Analisi dei fattori di pericolosità geologica presenti nella città di Roma attraverso l'esame di alcuni casi di studio
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(2) Dedico questo mio lavoro a Renato Funiciello. Questa tesi non sarebbe mai iniziata e non si sarebbe sviluppata senza le idee, la competenza e l’apporto anche umano di Renato che purtroppo, per la prematura scomparsa nell’agosto del 2009, non ha potuto seguire fino in fondo la mia attività di dottorato. Sono sicuro che molti dei dati e delle analisi contenuti nella tesi avrebbero stimolato la sua, enorme, curiosità e gli avrebbero dato sicuramente spunto per altri filoni di ricerca. Mi lega a lui un profondo sentimento di stima ed affetto. Tale sentimento mi ha accompagnato nel lavoro di dottorato per cercare di arrivare a risultati che fossero all’altezza delle importanti produzioni scientifiche di Renato sull’area romana..
(3) RINGRAZIAMENTI. Esprimo innanzitutto la mia gratitudine al Prof. Maurizio Parotto, che dopo la scomparsa del Prof. Renato Funiciello, ha fatto da tutor per questa tesi, per i suoi consigli e per l’affetto che mi ha manifestato. Ringrazio poi l’Ufficio Extradipartimentale di protezione civile del Comune di Roma, e in particolare la dott.ssa Patrizia Cologgi, per la messa a disposizione della documentazione tecnica relativa alle indagini condotte nella zona di Via Galatea a seguito del sinkhole verificatosi nel 2008. Ringrazio anche la Soprintendenza Archeologica di Roma, e in particolare l’Arch. Pia Petrangeli, per l’autorizzazione all’uso dei risultati delle indagini geognostiche realizzate nel Septizonium. Mi preme anche esprimere la massima riconoscenza ai colleghi dell’Istituto di Geoingegneria e Geologia Ambientale e dell’Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali del Consiglio Nazionale delle Ricerche per il fattivo e stimolante lavoro di equipe svolto negli studi sul Colle Palatino. Un ringraziamento particolare va agli amici Chiara Proietti, per l’ausilio fornitomi nella gestione dei dati interferometrici satellitari, Maurizio Lanzini, per la collaborazione prestatami negli studi riguardanti il Fosso della Valle dell’Inferno, il Septizonium e i sinkholes di Via Galatea, e Massimo Parente, per la modellazione dei cedimenti del Septizonium. Devo infine ringraziare mia moglie e i miei due figli per la pazienza con la quale hanno sopportato la sottrazione di tempo a loro dedicato dovuta alle attività di dottorato..
(4) INDICE. 1. INTRODUZIONE. 1. 2. FATTORI DI PERICOLOSITA’ GEOLOGICA NELLA CITTA’ DI ROMA. 3. 2.1. Inquadramento geologico e idrogeologico della città di Roma. 2.2. 3. 2.1.1. Premessa. 3. 2.1.2. Caratteri geologici. 3. 2.1.3. Caratteri idrogeologici. Fattori di pericolosità. 3. DATI RADAR SATELLITARI. 14 23 35. 3.1. Premessa. 35. 3.2 RADAR. 35. 3.3. Sistema SAR. 36. 3.4. Sensori SAR e loro modalità di acquisizione. 37. 3.5 Immagini SAR. 40. 3.6 Inteferometria SAR (InSAR). 41. 3.7 Interferometria DInSAR. 45. 3.8. Interferometria SAR multi-interferogramma o Persistent Scatterers Interferometry (PSI).. 46. 3.9 La tecnica multi-interferogramma dei Permanent Scatterers (PSInSAR). 47. 3.10 Dati PS su Roma. 49. 4. PERICOLOSITA’ NELLE PIANE ALLUVIONALI. 56. 4.1. Introduzione. 56. 4.2. Le piane alluvionali della città. 57. 4.3. La piana del Tevere nella zona del centro storico: falde idriche superficiali, subsidenza. 62. 4.3.1. Caratteri geologici. 62. 4.3.1.1. Inquadramento geologico. 62. 4.3.1.2. Stratigrafia. 64. 4.3.2 Caratteri idrogeologici. 4.3.3. 73. 4.3.2.1. Inquadramento idrogeologico. 73. 4.3.2.2. Permeabilità dei terreni. 74. 4.3.2.3 Piezometria. 75. Caratteri geotecnici. 87 I.
(5) 4.4. 4.3.4 Pericolosità legate alla presenza di falde idriche a poca profondità. 90. 4.3.5 Pericolosità legata alla presenza nel complesso alluvionale di terreni compressibili. 92. La Valle del Fosso dell’Inferno: gli impatti sulle falde idriche di un’opera in sotterraneo. 101. 4.4.1. Premessa. 101. 4.4.2. Caratteri geologici. 103. 4.4.2.1. Inquadramento geologico. 103. 4.4.2.2. Stratigrafia. 105. 4.4.3. 109. 4.4.3.1. Inquadramento idrogeologico. 109. 4.4.3.2. Caratteristiche idrodinamiche dei terreni. 110. 4.4.3.3 Piezometria. 111. 4.4.3.4 Assetto idrogeologico locale. 117. 4.4.4 Rapporti tra l’opera e l’assetto geologico e idrogeologico locale. 118. 4.4.5 Simulazione degli impatti dell’opera sulle falde idriche. 120. 4.4.6 4.5. Caratteri idrogeologici. 4.4.5.1 Descrizione del modello e delle condizioni impostate nelle simulazioni. 120. 4.4.5.2. Risultati delle simulazioni. 123. 4.4.5.3. Confronto tra simulazioni e situazione post operam. 128. Conclusioni. 131. La valle del fosso Labicano: i cedimenti del Septizodium. 132. 4.5.1. Premessa. 132. 4.5.2. Storia del Septizodium. 132. 4.5.3 La struttura dell’edificio e delle sue fondazioni 4.5.3.1. 4.5.4. 4.5.5. 4.5.6. La ricostruzione plano-altimetrica dell’edificio. 135 135. 4.5.3.2 Le fondazioni e la loro inclinazione. 138. 4.5.3.3. 140. Le parti in elevato. Caratteri geologici. 141. 4.5.4.1. Inquadramento geologico. 141. 4.5.4.2. Stratigrafia nell’area del Septizodium. 144. Caratteri geologico-tecnici. 148. 4.5.5.1. 148. Caratteri idrogeologici. 4.5.5.2 Caratteri geotecnici. 149. Analisi dell’inclinazione delle fondazioni. 150. 4.5.6.1. 150. Considerazioni generali. II.
(6) 4.5.7. 4.5.6.2. Calcolo delle tensioni indotte sul terreno. 151. 4.5.6.3. Storia dell’incremento dei carichi. 152. 4.5.6.4. Modello geologico-tecnico per la stima dei cedimenti. 153. 4.5.6.5 Calcolo dei cedimenti in base alla teoria di Terzaghi. 154. 4.5.6.6 Calcolo dei cedimenti agli elementi finiti. 161. Conclusioni. 165 169. 5. PERICOLOSITA’ DOVUTA A CAVITA’ SOTTERRANEE 5.1. Premessa. 169. 5.2. Cavità sotterranee nella città di Roma. 169. 5.3 Sinkholes nella città di Roma. 170. 5.4. 175. Correlazione tra i sinkholes avvenuti nel periodo 1992-2000 e i PS ERS. 179. 5.5 I Sinkholes di Via Galatea 5.5.1. Fenomeni avvenuti. 179. 5.5.2. Caratteri morfologici dell’area. 181. 5.5.3. Caratteri geologici dell’area. 183. 5.5.4 Caratteri idrogeologici dell’area. 185. 5.5.5 Indagini effettuate sulle cavità. 186. 5.5.6 Correlazione tra i sinkholes di Via Galatea e i PS RADARSAT. 189 191. 5.6 Conclusioni 6. PERICOLOSITA’ GEOLOGICHE NELL’AREA COLLE PALATINO E ZONE LIMITROFE 6.1. ARCHEOLOGICA. Premessa. 6.2 Il Progetto Palatino. DEL 194 194 195. 6.2.1. Obiettivi del progetto. 195. 6.2.2. Fasi di attività - gruppi di lavoro - dati acquisiti. 196. 6.3. Inquadramento storico del colle. 201. 6.4. Eventi storici di dissesto e stato attuale. 203. 6.5. Caratteri geologici. 205. 6.5.1. Elementi di aggiornamento rispetto alla cartografia ufficiale. 205. 6.5.2. Assetto geologico. 207. 6.5.3. Successione litostratigrafica. 210. 6.6. 6.5.4 Schema litologico di riferimento. 218. 6.5.5. 219. Elementi tettonici riconosciuti. Caratteri idrogeologici. 228. 6.6.1. 228. Inquadramento generale. III.
(7) 6.7. 6.6.2. Complessi idrogeologici. 229. 6.6.3. Circolazioni idriche sotterranee. 231. Caratteri geotecnici. 233. 6.7.1. Dati analizzati. 233. 6.7.2. Caratteristiche fisiche e proprietà indice. 234. 6.7.3. Caratteristiche meccaniche. 235. 6.8 Analisi dei fattori di pericolosità geologica 6.8.1. Fattori di pericolosità individuati. 6.8.2 Descrizione dei fattori di pericolosità. 6.9. 237 237 240. 6.8.2.1 Pericolosità legata a processi di crollo che interessano la rete caveale antropica. 240. 6.8.2.2 Pericolosità legata a processi di crollo, ribaltamento e scivolamento in ammassi rocciosi fratturati. 249. 6.8.2.3 Pericolosità legate a movimenti franosi di tipo complesso. 253. 6.8.2.4 Pericolosità legate a terreni molto compressibili. 254. Valutazione della suscettibilità al dissesto. 255. 6.9.1. 255. Aspetti metodologici. 6.9.2 Carta della suscettibilità al dissesto. 255. 6.9.3. 258. Correlazioni tra suscettibilità al dissesto e dati radar satellitari. 6.10 Microzonazione sismica. 267. 6.10.1 Aspetti generali. 267. 6.10.2 Sismicità di Roma. 268. 6.10.3. Carta di microzonazione sismica (Livello 1). 270. 6.11 Conclusioni 7. CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE. 272 277. 7.1. Sintesi dei risultati. 277. 7.2. Considerazioni metodologiche. 281. IV.
(8) 1. INTRODUZIONE L’attività di ricerca ha avuto come obiettivo quello di approfondire l’analisi di alcuni dei fattori di pericolosità legati alle caratteristiche geologico-tecniche e idrogeologiche dei terreni presenti nell’area urbana di Roma attraverso l’esame con metodi di indagine integrati (da quella storica, a quella geologico-tecnica con l’uso di modellazioni matematiche, fino a quella di remote sensing) di alcuni casi di studio ritenuti significativi in ragione delle problematiche affrontate e della disponibilità di dati. Gli studi sono stati condotti anche partecipando al “Progetto UrbiSIT” che l’Istituto di Geoingegneria e Geologia Ambientale del Consiglio Nazionale delle Ricerche sta realizzando per conto del Dipartimento della protezione civile con l’obiettivo di definire metodologie e realizzare prodotti operativi per la gestione della pericolosità geologica e per la microzonazione sismica in aree urbane. L’attività di ricerca svolta, oltre a permettere un approfondimento dell’analisi di alcuni dei fattori di pericolosità geologica noti per l’area romana, quali subsidenza, sprofondamenti legati a cavità sotterranee e frane (FUNICIELLO & COLOGGI, 2008) 1 , ha consentito di individuarne altri legati alle dinamiche idrogeologiche presenti nelle valli alluvionali del Tevere e dei suoi affluenti in grado di ingenerare, se non debitamente studiate nella fase di progettazione di opere in sotterraneo (metropolitane, parcheggi, reti di servizi etc), problemi anche gravi alle strutture in fase di costruzione e/o ai fabbricati adiacenti a tali strutture. L’attività ha riguardato in una prima fase problematiche di carattere generale con l’esame delle dinamiche geologiche ed idrogeologiche esistenti nelle piane alluvionali della città e degli sprofondamenti causati nell’area urbana da cavità sotterranee di origine antropica, principalmente cave nel sottosuolo per l’estrazione di materiali da costruzione. Nel primo caso è stata esaminata la pianura alluvionale del Tevere nel centro storico, nella zona di Campo Marzio e Prati, individuando e analizzando nel dettaglio i fattori di rischio legati alla presenza: a) di falde idriche in pressione collegate idraulicamente al fiume e di falde idriche molto superficiali nei terreni di riporto; b) di terreni molto compressibili. Sono stati poi esaminati due casi di studio particolari relativi alle interferenze tra edifici e terreni alluvionali: quello relativo ai possibili impatti sulle falde idriche sotterranee, in particolare quella contenuta nei terreni di riporto, dovuti alla costruzione del parcheggio sotterraneo del Nuovo Mercato Trionfale, situato nel tratto terminale di uno dei paleo affluenti di destra del Tevere e quello relativo ai cedimenti differenziali riscontrabili in un antico monumento romano come il Septizodium . Nel secondo caso sono stati esaminati in maniera incrociata i dati sui dissesti provocati da cavità sotterrane e i dati delle osservazioni da satellite al fine di individuare possibili movimenti precursori degli sprofondamenti. Sono stati in particolare analizzate le situazioni relative ai dissesti avvenuti a Roma tra il 1992 e oggi, periodo per il quale esiste la copertura di dati satellitari, esaminando in particolare il caso di studio relativo alla voragine avvenuta nel 2008 a Via Galatea. La ricerca si è quindi concentrata sullo studio del colle Palatino e aree limitrofe, case history principale dell’attività di ricerca svolta, in quanto in tale zona sussistono molteplici fattori di instabilità, quali frane, cavità sotterranee, cedimenti in terreni alluvionali, e in quanto nell’ambito 1. FUNICIELLO R. & COLOGGI P. (2008) - I fattori di pericolosità e lo sviluppo urbano. In: “La geologia di Roma. Dal centro storico alla periferia”, (FUNICIELLO R., PRATURLON A., GIORDANO G. ed.), Mem. Descr. Della Carta Geol. D'It., 80: 7-12.. 1.
(9) del Progetto Urbisit si sono resi disponibili una grande mole di dati geologici, geotecnici, geofisici, nonchè di dati radar satellitari, che permettono metodologie di studio integrate che posso essere utilizzate per l’analisi dei rischi geologici anche in altre zone dell’area urbana. Nell’ambito delle ricerche svolte sono stati più volte utilizzati dati interferometrici satellitari che sono stati messi a disposizione per le attività del presente dottorato dal Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La presente tesi è strutturata come segue: 9 nella sez. 2 vengono descritti, dopo un inquadramento geologico e geologico-tecnico della città di Roma, i fattori di pericolosità geologica presenti nell’area urbana così come individuati e studiati in base alla bibliografia scientifica esistente; 9 nella sez. 3 vengono descritte le tecniche di acquisizione e di elaborazione dei dati radar satellitari utilizzati per le attività di ricerca del presente dottorato, evidenziando i data set disponibili per l’area romana; 9 nella sez. 4 vengono approfondite le analisi sulle pericolosità geologiche presenti nelle piane alluvionali della città, dovute a dinamiche idrogeologiche e/o a terreni molto compressibili, studiando in particolare una zona posta nella piana tiberina (quartieri Campo Marzio - Prati Della Vittoria) e due zone poste lungo i paleo affluenti del Tevere, una in destra (Fosso della Valle dell’Inferno) e una in sinistra idrografica del fiume (Fosso Labicano); 9 nella sez. 5 viene approfondita l’analisi sulla pericolosità dovuta alla presenza di cavità di origine antropica nel sottosuolo della città confrontando i dati disponibili sui dissesti censiti con quelli derivanti dalle misure satellitari. Questo con lo scopo di individuare possibili movimenti precursori dei dissesti; a tale proposito viene esaminato nel dettaglio il caso di studio relativo alla voragine avvenuta nel 2008 a Via Galatea; 9 nella sez. 6 viene trattato il caso di studio principale della presente tesi che è quello relativo alle pericolosità geologiche presenti nell’area archeologica del Colle Palatino e zone limitrofe; l’analisi effettuata per tale zona ha utilizzato i risultati di indagini di vario tipo (geologiche, geotecniche, geofisiche, satellitari) e ha permesso di definire metodologie e esportabili ad altre zone urbane della città (archeologiche e non); 9 nelle sez. 7 vengono riportati sinteticamente i risultati raggiunti e discusse le potenzialità e le prospettive future dell’utilizzo nelle aree urbane di metodi di indagine integrati per le analisi di pericolosità e per il monitoraggio dei fenomeni di dissesto; 9 la bibliografia è riportata al termine di ogni capitolo; questo al fine di facilitare la lettura e trovare i riferimenti necessari per gli approfondimenti sulle singole tematiche trattate.. 2.
(10) 2. FATTORI DI PERICOLOSITA’ GEOLOGICA NELLA CITTA’ DI ROMA 2.1. Inquadramento geologico e idrogeologico della città di Roma 2.1.1. Premessa I fattori di pericolosità geologica nella città di Roma sono strettamente connessi con le caratteristiche geologiche e idrogeologiche del territorio che risultano alquanto complesse e articolate. Nella città di Roma sono infatti presenti unità litostratigrafiche comprese fra i depositi argillosi di mare aperto della formazione di Monte Vaticano (Pliocene p.p.) e la composita successione di ambiente francamente continentale, sedimentaria, vulcanica e vulcanosedimentaria del Pleistocene medio-Olocene. Inoltre all’interno della successione plio-quaternaria sono presenti molte superfici di discontinuità (uncorfomity) sia regionali sia locali, che evidenziano le articolate relazioni tra tettonica, vulcanismo e fasi erosive e di sedimentazione legate alle numerose oscillazioni eustatiche del livello del mare che hanno caratterizzato il Plio-Pleistocene dell’area romana. In relazione all’estrema eterogeneità dei tipi litologici presenti e alle specifiche situazioni giaciturali anche le caratteristiche idrogeologiche risultano assai diversificate. I terreni di età quaternaria sono infatti sede di molteplici circolazioni idriche sotterranee, generalmente sostenute dal substrato impermeabile costituito dalle argille plioceniche, ma anche situate al contatto tra termini litologici a permeabilità diversa, spesso in contatto idraulico fra loro. In ragione di tali complessità le caratteristiche geologiche e idrogeologiche verranno descritte nei paragrafi successivi con adeguato livello di approfondimento al fine consentire un inquadramento corretto delle problematiche relative ai fattori di pericolosità affrontati nei diversi casi di studio che verranno illustrati nella presente tesi. Per la descrizione dei caratteri geologici dell’area urbana si è fatto principalmente riferimento alle Note illustrative del foglio 374 – Roma della Carta geologica d’Italia alla scala 1:50.000 (APAT, 2008), alla litostratigrafia e organizzazione stratigrafica riportati da FUNICIELLO & GIORDANO (2008) e alla evoluzione paleogeografica dell’area romana descritta da PAROTTO (2008). A tali pubblicazioni si rimanda per i numerosi riferimenti bibliografici in esse contenuti. Nel rilevamento del foglio 374 è stato adottato il criterio di rappresentazione ad Unità Stratigrafiche a Limiti Inconformi (Unconformity Bounded Stratigraphic Units – UBSU) secondo il quale un’unità stratigrafica comprende i depositi accumulatisi su una superficie di erosione che vengono a loro volta tagliati da una successiva superficie di erosione (APAT, 2008). Nella descrizione dei caratteri geologici, in accordo con l’organizzazione stratigrafica della UBSU, le varie unità sono presentate all’interno dei supersintemi e sintemi a cui appartengono. Per la descrizione dei caratteri idrogeologici dell’area urbana si è fatto principalmente riferimento alle Note illustrative del foglio 374 – Roma della Carta geologica d’Italia alla scala 1:50.000 (APAT, 2008), alla pubblicazione di CAPELLI et alii (2008) nonché ai contributi personali allo studio idrogeologico della città di Roma (CARBONI et alii, 1990; CORAZZA & LOMBARDI, 1995; CORAZZA et alii, 2004, 2006; CORAZZA, 2007). Nella descrizione dei caratteri geologici e idrogeologici ci si è riferiti all’area urbana di Roma intesa come quella racchiusa all’interno del Grande Raccordo Anulare (G.R.A.) della città. 2.1.2. Caratteri geologici L’area romana è una porzione della fascia costiera occidentale dell’Italia Centrale compresa tra gli Appennini ed il Mar Tirreno (fig. 2.1). La catena appenninica, formatasi principalmente tra il Miocene superiore ed il Pliocene inferiore, è costituita da un’unità strutturale complessa caratterizzata da una serie di thrusts vergenti verso E-NE.. 3.
(11) Successivamente alle fasi orogenetiche di raccorciamento tettonico, un progressivo processo di estensione verso ovest interessa il settore interno della catena determinando la formazione del bacino di retro-arco tirrenico dove, a partire dal Pleistocene inferiore, dalla Toscana alla Sicilia, si sviluppa un complesso sistema di apparati vulcanici generalmente a composizione ricca in potassio.. Fig. 2.1 - Inquadramento geologico regionale dell’area romana, Il rettangolo indica i limiti del foglio 374 – Roma (da APAT, 2008).. La struttura profonda dell’area romana, cosi come ricostruita in base ad indagini geofisiche, ad alcuni sondaggi profondi e allo studio degli ejecta vulcanici (FUNICIELLO & PAROTTO, 1978), è costituita dalla successione carbonatica e terrigena, pre-orogenica e sin-orogenica, che non risulta mai affiorante. La successione pre-orogenica è di età mesozoico-cenozoica ed è costituita da calcari e marne depostisi nei bacini Toscano e Sabino. Al di sopra dei depositi carbonatici è presente una copertura terrigena, il flysch Ligure, depostosi per gravità durante le prime fasi dell’orogenesi (FUNICIELLO & PAROTTO, 1978). La successione profonda è caratterizzata da alti e bassi strutturali connessi alla tettonica estensionale che si è spesso andata a sovrimporre a thrust preesistenti con direzione NW-SE (fig. 2.2).. 4.
(12) Fig. 2.2 - Schema della struttura profonda del Lazio vulcanico, visto dal mare verso Nord (da PAROTTO, 1982). Legenda: 1 - Basamento antico, metamorfico (affiora solo nei MontiRomani); 2 - Successione sedimentaria mesocenozoica in facies sabina; 3 - Successioni marnoso-argillose delle unità liguri e sub liguri; 4 - Argille, sabbie e ghiaie plio-pleistoceniche (localmente, alla base, compaiono facies evaporitiche pre-plioceniche); 5 -vulcaniti alcalinopotassiche quaternarie; 6 -vulcaniti acide quaternarie; a - sondaggi profondi.. Le indagini gravimetriche individuano la presenza di alcune anomalie ben definite: due massimi (alti) in corrispondenza delle zone di Tor di Quinto e della Tomba di Cecilia Metella sull’Appia antica e un minimo (basso) presso Casal Boccone (CESI et alii, 2008). Il tetto di tale successione è stato intercettato anche da alcune perforazioni profonde a diverse profondità che variano da un minimo di poche centinaia di metri in via a C. Colombo - G.R.A. ad un massimo di oltre 1300 m al di sotto del piano campagna in un sondaggio effettuato al Circo Massimo durante il periodo fascista in occasione della Mostra autartica del minerale (SIGNORINI, 1939). Nell'area romana la sedimentazione post-orogena inizia con la deposizione, in un ambiente di facies batiale superiore, della Formazione di Monte Vaticano (MVA), di età compresa tra il Pliocene inf. p.p (Zancleano p.p.) e il Pliocene sup. p.p. (Gelasiano p.p.). La formazione è costituita da da argille grigie stratificate, da consolidate a molto consolidate, alternate a sabbie stratificate fini. Lo spessore riscontrato nel sondaggio al Circo Massimo è di oltre 500 m (SIGNORINI, 1939; FUNICIELLO & GIORDANO, 2008). Le argille plioceniche (comunemente note come “Argille azzurre Aucct.”) si sono andate a depositare sul substrato calcareo-silico-marnoso fortemente articolato e sono interessate da faglie estensionali con modesto rigetto riconducibili a una tettonica di sollevamento verificatasi tra la fine del Pliocene e l’inizio del Pleistocene. Sulla F. di M. Vaticano poggia, in discordanza angolare e con una lacuna stratigrafica dovuta a una diffusa erosione collegata alla fase di sollevamento precedentemente detta, la Formazione di 5.
(13) Monte Mario (MTM), databile al Pleistocene inferiore (Santerniano p.p.) e riferibile a un ambiente infralitorale esterno di mare poco profondo. I depositi di tale formazione, formati da argille sabbiose, limi sabbiosi e sabbie grigie, con abbondanti molluschi, tra i quali “l'ospite freddo” Arctica islandica, vanno a suturare le dislocazioni presenti nelle argille plioceniche.. La superficie di trasgressione tra la F. di M. Vaticano e la F. di M. Mario viene considerata come la base del Supersintema Acquatraversa. L’attività tettonica distensiva caratterizza anche il Pleistocene inferiore tanto che la Formazione di Monte Mario, a causa di una faglia estensionale a direzione NO-SE, localizzata probabilmente lungo il Fosso della Magliana, risulta ribassata di oltre 200 m verso ovest. In tale zona sopra alla F. di M. Mario si depositano sedimenti di facies infralitorale, costituiti da argille e argille sabbiose con rari livelli sabbiosi a Hyalinea Baltica, attribuiti alla Formazione di M. delle Piche (MDP) e riferiti al Pleistocene inferiore (Emiliano p.p.). Dopo la deposizione della F. di M. delle Piche si assiste a un graduale ritiro del mare verso ovest, causato da un sollevamento del margine appenninico, a una diffusa erosione operata dal Paleotevere e dai suoi affluenti (fase erosiva Cassia Auctt) e al passaggio ad ambienti deposizionali di tipo continentale. Tale passaggio, databile alla parte alta del Pleistocene inferiore, è identificato da una complessa superficie di discontinuità stratigrafica indicata come base del Supersintema AurelioPontino. La presenza di superfici di unconformity ha permesso di riconoscere all'interno di questo supersintema diversi sintemi: Magliana, Flaminia, Villa Glori, Torrino, Quartaccio, Fiume Aniene, Fiume Tevere La deposizione del Supersintema Aurelio-Pontino è inizialmente dovuta ai sedimenti alluvionali del Paleotevere, appartenenti al Sintema Magliana e rappresentati dalla F. di Ponte Galeria (PGL) e dalla F. del Fosso della Crescenza (FCZ), per proseguire poi, con l'inizio dell'attività vulcanica nell’area romana, con il contributo prevalente, ma discontinuo, dei prodotti vulcanoclastici dei centri sabatino e albano. La Formazione di Ponte Galeria, databile al Pleistocene medio p.p.- inferiore p.p., è il prodotto dell'evoluzione deltizia dell'antico Tevere, che aggirava a NO il M. Soratte e raggiungeva direttamente la costa in corrispondenza delle attuali zone della Magliana e di Ponte Galeria. I sedimenti di questa formazione sono costituiti da conglomerati (con clasti appartenenti alla serie meso-cenoica sabina), sabbie e limi depositatisi a cavallo dell'inversione magnetica MatuyamaBrunhes (0,850-0,700 Ma), in ambienti da continentali a infralitorali e intertidali. La Formazione del Fosso della Crescenza, databile al Pleistocene medio p.p., è invece il prodotto della deviazione del Paleotevere provocata dall’innalzamento della dorsale di Monte Mario, a direzione NO-SE, avvenuta tra circa 0,750 Ma e circa 0,620 Ma. L’innalzamento costringe il corso del Tevere a passare all’interno di una fascia in continua subsidenza, posta tra la collina di Monte Mario e i Monti Sabini, con il deposito di diverse decine di metri di ghiaie fluviali (provenienti dall'erosione dei rilievi sabini) seguite da sabbie fluviali, con argille e limi di ambiente palustre. Il nuovo corso del Tevere porta alla creazione di una vasta area palustre la cui presenza condizionerà il carattere freatomagmatico delle prime eruzioni dei Colli Albani Dopo la deposizione della F. del Fosso della Crescenza, l’area romana viene caratterizzata da una intensa attività vulcanica, sabatina prima e albana poi. Tale attività rientra nel più vasto vulcanismo tosco-laziale-campano generato dalla risalita di grandi quantità di magmi lungo l’intero margine appenninico occidentale. La risalita magmatica e il connesso vulcanismo sono dovuti al progressivo assottigliamento e subsidenza della crosta che portano alla nascita del Bacino tirrenico. L’attività vulcanica del Pleistocene medio e superiore, con la ripetuta messa in posto di enormi volumi di materiali, insieme a numerose oscillazioni eustatiche del livello marino, sono i fattori che hanno maggiormente condizionato l’evoluzione geologica della città di Roma.. 6.
(14) Le successioni sedimentarie che si depositano sono il frutto, in genere, degli alti stazionamenti del livello del mare mentre le superfici di erosione che incidono tali successioni sono legate ai bassi stazionamenti. Le formazioni di Ponte Galeria e del Fosso della Crescenza sono separate dai depositi successivi da una superficie di discontinuità stratigrafica molto estesa e articolata. L’origine di tale superficie è da ricondursi a una grande fase erosiva (f.e. Cassia Auctt) a sua volta correlata con un basso stazionamento del livello del mare avvenuto circa 700.000 anni fa in corrispondenza dello stadio isotopico 16 . Al di sopra della discontinuità si trovano i depositi che appartengono al Sintema Flaminia, depositatisi durante il Pleistocene medio p.p. tra circa 650 e 550 ka anni fa. Si tratta dei primi sedimenti fluviali e fluvio-palustri in cui la componente vulcanoclastica diventa dominante (Formazione di S. Cecilia) e dei primi prodotti vulcanici da eruzioni ignimbritiche di grande volume provenienti sia dai Colli Albani (Unità di Tor de Cenci) sia dai Sabatini (Unità della Via Tiberina). La Formazione di Santa Cecilia (CIL), corrisponde ad una fase di risalita del livello marino (stadio isotopico 15), nella quale entro gli alvei fluviali precedentemente erosi si accumulano depositi fluviali e palustri. Si tratta di sedimenti costituiti da alternanze ed interstratificazioni di conglomerati, sabbie e limi caratterizzati da abbondanti clasti vulcanici e livelli cineritici, datati a 0,614 ± 15 ka (KARNER et alii, 2001), che testimoniano appunto l'avvio del vulcanesimo nell’area romana. L’Unità di Tor de Cenci (TDC) è il prodotto di una eruzione freatopliniana di grande volume del vulcano dei Colli Albani caratterizzata da meccanismi di deposizione sia da colata piroclastica che di ricaduta da nube co-ignimbritica. L'unità si presenta come un deposito cineritico di colore grigio-giallastro con due litofacies principali: una massiva e litoide per zeolitizzazione e una sottilmente stratificata con livelli di lapilli accrezionari. L’età radiometrica è stimata in 561 ± 1 ka (KARNER et alii, 2001) . L’Unità della Via Tiberitina (TIB) è il prodotto di una colata piroclastica originata dal centro calderico di Sacrofano. E’ costituita da un deposito piroclastico avana-giallastro a matrice cineritica, prevalentemente massivo e caotico, con scheletro pomiceo. Il deposito è generalmente litoide per zeolitizzazione ed ha una età radiometrica di circa 550 ka (KARNER et alii, 2001; CIONI et alii, 1993). L’attività dei distretti vulcanici sabatino e albano, con la messa in posto di grandi colate piroclastiche, come TDC e TIB, modifica più volte il corso del Tevere fino a fargli raggiungere una collocazione circa identica a quella attuale: - in una prima fase il fiume, a causa della messa in posto dei depositi piroclastici sabatini, viene costretto ad aggirare il M. Soratte a Est e a riorganizzare il proprio reticolo idrografico, raggiungendo la costa all'altezza dei Monti Lepini; - in una seconda fase il fiume viene invece ricondotto verso nord e costretto a incidere l'alto di Monte Mario per trovarsi una via verso il mare. La causa di tale evento è da ricondurre probabilmente sia alla messa in posto nella zona dei Colli Albani di notevoli volumi di materiali vulcanici, con la progressiva ostruzione del corso del paleo Tevere, sia ad un fenomeno di cattura fluviale, localizzato all'altezza dell'attuale tracciato del Tevere in area urbana, da parte di uno dei numerosi fossi minori che, allora come oggi, scorrevano lungo la dorsale di Monte Mario verso ovest. Il successivo Sintema Villa Glori si depone, sempre durante il Pleistocene medio p.p., sopra una superficie di erosione fortemente incisa, correlata con la regressione che porta al basso stazionamento dello stadio isotopico 14. Questo sintema comprende sia i depositi alluvioniali del Tevere, caratterizzati da notevoli depositi di travertini (Formazione di Valle Giulia), che quelli vulcanoclastici sabatini (Unità di Prima Porta, Tufi Stratificati Varicolori di Sacrofano) e albani 7.
(15) (Unità del Palatino, Unità del Casale del Cavaliere) la cui messa in posto avviene durante la risalita del livello marino correlata allo stadio isotopico 13. I terreni sedimentari, che vanno a riempire le parti inferiori delle incisioni, ma soprattutto le vulcaniti, che vanno a colmare canali e depressioni con le colate piroclastiche e a coprire “a mantello” vaste aree con i prodotti di ricaduta, modificano profondamente la topografia precedente. La Formazione di Valle Giulia (VGU) è costituita da ghiaie e sabbie con materiale piroclastico e, in particolare, con diffusi depositi di travertini, sia come concrezioni, sia in banchi come nella zona tra Villa Glori e Valle Giulia. Nella zona di Vigna Clara sono presenti invece limi ricchi in fluorite. Gli ingenti volumi di travertini che caratterizzavano questa formazione testimoniano la presenza di una importante circolazione di fluidi ricchi di carbonati e di fluoro, associata sia a un sistema idrotermale nelle zone vulcaniche periferiche ma anche a una tettonica attiva che ha favorito la risalita di fluidi profondi. L’Unità del Palatino (PTI) è costituita da un deposito piroclastico massivo, semicoerente o litoide, a matrice cineritica grigio-nerastra, con scorie scure, leucite alterata, pirosseno, biotite, clasti di lava. Localmente contiene clasti di ghiaie del substrato sedimentario. Presenta alla base frequenti impronte di albero ed un livello di scorie da ricaduta. Nella parte superiore si riscontra un livello cineritico ricco di lapilli accrezionari. Ha una età radiometrica stimata in 533 ± 5 ka (KARNER et alii, 2001) ed è riferibile ad una eruzione ignimbritica a componente freatomagmatica del vulcano dei Colli Albani. L’Unità di Prima Porta (PPT) è formata da un deposito piroclastico massivo e caotico a matrice cineritica, con leucite e abbondanti pomici, litici lavici, olocristallini e sedimentari; localmente sono presenti anche grandi scorie nere. Il deposito è caratterizzato da due facies: una inferiore incoerente e una superiore litoide per zeolitizzazione. Ha una età radiometrica stimata in 514 ± 3 ka (KARNER et alii, 2001) ed è riferibile ad una eruzione ignimbritica di grande volume dal settore orientale del Distretto Vulcanico Sabatino. L’Unità del Casale del Cavaliere (KKA) è costituita da alternanze, a volte stratificate, di cineriti da fini a grossolane, raramente lapillose, con scorie, litici lavici, leucite, pirosseno e biotite. Sono presenti stratificazioni incrociate, impronte di tronco e orizzonti a lapilli accrezionari. La base è caratterizzata da un livello scoriaceo lapillo da ricaduta. L’unità è interpretabile come un deposito da flusso piroclastico freatomagmatico la cui zona di provenienza è il vulcano dei Colli Albani I Tufi Stratificati Varicolori di Sacrofano (SKF) sono costituiti da una successione di depositi piroclastici lapillosi e cineritici in strati contenenti scorie e litici lavici. Si tratta di depositi da ricaduta relativi ad eruzioni da centri situati nell’area dei vulcani sabatini. La presenza a varie altezze stratigrafiche di paleosuoli e di depositi intercalati rimaneggiati, di orizzonti ossidati, nonché di frequenti troncature, evidenziano che questa formazione si è deposta durante un lungo intervallo di tempo. La datazione di uno dei livelli di pomici di ricaduta ha fornito un’età di 488± 2 ka (KARNER et alii, 2001). Il Sintema Torrino, sempre riferibile al Pleistocene medio p.p., viene dopo un nuovo basso stazionamento del livello del mare (stadio isotopico 12) che favorisce l’ennesimo ciclo erosivo che incide fortemente i depositi precedenti. La superficie di erosione è generalmente ricoperta da prodotti vulcanici e solo in maniera secondaria su di essa poggiano terreni sedimentari che si depositano nel corso della risalita del livello marino (stadio isotopico 11). Il sintema è infatti caratterizzato principalmente da unità vulcaniche collegate alla rapida messa in posto, in più fasi, della maggior parte dei volumi di vulcaniti prodotti complessivamente dai centri albano e sabatino. L’attività tettonica regionale nel periodo di tempo corrispondente al Sintema Torrino si mantiene relativamente quiescente. Nella zona del Distretto albano l’eruzione di gigantesche colate ignimbritiche, come le Pozzolane Rosse (volume di oltre 45 km3) e le Pozzolane Nere (volume di quasi 10 km3), nonché di colate laviche anche di grandi dimensioni (Lave di Vallerano) cambiano completamente il paesaggio.. 8.
(16) I prodotti albani si estendono dal bordo dei rilievi appenninici fino alla costa e formano intorno alla caldera centrale dell’edificio vulcanico un esteso plateau con basse pendenze. Paleosuoli separano spesso le diverse unità, segno che alle eruzioni parossistiche si intervallavano periodi di stasi sufficientemente lunghi da permettere alle coltri superficiali di evolvere a suolo e ospitare specie vegetali. Le età radiometriche delle unità albane vanno da 460 ka (lave di Vallerano) a circa 400 ka (Pozzolane Nere). Le Lave di Vallerano (LLL) sono formate da lave grigio scure a frattura da concoide a scheggiosa, da afiriche a debolmente porfiriche, con pasta vetrosa o microcristallina con rari cristalli di leucite e clinopirosseno. L’età radiometrica è stimata a 460± 4 ka (KARNER et alii, 2001). Le Pozzolane Rosse (RED) sono costituite da una deposito piroclastico massivo e caotico, semicoerente, di colore cangiante da rosso, a viola vinaccia, a grigio scuro. La matrice è scoriacea grossolana con poca frazione cineritica. Sono presenti litici lavici, sedimentari termometamorfosati e olocristallini nonché abbondanti cristalli di leucite, clinopirosseno e biotite. Strutture da degassamento (“gas pipe”) caratterizzano la parte alta della unità. L’età radiometrica è stimata a 457± 4 ka (KARNER et alii, 2001). Le Pozzolane Nere (PNR) sono formate da un deposito piroclastico massivo e caotico di colore nero. Nella matrice è scoriaceo-cinertica sono dispersi scorie, litici lavici, piroclastici, olocristallini e sedimentari termo metamorfosati e cristalli di leucite e clinopirosseno. Alla base è presente un livello di scorie di ricaduta mentre al tetto si riscontrano depositi vulcano clastici massivi da rimaneggiamento. L’età radiometrica è stimata a 407± 4 ka (KARNER et alii, 2001). Nella zona del Distretto Sabatino si assiste nello stesso periodo a una altrettanto imponente attività vulcanica con depositi piroclastici (Tufo rosso a scorie nere sabatino) e prodotti di ricaduta connessi a vari centri eruttivi e a lunghi periodi di attività (Tufi stratificati varicolori di La Storta). Il Tufo rosso a scorie nere sabatino (RNR) è un deposito piroclastico, caotico e massivo, a matrice cinertica poco coerente con abbondanti pomici decimetriche ricche di cristalli di sanidino e leucite sovente analcimizzata. L’età radiometrica stimata varia tra 449±1 ka (CIONI et alii, 1993) e 430 ka (KARNER et alii, 2001). I Tufi stratificati varicolori di La Storta (LTT) sono costituiti da una successione complessa di livelli di pomici e di scorie a cui si intercalano livelli di cineriti pedogenizzate. Due livelli di pomici di ricaduta caratterizzano generalmente la porzione inferiore della successione. Datazioni effettuate su un livello di ricaduta presente nella formazioni indicano una età radiometrica di 416± 6 ka (KARNER et alii, 2001). I depositi sedimentari della Formazione di Fosso del Torrino (FTR), testimoni dell’alto stazionamento dello stage isotopico 11, sono costituiti da ghiaie, sabbie e limi di ambiente fluviale e lacustre, che hanno colmato depressioni e canali, e che contengono grandi quantità di materiali erosi dalle Pozzolane rosse, dalle Pozzolane nere e dal Tufo rosso a scorie nere. Prima del Sintema Quartaccio, anch’esso riferibile al Pleistocene medio p.p., si assiste a una nuova regressione marina (correlabile con lo stadio isotopico 10) e a un conseguente nuovo periodo erosivo che incide il grande plateau ignimbritico da poco formato e anche gran parte dei depositi relativi ai sintemi precedenti. Le profonde incisioni vengono colmate dai prodotti albani di colata piroclastica della Formazione di Villa Senni (VSN) formata da due grandi unità, diverse come litofacies ma in continuità di deposizione: il Tufo lionato (o Tufo litoide Auctt) e le sovrastanti Pozzolanelle (o Tufo di Villa Senni, Tufo ad occhio di pesce, Pozzolane superiori, IV colata piroclastica del TuscolanoArteemiso Auctt). Il Tufo lionato (VSN1), il cui nome deriva dal tipico colore da giallastro a fulvo, raggiunge spessori fino a 25 m. Si presenta massivo, caotico e litoide per fenomeni di zeolitizzazione. Per le buone caratteristiche geotecniche e di lavorabilità il tufo lionato stato intensamente cavato in epoca romana per essere impiegato come materiale da costruzione.. 9.
(17) Le Pozzolanelle (VSN2) si presentano spesso incoerenti, ma anch’esse mostrano passaggi a facies litoidi. Localmente sono presenti abbondanti cristalli di leucite anche di notevoli dimensioni. I depositi della VSN, per i quali le datazioni disponibili variano tra 338 ± 8 (RADICATI DI BROZOLO et alii, 1981) e 357 ± 2 ka (KARNER et alii, 2001), rappresentano l'ultima grande eruzione ignimbritica del primo periodo di attività del vulcano albano, alla quale corrisponde il collasso finale della caldera centrale. Come avvenuto in precedenza la messa in posto di queste vulcaniti modella nuovamente e in maniera sensibile il paesaggio dell’area romana. Dopo questa fase parossistica dell’attività albana si assiste al cambiamento delle manifestazioni vulcaniche i cui prodotti tuttavia non vanno ad interessare l’attuale area urbana. Fanno eccezione solo le parti finali di alcune colate laviche di notevole lunghezza, come quella di Capo di Bove. Questa colata appartiene alla litofacies lavica della Formazione di Madonna degli Angeli (FKBa), che affiora lungo la Via Appia antica. L’emissione di questa colata è dovuta al Vulcano delle Faete e viene datata a 277 ± 2 ka (KARNER et alii, 2001). Poco prima della messa in posto della colata di Capo di Bove l’innalzamento di un settore compreso tra Pomezia e Castelporziano crea le condizioni per la formazione di una nuova superficie di erosione in un’area compresa tra la costa e il basso corso del fiume Tevere. Durante la risalita del mare, protrattasi fino a 0,320 Ma (stadio isotopico 9), su tale superficie si vanno ad accumulare i depositi sedimentari della Formazione Aurelia (AEL), in facies fluviali e lacustri, a luoghi con faune salmastre, costituiti da ghiaie e sabbie con clasti di tufo lionato Dopo una breve stasi, a seguito di una successiva oscillazione del mare, avvenuta 220-200 ka (tra gli stadi isotopici 8 e 7), al di sopra della Formazione Aurelia si depongono i sedimenti della Formazione di Vitinia (VTN) costituiti da conglomerati, sabbie e limi, con resti di vertebrati (tra i quali anche resti di uccelli di clima relativamente freddo) e di industria litica musteriana Dopo la messa in posto delle unità vulcaniche e sedimentarie del Sintema Quartaccio l’area romana assume una morfologia che nei suoi aspetti principali ha molti tratti in comune con quella attuale. Il successivo Sintema Fiume Aniene, del Pleistocene superiore, è caratterizzato prima da un nuovo basso stazionamento (stadio isotopico 6), con l'erosione delle formazioni più recenti e la reincisione di quelle più antiche, e poi dalla successiva risalita del mare (verso lo stadio isotopico 5) con la formazione di nuovi terrazzi fluviali nelle valli del Tevere, dell'Aniene e del Fosso della Magliana. La Formazione di Saccopastore (SKP) comprende i depositi di tali terrazzi che sono costituiti da ghiaie, sabbie e limi in facies fluviale, ricche di elementi detritici vulcanici. In questi depositi, in località Saccopastore, nel quartiere Monte Sacro, sono stati ritrovati tra gli anni ’20 e ’30 del secolo scorso due crani di uomo di Neanderthal datati a 100.000-120.000 anni fa. Il Supersintema Aurelio-Pontino si conclude con il Sintema Fiume Tevere che contiene le alluvioni del Tevere e dei suoi affluenti. Tali alluvioni si sono depositate, in conseguenza della progressiva risalita del livello marino nel corso dell'Olocene, sopra una superficie di erosione formatasi alla fine dell'ultimo glaciale Würm (circa 80.000 anni fa). Alla fine della fase glaciale finale il livello del mare scende di oltre 110 metri e il reticolo fluviale del Tevere e dei suoi affluenti incide profondamente le formazioni vulcaniche e sedimentarie continentali fino a raggiungere il substrato argilloso marino. Nella zona urbana della valle del Tevere l’incisione arriva fino ad una quota di -45 m rispetto al livello del mare attuale. Con la progressiva risalita del mare le valli fluviali vengono gradualmente colmate da sedimenti fluviali e lacustre-palustri che nella valle tiberina raggiungono anche i 50 m di spessore. Si viene così a formare l'attuale piana alluvionale che attraversa tutta la città, all'interno della quale si è impostato l'odierno corso del fiume Tevere. Al di fuori delle valli alluvionali la morfologia dell’area romana non subisce variazioni di rilievo e solo nella zona di Ciampino il reticolo fluviale viene colmato dai depositi freatomagmatici e vulcanoclastici del maar di Albano, attribuiti alla Formazione del Tavolato (TAL), legati alle ultime fasi dell'attività dei Colli Albani. 10.
(18) L’evoluzione paleogeografica dell’area romana dal Pliocene all’Olocene (fig. 2.3) è descritta e rappresentata tramite block diagrammi in PAROTTO (2008) e riproposta modificata in APAT (2008).. Fig. 2.3 - Evoluzione paleogeografica dell’area romana. Block diagrammi di M. Parotto (da APAT, 2008).. 11.
(19) Il risultato finale delle complesse vicissitudini geologiche dell’area romana è la presenza, prevalentemente nel sottosuolo della città e solo limitamente in affioramento, di terreni sedimentari, marini e continentali, e vulcanici, delle più svariate litologie, la cui deposizione è avvenuta in arco di tempo che va dal Pliocene all’Olocene (fig. 2.4 ). Le valli del Tevere e dei suoi affluenti sono caratterizzate dai depositi alluvionali di età olocenica. In riva sinistra prevalgono nettamente i deposti vulcanici mentre in riva destra sono ben rappresentati anche i depositi sedimentari continentali e marini.. Fig. 2.4 – Carta geologica semplificata dell’area romana all’interno del G.R.A. (da FUNICIELLO & COLOGGI, 2008).. La morfologia del territorio, prima delle trasformazioni operate dall’uomo, è per gran parte caratterizzata da blandi rilievi con basse pendenze e forme dolci e regolari ma si possono cogliere alcune differenze tra la zona in destra e quella in sinistra del Tevere. Nel settore in riva sinistra del Tevere la morfologia è caratterizzata da vasti plateaux poco elevati in quota che in genere si raccordano con i fondovalle pianeggianti tramite pendii dolci dove affiorano materiali poco coerenti (pozzolane) ed invece ripidi dove sono presenti materiali lapidei (tufi litoidi 12.
(20) e lave). In questo settore l’incisione di un reticolo dendritico ben organizzato viene favorita dalle caratteristiche di permeabilità ed erodibilità delle unità ignimbritiche pozzolanacee dei Colli Albani. Nel settore in riva destra del Tevere l’alto di Monte Mario costituisce, invece, l’elemento morfologico dominante. Il versante del rilievo che affaccia sulla valle tiberina, grazie alla presenza delle argille sovraconsolidate della formazione di Monte Vaticano, è acclive e relativamente regolare. Morfologie blande caratterizzano le altre porzioni di questo settore con il reticolo idrografico che si sviluppa in maniera radiale in prossimità dei rilievi vulcanici sabatini e in maniera dendritica nelle zone ove sono presenti le litologie sedimentarie della Formazione di Ponte Galeria. Come accennato in precedenza i terreni di origine naturale affiorano limitatamente all’interno della città tanto che il primo livello stratigrafico riscontrabile in gran parte del territorio romano è costituito dai terreni di riporto di origine antropica. La morfologia originaria del territorio romano è stata infatti profondamente modificata dagli interventi umani realizzati nel corso degli oltre 2500 anni della storia della città. Sbancamenti per la costruzione di edifici e infrastrutture o per le attività di cava, accumuli di macerie e di rifiuti, colmamenti a scopo di bonifica, canalizzazioni e successiva trasformazione in condotti fognari dei corsi d’acqua secondari, hanno radicalmente modificato i caratteri fisici originari del paesaggio. Tali interventi hanno provocato il ricoprimento praticamente totale dell’area urbana con un manto di terreni di riporto, che in alcune zone supera anche i 20 metri di spessore, determinando spesso il seppellimento di strutture che originariamente si trovavano in superficie (fig. 2.5). Ai materiali di origine prettamente antropica si intervallano anche livelli di suoli antichi e depositi di alluvioni recenti. L’innalzamento del suolo di Roma causato dall’intervento antropico, dall’età storica ad oggi, è stato maggiore nelle valli e specialmente nel Foro Romano, nel Velabro, nella Valle Murcia, nella Valle Sallustiana e, in generale, in tutte le depressioni fra i vari colli. E’ generalmente limitato invece sulle cime dei colli, dalle quali proviene gran parte del materiale che è andato a riempire le valli. Mappature degli spessori della coltre dei terreni di riporto basate principalmente sui dati di sondaggi geognostici sono riportate in VENTRIGLIA (1971) e in CORAZZA & MARRA (1995). CIOTOLI et alii (2010) hanno elaborato per l’area del centro storico una mappatura dei terreni di riporto basata su dati geognostici elaborati con tecniche geostatistiche. TESTA et alii (2008) hanno invece effettuato un’analisi delle modifiche della forma originaria del territorio nell’area del centro storico di Roma attraverso il confronto tra la topografia attuale e quella ante-urbanizzazione dedotta da bibliografia. L’analisi è stata effettuata in dettaglio nella zona di Campo Marzio dove è stata ricostruita l’evoluzione cronologica della crescita della coltre dei riporti attraverso dati storico-archeologici. Un’altra zona della città dove i cambiamenti morfologici sono stati studiati nel dettaglio è quella del versante destro del Tevere nell’area del centro storico per la quale FUNICIELLO & TESTA (2008) hanno analizzato tali cambiamenti alla luce dello sviluppo urbano e della genesi di movimenti franosi a partire dai primi decenni del secolo scorso.. 13.
(21) Fig. 2.5 - Carta dello spessore della coltre dei terreni di riporto (da VENTRIGLIA, 1971 - modificata).. 2.1.3. Caratteri idrogeologici L’assetto idrogeologico dell’area romana e lo schema di circolazione delle acque sotterranee sono fortemente condizionati dalle caratteristiche geologiche e dall’assetto strutturale del sottosuolo. I terreni argillosi marini del Pliocene e del Pleistocene, che formano il Complesso Idrogeologico dei depositi argillosi marini a bassa permeabilità (CAPELLI et alii, 2008), costituiscono, per il loro elevato spessore (circa 1000 m) e per il bassissimo grado di permeabilità, il substrato impermeabile (acquiclude) al di sotto del quale nessuna circolazione idrica è possibile (CARBONI et alii, 1990; CORAZZA & LOMBARDI, 1995; CORAZZA, 2007; CAPELLI et alii, 2008). 14.
(22) CAPELLI et alii (2008) hanno redatto la Carta idrogeologica del territorio comunale alla scala 1:50000. Nella medesima pubblicazione gli autori propongono uno schema idrogeologico della Città di Roma che individua al di sopra del substrato impermeabile, a seconda dei domini geologici, cinque unità idrogeologiche (fig. 2.6): -. Unità Idrogeologica dei Monti Sabatini Unità Idrogeologica dei Colli Albani Unità Idrogeologica di Ponte Galeria Unità Idrogeologica dei depositi alluvionali recenti e attuali Unità Idrogeologica del Delta del Fiume Tevere. Fig. 2.6 - Carta delle Unità Idrogeologiche del territorio romano (da CAPELLI et alii, 2008). Legenda: 1 - Unità Idrogeologica dei Monti Sabatini; 2 - Unità Idrogeologica dei Colli Albani; 3 - Unità Idrogeologica di Ponte Galeria; 4 Unità Idrogeologica dei depositi alluvionali recenti e attuali; 5 – Unità Idrogeologica del Delta del Fiume Tevere; 6 Complesso Idrogeologico dei depositi argilloso-marnosi a bassa permeabilità.. Lo schema di circolazione delle acque sotterranee nel territorio romano è influenzato dall’assetto strutturale del substrato impermabile, dai rapporti di scambio idrico esistenti tra le varie unità e dalla presenza di due grandi corsi d’acqua perenni come il Tevere e l’Aniene. Le Unità idrogeologiche contengono molteplici acquiferi, mostrano circolazioni idriche complesse che alimentano i corsi d’acqua e che tendono a raccordarsi con le quote dei livelli di base fondamentali, costituiti dai due fiumi principali e dal mare (figg. 2.7 e 2.8). 15.
(23) Fig. 2.7 – Carta delle isofreatiche nell’area del Foglio “Roma” (da APAT, 2008). Fig. 2.8 - Corsi d’acqua secondari dell’area urbana. I triangoli indicano l’ubicazione delle stazioni di misura della portata (da CAPELLI et alii, 2008). 16.
(24) L’Unità Idrogeologica dei Monti Sabatini comprende una parte del settore in destra idrografica del fiume Tevere caratterizzato dalla presenza dei depositi vulcanici del distretto sabatino. Gli acquiferi presenti in questa unità corrispondono ai livelli maggiormente permeabili, per porosità e/o per fessurazione, delle Unità della Via Tiberina e di Prima Porta e delle formazioni dei Tufi Stratificati Varicolori di Sacrofano e del Tufo rosso a scorie nere sabatino. La circolazione idrica contenuta nelle vulcaniti non è consistente in ragione del modesto spessore dei depositi e viene condizionata nel suo deflusso sotterraneo dall’alto strutturale di Monte Mario. Questa circolazione idrica scende in maniera radiale dai rilievi dei Monti Sabatini e il flusso idrico, a causa della presenza dell’alto del substrato impermeabile, viene costretto a indirizzarsi a sud ovest (verso il Torrente Arrone – fuori dell’area urbana) e a nord est (verso i bacini del F.so dell’Acquatraversa e del F.so della Mola - nell’area urbana). Sulle colline tra Monte Mario e Monteverde, lo spessore delle vulcaniti è molto ridotto e si hanno circolazioni idriche localizzate e stagionali che un tempo davano luogo a modeste sorgenti (CORAZZA & LOMBARDI, 1995; CORAZZA, 2007). Le piezometriche, da quote comprese intorno a 50 m s.l.m. in corrispondenza del settore nordoccidentale del G.R.A., scendono verso i fronti dove la circolazione è drenata dai grandi fossi presenti in riva sinistra, le cui portate medie risultano anche di diverse centinaia di litri al secondo (CAPELLI et alii, 2008). L’Unità Idrogeologica di Ponte Galeria, è presente nei settori occidentali e meridionali del territorio comunale, è caratterizzata da falde idriche contenute all’interno degli orizzonti più permeabili dei depositi sedimentari pleistocenici pre-vulcanici. Gli acquiferi coincidono infatti con i membri sabbiosi della formazione di Monte Mario e sabbioso-ghiaiosi della Formazione di Ponte Galeria . Le circolazioni idriche sono poco estese e di limitata potenzialità negli orizzonti sabbiosi e di più ampia estensione e potenzialità in alcuni orizzonti ghiaiosi (fig. 2.9). La circolazione idrica negli acquiferi ghiaiosi più superficiali è stata fortemente compromessa, se non completamente cancellata, dalle attività estrattive di sabbia e ghiaia collocate nella zona compresa tra la via Portuense e la via Aurelia. Le circolazioni idriche idriche contenute negli orizzonti più permeabili della Formazione di Ponte Galeria alimentano il F.so della Magliana e il F.so Galeria. Sulla dorsale Monte Mario-Vaticano-Gianicolo è presente una circolazione idrica che, ha sede in terreni sabbiosi e ghiaiosi direttamente sovrapposti alle argille plioceniche, il cui tetto nella zona arriva anche a quote di 50 m s.l.m. La circolazione è alimentata nelle zone più elevate del rilievo e dà luogo sul versante prospiciente il fiume Tevere, in corrispondenza del limite tra i terreni permeabili e il substrato argilloso, a numerose emergenze. La maggior parte di queste sorgenti, storicamente note, è oggi scomparsa a causa dell’urbanizzazione pressocchè totale del versante. La presenza di una circolazione idrica sul pendio che affaccia su Viale Trastevere viene ritenuta una delle cause del movimento franoso presente a Via A. Saffi – U. Bassi nel quartiere Monteverde.. 17.
(25) Fig. 2.9 - Profilo geologico settore occidentale della città (da CAPELLI et alii, 2008). Legenda: formazione di Ponte Galeria (PGa - conglomerati; PGb - sabbie; AH, AV - argille; C - sabbie); MM - formazione di Monte Mario; MP formazione di Monte delle Piche; MVA - formazione di Monte Vaticano.. L’Unità Idrogeologica dei Colli Albani comprende il settore in sinistra idrografica del fiume Tevere caratterizzato dalla presenza in affioramento di depositi vulcanici principalmente del distretto albano e secondariamente di quello sabatino. Gli acquiferi principali presenti in questa unità sono contenuti nei depositi vulcanici albani e nei depositi sedimentari pleistocenici pre e sin-vulcanici (CORAZZA, 2007; CAPELLI et alii, 2008). Le circolazioni idriche vergono verso i fiumi Tevere e Aniene e vengono notevolmente drenate dal reticolo idrografico minore. Quest’ultimo presenta numerosi corsi d’acqua, generalmente perenni e poco incisi, ed è caratterizzato da una densità di drenaggio minore rispetto al settore in riva destra. Depositi vulcanici albani Sono sede di più circolazioni idriche, situate a diverse profondità, la più importante delle quali è quella situata nelle Unità delle Pozzolane rosse e delle Pozzolane nere, caratterizzate da depositi con permeabilità medio-alta per porosità e fatturazione. Tale circolazione va ad alimentare in maniera continua la maggior parte dei corsi d'acqua presenti nell'area romana ("sorgenti lineari") ed anche alcune grosse emergenze. Falde libere di discreta potenzialità sono anche ospitate nelle Pozzolanelle, litofacies maggiormente permeabile della Formazione di Villa Senni. L'andamento della circolazione idrica principale presente nel settore in riva sinistra del Tevere viene condizionato dalla presenza dell’Aniene tanto che si possono distinguere due zone (CORAZZA, 2007): -. nella zona a nord dell’Aniene la circolazione idrica presente all’interno delle vulcaniti risulta di scarsa importanza e potenzialità nella parte occidentale (verso la valle tiberina) dove lo spessore dell’acquifero è modesto a causa della presenza a poca profondità di depositi pleistocenici poco o nulla permeabili; la circolazione assume invece maggiore importanza nella parte orientale dove lo spessore e la trasmissività dell’acquifero aumentano. La circolazione idrica in questa zona mostra un flusso idrico orientato da nord18.
(26) est verso sud-ovest con piezometriche tra 20 e 40 m s.l.m. in corrispondenza del settore nord-orientale del G.R.A.. L’andamento delle isofreatiche evidenzia il forte drenaggio operato dal Tevere, dall’Aniene e dal reticolo idrografico secondario. -. nella zona a sud dell'Aniene la circolazione idrica di base presente nei complessi vulcanici scende in maniera radiale dai rilievi dei Colli Albani ed entra nell'area romana con un flusso idrico sotterraneo orientato da sud-est verso nord-ovest. Il flusso idrico proveniente dai Colli Albani viene influenzato dall’andamento del substrato plio-pleistocenico impermeabile e si indirizza verso il Tevere o verso l’Aniene. Le piezometriche mostrano quote vicine a 50 m s.l.m. in corrispondenza del settore sud-orientale del G.R.A. per poi scendere verso i fronti dove la circolazione é drenata dai corsi d'acqua principali e dai loro affluenti. A questa circolazione si ricollegano le maggiori sorgenti d'acqua potabile vicine a Roma che nell'antichità alimentavano e alimentano tuttora, come nel caso delle sorgenti dell’Acqua Vergine, gli acquedotti della città. Nella zona del centro storico della città nei terreni vulcanici è presente una circolazione idrica che appare distinta da quella che scende dai Colli Albani. Questa circolazione mostra piezometriche intorno a 30 m s.l.m. in corrispondenza della zona dell'Esquilino ed è drenata dalle valli degli antichi fossi, oggi scomparsi, che tagliavano i rilievi. Lungo queste valli emergevano numerose sorgenti, generalmente di modesta portata, che oggi giacciono sepolte sotto la coltre dei terreni di riporto e che in tale coltre continuano a disperdere le loro acque.. Depositi sedimentari pleistocenici pre e sin vulcanici In tali depositi gli orizzonti acquiferi sono rappresentati dai termini ghiaiosi della Formazione del Fosso della Crescenza e della Formazione di S. Cecilia. Questi orizzonti sono presenti in maniera diffusa nel sottosuolo del settore in sinistra Tevere e costituiscono un importante serbatoio profondo. Contengono infatti una rilevante falda idrica in pressione, molto estesa, sfruttata soprattutto nella zona urbana (CARBONI et alii, 1990; CORAZZA & LOMBARDI, 1995; CORAZZA, 2007; CAPELLI et alii, 2008). I termini ghiaiosi hanno uno spessore variabile da pochi metri a oltre dieci di metri e in corrispondenza di alcune paleoincisioni degli affluenti del Tevere e lungo tutta la profonda valle tiberina sono troncati dai processi erosivi che hanno dato luogo alle valli. Connesse a questa circolazione idrica sono alcune importanti sorgenti, note fin dall’epoca romana (Piscina Pubblica, Tullianum/Fontinalis, Juturna, Mercuri), per le quali le fonti storiche riferiscono di quantitativi d'acqua non indifferenti (CORAZZA & LOMBARDI, 1995). Al di fuori del G.R.A. l'andamento di questa circolazione idrica è poco conosciuto a causa della scarsità di dati. Nella zona urbana la piezometrica è stata ricostruita e mostra quote intorno a 25 m s.l.m. che si abbassano poi progressivamente andando verso i fronti dove l'acquifero è stato troncato dall'erosione o dalla tettonica e dove la circolazione emergeva in sorgenti poste a quote inferiori a 10 m s.l.m. (CORAZZA & LOMBARDI, 1995). L’orizzonte ghiaioso della Formazione di Ponte Galeria presente nella zona del centro storico della città viene tagliato verso Est dalla faglia che ribassa il substrato pliocenico in corrispondenza della depressione tettonica nella quale scorreva il Paleotevere. L’orizzonte acquifero risulta in contatto idraulico con un analogo orizzonte presente al tetto della potente successione di deposti alluvionali della Formazione del Fosso della Crescenza che riempie tale depressione (fig. 2.10). 19.
(27) Fig. 2.10 - Profilo geologico attraverso la zona occidentale della città (da CORAZZA, 2007 - modificato). Legenda: 1 Alluvioni recenti; 2 - Unità piroclastiche; 3 - formazione di S. Cecilia; 4 - formazione del Fosso della Crescenza; 5 formazione di Ponte Galeria 6 - formazione di Monte Vaticano; 7 - Sondaggi; 8 - Faglie.. L’Unità Idrogeologica dei depositi alluvionali recenti e attuali è presente lungo le valli dei fiumi principali e dei loro affluenti. Le circolazioni idriche di tale unità, formata in gran parte da sedimenti limo-argillosi poco permeabili, sono contenute all’interno dei livelli sabbiosi e ghiaiosi. Dal punto di vista idrogeologico all’interno di tale unità si possono distinguere: - i depositi alluvionali del fiume Tevere - i depositi alluvionali del fiume Aniene - i depositi alluvionali degli affluenti secondari in riva sinistra del Tevere - i depositi alluvionali degli affluenti in riva destra del Tevere Depositi alluvionali degli affluenti in riva destra del Tevere Sono costituiti principalmente da sabbie, limi e ghiaie, di granulometria, media. Al contrario di quelli in riva sinistra questi depositi mostrano la quasi totale assenza di orizzonti con sostanza organica. Nei terreni sabbiosi e/o ghiaiosi sono presenti falde di non elevata potenzialità comunque sfruttate da numerosi pozzi. L’alimentazione di queste falde è dovuta, nel settore settentrionale (a est dell’alto strutturale di Monte Mario) all’azione drenante delle incisioni sulla circolazione idrica delle vulcaniti sabatini mentre nelle zone più occidentali (fossi Galeria e Magliana) all’azione drenante sugli acquiferi sabbioso-ghiaiosi pre-vulcanici. Depositi alluvionali del Tevere Sono formati da un potente e eterogeneo pacco di sedimenti prevalentemente limosi e argillosi e secondariamente sabbiosi e ghiaiosi, il cui spessore aumenta andando verso il mare (nel centro storico lo spessore massimo è di oltre 50 metri). Tali depositi sono direttamente sovrapposti al substrato argilloso che anch’esso si approfondisce andando verso la costa (nel centro storico il substrato si trova a circa - 45 m s.l.m.).. 20.
(28) Nei depositi alluvionali del Tevere sono presenti sostanzialmente due falde: la prima è contenuta nell’orizzonte ghiaioso che caratterizza la base dei depositi alluvionali; la seconda, suddivisa in varie porzioni, affiancate o sovrapposte, è contenuta nei terreni sabbiosi presenti in orizzonti e lenti all’interno del complesso alluvionale (CORAZZA et alii, 1999; CORAZZA, 2007; CAPELLI et alii, 2008). Al di sopra delle alluvioni è presente una coltre di terreni di riporto, il cui spessore nelle zone della piana tiberina frequentemente raggiunge i 10 metri, che ospita anche essa una falda (CORAZZA et alii, 1999; CORAZZA et alii, 2005; CORAZZA, 2007). Nella sezione geologica riportata nella fig. 2.11 è rappresentato il complesso assetto geologico e idrogeologico del deposito alluvionale. La falda nelle ghiaie di base risulta in pressione mentre la falda nelle sabbie superiori può risultare sia in pressione che libera in relazione alla presenza o meno di condizioni confinamento. Entrambi gli acquiferi possono risultare in comunicazione idraulica con il fiume Tevere. Le oscillazioni del livello piezometrico connesse alle variazioni del livello idrometrico del fiume sono state individuate come una delle cause dei dissesti del Palazzo di Giustizia di Roma costruito a poca distanza dal corso d’acqua (CALABRESI et alii, 1980). Le circolazioni idriche sotterranee risentono della presenza dei muraglioni, costruiti a partire dal 1876 a fianco del fiume per difendere la città dalle esondazioni del Tevere, che ne ostacolano il naturale deflusso, e dei collettori fognari, antichi e moderni, che invece ne drenano le acque.. Depositi alluvionali del fiume Aniene Raggiungono uno spessore di circa 40 metri e risultano direttamente sovrapposti alle argille plioceniche impermeabili. Alla base dei depositi è presente uno strato di ghiaie contenente una falda in pressione di discreta importanza. Al di sopra di tali ghiaie il pacco delle alluvioni è costituito essenzialmente da limi e argille, con orizzonti ricchi di sostanza organica, a cui si intercalano lenti e orizzonti sabbiosi e ghiaiosi sede anche essi di falde acquifere meno importanti di quella di base. Alla presenza nel sottosuolo di terreni molto compressibili e alle oscillazioni del livello di falda, associate all’inadeguatezza delle strutture di fondazione, vengono attribuiti i problemi di cedimenti differenziali che affliggono molti edifici del quartiere di Colli Aniene (RISCHIA et alii, 2008).. Depositi alluvionali degli affluenti secondari in riva sinistra del Tevere Sono direttamente sovrapposti al substrato delle argille plioceniche e raggiungono i loro massimi spessori in vicinanza della valle tiberina Tali depositi sono costituiti alla base da ghiaie, sede di una circolazione idrica in pressione, e superiormente da una successione di sedimenti prevalentemente argillosi e limosi che contengono orizzonti (potenti anche qualche metro) particolarmente ricchi di sostanza organica. In tutta l’area urbana la serie stratigrafica nei fondovalle è chiusa dai terreni di riporto, che raggiungono in corrispondenza dei paleofossi nel centro storico spessori superiori a 10 metri, mascherando completamente i caratteri morfo-idrografici originari. La presenza di strati ricchi di sostanza organica, unitamente alle situazioni idrogeologiche locali, determinano condizioni che possono indurre dissesti nei manufatti presenti in superficie e/o in sotterraneo (CAMPOLUNGHI et alii, 2007, 2008). Tali dissesti si sono manifestati in maniera evidente sui fabbricati e sui collettori fognari presenti nel tratto terminale del fosso di Grottaperfetta nel Quartiere San Paolo (CAMPOLUNGHI et alii, 2007, 2008; CAMPOLUNGHI & LANZINI, 2009).. 21.
(29) Fig. 2.11 - Profilo geologico attraverso i depositi alluvionali del Tevere nel Centro Storico (da CORAZZA et alii, 1999). Legenda: Pl2 - Depositi pleistocenici marini e continentali; Pl1 - Depositi pleistocenici continentali; TA - Terreni antropici con elementi eterometrici ed eterogenei, in matrice sabbiosa-limosa, variabile addensamento e/o consistenza; permeabilità molto variabile; LAV - Limi argillosi e argille limose marroni verdastre, mediamente consistenti, mediamente poco permeabili; SLV - Sabbie limose e limi sabbiosi grigio-verdastri, poco addensati e/o consistenti, mediamente permeabili; S - Sabbie medio-grossolane e localmente molto fini, grigiastre, mediamente addensate, permeabili; AG - Argille limose e limi argillosi organici, poco consistenti fino a circa 30-35 m dal p.c. (AG2), mediamente consistenti a quote inferiori (AG1), permeabilità da bassa a molto bassa; SLG - Sabbie limose grigiastre, più o meno torbose, da mediamente a poco addensate, mediamente permeabili; G - Ghiaie sabbiose molto evolute di dimensioni centimetriche, molto addensate, molto permeabili.. Nella zona urbana della città, in particolare nel Centro Storico, si riscontra frequentemente nei riporti la presenza di acqua, anche in cospicua quantità, che nelle zone pianeggianti della città assume il carattere di vera e propria circolazione idrica sotterranea (CORAZZA et alii, 1999, 2005; CORAZZA, 2007). L’accumulo di acqua in questi materiali è possibile perché essi sono dotati di una certa permeabilità, sia pure molto variabile, e poggiano prevalentemente su terreni dotati di scarsa permeabilità (terreni limoso-argillosi alluvionali o parte basale della coltre antropica più compattata e quindi meno permeabile) Le falde idriche nei terreni antropici raggiungono una certa consistenza in particolare in corrispondenza della pianura del Tevere e delle valli secondarie oggi sepolte sotto questi terreni dove vengono alimentate dalle perdite nella rete acquedottistica o fognaria ma anche da parte delle antiche sorgenti, oggi sepolte dai riporti. L’Unità Idrogeologica del Delta del Fiume Tevere non è presente nell’area urbana ma caratterizza una vasta zona prossima al mare. E’ costituita da depositi alluvionali eterogenei molto potenti e presenta acquiferi di vario tipo e potenziale contenuti nei livelli sabbiosi e/o ghiaiosi della serie.. 22.
(30) 2.2. Fattori di pericolosità Lo sviluppo della città di Roma è stato condizionato, sia in senso positivo che negativo, dalle caratteristiche del territorio e tra queste anche quelle geologiche descritte nei paragrafi precedenti. Il territorio della città può essere diviso in quattro zone, distinte in base alle loro caratteristiche geologiche, alle modalità di evoluzione dello sviluppo urbano e alle differenti tipologie delle pericolosità naturali presenti (FUNICIELLO & COLOGGI, 2008). In ognuna di queste zone le caratteristiche geologiche, geotecniche e geomorfologiche del territorio hanno determinato l’incidenza di specifiche pericolosità e hanno di conseguenza indirizzato la crescita urbanistica della città nel corso della storia (fig. 2.12). Fig. 2.12 - Zonazione del territorio del comune di Roma in base alle caratteristiche geologiche, geotecniche e geomorfologiche e alla presenza di specifiche pericolosità (da FUNICIELLO & COLOGGI, 2008).. Per ognuno dei molteplici fattori di pericolosità presenti nella città di Roma, che sono strettamente correlati alle caratteristiche geologiche del territorio, sono stati attribuiti i tempi di ritorno e collocazione geografica (tab. 2.1).. 23.
(31) Tab. 2.1 - Fattori di pericolosità incidenti nel territorio della città di Roma (da FUNICIELLO & COLOGGI, 2008).. Nell’ambito della presente tesi, attraverso l’esame di alcuni casi di studio significativi, è stata approfondita l’analisi relativa ai fattori di pericolosità connessi a movimenti gravitativi quali subsidenza, frane e sinkholes.. Subsidenza I fenomeni di subsidenza a Roma sono localizzati all’interno delle zone alluvionali del fiume Tevere e suoi affluenti e sono stati messi in relazione alle caratteristiche geologico-tecniche delle alluvioni, e in particolare alla presenza di sedimenti fini ricchi in materiale organico, sottoconsolidati e altamente compressibili (FUNICIELLO et alii, 2005; F UNICIELLO et alii, 2006; C AMPOLUNGHI et alii, 2007, 2008; BOZZANO et alii, 2008; S TRAMONDO et alii, 2008). C AMPOLUNGHI et alii (2007; 2008) hanno effettuato, in base alle caratteristiche geomeccaniche dei depositi alluvionali, una zonazione della pericolosità associata alla presenza di tali depositi nell’area centrale della città (fig. 2.13). Le zone maggiormente esposte al pericolo di subsidenza sono risultate quelle situate allo sbocco nel Tevere degli affluenti di sinistra (Fosso della Caffarella, F. di Grottaperfetta, F.della Cecchignola, F. di Malafede e Fosso di Vallerano).. 24.
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