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10. Gli amministratori della holding come amministratori di fatto delle

10.1. La posizione di garanzia degli amministratori della holding

subordinate

L’ipotesi da ultimo menzionata - e cioè quella della configurabilità in capo agli amministratori della holding (qualificati come amministratori di fatto delle subordinate) di una posizione di garanzia corrispondente a quella degli amministratori di diritto (non esecutivi) delle subordinate - rappresenta un paradigma di imputazione dei vertici della capogruppo quasi del tutto inesplorato nell’ambito della letteratura penalistica nella materia de qua478. E ciò, probabilmente, a causa della sua estrema problematicità teorica479.

In termini generali, infatti, occorre rilevare che l’utilizzo congiunto degli artt. 40 co. 2 c.p., 110 c.p. e 2639 c.c. pone “una delicata questione di tipicità dell’omissione impropria”480. Nonostante le perplessità

avanzate dalla dottrina481, però, la Corte di Cassazione ha riconosciuto in altro contesto che “assume rilievo […] anche la colpevole (e consapevole) inerzia a fronte del verificarsi di ogni evento da altri

478 Ad eccezione di F.M.IACOVIELLO, op. loc. ult. cit.

479 Inoltre, è stato affermato da M. PELLISSERO, op. cit., in Giur. It., 2010, p. 978 ss. che “si tratta, peraltro, di una questione che assume nella prassi un significato del tutto marginale, considerato che i casi che possono coinvolgere gli amministratori di fatto riguardano le condotte attive degli stessi e, più raramente, una responsabilità per omesso impedimento del reato”. Solitamente, semmai, il tema è quello della responsabilità penale dell’amministratore di diritto per “omesso controllo sull’operato” dell’amministratore di fatto. Il contesto dei gruppi di società, però, potrebbe invertire i termini di quest’ultima ipotesi, dando rilievo ai casi di responsabilità penale dell’amministratore di fatto per “omesso controllo sull’operato” dell’amministratore esecutivo di diritto.

480 Così E.M.AMBROSETTI,E.MEZZETTI e M. RONCO, op. cit., p. 41.

481 A.GARGANI, op. cit., in Riv. trim. dir. pen. econ., 2017, p. 508 ss. ad es. osserva che “i meccanismi di cumulo di responsabilità penali di soggetti qualificati e soggetti di fatto, che nella prassi si alimentano di costruzioni presuntive finalizzate ad assecondare istanze probatorie, si traducono in rigide ‘gabbie’ imputative, fondate sull’opportunistica fungibilità tra titolarità della qualifica formale e gestione occulta”.

cagionato ed a costui imputabile ex art. 40 c.p., comma 2, perché pregiudizievole per la società”482.

Va dunque osservato che, nel contesto in esame, nei casi in cui la direzione unitaria è maggiormente pregnante, tale escamotage consentirebbe di eludere la già rilevata assenza di un obbligo di garanzia in capo agli amministratori della holding, dando luogo ad un risultato analogo a quello prospettato dai progetti di riforma del codice penale già esaminati483. Inoltre, la predetta soluzione sembra dare “copertura giuridica” a quelle opinioni che fondano l’individuazione della posizione di garanzia su elementi fattuali di carattere sostanzialistico- funzionale484. In questa prospettiva, infatti, l’art. 2639 c.c. “si risolve nell’ampliamento della sfera dei garanti, sul presupposto secondo cui anche i soggetti di fatto sono posti in condizione di impedire la commissione di reati societari e, di riflesso, possono essere chiamati a rispondere di concorso mediante omissione”485.

482 Cass., Sez. V, 11 gennaio 2008, n. 7203, riportata in M. PELLISSERO, op. cit., in

Giur. It., 2010, p. 978 ss.

483 Osserva infatti F.M.IACOVIELLO, op. cit., in Cass. pen., 1998, p. 3151 ss. che “si comprende quale è la vera funzione della figura dell'amministratore di fatto: chiamare in causa gli amministratori della holding a titolo di responsabilità omissiva. Ecco dunque che la figura dell'amministratore di fatto è correlata ad una ulteriore tecnica: quella dell'art. 40 cpv. c.p. […] Invero, è difficile costruire una posizione di garanzia in capo agli amministratori della controllante, in quanto tali, per i reati delle controllate. Non c'è nessuna norma che consente tale operazione ermeneutica. Del resto, se quella norma ci fosse, non ci sarebbe stato bisogno di ricorrere all'amministratore di fatto […] Dall'essere amministratore di diritto della holding si deduce la qualifica di amministratore di fatto della controllata; una volta appiccicatagli tale etichetta, ecco che scatta per l'amministratore di fatto la stessa posizione di garanzia (e quindi la stessa responsabilità omissiva) che compete all'amministratore di diritto. Disegno audace e già confutato, che paradossalmente trae da una qualifica formale (l'essere amministratore di diritto della controllante) una qualifica funzionale (l'essere amministratore di fatto della controllata)”.

484 Trattasi di quella concezione, oggi minoritaria, secondo cui la fonte della

Garantenstellung andrebbe ricercata “nella situazione o posizione fattuale di garanzia

rivestita dal soggetto nei confronti del bene tutelato dalla norma incriminatrice”. Per un’illustrazione e una critica di tale opinione v. I. LEONCINI, op. cit., p. da 187 a 190. 485 Ancora A.GARGANI, op. cit., in Riv. trim. dir. pen. econ., 2017, p. 508 ss. che rileva che “in tal modo ‘viene a crearsi una sorta di correlazione biunivoca tra la posizione di garanzia dell’amministratore di fatto e la posizione di garanzia dell’amministratore di diritto’, essendo sia il primo, de facto, sia il secondo, de jure, tenuto ad impedire i reati dell’altro, secondo un circolo chiuso, insuperabile e perverso”. L’Autore si

A parere di chi scrive, una volta che si decidesse di accogliere l’opinione che sostiene l’applicabilità congiunta degli artt. 40 co. 2 c.p., 110 c.p. e 2639 c.c., nulla impedirebbe di calare uno schema imputativo fondato sul loro combinato disposto anche sull’eterogenea realtà dei gruppi societari: in tal modo, si potrebbe ritenere che gli amministratori della holding che esercitano in modo continuativo e significativo (un segmento de)i poteri tipici degli amministratori delle subordinate siano penalmente responsabili per l’omesso impedimento degli illeciti degli stessi amministratori (esecutivi) delle subordinate (relativi a quel medesimo segmento dell’attività gestoria).

Risulta però agevole intuire come il rischio di un paradigma di imputazione fondato sulle tre clausole estensive del fatto tipico testé richiamate sia proprio quello di allargare in maniera abnorme le maglie della repressione penale, violando il principio di legalità proclamato dall’art. 25 co. 2 Cost. attraverso la configurazione di una tipicità amorfa. È sufficiente considerare le incertezze che connotano, nella prassi, l’applicazione dei tre istituti singolarmente considerati per comprendere il rischio di derive costituzionalmente inammissibili.

Come accennato, allo stato attuale si registra un sostanziale disinteresse della dottrina e della giurisprudenza per questo sentiero imputativo, il quale, pur con le perplessità appena menzionate, potrebbe comunque essere percorso per attingere gli amministratori della

holding486.

Peraltro, a parere di chi scrive, laddove la clausola di equiparazione dell’art. 2639 c.c. fosse utilizzata in modo estremamente rigoroso e ponderato, l’individuazione della posizione di garanzia in capo

richiama a C. E. PALIERO, Le posizioni di garanzia, in AA.VV., Riscrivere il codice

penale. I fondamenti, 2014, Pisa, p. 68.

486 Fa eccezione A.DI AMATO, op. cit., in A.D’AVIRRO e A.DI AMATO (a cura di), op.

cit., p. 253 che invece fa un brevissimo cenno alla possibilità di configurare una

posizione di garanzia a carico del “l’amministratore della controllante come amministratore di fatto della controllata”.

all’amministratore della capogruppo qualificato come amministratore di fatto della subordinata rappresenterebbe un esito normativamente ammissibile e assiologicamente condivisibile487. Rimane, comunque, l’auspicio che sia il legislatore a delimitare siffatta posizione di garanzia nei termini illustrati in precedenza488: solo con un suo intervento, infatti, potrebbero essere adeguatamente contemperate le esigenze di conformità ai principi costituzionali (primi fra tutti, quelli di legalità e tipicità, che si rischia invece di ledere utilizzando la soluzione suggerita nel presente paragrafo) e le esigenze di tutela (attualmente insoddisfatte a fronte dell’assenza di qualsiasi obbligo di garanzia in capo ai vertici del gruppo che sembrano essere, talora, i veri responsabili della politica criminosa d’impresa).