante un atteggiamento orientato al miglioramento dell’organizzazione stessa, i capi non dovrebbero fare altro che premiare tali comportamenti (Van Dyne, LePine, 1998 cit. in Burris et al., 2013). Ma dobbiamo andare ancora oltre: non dobbiamo considerare la voce come uno scambio diadico tra i «voicers» e i «detentori dell’autorità» cui è diretta la voce (Satterstrom et al., 2020), chiamati anche «receivers»21 (Bashshur, Oc, 2015). In effetti, la letteratura esistente ha ampiamente

trascurato la possibilità che altri attori, al di fuori di questa diade, possano influenzare il modo in cui le idee o preoccupazioni vengono implementate (Satterstrom et al., 2020). Il fatto è che oggi quasi l’80% dei lavoratori trascorre la giornata lavorativa in attività di collaborazione con altri membri del gruppo (Cross et al., 2016 cit. in Satterstrom et al., 2020), pertanto risulta fondamentale prendere in considerazione anche il comportamento di coloro che sono al di fuori della diade «voicer-receiver». Si tratta, ad esempio, dei compagni di gruppo/reparto e i membri del team, i quali possono supportare oppure scoraggiare le idee e i pensieri (dunque, la voce dei colleghi).

Per quanto riguarda le implicazioni della voce, una fa riferimento alla situazione in cui i dipendenti arrivano a sopravvalutare il proprio livello di voce e ciò risulta eccessivo. Una conseguenza è poi il fatto che una voce eccessiva risulta dannosa per i dipendenti stessi in quanto possono apparire, di fronte ai manager, come arroganti e come soggetti che sopravvalutano il proprio contributo (Burris et al., 2013). La sopravvalutazione della propria voce può condurre quindi a conseguenze negative. Può risultare dannosa in quanto i lavoratori “potrebbero diventare tanto molesti, da ostacolare, anziché favorire, con le loro proteste, ogni tentativo di recupero eventualmente intrapreso” (Hirschman, 2017 : 48). I manager possono arrivare a considerare i dipendenti come soggetti che non fanno altro che lamentarsi dei problemi oppure possono pensare che i membri del gruppo di lavoro stiano perdendo tempo (ad esempio per non svolgere le proprie attività lavorative) e stiano sminuendo il clima organizzativo (Burris et al., 2013).

Però può accadere anche l’opposto, ovvero una situazione in cui i dipendenti sotto-stimano il proprio livello di voce rispetto al punto di vista del manager. In questo caso, i dipendenti si danno meno valore di quanto gli sia dato loro dai capi. Questa discrepanza può riflettere, in parte, il fatto 20 Un comportamento pro-sociale fa riferimento a tutte quelle azioni che un individuo o gruppo di individui

mette in atto per realizzare dei miglioramenti per un’altra parte, che nel nostro caso sono i comportamenti dei dipendenti, volti al miglioramento, nei confronti della propria organizzazione di lavoro.

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che i manager sono più attenti alle esigenze dei dipendenti (dunque, alla membership) e che considerano i loro contributi e idee come risorse, molto di più di quanto facciano i dipendenti stessi. Si tratta di quei lavoratori che non attirano l’attenzione su di sé attraverso costanti lamentele; possono inoltre essere considerati come lavoratori particolarmente abili nel fornire al management dei commenti sull’operato dell’organizzazione in maniera tempestiva (Burris et al., 2013).

Nel caso in cui i dipendenti riescano, mediante la voce, a informare il management delle problematiche esistenti, essi possono (forse in casi eccezionali) anche essere premiati (Shore et

al. 1995). I dipendenti che si esprimono possono sentirsi più apprezzati e rispettati, “especially if

they can see their efforts come to fruition as their input is implemented” (Burris et al., 2013 : 24). Quando i dipendenti si sentono ascoltati, può crescere in loro un senso generale di giustizia, ma anche la loro motivazione e soddisfazione lavorativa (Shapiro et al. 1994, Taylor et al. 1995 cit. in Burris et al., 2013). Questo grazie al management e, soprattutto, al leader del gruppo che permette ai dipendenti di dire la loro.

Ma offrire delle opportunità di voce ai dipendenti da parte dell’organizzazione può essere costoso per la stessa, sia in termini di tempo che di denaro (Milgrom, Roberts, 1988 cit. in De Vries et al., 2012). Può accadere che la direzione offra tale opportunità in quanto i requisiti dell’organizzazione devono seguire uno stile democratico, ma lo stile di leadership sia, invece, autoritario. In questo modo l’organizzazione in qualche modo “finge” di interessarsi alle problematiche che possono avere i dipendenti, quando in realtà non vi è un vero e proprio interesse. Dunque, si tratta di quella situazione in cui il management permette ai dipendenti di dire la loro su questioni concernenti l’organizzazione e il suo funzionamento, ma si tratta di una vera e propria apparenza: si crea quella situazione in cui si ha una «pseudo voce», ossia quella opportunità di voce data dai manager, i quali però non hanno l’intenzione di prendere in considerazione ciò che i dipendenti hanno da dire, e quindi non viene considerato il loro contributo. Si tratta di una combinazione di opportunità di voce e disinteresse manageriale, la quale implica “autocracy covered with a mask of democracy” (Sagie, Aycan, 2003 cit. in De Vries

et al., 2012 : 221). È possibile parlare della psudo voce in termini di inganno da parte della

direzione perché essa finge di essere interessata ai bisogni dei dipendenti e al loro punto di vista (De Vries et al., 2012). Questo contribuisce ad alimentare e accrescere sempre più il conflitto tra le parti perché il lavoratore si sentirà ingannato o manipolato e percepirà questo comportamento del management come ingiusto. Il management si copre dietro quella maschera di democrazia (la quale fa rifermento al fatto che i manager prendono delle decisioni dopo aver preso in considerazione il punto di vista dei dipendenti su una determinata questione o issue), quando in

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realtà prende una decisione in modo autocratico, e quindi si tratta di una decisione unilaterale. Ciò che ci interessa è il fatto che la percezione della pseudo voce da parte dei dipendenti, va a diminuire l’utilizzo della voce da parte degli stessi, in quanto ritengono che se la utilizzassero, il management non li prenderebbe seriamente in considerazione. Pertanto, può accadere che “when employees perceive pseudo voice, they stop talking and start fighting” (De Vries et al., 2012 : 229). Un modo per combattere potrebbe essere quello di comportarsi in maniera opposta, ovvero restare in silenzio (oppure combinare il silenzio all’opzione uscita, dunque “defezionare silenziosamente”). Dunque, a volte può accadere che “what is not said… is often more important than what is said. Choosing to be inexplicit or silent in a context appropriate to explicitness and speech can be a way of saying something far too important for speech itself” (Tyler, 1978 : 15 cit. in Pinder, Harlos, 2001 : 342). Se il management prendesse in considerazione le proposte e le idee, ma anche le lamentele dei dipendenti, potrebbe aiutare se stesso per un miglioramento dell’organizzazione stessa, impendendo dunque un silenzio (non costruttivo) dei lavoratori. Un altro aspetto molto importante è quello concernente il fatto che la reazione-voce può essere molto rischiosa in quanto molte organizzazioni e i loro dirigenti non riescono ad accettare il fatto che i propri membri possano dire la loro esprimendo delle critiche (Hirschman, 1987). La voce richiede convinzione e impegno, e può implicare rischi e scontri (Pasquino, 2014). Pertanto, un rischio elevato per i dipendenti è quello relativo alle ritorsioni sul lavoro. Hirschman afferma, però, che anche senza le rappresaglie, il costo della voce è molto elevato se l’opzione voce viene messa in atto da un singolo membro dell’organizzazione. È un costo superiore, in termini sia di tempo che di fatica, rispetto ai possibili benefici. Infatti, “per trasmettere singole voci in maniera efficace, è necessario che un certo numero di membri si uniscano: la formazione della voce dipende dalle possibilità di azione collettiva” (Hirschman, 1987 : 34). Ed è qui che entra in gioco un altro attore, ossia il sindacato, il cui compito è quello di dialogare con la direzione dell’azienda per la risoluzione del conflitto creatosi tra la stessa e i suoi dipendenti. In qualche modo il sindacato entra in gioco per far sì che la direzione venga effettivamente a conoscenza delle problematiche dei lavoratori (Hirschman, 1987). Ne consegue che la maggiore disponibilità della voce, tramite il sindacato, faccia sì che i lavoratori utilizzino l’opzione uscita meno frequentemente. Inoltre, l’esistenza dei sindacati crea un sistema di gestione più negoziata all’interno dell’azienda, che si presume aumenti la voce (Dowding et al., 2000). Dunque,

la voce collettiva, nella forma della contrattazione sindacale, è assai più efficace nel convogliare informazioni sul malcontento dei lavoratori – e nel fare qualcosa al riguardo – delle decisioni individuali di andarsene, per la semplice ragione che la voce trasporta più informazioni dell’uscita (Hirschman, 1987 : 34).

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Come accennato precedentemente, la voce sicuramente consente di comunicare all’altra parte, in maniera diretta, ciò che non va e quindi consente di esprimere tutte quelle informazioni che possono poi risultare fondamentali per tendere verso un miglioramento del funzionamento dell’organizzazione. Cosa che invece rende più difficile l’opzione uscita, la quale prevede sì una comunicazione, ma indiretta, e quindi il management potrebbe non comprendere perché i propri dipendenti hanno abbandonato l’organizzazione, e neanche riflettere sui possibili errori commessi. Di qui, è necessario sottolineare l’importanza che assume l’atto del comunicare, quindi il dialogo tra dipendenti e azienda, e tra sindacato e azienda, per la risoluzione del conflitto.

2.5. Riepilogo

Nel corso del capitolo secondo abbiamo inizialmente esaminato i diversi approcci al clima organizzativo: strutturale, percettivo, culturale e in particolare quello interattivo / interazionista, per poi andare ad analizzare le possibili caratteristiche-variabili che contribuiscono alla sua connotazione. È stato poi interessante cercare di capire quali dinamiche organizzative possono svilupparsi all’interno di una organizzazione. Dunque, abbiamo posto l’attenzione al confronto sociale descritto da Festinger ma soprattutto al conflitto organizzativo, che è stato analizzato nelle sue sfaccettature (conflitto personale, interpersonale o tra gruppi). Come sottolineato più volte, l’interesse di questo elaborato è quello di concentrarsi sulle possibili risposte comportamentali dei soggetti di fronte a delle frustrazioni e insoddisfazioni lavorative. Situazioni cioè caratterizzate dalla presenza di conflitti tra i dipendenti e i dirigenti (più in generale, il management). Così la parte finale del capitolo secondo si è concentrata su una analisi il più esaustiva possibile di quelli che Hirschman ha descritto meccanismi di recupero, con un focus finale sulla opzione voce e tutte quelle che sono le considerazioni e implicazioni che essa comporta.

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Capitolo terzo

Le contro-organizzazioni e la partecipazione dei lavoratori

Un rappresentante dei lavoratori di una fabbrica in cui esisteva la commissione interna protestò perché un importante dirigente non si era presentato a un incontro e aveva mandato una lettera che esprimeva il suo punto di vista su un certo argomento, non concedendo così all’altra parte la possibilità di esporre la sua opinione prima che egli pervenisse a una decisione. Questo lavoratore aveva compreso […] l’utilità di ciò che abbiamo chiamato “interazione”, mediante la quale ognuno ottiene qualcosa dagli altri (Follett, 1979 : 196).

Abbiamo visto come l’organizzazione diviene un «contesto di interazione» all’interno del quale “hanno luogo e prendono forma le interazioni sociali tra i soggetti” (Rossi, 2014 : 33). Inoltre, le scelte e i comportamenti degli attori in gioco incidono e condizionano l’ambiente entro cui l’organizzazione è inserita. È necessario ricordare lo stretto legame che esiste tra organizzazione e ambiente, come ad esempio ricordato dalla teoria dei sistemi (Von Bertalanffy) e dei sistemi autopoietici (Maturana e Varela) o quella dei costi di transazione (Williamson) e della dipendenza dalle risorse (Pfeffer e Salancik) di cui si è discusso nel capitolo primo.

Pensiamo alla relazione tra organizzazione e ambiente come una reciproca e continua influenza. In questo rapporto può entrare in gioco una terza figura, che prende il nome di stakeholder1. Si

tratta, in generale, di tutti quei soggetti che detengono “una o più poste in gioco nei confronti dell’organizzazione” (ibid. : 43). Dunque, uno stakeholder “is someone who does have a vested interest in some activity, someone who has a stake in some activity or some situation, someone who is or will be affected by some outcomes” (Cohen, 1995 : 3). È un soggetto che esercita una certa influenza sulla organizzazione, o che viceversa, è influenzato dalle decisioni prese dalla stessa; le due direzioni di influenza (del soggetto verso l’organizzazione e della organizzazione verso il soggetto) sono comunque strettamente connesse tra loro e potenzialmente si alimentano a vicenda. Uno stakeholder può essere un soggetto che fa parte di quella stessa organizzazione, ad esempio un dipendente, oppure di un soggetto “esterno”, come ad esempio un sindacato (Rossi, 2014). Ma non possiamo definire il sindacato come un soggetto del tutto esterno alla organizzazione in quanto le organizzazioni sindacali sono presenti anche formalmente all’interno

1 Il termine stakeholder deriva dal termine inglese stockholder, con il quale si fa riferimento agli azionisti

di una impresa. Il termine stakeholder viene utilizzato nell’ambito degli studi organizzativi grazie a Edward Freeman, con la pubblicazione del suo libro intitolato “Strategic Management: A Stakeholder Approach” del 1984 (Rossi, 2014).

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della organizzazione (attraverso le RSU)2; il fatto è poi che i sindacati sono i rappresentanti dei

lavoratori che nascono e acquisiscono senso nei luoghi di lavoro.

Ad ogni modo, come affermavano Freeman e Medoff (1984), il sindacato rappresenta il veicolo essenziale per la voce dei dipendenti (Wilkinson, Barry, 2016); è quella organizzazione grazie alla quale prende forma e acquisisce efficacia la voce dei lavoratori3, di cui si è parlato nel capitolo

precedente. Ma cosa sono i sindacati? Come agiscono? Riteniamo che sia interessante per gli obiettivi della tesi dedicare una parte dell’elaborato a comprendere che cosa sia il sindacato e le azioni che esso mette in atto per la tutela dei lavoratori: dunque, cosa è, come agisce e attraverso quali metodi. Verrà poi presa in considerazione la partecipazione dei lavoratori al sindacato, quindi la partecipazione intesa come la possibilità di poter utilizzare la propria voce; possibilità, dunque, di poter esprimere idee e preoccupazioni e il fatto che queste vengano prese in considerazione da chi sta più in alto all’interno della organizzazione. Partecipazione che si manifesta in diverse forme, le quali verranno analizzate prendendo principalmente in considerazione il contributo dell’autrice Ida Regalia sul tema (1987, 2009). Si cercherà di capire quanto il sindacato sia fondamentale nel consentire la possibilità della partecipazione dei lavoratori e che, a sua volta, quest’ultima risulta fondamentale per l’esistenza e la legittimazione della organizzazione sindacale stessa.