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L’introduzione di un cambiamento organizzativo

L’intento dell’elaborato ruota attorno a quelle dinamiche comportamentali che possono sorgere a seguito di conflitti tra i dipendenti e la propria organizzazione di lavoro. Precedentemente sono state presi in considerazione alcuni elementi di una organizzazione, quali la relazione che essa ha con l’ambiente, i bisogni dei dipendenti, il clima organizzativo, i differenti stili di leadership che un membro di status più elevato può adottare. Si tratta di elementi che giocano un ruolo fondamentale della vita organizzativa, e dunque anche quando all’interno di una organizzazione si creano dei conflitti tra gli attori che ne fanno parte.

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Come abbiamo osservato precedentemente, sussiste una relazione reciproca tra leadership e clima organizzativo. Poniamo che lo stile adottato dal leader sia di tipo autoritario – lewinianamente parlando – oppure, per dirla alla Bales, orientato al compito. L’idea di partenza è quella secondo cui un leader adotta dei comportamenti le cui caratteristiche sono riscontrabili in questi tipi di leadership. Ne consegue che i dipendenti e altri membri del gruppo presumibilmente si sentiranno in qualche modo “sfruttati” solo per lo svolgimento delle attività lavorative, o più in generale, per il raggiungimento dell’obiettivo finale o comunque ritengono che i propri interessi non siano presi in considerazione da parte del management.

Poniamo che vi sia un ulteriore fattore che entra il gioco: un cambiamento organizzativo. Se si verifica un cambiamento concernente il funzionamento dell’organizzazione, e che va a modificare alcune delle abitudini dei lavoratori, nasceranno dei conflitti? Se sì, come reagiranno i dipendenti? Avranno la possibilità di esprimere ciò che pensano, i propri disagi e le proprie frustrazioni? Sicuramente risulta necessario sottolineare che un cambiamento non necessariamente comporta dei conflitti e i conflitti non necessariamente derivano da un cambiamento. Si pensi ad esempio alla situazione in cui due persone non sono d’accordo su una questione e ne consegue un conflitto. Ci sono poi conflitti che si esplicitano in forme violente, cui seguono aggressioni fisiche tra le parti. Il nostro intento è quello di prendere in considerazione la situazione in cui si ha un cambiamento e questo avrà come conseguenza il conflitto tra le parti che non prevede violenza fisica; un conflitto che causa delle mobilitazioni non aggressive da parte dei dipendenti dell’organizzazione. Da sottolineare che ciò accade perché il cambiamento è stato voluto e indotto da una delle due parti. Entra in gioco quindi la volontà dell’azione, la pianificazione del cambiamento. Allora, la domanda che ci siamo posti: come agiscono – reagiscono – i dipendenti di un’azienda nel caso in cui questa metta in atto, volontariamente, un processo di cambiamento che va a influenzare direttamente l’attività dei lavoratori?

2.3.1. Alcune considerazioni

Si è affermato che può accadere che il top management prenda delle decisioni riguardanti il funzionamento dell’azienda, che possono successivamente produrre cambiamenti che andranno a influire in maniera diretta sulla vita lavorativa dei dipendenti.

Le decisioni che vengono prese assumono una diversa importanza a seconda della loro magnitudo e strategicità. Le decisioni possono essere collocate lungo un continuum che parte dalle decisioni di routine, dunque a bassa magnitudo, per arrivare alle decisioni strategiche, che quindi sono ad alta magnitudo (Catino, 2012). La diversa collocazione di una decisione dipende da diversi fattori,

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quali l’ambito di riferimento, quanto la decisione incide sui rapporti tra organizzazione e ambiente, se e quanti attori all’interno dell’organizzazione coinvolge. Catino sottolinea che una decisione strategica non necessariamente comporta un cambiamento maggiore rispetto a quello che deriverebbe da una decisione di routine; inoltre, una decisione strategica potrebbe essere l’insieme di più decisioni di routine, pertanto quella strategica rappresenterebbe l’atto finale di più decisioni di routine. Il top management, prima di prendere una determinata decisione, in particolare nel caso in cui essa preveda grandi conseguenze per i propri lavoratori, dovrebbe prendere in considerazione e vagliare tutte le possibilità che ha di fronte, esaminarle e valutarle per poi procedere e prendere una decisione effettiva, questo quindi cercando di non ostacolare una parte dell’organizzazione, ad esempio i propri dipendenti. Questo perché essi rappresentano, come si è sottolineato più volte, una delle componenti fondamentali per la vita e la sopravvivenza dell’organizzazione. Prima di prendere una decisione devono quindi essere presi in considerazione i bisogni e gli interessi dei dipendenti, ma sarebbe un errore se questi assumessero un peso determinante e quindi risultassero privilegiati rispetto a tutte quelle che sono le esigenze dell’organizzazione. Allo stesso tempo però, non è possibile non prenderli in considerazione (Ferroni, Martini, 1978). Pertanto, risulta necessario trovare un giusto equilibrio tra membership e groupship (Quaglino et al., 1992).

Dunque, a seguito di decisioni che vengono prese dalla direzione, può avvenire un cambiamento organizzativo le cui conseguenze possono essere negative per i lavoratori. In generale, il cambiamento organizzativo è composto da due elementi: il contenuto e il processo (Barnett, Carroll, 1995). Il contenuto riguarda l’oggetto del cambiamento, pertanto lo studioso che si concentra su questo elemento si focalizzerà sul passato ma anche sulle conseguenze del cambiamento organizzativo. Il processo, invece, riguarda come il cambiamento si realizza e quindi lo studioso, in questo caso, si concentrerà sulla sequenza degli eventi nel tempo. Le due dimensioni sono comunque collegate fra loro e spesso è difficile analizzarle singolarmente: processo e contenuto esistono in una relazione circolare, la cui distinzione non è un qualcosa di oggettivo. Il contenuto del cambiamento può riguardare la composizione delle persone, del reclutamento, ma anche cambiamenti nella struttura, nelle funzioni oppure può riguardare le relazioni tra i livelli organizzativi e la performance (in relazione alla soddisfazione dei lavoratori e alla qualità del lavoro) (Catino, 2012).

Il fatto è che a seguito di un cambiamento indotto dalla organizzazione, i dipendenti possono non riuscire a individuarvi dei vantaggi o comunque arrivare a percepire aspetti negativi e peggioramenti concernenti la propria attività lavorativa; di conseguenza possono accrescersi

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resistenze al cambiamento, le quali possono arrivare a provocare situazioni caotiche (Ferroni, Martini, 1978).

Il clima gioca un ruolo cruciale perché se un clima può favorire una partecipazione bottom up12,

grazie anche alle azioni di promozione della stessa da parte del leader, allora un cambiamento può avere successo; viceversa, in assenza di una partecipazione da parte dei dipendenti e in presenza di una imposizione di cambiamento da parte della direzione, facilmente possono crearsi conflitti via via sempre più aspri (Ferroni, Martini, 1978).

I dipendenti di un’azienda di fronte ad un cambiamento relativo al loro modo e tempo di lavoro, con molta probabilità percepiranno incertezza e ambiguità; per questo motivo cercheranno di dare senso alla situazione che stanno vivendo. Metteranno in atto quel processo di sensemaking descritto da Weick (1997).

Viewed as a significant process of organizing, sensemaking unfolds as a sequence in which people concerned with identity in the social context of other actors engage ongoing circumstances from which they extract cues and make plausible sense retrospectively, while enacting more or less order into those ongoing circumstances (Weick et al., 2005 : 409).

Weick afferma che le organizzazioni sono il prodotto di una ricerca collettiva di significato attraverso cui viene ordinata l’esperienza (che comunque non necessariamente avviene in modo razionale e consapevole); ciò avviene mediante l’enactment (attivazione) di convinzioni che gli individui hanno sulla realtà. Il sensemaking consiste in quella costruzione di significato da parte degli individui. Gli individui cercano di dare ordine a ciò che accade intorno a loro, come ad esempio i lavoratori che cercano di fornire un senso al cambiamento organizzativo che la direzione ha imposto loro. Allora accade che questo dare ordine all’esperienza avviene mediante processi cognitivi che hanno lo scopo di creare possibili relazioni causa-effetto; ciò darà luogo a delle mappe cognitive, ossia delle costruzioni di senso rispetto a ciò che accade. Gli individui, dunque, costruiscono e ricostruiscono il proprio ambiente attivandolo attraverso queste mappe cognitive e processi di sensemaking. Quindi i concetti chiave del pensiero di Weick sono l’identità, l’enactment e i modelli mentali condivisi. Come già accennato precedentemente, Weick ricorda che non dobbiamo confondere il sensemaking con l’interpretazione in quanto si tratta di due attività distinte.

L’autore individua quattro fasi del processo di sensemaking:

12 La partecipazione bottom up fa riferimento alla partecipazione dal basso; in questo caso si fa riferimento

a quella dei dipendenti di una organizzazione al processo decisionale dell’azienda o comunque al fatto che la direzione si occupi, prima di prendere delle decisioni che avranno delle conseguenze sui dipendenti, di ascoltare le loro idee, pensieri ed eventuali preoccupazioni e insoddisfazioni.

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- Una fase concerne i cambiamenti che avvengono nell’ambiente, ossia quei cambiamenti che rendono discontinua l’esperienza dei soggetti;

- La fase dell’enactment in cui il soggetto si muove alla ricerca di dati e informazioni per poi mettere in atto il processo di sensemaking;

- La fase della selezione durante la quale vengono selezionati determinati dati e informazioni ambigue; la selezione avviene retrospettivamente e permette una messa in ordine all’interno dell’ambiente attivato;

- Infine, si ha la fase della ritenzione che concerne l’archiviazione delle informazioni e delle esperienze passate, le quali influenzeranno le future attività di sensemaking da parte degli attori.

Da sottolineare, però, come tali fasi non avvengono necessariamente una dopo l’altra, ma dobbiamo pensare a questo processo in modo circolare.

Il sensemaking rappresenta quindi quel processo mediante il quale i soggetti conferiscono significato a ciò che si presenta loro davanti e modifica le proprie realtà presenti. Weick pensa al

sensemaking come una attività che permette di dare senso ma anche che permette l’esistenza

stessa dell’organizzazione; questo perché siamo “continuamente chiamati a svolgere un ruolo attivo nel processo […] di concretizzazione delle nostre realtà, anche se queste realtà possano imporsi su di noi come la cosa più ovvia e scontata del mondo” (Morgan, 2002 : 188).