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2.1. Il clima organizzativo

2.1.4. L’approccio interattivo

Come è possibile intuire, la questione che permea il discorso sul clima organizzativo consiste nel comprendere se sia il clima a determinare il comportamento dei membri dell’organizzazione o se il comportamento dei membri e le loro percezioni vadano a costituire il clima. Una diversa prospettiva è quella dell’approccio interattivo (detto anche interazionista), la quale contrasta sia con l’assunto secondo cui il clima organizzativo sia il risultato delle percezioni degli individui che fanno parte di quella organizzazione, sia con il mero approccio strutturale-organizzativo che vede il clima come l’unico fattore in grado di influenzare e modificare il comportamento delle persone.

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A nostro avviso questa prospettiva risulta molto interessante perché permette di percepire le interazioni costanti tra le persone all’interno di una organizzazione ma anche le interazioni che esse hanno con l’ambiente entro cui si trovano. In effetti, l’approccio interazionista vede il clima come l’interazione tra le persone (P) e l’ambiente (A), pertanto “gli individui, rispondendo alla specifica situazione, interagiscono gli uni con gli altri e questi scambi conducono a un accordo condiviso che diviene l’origine del clima” (Marocci, Pozzi, 2003 : 28 cit. in Gabassi, 2006 : 80). Questo sicuramente richiama la visione dell’approccio culturale in quanto si pone l’attenzione, in entrambi i casi, all’interazione. L’approccio interazionista vede il clima come una rappresentazione astratta che nasce grazie all’interazione dei membri dell’organizzazione. Si ha il passaggio dalla contrapposizione tra i concetti di individuo e struttura ad una loro integrazione. Dunque, l’appartenenza al gruppo diventa il fattore determinante per la formazione del clima (Gabassi, 2006). I modelli di interazione che si strutturano andranno a formare diversi climi all’interno dell’organizzazione e ciò è possibile osservarlo nelle diverse componenti della stessa (ad esempio, nei gruppi di lavoro, nei reparti ecc.). Nel caso di membri simili tra loro ci sarà una omologazione e un clima organizzativo condiviso da tutti e tale percezione di clima sarà differente rispetto alle altre componenti dell’organizzazione (D’Amato, Majer, 2005). Secondo la prospettiva interazionista, inoltre, le percezioni del clima sono un risultato degli sforzi dei singoli per comprendere l’organizzazione e i ruoli che essi ricoprono al suo interno (Schneider, Reichers, 1983 cit. in Ashforth, 1985). Questo si basa sulla visione dell’interazionismo simbolico di Blumer (1937) e la socializzazione al gruppo dei nuovi arrivati (Katz, 1980; Wanous, 1980). L’interazionismo simbolico, infatti, sostiene che il significato non sia un dato, ma un qualcosa che si evolve a partire dalle interazioni delle persone, le quali attraverso le proprie interazioni e attività di sensemaking attivano il proprio ambiente (Weick, 1997). Dunque, secondo l’approccio

interattivo, i nuovi membri inizialmente non hanno ancora tutte le conoscenze necessarie per

comprendere il funzionamento interno del gruppo, quindi si sentiranno insicure anche per quanto concerne il proprio ruolo. I nuovi arrivati devono comprendere come possono agire all’interno della organizzazione, ma anche capire quali sono le norme (tacite e non) che regolano il comportamento dei membri, le strutture di potere, i sistemi di comunicazione interna e le politiche organizzative. Kats (1980) ritiene che i nuovi arrivati debbano costruire una propria «identità situazionale» che permette loro di attivare quel processo di socializzazione al gruppo (Levine, Moreland, 1994). Con il passare del tempo, i nuovi arrivati (che tendenzialmente diventano sempre meno “nuovi”) diventano sempre più protagonisti del proprio ambiente di lavoro e sempre più in grado di contribuire alla modificazione della percezione del clima organizzativo (Ashforth, 1985). Da sottolineare però che non necessariamente avviene questo passaggio da “vecchio” membro a “nuovo” membro.

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Vi è una teoria sviluppata da Poole e McPhee (1983) e McPhee e Bolton (1995) che rappresenta la massima espressione dell’approccio interazionista (D’Amato, Majer, 2005). Tale approccio si rifà alla teoria della strutturazione di Anthony Giddens e grazie a questi autori, per la prima volta, tale teoria viene applicata ai climi organizzativi. Giddens sosteneva che vi sono due elementi, l’«agenzia» e la «struttura» che sono in costante interazione fra loro. Ciò significa che le strutture sociali condizionano l’azione (l’agenzia), la quale, a sua volta, andrà a determinare la struttura sociale. L’agenzia non prevale sulla struttura e la struttura non prevale sull’agenzia: questa rappresenta la peculiarità della teoria della strutturazione. Giddens non parla in termini dicotomici ma di dualità di struttura e di agenzia: le strutture (composte da risorse, routine e aspettative) possono sostenere o vincolare gli attori; nel primo caso, gli attori sono sostenuti nel caso in cui le strutture di significato, dominazione e legittimazione supportano l’attività degli attori, mentre nel secondo caso, gli attori sono vincolati perché le strutture non supportano le attività (Hatch, 2013). Pensare di utilizzare questa teoria nell’ambito del clima organizzativo, significa pensare che il clima sia in interazione con le strutture, ossia tutte le regole e risorse che permettono (o meno) l’interazione sociale. Poole e McPhee descrivono il clima come una struttura prodotta nel corso dell’interazione e della comunicazione che avviene all’interno dell’organizzazione, e ciò significa che i membri dell’organizzazione, mediante le loro interazioni, permettono la produzione e riproduzione del clima. L’assunto principale è quello della “circolarità relazionale tra individuo e organizzazione che si influenzano reciprocamente: per effettuare l’analisi del clima risulta necessario oltrepassare la dicotomia individuo/organizzazione” (D’Amato, Majer, 2005 : 22) e quindi, in termini di Giddens, passare dalla dicotomia alla dualità degli elementi. Secondo il modello strutturazionale, quindi, vi è un unico sistema interattivo che rappresenta il centro di interazione tra i fenomeni organizzativi e i comportamenti dei membri dell’organizzazione. Dunque, vi è una differenza tra la struttura, la quale concerne tutte quelle che sono le risorse cui gli individui possono attingere durante le interazioni, e il sistema, il quale si riferisce “al risultato osservabile dell’agire strutturale, alle relazioni regolarizzate dall’interdipendenza tra individui e gruppi” (ibid.). Si parla proprio di una strutturazione che deve essere intesa come produzione e riproduzione dei sistemi sociali che avviene mediante l’applicazione di regole e risorse. Detto in altri termini, la struttura composta da regole e risorse produce il sistema sociale e i membri del gruppo, attraverso l’utilizzo di tali risorse, la richiesta di nuove regole e la socializzazione di nuovi membri, riproducono costantemente il sistema (Poole, PcPhee, 1983). Gli autori hanno individuato quattro livelli di strutture che esistono in ogni pratica sociale; l’interazione tra i livelli dà vita al carattere dell’organizzazione in quanto, secondo questa prospettiva, il clima rappresenta il modo di rappresentare la vita sociale dell’organizzazione.

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I quattro livelli esistenti in ogni pratica sociale sono:

- Il sistema di modelli, il quale si riferisce a quelle che sono le regole e le relazioni presenti in ogni determinata pratica;

- Le strutture pratiche, ossia le regole e risorse che influenzano e modellano l’interazione nel sistema sociale;

- Le strutture di sfondo, le quali fanno riferimento alle regole e risorse che danno significato alle pratiche e, di conseguenza, stanno alla base delle interazioni tra gli attori;

- Infine, Poole e PcPhee (1983) parlano degli atteggiamenti collettivi, riferendosi ai concetti che i membri del gruppo condividono riguardo il loro sistema sociale (Quaglino, Mander, 1987 cit. in D’Amato, Majer, 2005).

McPhee e Pool pensano quindi al clima come un atteggiamento collettivo che gli attori in gioco producono e riproducono in continuazione, attraverso le loro interazioni; il clima si esplica in aggregati di aspettative e di credenze che nascono in forza di questioni che toccano tutti i membri (D’Amato, Majer, 2005). Vi è una costruzione sociale delle percezioni dei membri riguardanti il clima organizzativo: in effetti, “the interactionist approach to the etiology of climates suggests that climate perceptions are socially constructed” (Ashforth, 1985 : 845). Dunque, l’approccio

interazionista vede il clima organizzativo come “a joint property of both the organization and the

individual. It is both a macro and a micro construct” (ibid. : 838). Pertanto, risulta poco utile cercare di voler comprendere quale sia la causa del clima, se la struttura oppure le percezioni degli individui (Schneider, Reichers, 1983 cit. in Ashforth, 1985). Ashforth (1985) sostiene che se il significato non nasce dalle cose, ma dalle interazioni delle persone che cercano di capire queste cose, allora la causa del clima diviene l’«episodio» in quanto questo rappresenta una interazione discreta che ha un inizio, un tema e una conclusione; inoltre, “meaning is inherent in the episode or plat that subsequently unfolds, non in the setting or the actors” (ibid. : 838).