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La responsabilità penale e parapenale nei gruppi di società. Il continuum tra unità e pluralità dell'impresa di gruppo nella prospettiva del "realismo tendenziale del magistero punitivo"

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(1)

UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA

Tesi di Laurea

L

A RESPONSABILITÀ PENALE E PARAPENALE

NEI GRUPPI DI SOCIETÀ

Il continuum tra unità e pluralità dell’impresa di

gruppo nella prospettiva del “realismo tendenziale

del magistero punitivo”

Relatore

Chiar.mo Prof. Alberto Gargani

Candidato

Filippo Venturi

(2)

Indice sommario

PRESENTAZIONE ... 5

CAPITOLO I... 7

I GRUPPI DI SOCIETÀ NELLA PROSPETTIVA DELL’ECONOMIA AZIENDALE E DEL DIRITTO COMMERCIALE ... 7

1. Cenni introduttivi sull’evoluzione storica dei gruppi di società ... 7

1.1. Precisazioni preliminari………...10

2. Le ragioni economiche della diffusione dei gruppi di società ... 12

3. Definizioni economico-aziendali dei gruppi di società... 18

4. La fenomenologia dei gruppi di società dal punto di vista dell’economia aziendale ... 20

4.1. Il continuum tra accentramento e decentramento nei gruppi di società ……….24

5. La direzione unitaria come tramite tra unità e pluralità, tra autonomia e controllo nei gruppi di società ... 30

5.1. Le diverse forme di manifestazione in concreto della direzione unitaria………35

6. La crisi del paradigma classico della corporate autonomy ... 39

7. L’inquadramento giuscommercialistico dei gruppi di società ... 42

8. Alcuni profili della disciplina codicistica in materia di gruppi di società ……….51

8.1. Autonomia ed eteronomia degli amministratori delle società subordinate nel contesto del gruppo………...64

8.2. Cenni sul c.d. gruppo apparente………..70

8.3. Cenni sui “gruppi di imprese” nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza………72

(3)

9. I diversi approcci alla questione della liability nel gruppo di società ……….76 10. Le potenzialità criminogene dei gruppi di società ... 82

10.1. L’emersione dei gruppi di società nella legislazione penale………..89 11. Conclusioni ... 95 CAPITOLO II ... 98 I PARADIGMI DI IMPUTAZIONE DEI SOGGETTI APICALI DELLA HOLDING NEL CONTESTO DEI GRUPPI DI SOCIETÀ ... 98

1. Delimitazione dell’oggetto d’indagine ... 98 2. Le costanti criminologiche della criminalità dei soggetti apicali nei gruppi di società ... 103 3. Il concorso di persone nel reato e la posizione di garanzia come (difettosi) grimaldelli per la decifrazione della complessità della criminalità dei soggetti apicali nei gruppi di società ... 106 4. Il concorso attivo degli amministratori della holding e delle subordinate nel reato ... 111

4.1. La difficoltà di accertare il coinvolgimento degli amministratori della holding nel reato ascrivibile alla gestione degli amministratori della subordinata………118 5. Una doverosa premessa: la distinzione tra obblighi di garanzia e obblighi di sorveglianza ... 122

5.1. La configurabilità di una posizione di garanzia in capo agli amministratori non esecutivi di una società………..126 6. La (assenza di una) posizione di garanzia in capo agli amministratori della holding secondo la dottrina ... 131 7. La (presenza di una) posizione di garanzia in capo agli amministratori della holding secondo la giurisprudenza ... 137 8. La posizione di garanzia degli amministratori della holding nei progetti di riforma del codice penale ... 141

(4)

8.1. Due osservazioni conclusive sulla posizione di garanzia degli

amministratori della holding……….145

9. L’autonomia privata come fonte creatrice di una posizione di garanzia in capo agli amministratori della holding ... 148

10. Gli amministratori della holding come amministratori di fatto delle società subordinate ... 155

10.1. La posizione di garanzia degli amministratori della holding come amministratori di fatto delle subordinate………163

11. La (assenza di una) posizione di garanzia in capo ai sindaci della holding ... 166

12. Conclusioni ... 170

CAPITOLO III ... 176

RESPONSABILITÀ EX CRIMINE DEGLI ENTI E GRUPPI DI SOCIETÀ ... 176

1. Il silenzio del d.lgs. 231/2001 sui gruppi di società e sul concorso degli enti nell’illecito ... 176

2. Il gruppo di società come ente unitario ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. 231/2001. Considerazioni critiche ... 182

2.1. La soluzione del progetto di riforma del codice penale Grosso ………...187

3. La holding come amministratrice di fatto della subordinata o come titolare di una (macro)posizione di garanzia ... 189

3.1. Per una “riscoperta” del principio di autonomia della responsabilità amministrativa da reato nel contesto dei gruppi di società ………...193

4. Il criterio oggettivo: il legame tra la persona fisica autrice del reato e l’ente ... 197

5. Il criterio oggettivo: considerazioni critiche sulla nozione di “interesse di gruppo” ... 209

(5)

5.2. L’orientamento rigoristico della giurisprudenza di legittimità

………222

5.3. Una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione: l’interesse di soggetti “non del tutto estranei”………….………..225

6. Il criterio soggettivo: la colpevolezza di organizzazione e la “omologazione compatibile” ... 234

6.1. Segue. La scelta in ordine all’organismo di vigilanza e il ruolo della holding nella “compliance penalistica” di gruppo ……...241

7. Ai confini del d.lgs. 231/2001: cenni al problema della responsabilità ex crimine nelle imprese (di gruppo) “transnazionali” ... 246

8. Conclusioni ... 253

9. Riflessioni finali. Lo smarrimento del “tendenziale realismo del magistero punitivo” tra unità e pluralità dei gruppi di società... 256

BIBLIOGRAFIA ... 261

INDICE CRONOLOGICO DELLE SENTENZE ... 277

1. Giurisprudenza di merito ... 277

2. Giurisprudenza di legittimità ... 278

(6)

Presentazione

La presente tesi di laurea ha ad oggetto il tema della responsabilità penale e amministrativa da reato nel contesto dei gruppi di società.

L’interesse ad approfondire tale argomento è sorto, innanzitutto, sulla base della constatazione della grande diffusione nel sistema economico italiano di questa tecnica di articolazione dell’attività di impresa. A risultare determinante nella scelta dell’oggetto della ricerca, però, è stata soprattutto la considerazione della straordinaria complessità organizzativa di tale fenomeno, la quale è sembrata di entità tale da mettere in crisi le categorie e i nessi di imputazione dell’arsenale punitivo classico, i quali si rivelano inadeguati innanzi alla sua natura ancipite e proteiforme.

Tali osservazioni hanno indotto chi scrive a ritenere la tematica de

qua un terreno di elezione per lo studio delle “crisi da complessità” che

caratterizzano il diritto penale (post)moderno. Essa è sembrata, pertanto, estremamente attuale e meritevole di un’analisi informata e puntuale.

Per tale ragione, si è ritenuto opportuno procedere innanzitutto ad una attenta ricognizione delle acquisizioni della scienza aziendalistica e della dottrina giuscommercialistica in materia di gruppi di società. Le tradizionali considerazioni attinenti alla struttura “molecolare” di questi ultimi, nonché le riflessioni relative alla complessa coesistenza nella loro organizzazione degli elementi dell’unità e della pluralità sono state pertanto verificate e approfondite. Si è ritenuto, infatti, che una seria indagine penalistica del fenomeno de quo non potesse prescindere da un’esatta comprensione dei suoi connotati caratterizzanti.

L’analisi ha quindi riguardato le carenze e le distorsioni cui va incontro il Sanktionenrecht quando tenta di decifrare la complessità delle dinamiche decisionali dei gruppi di società.

(7)

La prospettiva con cui si è inteso condurre l’indagine è stata quella volta a identificare i diversi sentieri imputativi astrattamente percorribili per allocare la responsabilità penale e parapenale nel contesto dei gruppi di società. In particolare, constatata la mobilità ascendente e discendente di tale responsabilità, si è voluto verificare a quali istanze assiologiche tali soluzioni rispondessero, nonché la loro compatibilità con i principi di legalità (latamente intesa) e di personalità dell’illecito.

In termini generali, si può osservare come la materia de qua sia connotata dalla presenza di esigenze contrapposte. In particolare, all’ineludibile necessità di rispettare i presidi garantistici del diritto punitivo sovente si oppone, senza possibilità di un’agevole composizione, il bisogno di attingere i reali detentori del potere decisionale da cui è originato l’illecito. È possibile rilevare come gli interpreti tendano, al fine di rispondere all’una piuttosto che all’altra esigenza, a esaltare il dato dell’unità ovvero della pluralità dei gruppi di società, in tal modo offrendo una ricostruzione spesso parziale e incompleta del fenomeno de quo.

A fronte dell’inadeguatezza degli strumenti del diritto penale “nucleare” e a fronte del radicale “atomismo” della normativa in materia di responsabilità ex crimine degli enti, spetta dunque all’interprete individuare tracciati argomentativi idonei a mediare tra le esigenze sopra richiamate e a fornire, al contempo, una raffigurazione dell’impresa di gruppo che sia confacente al “realismo tendenziale del magistero punitivo”.

L’analisi critica delle proposte delineate a tal fine dalla giurisprudenza e dalla dottrina costituisce l’oggetto del presente studio e, al contempo, l’occasione per interrogarsi sulla possibilità di individuare ulteriori soluzioni, consentanee a soddisfare le esigenze di garanzia, giustizia sostanziale e realismo poc’anzi accennate.

(8)

C

APITOLO

I

I

GRUPPI DI SOCIETÀ NELLA PROSPETTIVA

DELL

ECONOMIA AZIENDALE E

DEL DIRITTO COMMERCIALE

1.

Cenni introduttivi sull’evoluzione storica dei gruppi

di società

In letteratura, è ricorrente l’affermazione secondo la quale i gruppi di società rappresenterebbero la “la forma giuridica propria della grande o medio-grande impresa del nostro tempo”1. In effetti, sono gli stessi studiosi di economia aziendale ad evidenziare “la maggiore adeguatezza” di questo modello di organizzazione dell’attività di impresa, “in termini di varietà e variabilità, ad operare efficientemente in un sistema economico caratterizzato da un costante ed elevato incremento della complessità”, parendo esso idoneo “ad uno scambio con l’esterno più rapido e decentrato rispetto a modalità organizzative accentrate”2.

1 In questi termini si esprimono F.GALGANO e G.SBISÀ, Direzione e coordinamento

di società. Art. 2497 – 2497 septies, in (a cura di) G.DE NOVA, Commentario del

codice civile e codici collegati Scialoja – Branca – Galgano, 2014, Bologna, p. 1, ove

in nota si riportano alcune statistiche in ordine alla diffusione dei gruppi di società nel mondo. Allo stesso modo si pronuncia anche U. TOMBARI, Diritto dei gruppi di

imprese, 2010, Milano, p. 1. I dati ISTAT (ISTAT, I gruppi di impresa in Italia, report

del 19 novembre 2015) rivelano che nel 2013 i gruppi di società in Italia erano oltre 92 mila (comprendendo più di 212 mila imprese attive residenti e occupando oltre 5,5 milioni di addetti e 274 mila lavoratori esterni). Nel documento si legge anche che: “rispetto al 2012 il numero di gruppi aumenta del 2,2%, le imprese attive del 2,6% e gli addetti diminuiscono dello 0,8%. I gruppi coinvolgono circa un terzo degli occupati delle imprese presenti nel Registro statistico delle imprese attive (Asia). Il peso dei gruppi, in termini di occupati, è del 56,8% se calcolato rispetto alle sole società di capitali, quota che sale all’87,2% nel settore dell’intermediazione monetaria e finanziaria”.

2 Così E.MARCHISIO, Usi alternativi del gruppo di società. La regolazione dei gruppi

tra disciplina del governo delle società e diritto settoriale delle imprese, Napoli, 2009,

(9)

In tale prospettiva, è stato osservato che l’affermazione dei gruppi di società (e delle altre forme di aggregazione societaria) ha contribuito al “replacement of the old atomistic era by a new molecular era of

company law”3.

Prima di entrare nel merito dell’analisi economica e giuridica del fenomeno, conviene però dedicare brevi cenni introduttivi allo sviluppo storico dei gruppi di società. Tale modalità organizzativa dell’attività di impresa si è sviluppata nel XX secolo ed ha rappresentato “sul terreno dell’organizzazione giuridica dell’attività economica, una innovazione altrettanto profonda quanto l’avvento, nel XIX secolo, della società per azioni” frutto non già (come quest’ultima) della creazione legislativa, bensì “della inventiva imprenditoriale”, la quale, combinando le due categorie dell’autonomia contrattuale e del diritto di proprietà4, ha dato

vita alla c.d. “impresa di gruppo”5 o “polycorporate enterprise”6.

MARCHI E M.ZAVANI (a cura di), Economia dei gruppi e bilancio consolidato. Una

interpretazione degli andamenti economici e finanziari, 2010, Torino, p. 10.

3 La citazione, originariamente in lingua francese, è di R.RODIÈRE, Le droit de societés

dans ses rapports avec la Concentration, 1967, Bruxelles, ed è riportata dall’ottimo

studio di J. E.ANTUNES, Liability of corporate groups. Autonomy and control in

Parent-Subsidiary relationships in US, German and EU law. An international and comparative perspective, 1994, Deventer, p. 51. Giova ricordare, come fa C.

PEDRAZZI,Dal diritto penale delle società al diritto penale dei gruppi: un difficile percorso, in AA.VV., I gruppi di società. Atti del convegno internazionale di studi di Venezia, 16-17-18 novembre 1995, vol. III, 1996, Milano, p. 1775 ss., oggi in ID.,

Diritto Penale. Vol. III, Problemi generali. Diritto Penale Societario, 2003, Milano,

p. 815, che invece “il diritto penale societario si muove in una prospettiva fondamentalmente atomistica”.

4 Ancora F.GALGANO e G.SBISÀ, op. cit., p. 2.

5 Questa formula è ricorrente negli studi, tanto giuridici che economici, in materia di gruppi di società e si rinviene, tra gli altri, in F.GALGANO, La globalizzazione nello

specchio del diritto, 2005, Bologna, p. 163 ss. e in M. BERGAMASCHI, I gruppi

aziendali. Dinamiche strategiche e strutture organizzative. Con i casi Edison, FIAT, Pirelli, Zanussi, 2011, Trento.

6 Questa espressione è utilizzata durante tutto il corso della sua trattazione da J.E. ANTUNES, op. cit., il quale, a p. 51 e 52, enfatizza il paradosso del diritto societario, il quale “emerging in an atomistic economic environment and profoundly derived from

a deep-seated individualistic approach to business realities” ha avuto come “classical paradigm the one of the single-corporate enterprise. However, providing a unique device for the concentration of economic power and the operation of the capitalist system, it played a strategic role in the development of a completely different economic order, that gave rise to a new paradigmatic and competing actor: the polycorporate enterprise”. Per un’analisi maggiormente approfondita delle condizioni storiche,

(10)

In particolare, la genesi e la progressiva affermazione di tale modalità organizzativa dell’attività di impresa sono state consentite dalla facoltà, concessa alle società, di acquistare partecipazioni in altre società sino a conseguirne il controllo: facoltà che, non essendo conforme al paradigma classico dell’autonomia e dell’indipendenza di ciascuna società7, è stata gradualmente conferita e disciplinata dagli ordinamenti giuridici tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo8.

In Italia, un primo riconoscimento legislativo di tale facoltà si è avuto con il r.d. 13.11.1931, il quale ammetteva che una società potesse, senza dover modificare il proprio oggetto sociale, assumere partecipazioni in altre società aventi il medesimo oggetto9. Ed è proprio su queste basi normative (e per le ragioni di efficienza economica che si esporranno nel prossimo paragrafo) che i gruppi di società si sono venuti sviluppando e diffondendo10, fino a divenire la “dominant form of

economiche e giuridiche che consentirono l’affermazione dei gruppi di società si v. J. E.ANTUNES, op. cit., p. da 20 a 37;

7 Osserva infatti J.E.ANTUNES, op. cit., p. 36 che “classical corporation laws did not

admit this mechanism: for both Common Law and Civil Law countries the idea that one corporation could be a member of and control another corporation was repugnant, especially considering the fundamental contradiction with the basic foundations of a branch of law based on the model of the independent autonomous corporation. It took several decades after corporation law emerged before corporations were finally allowed to own, and thus control, other corporations – basically, on the ground of the assimilation of natural and legal persons”.

8 Non perfettamente concordi con questa brevissima ricostruzione sono F.GALGANO e G.SBISÀ, op. cit., p. 3, laddove osservano che: “nei sistemi di common law la data di nascita dei gruppi suole farsi risalire ad una legge del New Jersey del 1896 che, per prima, ammise la possibilità per una corporation di acquistare azioni di un’altra società, in precedenza esclusa perché atto ultra vires […]. In civil law, le partecipazioni in altre società, fino al conseguimento del controllo, si erano potute liberamente sviluppare senza bisogno di alcuna norma di legge permissiva”. Secondo gli Autori, quindi, la facoltà di acquisire partecipazioni in altre società sarebbe stata, nei sistemi di civil law, già diffusa prima di qualsiasi riconoscimento legislativo.

9 Come riportano ancora F.GALGANO e G.SBISÀ, op. loc. ult. cit.

10 Tendenzialmente attraverso due “principali meccanismi: 1) attraverso processi aggregativi (per acquisizioni) di unità indipendenti; 2) attraverso processi di decentramento (per scorporo) di un’unità monolitica”. Così E. CORVI, Il gruppo

nell’economia dell’azienda industriale, 1989, Milano, p. 131. Nelle pagine successive

(11)

enterprise organization in the largest worldwide markets”11 e fino a condurre alla formazione di quelle fondamentali protagoniste della moderna economia globalizzata che sono le imprese multinazionali (rectius, transnazionali), le quali, da un punto di vista giuridico, si configurano proprio come imprese di gruppo12.

Peraltro, in questa prospettiva è interessante ricordare che i gruppi di società hanno, perlomeno nel nostro ordinamento, sino ad oggi costituito una realtà “para-giuridica”, sulla quale il legislatore è intervenuto tendenzialmente al solo fine limitarne “gli effetti distorsivi”13: come è stato icasticamente detto, infatti, “il gruppo non è

una realtà creata dal diritto, ma è invece una realtà da esso trovata e della quale prendere in considerazione quegli specifici aspetti […] sui quali intervenire con norme protettive degli interessi che possono risultare pregiudicati”14.

1.1.

Precisazioni preliminari

Dopo aver accennato alle origini storiche del gruppo di società, conviene passare ora allo studio, maggiormente approfondito, dei profili economici e giuscommercialistici di questo “campo problematico”15. Sono necessarie, tuttavia, due premesse: la prima di carattere metodologico, la seconda di carattere lessicale.

11 In questi termini si esprime J.E.ANTUNES, op. cit., p. 3. L’Autore riporta, da p. 38 a 50, alcuni dati, oramai non più attuali, sulla diffusione di gruppi di società transnazionali nelle principali economie mondiali.

12 Così F.GALGANO e G.SBISÀ, op. cit., p. 57. Critica la circostanza che il legislatore della riforma del diritto societario del 2003 abbia trascurato le implicazioni transnazionali delle nuove disposizioni in materia di direzione e coordinamento di società U.TOMBARI, op. cit., p. 86 e 87.

13 E.SCAROINA, Societas delinquere potest. Il problema del gruppo di imprese, 2006, Milano, p. 2.

14 F.GALGANO e G.SBISÀ, op. cit., p. 4. Il principale riferimento è ovviamente alla disciplina, che successivamente si prenderà in considerazione, contenuta nel Libro V, Titolo V, Capo IX, artt. 2497 – 2497 septies del Codice civile.

(12)

Sul piano metodologico, occorre evidenziare come, in questo primo Capitolo, l’inquadramento economico del fenomeno dei gruppi di società verrà anteposto alla sua analisi giuridica (e criminologica). E ciò non solo in quanto trattasi, come anticipato, di una realtà “para-giuridica”, ma soprattutto in quanto si ritiene ineludibile, ai fini di una corretta impostazione dell’indagine che si sta in questa sede conducendo, un’approfondita e preliminare considerazione degli aspetti economico-sostanziali dei gruppi di società. Solo un approccio “realista” (e non formalista) pare infatti consentaneo al raggiungimento di soluzioni idonee sul piano dell’allocazione della responsabilità penale e amministrativa da reato in questo settore. Come è stato detto, in effetti, il problema di molte soluzioni giuridiche ipotizzate con riferimento a questo “campo problematico” sta nel loro comune “neglect of the

fundamental interdisciplinary insight of business administration and organizational sciences, according to which the actual partition of decision-making power in complex business polycorporate networks and the concrete shape of its governance structure are not susceptible of being decided in general terms”16.

La portata di questa osservazione emergerà con maggiore chiarezza nel prosieguo della trattazione. Basti per ora aggiungere che, come è inevitabile, tanto nello studio aziendalistico quanto in quello giuscommercialistico dei gruppi di società, ci si soffermerà esclusivamente sui profili rilevanti ai fini di un’indagine penalistica del fenomeno, senza pretese di una trattazione onnicomprensiva.

La seconda premessa, di carattere lessicale, consiste nel chiarimento in ordine alle formule che si utilizzeranno per descrivere il fenomeno in esame: si useranno infatti le espressioni gruppo di società, impresa di gruppo, polycorporate enterprise e altre espressioni

16 Così J.E.ANTUNES, op. cit., p. 371. Come osserva lo stesso Autore a p. 376, quindi, “that means that issues of liability allocation in corporate groups should be linked not

automatically with the formal models set up by the law, but instead opportunistically with the real organizational-governance patterns of the concrete group at stake”.

(13)

assimilabili. Non si farà invece (tendenzialmente) uso dell’espressione “gruppo di imprese”17, pure adottata dal recentissimo codice della crisi

di impresa e della insolvenza (ex art. 2, lett. h), poiché essa pare consentanea a descrivere solo alcune peculiari forme di manifestazione del fenomeno e non è quindi idonea ad essere utilizzata in termini generali18. La ragione di siffatta scelta lessicale sta nella constatazione, su cui converge gran parte della dottrina nazionale e internazionale, tanto aziendalistica quanto giuridica, secondo la quale il gruppo è una “organizational form of one enterprise”19. Per tale ragione, quindi, si

ritiene opportuno utilizzare espressioni che rispecchino l’unicità dell’attività di impresa che viene condotta mediante il gruppo, la quale costituisce la regola che, pur a fronte di sparute eccezioni, pare valere nella materia de qua20.

2.

Le ragioni economiche della diffusione dei gruppi

di società

Prima di procedere all’illustrazione delle principali definizioni dei gruppi di società offerte dalla dottrina aziendalistica, conviene tuttavia

17 Che pure in modo non infrequente ricorre nella letteratura in materia. Ad es. U. TOMBARI, op. cit., la richiama nel titolo della sua opera. Ne fa uso anche A.VALZER,

Il potere di direzione e coordinamento di società tra fatto e contratto, in P.ABBADESSA

e G. B. PORTALE (diretto da), Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum di

Gianfranco Campobasso, Volume IV, 2007, Torino, p. 871.

18 Osserva infatti M.BERGAMASCHI, op. cit., p. 65, che “il gruppo di società può talvolta configurarsi non come impresa unitaria, bensì come “gruppo di imprese”, laddove l’attività di direzione e coordinamento della capogruppo si autolimiti a favore dell’autonomia gestionale di società ad essa subordinate, le quali cioè non partecipino in modo totalizzante al carattere di complementarietà economica e finanziaria che invece contraddistingue le unità economiche nell’impresa gruppo”.

19 La citazione, originariamente in tedesco, è riconducibile a W. TIMM,

Minderheitenschutz und unternehmerische Entscheidungsfreiheit im Mutterunternehmen, in ZHR, 1989, p. 61 ed è riportata da J.E.ANTUNES, op. cit., p. 165, con la parola “one” in corsivo.

20 Per una diversa (ed autorevole) opinione si v. P.MONTALENTI,L'attività di direzione

e coordinamento: dottrina, prassi, giurisprudenza, in Giur. comm., 2016, p. 111 ss.,

che afferma che “non possa individuarsi un'impresa di gruppo in senso tecnico ma debba invece riconoscersi una pluralità di imprese tra loro collegate da un nesso di coordinamento unitario”.

(14)

soffermarsi sulle ragioni che hanno condotto alla progressiva affermazione dei gruppi di società come “predominant form of

large-scale business”21. Si tratta di ragioni genericamente riconducibili alla “convenienza economica nel quadro della crescita dimensionale dell’azienda”22.

In termini generali, occorre rilevare come un primo vantaggio di ordine organizzativo che caratterizza l’impresa di gruppo sia rappresentato dalla sua flessibilità, “intesa come capacità di adeguare prontamente la struttura ed i meccanismi gestionali ai mutamenti ambientali ed alle scelte strategiche che via via vengono intraprese”23. In quest’ottica è stato pertanto osservato che “la struttura di gruppo costituisce la forma in assoluto più elastica di concentrazione, in quanto presenta un alto grado di coesione economico-finanziaria, pur potendosi rapidamente adattare alle diverse esigenze esterne ed interne in misura decisamente superiore rispetto alle aziende uniche divise”24.

Sempre sul piano dell’organizzazione aziendale, un secondo vantaggio che (contrariamente a quanto si potrebbe forse immaginare) è dato riscontrare nei gruppi di società è il venir meno di una rigida “gerarchia dell’impresa” e l’attribuzione di “una, sia pure relativa, autonomia decisionale ai managers preposti ai diversi settori o alle diverse fasi del processo produttivo o distributivo”25, la quale conduce, grazie ad una “migliore divisione del lavoro manageriale”, ad una “maggiore efficienza ed efficacia operativa mediante il continuo e più diretto raffronto di ciascuna area d’affari con il mercato o delle diverse funzioni con i loro ambienti specifici”26. In questa prospettiva, pertanto,

21 C.A.WITTING, Liability of corporate groups and networks, 2018, Cambridge, p. 47. 22 M.BERGAMASCHI, op. cit., p. 78.

23 In questi termini si esprime E.CORVI, op. cit., p. 71. Peraltro, come osservano F. GALGANO e G.SBISÀ, op. cit., p. 7, la holding può comunque svolgere, all’interno del gruppo, quelle funzioni di “assistenza tecnica e assistenza finanziaria” che consentono alle subordinate di fruire dei vantaggi di una direzione e coordinamento accentrate. 24 Ancora E.CORVI, op. cit., p. 140.

25 Così F.GALGANO e G.SBISÀ, op. cit., p. 6. 26 E.CORVI, op. cit., p. 71.

(15)

tale “architettura organizzativa” consente di “gestire o comunque migliorare le iper-complessità tipiche della grande impresa”27.

L’articolazione dell’impresa nella forma del gruppo di società si riverbera positivamente anche sulle relazioni della stessa con gli interlocutori esterni. Non solo, infatti, essa consente quel “better

understanding of different businesses by external parties”28 che può costituire un vantaggio laddove si cerchino dei finanziamenti, ma soprattutto consente, grazie alla sua organizzazione su più “livelli”, una più adeguata gestione dei rapporti con i diversi soggetti con cui essa si deve relazionare, quali gli organi politici, gli altri imprenditori, la pubblica amministrazione, i lavoratori e, soprattutto, le banche29.

Venendo ai vantaggi di ordine più strettamente economico, una delle principali cause di formazione dei gruppi di società è rinvenuta nello strumento della c.d. “leva azionaria”, la quale consente al “soggetto economico” di “esercitare il controllo su vasti conglomerati industriali e/o finanziari con apporti di capitale sempre minori”30: tale fenomeno è stato icasticamente descritto con l’espressione “scatole cinesi”31.

27 Così M.BERGAMASCHI, op. cit., p. 93. 28 C.A.WITTING, op. cit., p. 47.

29 Come osserva infatti E.CORVI, op. cit., p. 72, “la gestione delle relazioni con gli organi politici-legislativi sarà svolta dalla capogruppo per poter usufruire dei vantaggi connessi al potere contrattuale derivante dalla grande dimensione. Viceversa, la gestione delle relazioni industriali, cioè il complesso di interazioni tra imprenditori, lavoratori e pubblica amministrazione, tenderà ad essere delegata a livello di singola unità, sia per motivi di ordine oggettivo sia per la maggiore flessibilità nella gestione di tali rapporti”.

30 M.BERGAMASCHI, op. cit., p. 85.

31 Come riporta E.FOSSATI, La gestione strategica ed efficiente dei gruppi aziendali, Milano, 2004, p. 30, il quale ne approfondisce le caratteristiche e gli effetti distorsivi. Egli osserva che “le scatole cinesi” non sono molto apprezzate dagli investitori per i seguenti motivi: “eccessivo ricorso all’utilizzo della leva azionaria con conseguente limitazione della contendibilità; scarsa trasparenza nelle operazioni societarie con conseguente limitazione nell’aggiunta di valore per gli azionisti di minoranza di valore; possibili abusi nella gestione delle società controllate a scapito degli interessi dei soci di minoranza […]; potenzialità elusiva nei confronti del fisco, della legislazione sociale, degli interessi degli azionisti di minoranza e, in generale, del complesso di leggi e di norme che regolano i rapporti societari”.

(16)

Alla “leva azionaria” si accosta lessicalmente anche un altro vantaggio, spesso prioritario, tipico dei gruppi di società come forma di organizzazione dell’impresa di medie o grandi dimensioni: la c.d. “leva finanziaria”. In estrema sintesi, le società del gruppo, massimizzando mediante la loro struttura “i fenomeni di elevata redditività e di riduzione del rischio aziendale”, hanno la facoltà di rinvenire “agevolazioni sui mercati finanziari per i minori rischi inerenti ai prestiti, per la minore volatilità dei dividendi, per il relativamente crescente valore dei titoli azionari”32. Inoltre, i gruppi di società presentano anche altri vantaggi di ordine finanziario: tra questi, la maggiore convenienza di vendere “a business that is operated in a

separate corporate shell” in quanto è “more tax-effective to transfer the shares of a group company to the purchaser, rather than to sell discrete assets”33, e, laddove si tratti di un gruppo transnazionale, la possibilità

di definire più vantaggiose “politiche di tax planning”34.

L’ultimo, ma forse principale in termini di rilevanza, fattore che ha reso possibile l’affermazione e la diffusione dei gruppi di società è dato dalla loro capacità di diversificare e limitare i rischi. Tale risultato è perseguito mediante quel tratto costitutivo del fenomeno in esame che è rappresentato dalla presenza di una pluralità di persone giuridiche autonome. Questo elemento, che (come si vedrà) è opportunamente enfatizzato anche nelle definizioni aziendalistiche del gruppo di società, consente al soggetto economico di fruire nella “misura più estesa possibile”35 del beneficio della responsabilità limitata proprio della

32 Così si esprime M.BERGAMASCHI, op. cit., p. 87. Come osserva E.CORVI, op. cit., p. 74, inoltre, “il gruppo, coordinato dal suo vertice, può presentarsi al sistema bancario unito o frazionato per raccogliere più consistenti volumi di credito e a prezzo inferiore”.

33 Come osserva C.A.WITTING, op. cit., p. 48.

34 Sulla vantaggiosità del gruppo dal punto di vista della c.d. “pianificazione fiscale” si sofferma ampiamente M.BERGAMASCHI, op. cit., p. da 88 a 91.

(17)

società per azioni (e delle società a responsabilità limitata36). In questa prospettiva, i rischi dell’attività di una media o grande impresa che opera in differenti mercati geografici e/o qualitativi vengono limitati in quanto “ogni società del gruppo è, di fronte ai terzi, un soggetto di diritto distinto da ogni altra società del medesimo gruppo” ed è pertanto esclusivamente “responsabile dei debiti da essa assunti e non dei debiti assunti dalle altre società”37.

La pluralità giuridica che si accompagna alla unità economica del fenomeno in esame, peraltro, conduce a rilevare come l’obiettivo della limitazione dei rischi possa, in taluni casi, essere perseguito in modo illecito: alcuni autori osservano infatti come la costituzione di un gruppo di società risponda, talora, “all’esigenza di conseguire un mimetismo giuridico e conoscitivo” mediante “l’occultamento delle reali linee di potere tramite lo schermo giuridico di un insieme di società formalmente indipendenti”38. In altri termini, è dato all’interprete osservare come nel

binomio costitutivo del fenomeno in esame, e cioè il binomio unità economica e pluralità giuridica, sia possibile riscontrare, in nuce, “the

indication of a certain behavioural pathology”39.

A tal proposito, appaiono condivisibili le osservazioni della Corte di Cassazione civile la quale, in una pronuncia ormai risalente, ha affermato che “le possibilità elusive, da valutare e sanzionare caso per caso, non possono annullare l’utile funzione, nell’evoluzione di una

36 Si ricordi infatti incidentalmente che, come notano F.GALGANO e G.SBISÀ, op. loc.

ult. cit., i gruppi societari possono essere costituiti tanto da società per azioni (come

avviene più frequentemente) quanto da società a responsabilità limitata. Rileva più ampiamente U.TOMBARI, op. cit., p. 22, che gli artt. 2497 ss. c.c. “si presentano, con riferimento alle società c.d. lucrative, come normativa transtipica, in quanto si applicano ad ogni società di gruppo, a prescindere dal tipo societario prescelto”. 37 Come linearmente osservano F.GALGANO e G.SBISÀ, op. cit., p. 6. Ma sul punto convergono tutti gli Autori che si sono occupati del tema. Cfr. M.BERGAMASCHI, op.

cit., p. 84 e E.CORVI, op. cit., p. 140.

38 Tali espressioni, particolarmente significative, sono tratte ancora da E.CORVI, op. cit., p. 141.

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economia avanzata, del modello strutturale ed operativo”40 dell’impresa

di gruppo. In altri termini, nonostante questa tendenza criminogena del gruppo di società, esso rimane “un fenomeno economicamente desiderabile”41.

La rassegna, peraltro non esaustiva42, dei vantaggi che connotano il gruppo di società come forma di organizzazione dell’impresa di medie o grandi dimensioni consente, quindi, di comprendere, da una parte, le ragioni della sua vasta diffusione43 e di rilevarne, dall’altra, la peculiare portata criminogena, sulla quale comunque ci si soffermerà più avanti.

È opportuno evidenziare sin d’ora un altro dato di cui si deve tenere conto nell’ipotizzare soluzioni idonee in ordine al problema dell’allocazione della responsabilità nella polycorporate enterprise: e cioè che una delle principali ragioni dell’affermazione dei gruppi di società consiste nella flessibilità della loro organizzazione. Qualsiasi proposta teorica che non consideri adeguatamente siffatta flessibilità (e la dinamicità strutturale che ne consegue) risulterà inevitabilmente distante dalla realtà del fenomeno in esame e, di conseguenza, inadeguata, rischiando di danneggiare (o, ancora peggio, criminalizzare) una tecnica di articolazione dell’attività economica che risponde “alle più moderne esigenze organizzative e funzionali delle imprese di grandi dimensioni in un’economia di mercato in fase avanzata”44.

40 Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 1990, n. 1439, tra le molte in Giur. It., 1990, p. 713 ss., con nota di R.WEIGMANN.

41 La formula, cristallina, è da attribuire a E.MARCHISIO, op. cit., p. 29.

42 Per una disamina più ampia e approfondita si rinvia a M.BERGAMASCHI, op. cit., p. da 77 a 94.

43 E di presagirne, nell’ambito dell’economia globalizzata, una espansione ulteriore: si pensi che, secondo i dati ISTAT, nel 2013 i gruppi di società in Italia erano oltre 92 mila mentre nel 2008 erano oltre 76 mila.

44 Queste espressioni sono tratte ancora da Cass. civ., sez. I, 26 febbraio 1990, n. 1439,

(19)

3.

Definizioni economico-aziendali dei gruppi di

società

L’elaborazione classica della dottrina aziendalistica definisce il gruppo di società come “un’impresa unitaria, formata da molteplici unità economiche relative, dotate ciascuna di propria personalità giuridica”: in altri termini, “una organizzazione nella quale molteplici soggetti giuridici fanno capo a un medesimo soggetto economico”45. In

quest’ottica, il gruppo di società si distingue da altre forme di aggregazione aziendale in quanto rappresenta un “sistema teleologico del quale l’essere e il divenire sono tutti orientati al perseguimento del fine generale indicato dal soggetto economico: le unità economiche che compongono il gruppo vedono cioè coartata la propria autonomia gestionale”46.

Studi successivi confermano siffatta impostazione, osservando come il gruppo di società sia la struttura aziendale in cui “i vincoli che si stabiliscono fra le imprese [rectius, società] raggiungono il massimo livello”, e tuttavia precisano che in essa “le imprese [rectius, società] non perdono l’autonomia economica, ma la vedono limitata dal fatto che il soggetto economico di ciascuna è lo stesso di quello delle altre ed è portato a considerare, innanzitutto, l’aggruppamento nel suo insieme piuttosto che le singole imprese che lo compongono”47.

Le riflessioni più recenti, infine, sottolineano ulteriormente come i due elementi strutturali “fondativi” dei gruppi di società siano, da un

45 Tale opinione è riconducibile a L.AZZINI, I gruppi aziendali, Milano, 1975, p. da 25 a 27, ed è richiamata da M.BERGAMASCHI, op. cit., p. 10 e 11.

46 Così si esprime ancora M.BERGAMASCHI, op. cit., p. 12, nell’illustrare la prospettiva di AZZINI.

47 In questi termini E.CORVI, op. cit., p. 68. Peraltro, l’Autrice giunge, a p. 147, ad una singolare definizione del gruppo come “come un complesso economico costituito da più imprese che, pur dotate ciascuna di un proprio soggetto giuridico, hanno in comune il soggetto economico”. Tale definizione pare basarsi sull’erronea confusione tra impresa e società (e tra soggetto economico e giuridico) che l’Autrice opera a p. 146.

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lato, “l’unitarietà del soggetto economico” e, dall’altro, “la molteplicità dei soggetti giuridici”48.

Ciò su cui però siffatti studi pongono particolare attenzione è “la fenomenica dei gruppi aziendali”, la quale osservano manifestarsi “sempre in una grande varietà di situazioni”49. Più che i tentativi di

definizione in termini generali del fenomeno, in realtà, è proprio l’analisi delle diverse forme di manifestazione dei gruppi di società che rappresenta il profilo più interessante degli studi aziendalistici nella materia de qua50. Tale analisi pare costituire l’ineludibile premessa di qualsivoglia indagine penalistica che intenda rimanere aderente alla realtà dei gruppi di società, i quali rappresentano una “tecnica di articolazione dell’impresa complessa”51 non monolitica, bensì

prismatica. In questa prospettiva, come è stato detto, il gruppo può essere considerato come una “figura a geometria variabile”52.

48 M.BERGAMASCHI, op. cit., p. 34, il quale peraltro in tal modo evidenzia come il dato giuridico rimanga comunque imprescindibile nella definizione (anche aziendalistica) del gruppo di società. Osserva infatti a p. 22 l’Autore che “non si può prescindere dalla necessità della forma giuridica nella definizione di ‘gruppo’ la quale non solo rappresenta un modo di vivere dell’azienda, ma è soprattutto condizione di esistenza della stessa attraverso la soggettività giuridica”.

49 Ancora M.BERGAMASCHI, op. cit., p. 30.

50 Come osserva infatti C.PIERGALLINI, Danno da prodotto e responsabilità penale.

Profili dommatici e politico-criminali, 2004, Milano, p. 318, “la progettazione

dell’organizzazione non può ritenersi materia estranea all’indagine penalistica, perché costituisce un prezioso punto di riferimento per comprendere appieno sia il livello di complessità dei moderni apparati produttivi sia l’incidenza dei diversi moduli organizzativi sulla dinamica dei processi decisionali”. Anche P. MONTALENTI,

Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, in Giur. comm., 1995, p. 710 ss. evidenzia nelle prime battute del suo scritto la (spesso dai

giuristi obliterata) natura proteiforme del fenomeno in esame. 51 Così E.MARCHISIO, op. cit., p. 4.

52 L’azzeccata espressione è tratta da A.NIUTTA, Il finanziamento intragruppo, 2001, Milano, p. 20 ed è riportata da E.MARCHISIO, op. cit., p. 5.

(21)

4.

La fenomenologia dei gruppi di società dal punto

di vista dell’economia aziendale

Occorre pertanto soffermarsi con particolare attenzione sulle diverse forme di epifania dell’impresa di gruppo, muovendo dalla osservazione secondo la quale il suo tratto caratterizzante è “its

diversity, not its uniformity”53.

Le classificazioni proposte in dottrina sono parzialmente differenti. Si può in questa sede richiamare quella che, al fine di analizzare e catalogare le diverse forme di manifestazione dei gruppi di società, propone l’utilizzo di tre criteri: uno strutturale, uno che guarda all’attività svolta dal gruppo e uno che si basa sull’attività specificatamente svolta dalla capogruppo54.

53 La citazione, originariamente in tedesco, è di H. WIEDEMANN, Die

Unternehmensgrupp im Privatrecht, Methodische und sachliche Probleme des deutschen Konzernrechts, 1988, Tubinga, p. 12 ed è riportata (nonché tradotta) da J.

E.ANTUNES, op. cit., p. 304. Peraltro, sul piano teorico, occorre premettere che i più recenti studi di organizzazione aziendale hanno evidenziato che l’allocazione del potere, all’interno dell’impresa, non è sempre speculare alla distribuzione formale dell’autorità, come nel sistema burocratico weberiano: è stato infatti osservato che pur incidendo la gerarchia sulla struttura delle relazioni di potere, essa non è in grado di spiegarle integralmente. Osserva infatti M.CATINO,Capire le organizzazioni, 2012,

Bologna, p. 104, come emerga “una concezione del potere come fenomeno complesso, non riducibile alla dimensione formale dell’organizzazione. Esso è qui inteso come scambio strutturalmente squilibrato di possibilità di azione e di comportamento tra un insieme di attori individuali e/o collettivi. Il punto di partenza è che gli attori sono dotati di razionalità limitata, hanno obiettivi molteplici e talvolta contraddittori e cercano di cogliere le opportunità che il contesto organizzativo offre loro per accrescere i propri margini di libertà e aumentare la propria capacità di azione”. Questa intuizione scientifica è gravida di conseguenze di teoria del diritto estremamente rilevanti (anche in sede penale) che non possono essere in questo studio pienamente esplorate.

54 Si tratta di una classificazione che si distingue per linearità ed accessibilità proposta da E.CORVI, op. cit., da p. 149 a 160. Una catalogazione maggiormente complessa si rinviene in M.BERGAMASCHI, op. cit., p. 127, che suggerisce di strutturare lo studio sulla base di cinque parametri: “a) struttura delle combinazioni economiche aggregate (gruppi orizzontali, gruppi verticali); b) grado integrazione economica e fisico-tecnica tra le unità del gruppo (gruppi economici; gruppi finanziari); c) estensione geografica dell’attività economica (gruppi locali, nazionali, multinazionali); d) natura giuridica del soggetto economico (gruppi pubblici, gruppi privati); e) stili di direzione adottati dalla holding o dalle sub-holding (gruppi a struttura paritetica o, viceversa, egemonica)”. Alcuni stimoli offerti da questa analisi verranno comunque ripresi nei prossimi paragrafi.

(22)

In base al primo criterio vengono distinte tre tipologie di gruppi di società: i gruppi a struttura semplice, e cioè quelli (piuttosto rari) originati da partecipazioni dirette; i gruppi a struttura complessa, e cioè quelli che sono invece originati da partecipazioni indirette e che possono a loro volta articolarsi in gruppi a cascata e in gruppi a livelli successivi di aggruppamento; e infine, i gruppi a struttura a catena, che derivano da partecipazioni reciproche, dirette o indirette55.

Tramite il secondo parametro discretivo, invece, si giunge ad isolare altre tre differenti forme di gruppi di società: i gruppi ad integrazione orizzontale, nei quali le varie società del gruppo operano nel medesimo settore di attività; i gruppi ad integrazione verticale, ove le varie società del gruppo hanno per oggetto il compimento di fasi successive di un medesimo processo di produzione; e, infine, i conglomerati, nei quali le diverse società operano in differenti settori economici al fine di ottenere maggiore flessibilità mediante la compensazione dei risultati che le singole imprese conseguono nei vari settori.

È tuttavia il terzo criterio, e cioè quello fondato sull’attività specificatamente svolta dalla capogruppo (che assume come poli ideali l’attività di direzione e coordinamento da un lato e l’attività di produzione e scambio dall’altro56), che desta il maggior interesse nell’economia della presente indagine. In base ad esso si possono distinguere altre tre tipologie di gruppi societari, su cui è opportuno soffermarsi in modo più accorto: i gruppi puri o finanziari, i gruppi misti e i gruppi industriali57.

I gruppi puri o finanziari sono quelli in cui la capogruppo ha come unica attività la gestione ed il coordinamento delle altre società del

55 La cui costituzione, come nota la stessa E.CORVI, op. cit., p. 153 risulta, tuttavia, in Italia molto contenuta per effetto di alcune disposizioni legislative volte ad evitare possibili “annacquamenti di capitale”: il riferimento è, in particolare, agli artt. 2359 quinquies e 2360 c.c.

56 In questi termini la pone F.GALGANO, op. cit., p. 171;

(23)

gruppo, senza avere alcun (ulteriore) ruolo di tipo produttivo o commerciale: in questa ipotesi risultano pertanto decentrate a livello periferico la fissazione delle strategie industriali e le scelte connesse alla gestione organizzativa. Tale articolazione dell’impresa di gruppo è, in genere, la più efficace per i gruppi di vaste dimensioni, diversificati a livello conglomerale. L’unico ruolo della holding è, in questo scenario, la formulazione di una valida strategia finanziaria di gruppo, nonché ovviamente il controllo gestionale delle società subordinate al fine di accertare in quale misura siano stati da esse raggiunti gli obiettivi concordati e, eventualmente, di intervenire attraverso opportuni provvedimenti correttivi58.

I gruppi misti sono invece quelli in cui la capogruppo, oltre alla funzione di gestione e coordinamento delle subordinate, mantiene anche la propria originaria attività produttiva o distributiva59.

I gruppi industriali, infine, sono quelli in cui la formulazione della strategia industriale a medio-lungo termine, il coordinamento delle politiche commerciali dei vari settori produttivi e l’assunzione delle decisioni strategico-finanziarie in tema di acquisizione ed allocazione delle risorse rimangono di competenza esclusiva della capogruppo: in questa ipotesi, infatti, “le varie aziende sono fra loro avvinte da integrazioni ed interdipendenze tali da caratterizzare l’intero aggregato”60 e, di conseguenza, il vertice dell’impresa svolge funzioni

direttive pervasive.

Si può agevolmente intuire come a queste tre diverse forme di articolazione dei gruppi corrispondano anche differenti modalità di

58 Come osserva F.GALGANO, op. cit., p. 171, le imprese “transnazionali presentano questa struttura”.

59 Osserva E.CORVI, op. cit., p. 158, che il gruppo misto costituisce la “soluzione più diffusa nella fase immediatamente successiva alla formazione del gruppo, avvenuta per disintegrazione dell’originaria società e/o in seguito all’acquisizione successiva di un certo numero di società ad opera di un’impresa industriale o commerciale in fase di espansione”.

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esercizio della funzione di direzione e coordinamento che spetta alla capogruppo. Mentre nel caso di gruppi finanziari si assiste, di regola, ad un (tendenziale) decentramento del potere decisionale e delle conseguenti funzioni aziendali, nell’ipotesi di gruppi industriali si avrà, di norma, un accentramento di siffatto potere61. La questione dell’allocazione del decision-making power nell’impresa di gruppo risulta, alla luce del duplice brocardo “no power without liability” e “no

liability without power”62, nevralgica ai fini del presente studio. Su di essa, pertanto, ci si soffermerà più ampiamente nel prossimo paragrafo. In questa sede conviene, invece, considerare che la classificazione proposta coglie solo parzialmente la multiforme complessità del fenomeno dei gruppi di società: lo studio delle dinamiche economico-aziendali consente, infatti, di osservare “una evoluzione […] nella

61 Come osserva ancora M.BERGAMASCHI, op. loc. ult. cit., “nei gruppi finanziari, proprio poiché costituiti da aziende che attuano produzioni fra loro non correlate, la libertà d’azione delle medesime sia molto ampia, ed altrettanto elevato sia il grado di decentramento dei poteri gestori”. Anche E.CORVI, op. cit., p. 187 compie riflessioni analoghe: “le modalità di attuazione del piano saranno presumibilmente diverse nei gruppi economici e nei gruppi finanziari, così come diverso è normalmente il sistema di gestione delle relazioni aziendali nelle due tipologie di gruppo. Nel primo caso, il piano strategico-operativo è il risultato di un’azione tempificata, molto intensa e coordinata su più livelli che vede il coinvolgimento di tutti i responsabili delle varie unità in un processo interattivo di definizione e di realizzazione della strategia di gruppo. L’elevata integrazione economica che caratterizza questa struttura fa sì che la pianificazione costituisca il meccanismo attraverso il quale le attività delle singole società e del gruppo si ricompongono in unità. […] I problemi sin qui evidenziati si possono incontrare anche nei gruppi c.d. finanziari o puri, ma, in questo caso, sono normalmente meno evidenti, poiché la holding si limita a sovraintendere al complessivo investimento aziendale viste le ridotte sinergie che può ottenere dalla gestione unitaria dei singoli business”. L’Autrice si sofferma sulle diverse forme di attuazione dell’attività direttiva anche da p. 197 a 199.

62 J. E. ANTUNES, op. cit., p. 126. Ricorda peraltro l’Autore a p. 124 che alle fondamenta della autonomia patrimoniale perfetta delle società di capitali sta proprio nel nesso tra potere e responsabilità: “the corporation lives with a typical separation

between ownership and management, which means that the equity capital is scattered between a large number of individual stockholders, who are pure investors with neither the interest nor the opportunity of participating in the corporate management and decision-making”. Osserva quindi a p. 132 che nei gruppi di società “the limitation of the liability of the controlling shareholder can no longer be justified on the basis of the lack of management power: in contrast to the individual shareholder of the single-corporate enterprise, the single-corporate controlling shareholder of polysingle-corporate enterprises is, by definition, invariably engaged in the management of the various controlled corporations, conducting it according to the general business strategy and interests of the whole (unified management)”.

(25)

composizione dei gruppi in termine di singole attività ed in termini di competenze della capogruppo che fa pensare ad un superamento delle tradizionali distinzioni”63. Ciò nonostante, si auspica che essa consenta comunque di cogliere l’estrema varietà fenomenologica che si riscontra in subiecta materia, la cui piena comprensione risulta fondamentale per evitare di giungere, in sede penale, ad un’allocazione della responsabilità erronea in quanto fondata su un modello criminologico di gruppo societario teorizzato in termini astratti, monolitici e, quindi, inevitabilmente distanti dalla realtà.

Tale varietà si apprezza in particolar modo nel dibattito intorno alla possibilità di delimitare, in termini nitidi, la distinzione tra gruppi societari accentrati e decentrati. Trattasi di una discussione che, come accennato, riveste un grande interesse ai fini dello studio che si sta svolgendo e alla quale conviene, pertanto, dedicare riflessioni maggiormente approfondite.

4.1. Il continuum tra accentramento e decentramento

nei gruppi di società

Una classificazione che, laddove percorribile, potrebbe risultare di estrema utilità ai fini della risoluzione della questione dell’attribuzione della responsabilità penale (e amministrativa da reato) nei gruppi di società è quella che distingue gruppi accentrati e gruppi decentrati. Se fosse possibile, infatti, ricondurre tutte le concrete manifestazioni dell’impresa di gruppo a tali due poli ideali, le conseguenze sul piano sanzionatorio sarebbero obbligate e, invero, piuttosto lineari.

Nel caso di gruppi accentrati, in cui gli amministratori delle società subordinate siano cioè “affatto proni ad ogni ordine degli amministratori

(26)

della holding”64, sarebbero gli amministratori della capogruppo a doversi ritenere (di regola) responsabili dei reati commessi nell’esercizio dell’attività economica del gruppo; viceversa, nel caso di gruppi decentrati, in cui gli amministratori delle società subordinate godano cioè “di piena autonomia decisionale e funzionale”65, sarebbero

proprio gli amministratori di ciascuna subordinata a doversi assumere la responsabilità dei reati commessi nell’ambito dell’attività economica di quella specifica subordinata.

Tuttavia, questa distinzione binaria risulta impraticabile, tanto sul piano teorico, quanto sul piano pratico.

Sul piano teorico, infatti, è stato osservato che “a clear distinction

between centralized-decentralized groups does and cannot exist”66.

Anzi, si è affermato che la zona grigia tra l’una e l’altra ipotesi è “as

large as the halo of a full moon in a foggy November night”67: in altri

termini, essa copre integralmente la realtà fenomenica dell’impresa di gruppo. E ciò non solo e non tanto perché non esistono criteri giuridici che consentano di tracciare un confine nitido e certo tra gruppi accentrati e gruppi decentrati68, quanto piuttosto perché i due stessi scenari sopra

64 In questi termini descrive l’estrema ipotesi del gruppo accentrato F.GALGANO, op.

cit., p. 163.

65 Così M. BERGAMASCHI, op. cit., p. 143 esemplifica l’ideale caso del gruppo decentrato.

66 J.E.ANTUNES, op. cit., p. 304.

67 La vivida espressione, originariamente in tedesco, è di M.LUTTER, Der qualifiziert

faktische Konzern, in AG, 1990, p. 184 ed è riportata e tradotta da J.E.ANTUNES, op.

loc. ult. cit.

68 Si sofferma ampiamente sui criteri di distinzione ipotizzati prevalentemente dalla dottrina tedesca, nonché sulle loro insormontabili criticità, J.E.ANTUNES, op. cit., p. da 180 a 190. “A first position tried to define the distinction between centralized and

decentralized groups on the basis of the existing legal distinction between contractual groups and factual groups, as adopted by German law. […]. This position is, however, misleading. […] A second position perceives the distinction […] from the viewpoint of the subsidiary interest: a centralized group exists when the entrepreneurial self-interest of the subsidiary corporation is persistently impaired in consequence of a total and permanent control exercised by the parent, outside of any domination contract. This position […] also seems inconsistent […]. In other words, irrespective of the concrete degree of centralization, corporate groups will inevitably bring about, by the sole fact of their existence, a significant impact on the definition of the subsidiary interest. [….] A third position bases the distinction in the nature of the

(27)

economic-richiamati a fini esemplificativi non sono configurabili sulla base della disciplina civilistica vigente nel nostro ordinamento. Da un lato, infatti, gli amministratori delle società subordinate non possono mai configurarsi come meri “esecutori delle direttive della capogruppo”, essendo tale scenario in contrasto con l’art. 2380 bis c.c. 69 che esprime,

come noto, il principio di esclusiva competenza degli amministratori per la gestione dell’impresa societaria70. Dall’altro lato, invece, una piena

autonomia decisionale di tali amministratori non è ipotizzabile, richiedendo la struttura organizzativa del gruppo di società l’esercizio di una c.d. “direzione unitaria”71 o “unified management”,

corrispondente a un “minimum of centralization of decision

making-power in the parent corporation” sotto il quale non è possibile parlare

entrepreneurial status of the subsidiary corporation issuing from the exercise of parent’s control: a centralized group would then exist whenever it is managed as if it were a mere branch or division without legal personality. This definition […] is, however, singularly unhelpful. […] Finally, a fourth position bases the distinction in the controllability of the effects stemming from the parent’s control from the viewpoint of the statutory regime for de facto groups: a centralized group thus exists whenever the intensity and frequency of the control exercised by the parent corporation over affiliates renders virtually inoperable the compensatory system of §§ 331ff. AktG. This position, in spite of its growing popularity in the literature, is not free from problems. […] The more intensive the parent’s control is, however, the more difficult it becomes to individualize the effects of this control […]. As a result, from a certain degree of centralization on, the compensatory system becomes inoperable and thus the protection of the subsidiary and its affected constituencies completely fictious: this limit would thus give the very borderline between centralized and decentralized groups […]. The only problem with this type of argumentation is that it proceeds upon an unsound assumption. […] The point is that the sole existence of a management entails, by definition […] a minimum level of centralization in the parent-subsidiary relationship which already embraces forms of controlling influence whose detrimental effect to the subsidiary is virtually undeterminable and unquantifiable, and therefore here the compensatory system of §§ 331ff. AktG is unworkable”.

69 Lo osservano F.GALGANO e G.SBISÀ, op. cit., p. 364.

70 Anzi, alcuni studi empirici, riportati da C.A.WITTING, op. cit., p. 50, conducono ad affermare che “more complex organizational structures are characterized by

decentralization of authority”.

71 La nozione di “direzione unitaria” è nevralgica ai fini di un inquadramento civilistico del gruppo di società. Per una prima definizione ancora F.GALGANO e G.SBISÀ, op.

cit., p. 108, ove osservano che “in termini generali, si può solo dire che la sussistenza

della direzione unitaria implica un’attività sistematica e quindi non la formulazione di sporadiche direttive, bensì una costante pluralità di atti di indirizzo idonei a incidere sulle decisioni gestorie dell’impresa, cioè sulle scelte strategiche ed operative di carattere finanziario, industriale, commerciale che attengono alla conduzione degli affari sociali’”, richiamandosi a P. MONTALENTI, Direzione e coordinamento nei

(28)

di gruppo ma, tutt’al più, di un “mere cluster of economically

independent corporations connected by some links”72.

Tanto sulla nozione di “direzione unitaria” quanto sull’autonomia degli amministratori delle società subordinate, comunque, si tornerà nei prossimi paragrafi. Per ora basti osservare che, sebbene sia possibile ipotizzare che tali inequivoche indicazioni normative possano essere, nella prassi, disattese, ciò dovrebbe avvenire invero in modo estremamente raro73.

Come è stato correttamente affermato, “nella normalità dei casi il rapporto fra i due ordini di organi di amministrazione è un rapporto dialettico, fatto cioè di reciproca persuasione, di rettifica degli originari punti di vista e di finale accettazione delle direttive rettificate”74:

pertanto, “all’antico rapporto gerarchico nell’impresa, cui il codice civile fa riferimento all’art. 2086, che pone l’imprenditore a capo dell’impresa, facendo da lui dipendere gerarchicamente i suoi collaboratori, è così sostituito un rapporto che può essere definito come dialettico, di reciproco convincimento, di concertazione”75. Rapporto che, per i motivi in precedenza evidenziati, pare anche essere più efficiente ed efficace sul piano operativo76.

72 Così J.E.ANTUNES, op. cit., p. 179.

73 Osserva infatti ancora J.E.ANTUNES, op. cit., p. 193, che “autonomy and control

correspond to rather theoretical situations. […] There probably exists no group where a subsidiary enjoys complete autonomy in all respects in the conduct of its own business operations, nor, inversely, is it ever placed under full control by the parent corporation: totally centralized or fully centralized groups are something that does not really exist”.

74 Così ancora F.GALGANO, op. cit., p. 163. Considerazioni analoghe vengono svolte anche da molteplici altri autori. Tra di loro C.A.WITTING, op. cit., p. 16, il quale nota che “contrary to a frequently made assumption, business history and the case studies

examined in this book prove that parent companies do not always exercise day-to-day control over their subsidiaries”.

75 In termini tanto chiari e incisivi si esprimono F.GALGANO e G.SBISÀ, op. cit., p. 6. 76 Si ricordi infatti che, come si è già accennato supra, Capitolo I, § 2, il venir meno di una rigida gerarchia e la correlata residuale autonomia degli amministratori delle società subordinate pare condurre, grazie ad una “migliore divisione del lavoro manageriale”, ad una “maggiore efficienza ed efficacia operativa mediante il continuo e più diretto raffronto di ciascuna area d’affari con il mercato o delle diverse funzioni con i loro ambienti specifici” (le parole richiamate sono di E.CORVI, op. cit., p. 71).

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