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L’interazione tra uscita, voce e lealtà: i possibili scenari

2.4. Uscita, voce e lealtà

2.4.3. L’interazione tra uscita, voce e lealtà: i possibili scenari

Premessa: nell’elaborato viene utilizzato il termine “scelta” con riferimento alla scelta tra le

opzioni di voce e uscita ma risulta necessario precisare che l’utilizzo di tale termine porta con sé costantemente l’idea per cui non si tratta di una scelta in senso stretto; un individuo non si troverà a scegliere sistematicamente l’una o l’altra opzione; pertanto, quando si parlerà di “scelta” si chiede al lettore di ricordare che non è una sola scelta, ma si potrebbe pensare che vi è una scelta che concerne la voce, una scelta che riguarda invece l’uscita oppure una scelta sulle modalità e intensità che l’individuo intende attribuire ai propri comportamenti (mediante appunto le reazioni di uscita e voce). Per quanto riguarda la voce, ad esempio, non dobbiamo concentrarsi su essa come una scelta dicotomica di un individuo concernente la opportunità o meno di parlare; questo ci impedirebbe di capire se e come quella voce viene ascoltata e su cui si agisce per apportare il cambiamento, che essenzialmente è lo scopo fondamentale della voce (Satterstrom et al., 2020). Inoltre, come vedremo, una scelta netta tra le due opzioni (uscita e voce) non è pensabile dal momento in cui esse possono combinarsi tra loro, oppure viceversa, essere entrambe rifiutate (Keeley, Graham, 1991). Infine, è necessario sottolineare anche il fatto che quest’ultimo scenario, ossia quello caratterizzato dall’assenza di entrambi i meccanismi, è preso in considerazione relativamente ad una situazione di insoddisfazione e conflitto tra dipendenti e organizzazione di lavoro. Quindi, in questo elaborato non sarà analizzata la situazione di assenza di uscita e voce determinata dalla assenza di insoddisfazione da parte dei lavoratori, e dunque, caratterizzata dall’assenza di conflitti organizzativi.

Come Hirschman (2017) affermava, i due «meccanismi» che egli definiva «di recupero», esistono in una relazione complessa e altamente soggetta a variazioni a seconda della situazione. In alcuni casi, l’uscita risulta la scelta più efficace, in altri la voce può risultare più efficace dell’uscita; ma, ad esempio, se l’uscita rappresenta una opzione facile, i soggetti non si preoccupano della voce (Hirschman, 2017), quindi si verifica un vero e proprio “ridimensionamento quantitativo e

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qualitativo della protesta” (Pasquino, 2014 : 175). La voce è descritta da Hirschman come un’arte in continua evoluzione che tende verso nuove direzioni. Ma la presenza dell’opzione uscita potrebbe indurre l’individuo a tendere verso la stessa perché riterrà la voce più costosa e meno efficiente, pertanto “la presenza dell’alternativa uscita potrebbe tendere a atrofizzare lo sviluppo

dell’arte della voce” (Hirschman, 2017 : 59). Ma contrariamente, se i membri ritengono che la

voce sia efficace o “le barriere alla loro defezione sono molto elevate, cercheranno e troveranno modo di protestare” (Pasquino, 2014 : 175). La scelta dipenderà, ad esempio, dalla intensità delle insoddisfazioni dei lavoratori di fronte ad un cambiamento imposto dalla direzione, ma anche dal contesto e dal clima organizzativo; non esiste una opzione “giusta” per una determinata situazione. È necessario andare oltre, e pensare all’uscita e alla voce come due meccanismi che operano vicino, in una interazione reciproca; essi possono anche arrivare a scontrarsi, riducendo l’efficacia dell’altro, oppure trovarsi in una situazione di armonia e di equilibro necessari affinché l’effetto desiderato si concretizzi (Hirschman, 2017). L’interazione tra le due opzioni può manifestarsi in una loro combinazione, come è possibile osservare dalla fig. 2.2.

Fonte: adattata da Keeley, Graham (1991)

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La fig. 2.2 ricorda un asse cartesiano, la cui x è rappresentata dall’uscita, che consiste nel

defezionare (dalla organizzazione), al cui estremo, andando da destra verso sinistra, è collocata

l’azione del restare. In corrispondenza della y è stata collocata la voce. Anche in questo caso, vediamo come essa corrisponda all’azione di protestare, e scendendo verso il basso si procede verso il rimanere in silenzio. È possibile leggere il grafico procedendo per blocchi. In alto a sinistra si ha il caso in cui uno o più individui protestano, ma decidono di restare membri dell’organizzazione. In alto a destra, invece, si ha la presenza di entrambe le opzioni; vedremo come da questa situazione è possibile analizzare diversi scenari. Procedendo, in basso a destra vi è la situazione in cui uno o più individui decidono di abbandonare l’organizzazione di lavoro, senza protestare verso la stessa. Infine, si ha il caso in cui entrambi i meccanismi sono assenti. La fig. 2.2, dunque, mostra come non sia possibile pensare alle diverse possibilità come escludenti l’un l’altra, si pensi soprattutto al caso in cui entrambe sono presenti. Ma la figura (che risulta molto utile in quanto offre una visione più ampia rispetto alla mera scelta secondo cui se vi è l’uscita non vi è la voce, e viceversa) rimane comunque un po’ statica in quanto non mostra altre diverse combinazioni che possono esserci tra le opzioni uscita e voce. In effetti, le situazioni che possono venirsi a creare sono molteplici:

- Vi è il caso in cui uno o più lavoratori utilizzano la propria voce, e successivamente abbandonano l’organizzazione di lavoro;

- Il caso in cui uno o più lavoratori protestano per “annunciare” la propria uscita (questo in qualche modo richiama l’immagine descritta nel quadrante in alto a destra della figura); - In alcuni casi succede invece che i dipendenti abbandonano l’organizzazione di lavoro e

successivamente si rivolgono al management utilizzando la loro voce;

In questi tre casi si manifestano entrambe le azioni, uscita e voce, seppur con combinazioni (o meglio dire, tempistiche) differenti. Vi sono, però, anche altre situazioni in cui o l’uscita o la voce, oppure nessuna delle due, entrano in gioco:

- Il caso che concerne la situazione in cui uno o più lavoratori utilizzano la propria voce, azione a seguito della quale non segue l’uscita dall’organizzazione di lavoro (ciò corrisponde al quadrante in alto a sinistra della figura);

- Il caso in cui uno o più lavoratori «abbandonano silenziosamente» (Dowding et al., 2000) la propria organizzazione di lavoro senza aver precedentemente protestato (il riferimento è al quadrante in basso a destra della figura);

- Il caso in cui i lavoratori percepiscono dei problemi ma non agiscono né protestando né ricorrendo all’opzione uscita: è una situazione caratterizzata dall’assenza di entrambi i meccanismi (nella figura ritroviamo tale situazione nel quadrante in basso a sinistra).

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Dunque, la maggior parte delle possibili situazioni è riscontrabile nella precedente figura, ma sono emersi anche scenari differenti che non era possibile inserire a causa della loro “dinamicità temporale” (si evince una difficoltà a percepire la dinamicità soprattutto quando entrambi i meccanismi sono presenti).

Dunque, un lavoratore può essere insoddisfatto riguardo un certo cambiamento che è avvenuto all’interno della propria organizzazione e utilizzare la propria voce per esprimere le sue “disapprovazioni”. Oppure, può accadere che il lavoratore metta in atto una «silenziosa defezione» (Hirschman, 2017) per cui non prova neanche a esprimere la sua disapprovazione riguardo quella scelta presa dalla direzione. In questo caso, il soggetto “does not discern any point in complaining” (Dowding et al., 2000 : 473). Il fatto è che una volta abbandonata l’organizzazione di lavoro, viene meno la possibilità di utilizzare la voce (in realtà non è sempre così), ma non il contrario perché può accadere, in certe situazioni, che l’uscita rappresenti una “reazione estrema, che si verifica quando sia venuta a mancare la voce” (Hirschman, 2017 : 53).

Alla voce segue l’uscita

Se alla voce segue l’uscita significa che un lavoratore o un gruppo di lavoratori decide di mettere in atto una azione di protesta per far sentire la propria voce, e successivamente prenderà in considerazione (e metterà in atto) l’opzione uscita. La conseguenza è che in qualche modo la voce abbia fallito nel suo intento, perché i dipendenti non sono riusciti a far capire al management ciò che loro stessi percepiscono come problematico. Oppure, il management potrebbe anche, in primo luogo, ascoltare (apparentemente) ciò che i dipendenti esprimono in termini di bisogni ed eventuali richieste ma, in secondo luogo, ignorare totalmente le stesse (questo può essere il caso in cui si verifica il fenomeno della pseudo voce che verrà approfondito successivamente). Dunque, i due meccanismi avvengono in due tempi differenti:

t1 = voce → t2 = uscita

La voce – protesta – avviene in un tempo t1. Per le diverse ragioni sopra descritte, la voce non

risulta efficace come i lavoratori speravano. Ne consegue l’uscita, la quale avverrà dopo aver compreso che non ci sono stati cambiamenti, quindi in un momento successivo, al tempo t2.

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La voce a seguito dell’uscita

Vi sono ricerche che dimostrano che a volte i lavoratori escono dalla loro organizzazione e denunciano ciò che secondo loro non va solo dopo che l’opzione voce non ha funzionato; questo perché sono stati ignorati dai supervisori a cui si sono rivolti (Rothschild, Miethe, 1999 cit. in Hoffmann, 2006). Questa è una ulteriore situazione in cui entrambi i meccanismi sono presenti, ma avvengono in due momenti distinti; inoltre, avvengono in maniera invertita rispetto alla situazione precedente. Dunque, troviamo che:

t1 = uscita → t2 = voce

Il fatto è che un membro può continuare “ad avere a cuore l’attività e la produzione dell’organizzazione perfino dopo averla abbandonata” pertanto “un’uscita completa è impossibile” (Hirschman, 2017 : 111). Quindi, un membro che ha a cuore l’operato dell’organizzazione, continuerà, dall’esterno, a “combattere” per il raggiungimento di un miglioramento interno della stessa.

Una uscita rumorosa

Vi è poi una situazione simile che vede come protagonisti l’uscita e la voce, ma con una differenza sostanziale: anche qui, ciò che cambia è il momento in cui i due «meccanismi di recupero» avvengono:

t1 = voce, t1 = uscita

Come è possibile intuire, sia la voce che l’uscita avvengono al tempo t1, quindi hanno luogo

contemporaneamente. Si tratta del caso secondo cui l’individuo sceglie l’opzione uscita e allo stesso tempo decide di parlare: tale situazione è stata definita come una «uscita rumorosa» che vede la voce come mezzo attraverso il quale l’individuo “pubblicizza” la propria decisione di uscire (Dowding et al., 2000). In tal caso, il lavoratore decide di annunciare ciò che sta per fare mediante una protesta.

Un aspetto da tenere in considerazione è il fatto che il lavoratore (o più lavoratori) dopo aver utilizzato la propria voce (a prescindere che essa sia presente prima, dopo o durante l’uscita), devono dare del tempo all’organizzazione per reagire (Hirschman, 2017). Quanto tempo servirà al management per reagire, dipenderà dalla situazione. Dowding et al. (2000) affermano che, ad esempio, un cittadino che si lamenta di un lampione presso una amministrazione locale probabilmente avrà una risposta quasi immediata, mentre se delle persone esprimono la propria

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preoccupazione per quanto concerne l’operato del proprio governo, non possono fare altro che attendere anche qualche anno per vedere se vi è stato un miglioramento. A prescindere dalla situazione, dopo aver utilizzato la voce, si dovrà valutare se vi è stato un miglioramento o meno e decidere se riutilizzare la voce, utilizzare l’uscita oppure utilizzare la voce contemporaneamente all’uscita.

Ma Hirschman va oltre i due meccanismi, introducendo il concetto di lealtà14, il quale fa

riferimento a quel peculiare attaccamento di un membro verso la propria organizzazione di lavoro (Hirschman, 2017); dunque, si tratta della lealtà nei confronti di una determinata organizzazione15.

Essa rappresenta la chiave per comprendere quali sono le condizioni che favoriscono l’uscita oppure la voce (Hoffmann, 2006).

Alcuni autori leggono la lealtà come una terza opzione rispetto all’uscita e alla voce, come ad esempio Rusbult, Zembrodt e Gunn (1982) che hanno elaborato un modello denominato EVLN (Exit, Voice, Loyalty, Neglect); si tratta di un modello secondo il quale vi sono quattro diverse risposte comportamentali all’insoddisfazione, appunto l’uscita e la voce, ma anche la lealtà e la trascuratezza16.

14 Graham e Keeley (1992) affermano che quando ci riferiamo alla lealtà dobbiamo considerare tutte le

alternative e le etichette che evoca: pensiamo infatti a costanza, fedeltà e devozione; allo stesso tempo però, se la lealtà viene meno, probabilmente pensiamo alla slealtà e al tradimento. Lo stesso Hirschman ha affermato che l’uscita “ha finito con l’essere etichettata come diserzione, defezione e tradimento” (Hirschman, 2017 : 35). In generale, si tratta dunque di termini carichi di valore (Graham, Keeley, 1992).

15 La lealtà è stata esaminata, oltre che in termini di fedeltà all’organizzazione, come lealtà verso gli ideali

o gli obiettivi della stessa. Alcuni studiosi hanno esplorato concetti simili a quello di lealtà, come l’impegno o l’attaccamento. Secondo Meyer e Allen (1997) l’impegno è caratterizzato da tre componenti: affettiva,

normativa e di continuità. L’impegno affettivo fa riferimento all’attaccamento emotivo di un dipendente

verso la propria organizzazione di lavoro, ma anche all’identificazione con esso. L’impegno normativo concerne il senso di responsabilità morale. Infine, l’impegno di continuità è l’impegno che un dipendente ha nei confronti della propria organizzazione in quanto necessità di uno stipendio, pertanto questa componente, rispetto alle altre due, è quella più razionale e fa riferimento ad una specie di calcolo costi- benefici da parte del lavoratore (Meyer, Allen, 1997 cit. in Hoffmann, 2006).

16 Le opzioni uscita e voce, nel modello EVLN, sono intese come le intendeva Hirschman. La lealtà, invece,

in questo modello significa aspettare che la situazione migliori e ciò avviene in maniera passiva: si tratta quindi di una vera e propria opzione, in alternativa alle altre; è qui che è possibile osservare la differenza sostanziale con la tesi originale. Il modello introduce, inoltre, la trascuratezza, la quale presuppone una riduzione dell’impegno da parte degli individui nella relazione e lo sviluppo di atteggiamenti negativi verso il partner (perché gli studiosi elaborarono il modello analizzando le relazioni intime) oppure possiamo dire verso l’organizzazione di lavoro: in un contesto lavorativo questo comportamento si ha quando un lavoratore manifesta un progressivo minore interesse nei confronti del proprio lavoro e delle attività che deve svolgere, e, ad esempio, ciò accade mediante ritardi cronici e assenze (Dowding et al., 2000) . Anche Farrell e Rusbult (1992) vedono la lealtà come una terza opzione: per gli autori si tratta di una reazione passiva ma costruttiva che i lavoratori mettono in atto, nell’attesa di un miglioramento delle condizioni attuali. In qualche modo consiste quindi nel fornire (anche se passivamente) supporto alla propria organizzazione di lavoro. Secondo gli autori, infatti, non vengono messe in atto azioni che possano apportare conseguenze negative per la stessa: vi è fiducia nella organizzazione.

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Per altri, coerentemente alla tesi di Hirschman, la lealtà è invece intesa “as a contingency that shapes wheter people will exit or voice” (Hoffmann, 2006 : 2313). In questo elaborato, la lealtà viene intesa come descritta dalla Hoffmann e dunque, come veniva considerata dall’economista tedesco, che in effetti afferma che “loyalty is a key concept in the battle between exit and voice” (Hirschman, 1970 : 82 cit. in Mulé, 2014 : 126), in quanto l’intento è quello di capire il livello della lealtà dei membri dell’organizzazione di lavoro e quanto essa influisce nel determinare un certo comportamento oppure un altro.

Hirschman (1970) suggerisce che la lealtà rende chiaramente meno probabile l’uscita; in effetti, afferma che se il rapporto tra le persone e l’organizzazione è improntato alla lealtà, “l’uscita, in caso di insoddisfazione, sarà costosa” (Hirschman, 2017 : 12); ma, allo stesso tempo, si chiede se la lealtà conferisce più spazio alla voce. L’autore afferma che i principali fattori che inducono gli individui a ricorrere alla voce piuttosto che all’uscita sono:

(1) la disponibilità a scambiare la certezza dell’uscita con le incertezze di un possibile miglioramento dopo la voce, e

(2) l’idea che i membri stessi hanno della propria capacità di influenzare l’organizzazione a cui appartengono.

Hirschman ritiene che il primo fattore sia appunto legato alla lealtà. Emerge il concetto di lealtà di gruppo, il quale dipende dall’identificazione che ogni membro ha con il gruppo al quale appartiene (Dowding et al., 2000)17.

Loyalty does not normally mean a mere reluctance to leave a collectivity but rather a positive commitment to further its welfare by working for it, fighting for it and – where one thinks it has gone astray – seeking to change it. Thus, voice (as well as other forms of activity) is already built into the concept of loyalty (Barry, 1974 : 98 cit. in Dowding et al., 2000 : 477).

17 Emerge l’importanza dell’identità sociale di Turner e Tajfel e il concetto dell’identità sociale cui si è fatto

più volte riferimento. In generale, la teoria sottolinea che l’immagine che gli individui hanno di sé stessi si ha in base all’appartenenza a determinati gruppi e categorie. Tajfel (1978) sottolinea come il comportamento interpersonale sia differente da quello in situazioni gruppo. Vi sono tre criteri che permettono di comprendere tale distinzione: la presenza o l’assenza di almeno due categorie sociali chiaramente identificabili (es. lavoratore e datore di lavoro), il grado di variabilità del comportamento delle persone all’interno di un determinato gruppo (il comportamento intergruppi tendenzialmente risulta omogeneo mentre il comportamento interpersonale è caratterizzato da molteplici differenze individuali) e, infine, si ha il terzo criterio che concerne il grado di variabilità negli atteggiamenti e comportamenti di un individuo nei confronti dei membri di altri gruppi. Tajfel ha collato il comportamento sociale lungo un

continuum che va dalla polarità «intergruppi» alla polarità «interpersonale». Nella polarità intergruppi,

l’interazione è data dall’appartenenza a determinati gruppi e alle relazioni tra essi, mentre nella polarità interpersonale, l’interazione dipende dagli individui e dalle loro caratteristiche personali e relazioni interpersonali (Brown, 2000).

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La lealtà fa quindi riferimento a un impegno che il membro dell’organizzazione ha nei confronti della stessa perché si impegna nel suo miglioramento18, e come afferma Barry nella definizione

di cui sopra, “lottando per essa”, attraverso, ad esempio, il ricorso alla voce. La lealtà risulta essere propedeutica alla voce: “la lealtà argina l’uscita e attiva la voce” (Hirschman, 1982a : 65 cit. in Pasquino, 2014 : 178). Si evince, dunque, uno stretto legame tra lealtà e voce, ma anche in questo caso risulta necessario esplorare ancora più a fondo la relazione tra i vari elementi presi in considerazione.

L’utilizzo dell’opzione voce “escludendo” l’opzione uscita

È possibile pensare al fatto che dei membri di una organizzazione utilizzano la propria voce per esprimere ciò che secondo loro non va o ciò che l’organizzazione ha “tolto” loro; i dipendenti di quell’azienda sicuramente cercheranno di tutelare loro stessi e i propri interessi e cercheranno di migliorare le proprie condizioni di lavoro. Ma se la loro lealtà verso l’organizzazione è molto alta, utilizzeranno la loro voce anche per far capire al top management che deve cambiare qualcosa per migliorare il funzionamento generale dell’organizzazione. Questa è la situazione secondo la quale i dipendenti utilizzano l’opzione voce per farsi sentire dalla propria organizzazione e successivamente decidono di rimanere membri della stessa, non prendendo quindi in considerazione l’idea di licenziarsi.

Può accadere che dei dipendenti ricorrano alla voce e non all’uscita per il fatto che l’opzione uscita non sia disponibile, pertanto l’unico modo che le persone hanno per comunicare il proprio disagio è attraverso la voce. Se il costo dell’uscita è troppo elevato, la voce è l’unico modo per esprimere l’insoddisfazione (Hirschman, 2017).

Si evince ancora una differenza di interazione tra i meccanismi: nel primo caso è il fattore lealtà, dal quale dipende l’attaccamento dei dipendenti all’azienda; e questi non prenderanno in considerazione l’uscita proprio per l’elevato grado di lealtà che essi hanno. Nell’altro caso, i dipendenti non ricorrono all’opzione uscita per il fatto che questa risulta molto costosa. Uscire

18 Leck e Saunders (1992) hanno affermato che secondo loro è preferibile utilizzare il termine «pazienza»

se ci riferiamo alla lealtà come una risposta comportamentale. Secondo loro il termine lealtà è usato anche per descrivere un atteggiamento, mentre la pazienza è più appropriato per descrivere un comportamento. Gli autori non contestano che una persona leale possa agire con pazienza, ma ritengono che ci siano molti altri comportamenti che le persone leali possono compiere oltre ad essere pazienti (vedi Graham, Keeley, 1989). Utilizzare la pazienza riferendosi alla lealtà comportamentale significa descrivere il costrutto in modo più preciso, e separa la causa (la lealtà come atteggiamento) dall’effetto (la pazienza come comportamento).

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costerebbe molto al dipendente, ad esempio, nel caso in cui fosse quasi sicuro di non trovare altre occupazioni.

Una uscita silenziosa

La lealtà di un individuo verso la propria organizzazione di lavoro potrebbe essere molto bassa. In questo caso, egli non si preoccuperà molto di far capire al management che qualcosa non va. In effetti, spesso chi sceglie la strada dell’uscita non è interessato a fornire quelle informazioni necessarie affinché la direzione possa apportare dei miglioramenti all’organizzazione (Hirschman, 1987). E con molta facilità quel lavoratore defezionerà silenziosamente l’organizzazione (Hirschman, 2017).

Quando un individuo ricorre all’uscita senza aver precedentemente protestato e fatto sentire la propria voce, non ha dunque tentato di sollecitare, almeno in maniera diretta, un miglioramento dell’organizzazione. L’uscita in questo caso può finire per essere “etichettata come diserzione,