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Differenza negli interessi e conflitto organizzativo

2.2. Il conflitto nelle organizzazioni

2.2.2. Differenza negli interessi e conflitto organizzativo

Come accennato sopra, un’altra dinamica intraorganizzativa che può verificarsi nell’ambito della vita organizzativa – e la cui attenzione risulta centrale in questo elaborato – è quella relativa ai conflitti. Strettamente legato al concetto di conflitto, vi è quello di interesse (e anche quello di potere).

Può accadere che gli individui abbiano diverse opinioni su una questione e vogliano mettere in atto azioni differenti; e questo condurrà ad una tensione tra le parti che in qualche modo dovrà risolversi. I modi attraverso cui tali tensioni possono risolversi sono diversi: può trattarsi di un modo autocratico («lo faremo così»), oppure burocratico («dobbiamo farlo così»), tecnocratico («è meglio farlo così») oppure democratico («come dobbiamo farlo?»)9 (Morgan, 2002). La scelta

9 Morgan (2002) attraverso la metafora politica (dunque, pensando alle organizzazioni in quanto sistemi

politici) riconosce che il fenomeno organizzativo sia politico, nel senso che esso rappresenta modalità concrete di garantire l’ordine e il coordinamento delle azioni degli individui caratterizzati da interessi potenzialmente differenti e conflittuali. Gli stili attraverso i quali si cerca di mantenere l’ordine possono essere diversi (e la scienza politica in questo caso offre un grande contributo alla teoria dell’organizzazione):

- Autocrazia: fa riferimento ad un governo il cui potere è detenuto nelle mani di un singolo individuo

o da un gruppo limitato di individui.

- Burocrazia: il potere e la responsabilità sono nelle mani dei burocrati che siedono dietro i bureaux,

i quali producono regole per governare l’attività organizzativa; il potere è correlato alla conoscenza e all’uso che viene fatto delle regole.

- Tecnocrazia: il potere e le responsabilità sono strettamente legale alla conoscenza e alla

responsabilità del singolo individuo; dunque, gli individui acquisiscono o perdono potere a seconda della crucialità e importanza delle loro competenze. Ne consegue una struttura di governo più fluida rispetto alle due precedenti.

- Democrazia: in questo caso il potere risiede nel demos, ossia nel popolo; può essere esercitato

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tra questi diversi modi di risoluzione “dipende generalmente dai rapporti di potere esistenti tra gli attori interessati” (Morgan, 2002 : 213). Dunque, gli interessi sono quelle attitudini che “comprendono obiettivi, valori, desideri, aspettative e tutta una serie di altri fattori e predisposizioni che portano un individuo a comportarsi in un certo modo piuttosto che in un altro” (ibid.). È possibile pensare agli interessi come suddivisi in tre ambiti, i quali fanno riferimento all’obiettivo organizzativo (mansione), alla carriera e alla vita personale (interessi extraorganizzativi), come è possibile osservare dalla fig. 2.1.

Fonte: Morgan (2002)

Dunque, gli interessi relativi all’obiettivo organizzativo concernono le attività che il lavoratore deve svolgere durante il suo lavoro. Ma “la vita lavorativa non si esaurisce nel semplice espletamento della propria mansione” (ibid. : 215) in quanto ogni lavoratore porta con sé tutte quelle che sono le proprie aspettative e anche i progetti per il futuro. Di qui, l’attenzione si sposta verso quelli che sono gli interessi riguardanti la carriera. Infine, vi sono gli interessi extra organizzativi, i quali fanno riferimento alla personalità, agli atteggiamenti e alle preferenze delle persone che hanno origine al di fuori dell’ambiente lavorativo. La fig. 2.1 mostra come i tre ambiti

rappresentati nei processi decisionali oppure il potere può essere esercitato attraverso forme di governo partecipativo, durante il quale ogni attore prende parte e dice la sua durante il processo decisionale (Morgan, 2002).

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di interessi possono intersecarsi (osserviamo le zone di colore grigio chiaro) oppure possono anche essere separati. Una organizzazione può tentare di raggiungere un equilibrio tra i diversi interessi (osserviamo l’area grigio scuro) ma spesso questo è difficile perché possono venirsi a creare delle tensioni. Inoltre, Morgan sottolinea che essendo una zona molto piccola, “la razionalità dei comportamenti organizzativi risulta essere un fenomeno molto raro” (Morgan, 2002 : 214). Ricordiamo poi che il grado di sovrapposizione tra i tre ambiti non è sempre lo stesso per tutte le situazioni, anzi esso varia al variare della situazione. Per ogni individuo la tensione tra i tre diversi interessi può cambiare. Infatti, alcune persone possono anteporre la propria mansione agli altri interessi, altri possono essere orientati alla carriera. Altri ancora cercano di “rendere il lavoro meno pesante possibile, o, addirittura, […] di coniugarlo, fin dove possibile, con i propri interessi (ibid. : 216).

Ciò che risulta interessante è cercare di comprendere se una organizzazione prende in considerazione gli interessi dei propri dipendenti, se tiene conto delle esigenze che i dipendenti hanno e la loro volontà ma anche la possibilità di una “sovrapposizione” tra i tre ambiti di cui sopra. Si pensi, ad esempio, ad una donna che lavora in un’azienda: sarà la donna a adattarsi completamente a quelle che sono le esigenze e gli interessi lavorativi della propria organizzazione oppure anche quest’ultima si impegnerà nel porre attenzione agli interessi della donna?10

Auspicabilmente, una organizzazione dovrebbe tener conto della diversità degli interessi e aspirazioni dei propri membri. Dunque, se ciò non accade, può accadere che gli interessi della organizzazione e gli interessi dei membri arrivino a scontrarsi. E questo produce conflitti tra le parti.

Dunque, il conflitto tra due o più persone può essere inteso come una situazione di disaccordo o contrasto riguardante idee, interessi, posizioni. Il conflitto produce una situazione in cui vi è un disaccordo tra le parti e alcuni degli attori in gioco percepiscono che i risultati di altri vanno ad interferire con i propri (Hatch, 2013). Questo richiama l’interdipendenza negativa descritta da Lewin, secondo cui l’ottenimento dei risultati di una parte implicheranno necessariamente la “sconfitta” o comunque una perdita per l’altra parte. Si tratta dei conflitti a somma zero, in cui appunto alla fine del conflitto le perdite di una parte sono uguali ai guadagni dell’altra parte. Il conflitto comunque non necessariamente è a somma zero. Possono esserci situazioni in cui i conflitti hanno una struttura di gioco a somma negativa, in cui i benefici della parte “vincente”

10 Durante la scrittura di questa parte del testo, si è fatto intenzionalmente riferimento ad una donna e non

un uomo in quanto la conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro risulta ancora oggi pesare maggiormente sulle donne. Spesso, infatti, le donne vanno alla ricerca di un lavoro part-time proprio per riuscire a conciliare tempi di vita e tempi di lavoro, con conseguenze negative soprattutto per quanto concerne lo stipendio (e quindi una sua diminuzione rispetto ad un lavoro a tempo pieno).

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sono di fatto inferiori rispetto alle perdite dell’altra parte, oppure a somma positiva, ossia caratterizzati dal fatto che entrambe le parti risultano in qualche modo vincenti.

Il conflitto può esser inteso come “un particolare tipo di interazione, contrassegnata dagli sforzi per ostacolare, costringere o danneggiare, e dalla resistenza e dalla ritorsione contro questi sforzi” (Kats, Kahn, 1966 : 615 cit. in Hatch, 2013 : 286). Il conflitto può essere esplicito, quindi manifesto, oppure latente, quindi che avviene “dietro la facciata degli eventi quotidiani” (Morgan, 2002 : 225); in ogni caso, esso dipende dal fatto che vi sono interessi divergenti. Il conflitto sul posto di lavoro emerge, dunque, quando una parte è un individuo o un gruppo di individui i cui obiettivi, valori o opinioni sono ostacolati da una controparte interdipendente (De Dreu, 2008). I conflitti possono nascere in conseguenza del fatto che gli individui, che fanno parte di una organizzazione, sono sempre più frustrati per quanto concerne le loro attività e le modalità di svolgimento delle stesse. Il fatto è che spesso le persone lavorano nelle organizzazioni senza poter prendere parte al processo decisionale relativo agli obiettivi da raggiungere. Di conseguenza, si ritrovano a doverli accettare e perseguire senza poter intervenire. Può trattarsi di un vissuto alienante (Francescato et al., 2011). La frustrazione aumenta perché i dipendenti si ritroveranno in qualche modo obbligati a svolgere mansioni ed attività imposte dai livelli superiori dell’azienda; la bassa discrezionalità e possibilità di intervento nel processo decisionale porteranno le persone ad essere mere esecutrici del proprio lavoro.

Il conflitto può essere di varia natura: personale, interpersonale o può essere tra gruppi o coalizioni concorrenti.

Il conflitto (intra)personale si ha quando, ad esempio, un lavoratore pensa che il suo capo abbia delle aspettative molto elevate riguardo la sua attività oppure quando il lavoratore ritiene di non essere abbastanza preparato per lo svolgimento di quella attività (Caporarello, 2017). Francescato

et al. (2011) parlano dei conflitti intrapsichici che un dipendente può vivere, e lo fanno

nell’ambito della dimensione psicodinamica del modello dell’Analisi Organizzativa Multidimensionale11. I conflitti dei dipendenti (appunto, intrapsichici) possono derivare da una

11 L’Analisi Organizzativa Multidimensionale (AOM) è uno schema di analisi elaborato da Francescato e

Ghirelli nel 1988; esso prende in considerazione quattro chiavi di lettura per lo studio dell’organizzazione, ovvero la dimensione strategica, la dimensione funzionale, la dimensione psicodinamica e la dimensione

psicoambientale. Si tratta di quattro approcci che operano contemporaneamente. La dimensione strategico- strutturale permette di osservare l’organizzazione dal punto di vista storico, senza prendere in

considerazione i membri che operano al suo interno; la dimensione funzionale concerne tutte le attività che devono esser svolte per il raggiungimento dell’obiettivo; la dimensione psicoambientale, invece, permette di porre l’attenzione alle risorse umane di una organizzazione (ad esempio, l’attenzione è posta ai bisogni dei dipendenti – vedi Maslow – ma anche alle percezioni che questi hanno del clima organizzativo entro cui operano). L’AOM rappresenta quindi un modello di analisi organizzativo che include variabili

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rivalità, da sentimenti di gelosia e invidia relativi alle attenzioni che il capo dà ad alcuni e non ad altri; oppure può accadere che si crei un conflitto tra dipendenti in quanto questi hanno come finalità quella di ricevere protezione dal capo. Infine, un’altra situazione concerne la creazione di una alleanza tra dipendenti contro il capo con la conseguente creazione, nel lavoratore, di sensi di colpa e sensazioni di paura. Francescato et al. (2011) ritengono che le strategie che i dipendenti utilizzano per difendersi siano volte a spostare l’attenzione verso l’esterno (ad esempio, verso un oggetto esterno) e ciò può portare alla confusione della responsabilità e alla non chiarezza dei ruoli, ma anche ad un comportamento vittimistico da parte dei dipendenti. Gli autori si occupano anche dell’altra faccia della medaglia, ossia i conflitti che un capo può trovarsi ad affrontare. Le situazioni sono varie e possono riguardare un conflitto tra tendenze di onnipotenza-impotenza, una ambivalenza tra il desiderio di dominio nei confronti dei dipendenti e il senso di colpa di tale desiderio, oppure, una sensazione di dipendenza dai dipendenti. Il capo allora potrà comportarsi in diversi modi, ad esempio rinunciando al proprio ruolo, delegando compiti e attività ai dipendenti, svolgendo compiti che non rappresentano una manifestazione della sua autorità oppure, contrariamente, mettere in atto una serie di comportamenti che vedono un uso dispotico dell’autorità. Si tratta di strategie difensive volte alla riduzione della propria autorità (Francescato

et al., 2011).

Il conflitto interpersonale, invece, coinvolge più individui; può scaturire da competizione e caratteristiche della personalità; ad esempio, si crea un conflitto tra due persone perché una prende le proprie decisioni in base all’intuito, mentre l’altra ha bisogno di tutta una serie di informazioni sulle quali basare la propria scelta (Caporarello, 2017).

Il conflitto, infine, può essere tra parti differenti (detto anche intergruppo); può trattarsi, ad esempio, del conflitto tra una organizzazione (in particolare, la direzione della stessa) e il sindacato. Il conflitto può essere causato dal fatto che le diverse parti della struttura organizzativa hanno differenti obiettivi ed interessi; pensiamo, ad esempio, alla situazione in cui la direzione di una azienda impone un cambiamento ai dipendenti e questi, percependo tale cambiamento come una imposizione che contrasta con i propri interessi o che comunque va a influire sulla propria condizione lavorativa, pongano le basi per un conflitto aperto con la direzione stessa. I dipendenti reagiscono nel momento in cui percepiscono un forte controllo esercitato su di loro da parte dell’impresa. La direzione può attuare un controllo organizzativo per far sì che i dipendenti

soggettive e variabili oggettive. Le quattro dimensioni sono connesse pertanto è possibile percepire l’interdipendenza tra le stesse. Un limite che è stato osservato è quello per cui tale analisi risulta inefficace in contesti caratterizzati da una elevata strutturazione gerarchica a causa della sua natura estremamente partecipativa, pertanto esso risulta molto utile in contesti caratterizzati da cooperazione e un elevato livello di parità tra i membri all’interno dell’organizzazione (Francescato et al., 2011).

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dell’azienda rispettino le regole e gli ordini per lo svolgimento delle loro attività, ad esempio a seguito di un cambiamento. Thomson (1967) ritiene che il controllo sia esercitato attraverso la manipolazione da parte dei livelli superiori nei confronti di quelli inferiori. Il controllo aumenta all’aumentare delle differenze ed esigenze tra membership e groupship; pertanto, quando i bisogni dei membri dell’organizzazione e i bisogni (e gli interessi) della stessa riescono a trovare un equilibrio, diminuisce l’esigenza di controllo (Catino, 2012; Quaglino et al., 1992).

Generalmente si considera il conflitto come una forza disfunzionale causata da circostanze o cause sfavorevoli (Morgan, 2002). Ma il conflitto non deve essere sempre inteso come un problema patologico da eliminare. Allo stesso tempo non possiamo pensare al conflitto come un qualcosa di esclusivamente positivo per l’organizzazione. In ogni caso si tratta di un fenomeno che può esser sempre presente nella vita organizzativa (Ferroni, Martini, 1978) o addirittura “dovrebbe rappresentare una fenomenologia sempre presente nella vita organizzativa” (Morgan, 2002 : 222). Sicuramente assumere l’idea secondo cui il conflitto fa parte della organizzazione significa dover assumere i rischi che il conflitto stesso comporta. Questo anche perché pensare di negare il conflitto aumenta la complessità della sua gestione: negando il conflitto non vi sarà una presa di coscienza da parte degli attori che lo hanno alimentato ma, anzi, le parti ignoreranno la problematica senza affrontarla. L’obiettivo, dunque, non deve essere quello di eliminare o ignorare il conflitto, ma quello di gestirlo in maniera costruttiva, cercando di ridurre le “perdite” e le conseguenze negative per le parti. Se nasce un conflitto tra dipendenti e azienda, come si comporteranno i dipendenti? E la direzione dell’organizzazione? Può accadere che una delle parti, ad esempio l’azienda, cerchi di ignorare il conflitto? Oppure esso sarà affrontato a fronte di un miglioramento dell’organizzazione stessa? Si tratta di una serie di domande che ritengo utili per la comprensione di alcune dinamiche comportamentali che possono avvenire a seguito di un conflitto in una organizzazione, e che pongono le basi di questa ricerca.