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8. Alcuni profili della disciplina codicistica in materia di gruppi di società

8.3. Cenni sui “gruppi di imprese” nel codice della crisi d’impresa e

d’impresa e dell’insolvenza

Si è già accennato alla novità rappresentata, in materia di gruppi di società, dalla recente adozione del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n.14).

211 Così lo definisce M.BERGAMASCHI, op. cit., p. 66. Per ulteriori riflessioni di ordine generale in ordine al fenomeno del “gruppo apparente” e della c.d. “piercing the

corporate veil doctrine” si rinvengono in J.E.ANTUNES, op. cit., p. 219 ss. L’Autore osserva come tale tecnica giurisprudenziale sia il risultato di un approccio complessivamente formalista al problema intragroup liability, ove la regola è quella dell’autonomia e della separazione patrimoniale di ciascuna società del gruppo e l’eccezione è, appunto, costituita dal superamento dello schermo della personalità giuridica. L’Autore critica poi la grave carenza di prevedibilità e certezza di questo modo di procedere e, al fine di far ciò, richiama le parole di P.BLUMBERG, The law of

corporate groups. Procedural problems in the Law of Parent and Subsidiary corporations, 1983, Boston il quale icasticamente afferma che “a court that finds rigid application of the entity rule intolerable and decides to disregard the corporate entity by treating the subsidiary and the parent as one person for the purposes of the case at hand, or by attributing the acts of one to the other, typically enunciates its result with the statement that is ‘piercing the corporate veil’. Such a court often proceeds to justify the result by reliance on metaphor: in announcing its results, the court states that the subsidiary corporation is ‘adjunct’, ‘agent’, ‘alter ego’ […]. This is a jurisprudence by metaphor and epithet. It does not contribute to the legal understanding because it is an intellectual construction, divorced from business realities”.

Un primo dato che emerge con immediata evidenza dalla lettura dell’articolato è, innanzitutto, quello della presenza di una definizione del c.d. “gruppo di imprese”212 (art. 2 lett. h), che viene inteso come “l'insieme delle società, delle imprese e degli enti, escluso lo Stato, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile, sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica, sulla base di un vincolo partecipativo o di un contratto; a tal fine si presume, salvo prova contraria, che: 1) l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci; 2) siano sottoposte alla direzione e coordinamento di una società o ente le società controllate, direttamente o indirettamente, o sottoposte a controllo congiunto, rispetto alla società o ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento”.

Una novità che in tale formulazione è possibile riscontrare con immediatezza è quella che riguarda la possibilità di configurare una

holding persona fisica: possibilità che si tendeva ad escludere ai fini

dell’applicazione della disciplina del codice civile213. Altra apparente

innovazione che parrebbe potersi desumere dalla formulazione della norma è l’esclusione della capogruppo dalla struttura del gruppo: tuttavia, è da immaginare che questo esito paradossale sia dovuto ad un

212 Si predilige, quindi, questa dizione a quella che, per i motivi accennati nel paragrafo introduttivo, si è inteso adottare nella presente indagine: ciò probabilmente per la circostanza che la disciplina del fallimento (rectius, liquidazione giudiziale) è una parte dello statuto giuridico dell’impresa e dell’imprenditore (in generale, e non solo societario); inoltre perché si ammette anche che la holding sia una persona fisica (e quindi non solo una società).

213 Ex multis, F.GALGANO e G.SBISÀ, op. cit., p. da 63 a 65. Anche se occorre rilevare che la giurisprudenza civile aveva già affermato, in questo specifico settore del diritto commerciale, la fallibilità (e quindi, a fortiori, la configurabilità) della holding persona fisica. Sul punto si rinvia a V.NAPOLEONI, Geometrie parallele e bagliori corruschi

del diritto penale dei gruppi (bancarotta infragruppo, infedeltà patrimoniale e «vantaggi compensativi»), in Cass. pen., 2005, p. 3787 ss. L’Autore opera anche una

utile ed esaustiva ricostruzione della teoria dei c.d. vantaggi compensativi tra diritto penale e civile.

difetto nella redazione dal testo legislativo e che non se ne debba, pertanto, tener conto214.

Per il resto, questa definizione pare semplicemente riproporre, con formule differenti, nozioni e contenuti già presenti negli artt. 2497 ss. c.c. senza tuttavia colmarne le lacune: il che è, come anticipato, coerente con quanto esplicitamente previsto dalla legge delega n.155/2017 e confermato da quanto detto nella relazione illustrativa al decreto attuativo215. A tal proposito, è quindi interessante notare che l’art. 2 lett. h) del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza enfatizza, in modo alquanto opportuno, come il perno del fenomeno in esame sia l’attività di direzione e coordinamento, la quale rileva come fatto che si presume, salvo prova contraria, in presenza di un rapporto di controllo ex art. 2359 c.c. Anche in tale occasione, tuttavia, l’attività di direzione e coordinamento non è definita, avendo pertanto il legislatore preferito nuovamente rimettersi alla mobile elaborazione della dottrina e giurisprudenza in materia216.

In questa sede217, basti evidenziare che le norme relative alla crisi o insolvenza del gruppo sono contenute nel titolo VI del codice della crisi

214 O, al limite, ad altre motivazioni settoriali le quali tuttavia non possono giustificare, sul piano generale, la creazione di una figura di gruppo di società acefala, e cioè privata del centro decisionale che svolge l’attività di direzione e coordinamento. Per definizione, il gruppo di società deve ricomprendere tanto la holding quanto le subordinate, solo così potendosi realizzare quell’unità di impresa (soggetto economico) e quella pluralità di imprenditori (soggetti giuridici) cui si è più volte fatto riferimento. Probabilmente il difetto in esame è a sua volta originato dalla possibilità di configurare una holding persona fisica: ma una volta che il fenomeno si sia definito sotto l’etichetta del “gruppo di imprese”, non si intuisce alcuna plausibile ragione per non includere anche la holding (persona fisica o giuridica che sia) nella sua struttura. 215 Ove, a p. 17, si legge che “la riforma prevede una definizione di gruppo di imprese modellata sulla nozione di direzione e coordinamento di cui agli articoli 2497 e ss. e 2545-septies c.c., corredata della· presunzione semplice di assoggettamento a direzione e coordinamento in presenza di un rapporto di controllo ai sensi dell'art. 2359 c.c.”.

216 In particolare, v. supra, Capitolo I, § 5. e 5.1.

217 Basti ricordare che alcuni primissimi commentatori del d.lgs. 14/2019 e della l. delega 155/2017 hanno evidenziato la probabilità che la riforma si riverberi anche sul terreno penalistico (e, soprattutto, su quello dei reati di bancarotta): F.DI VIZIO,

Riforma crisi d’impresa: gli effetti penali riflessi della L. 155/2017, in Quotidiano giuridico, 12 dicembre 2017; F.DI VIZIO, Le novità che esplicano un’incidenza riflessa

d’impresa e dell’insolvenza, artt. da 284 a 292. A tal proposito, nella relazione illustrativa della riforma si afferma che “il connotato tendenzialmente unitario del fenomeno di gruppo ha assunto una valenza maggiore nelle procedure concordatarie tese a garantire il più possibile la continuità aziendale, rispetto alle procedure meramente liquidatorie, in cui è naturalmente destinata a prevalere la visione statica dei diversi patrimoni sui quali i creditori di ciascun soggetto societario hanno rispettivamente titolo per soddisfarsi”218.

L’impostazione “atomistica” adottata dal legislatore del nuovo codice della crisi d’impresa con riferimento alle procedure liquidatorie pare, peraltro, coerente con quanto già sosteneva quell’autorevole dottrina penalistica che affermava che “sul piano del diritto fallimentare è insopprimibile l’autonoma soggettività delle singole consociate: nessuna convenienza di gruppo può lecitamente frustrare le aspettative dei rispettivi creditori. La matrice ‘atomistica di beni come l’integrità della garanzia patrimoniale […] è fuori questione”219.

sulla configurabilità e sulla perseguibilità di fattispecie penali collegate alla crisi ed all’insolvenza d’impresa, in Quotidiano giuridico, 13 marzo 2019.

218 Relazione illustrativa al d.lgs. 14/2019, p. 17. Prosegue la relazione: “Ciò posto, è stato previsto lo svolgimento di una procedura unitaria per la trattazione dell'insolvenza delle plurime imprese del gruppo, individuando criteri di competenza territoriale idonei allo scopo, precisando che, anche in caso di procedure distinte che si svolgano in sedi giudiziarie diverse, vi siano obblighi di reciproca informazione a carico degli organi di tali procedure. È stata disciplinata la possibilità di proporre un unico ricorso sia per l'omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti dell'intero gruppo, sia per l'ammissione di tutte le imprese del gruppo alla procedura di concordato preventivo e per la successiva eventuale omologazione, anche con presentazione di un piano concordatario unico o di piani tra loro collegati. Ciò non comporta il venir meno dell'autonomia delle masse attive e passive di ciascuna impresa costituita in forma di società dotata di propria personalità giuridica (né esclude la necessità di votazioni separate da parte dei creditori di ciascuna società), ma consente di tenere pienamente conto dei riflessi reciproci delle singole operazioni contemplate dal piano e delle eventuali operazioni organizzative infragruppo. Nell'ipotesi di gestione unitaria della procedura di liquidazione giudiziale di gruppo sono previsti un unico giudice delegato e un unico curatore ma distinti comitati dei creditori per ciascuna imprese del gruppo, oltre un criterio di ripartizione proporzionale dei costi della procedura tra le singole imprese del gruppo”.

219 C.PEDRAZZI,Dal diritto penale delle società al diritto penale dei gruppi op. cit., oggi in ID.,op. cit., p. 815 ss. Cfr. anche G.COCCO, op. cit., in Riv. trim. dir. pen. ec., 2003, p. 1026, che afferma che “nel diritto penale fallimentare, dunque, il fenomeno del gruppo di imprese sembra avere natura esclusivamente economica”. In realtà, la

In questa prospettiva, quindi, nel nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza si può rilevare una regolamentazione del gruppo di società fondata su una logica modulare, in cui, a seconda degli scopi di volta in volta perseguiti, viene esaltato il dato dell’unità ovvero della pluralità che compongono il gruppo. Tale impostazione risulta particolarmente istruttiva per l’interprete che si trovi a dover risolvere problematiche correlate alla responsabilità delle persone fisiche e degli enti nel contesto del gruppo in quanto consente di elaborare soluzioni teoriche flessibili, non cristallizzate sull’uno o l’altro elemento costitutivo del fenomeno ma finalizzate a garantire, in modo assiologicamente coerente con gli scopi di volta in volta perseguiti dall’ordinamento, il massimo grado possibile di adesione alla sua multiforme realtà.

9.

I diversi approcci alla questione della liability nel

gruppo di società

Completato l’inquadramento del gruppo di società nell’ordinamento civilistico italiano, è opportuno soffermarsi sui diversi approcci che si rinvengono sul piano comparato rispetto alla civil

liability nel gruppo di società.

A tale rassegna è opportuno però premettere una riflessione, di matrice giusfilosofica, in ordine alla possibilità di ritenere il gruppo di società (nel suo complesso) come un agent, e cioè come un attore capace di adempiere alle prescrizioni (morali e/o legali) della comunità e

più recente giurisprudenza sembra aver parzialmente rivisto tale orientamento tramite l’affermazione dell’applicabilità (prima esclusa, come osservava con attitudine critica V.NAPOLEONI, op. cit., in Cass. pen., 2005, p. 3787 ss.) della clausola dei c.d. vantaggi compensativi dell’art. 2634 co. 3 c.c. anche nel contesto dei reati di bancarotta impropria fraudolenta (“a mo’ di applicazione di un principio generale”). In proposito, si v. D.FALCINELLI, Riflessioni in progress: la clausola dei vantaggi compensativi

infragruppo e i principi di sistema dell’offensività (penale) in concreto, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2014, p. 435 ss.

pertanto in grado di sostenerne la relativa responsabilità220. Se è indubbio che il gruppo di società possa essere considerato una organizzazione in termini weberiani221, più complesso è sostenere che esso sia anche un agent: a tal fine occorrerebbe riscontrare una “recognisable and stable structure” e una “self-awareness arising from

the organisation’s sense of its own mission”, la quale dovrebbe a sua

volta produrre uno specifico “ethos”222.

A chi scrive pare che un esito siffatto possa escludersi, essendo difficile immaginare che degli enti possano, a loro volta, costituire, mediante l’organizzazione di gruppo (la quale è, peraltro, flessibile e mutevole), un duraturo sostrato collettivo, dotato di una specifica identità e di un suo specifico ethos, tale da consentire di identificare un (ulteriore) agent: più verosimilmente, infatti, l’ethos e l’identità stessa del gruppo dipendono dalle scelte, di ordine strategico e generale, di volta in volta compiute dalla capogruppo nell’esercizio della sua direzione unitaria223. Il che conduce, peraltro, a confermare - anche sul piano giusfilosofico - l’esclusione di quegli orientamenti che avrebbero inteso “entificare” il gruppo di società al fine di attribuirgli una responsabilità patrimoniale complessiva224.

220 Il termine agent è utilizzato nel modo in cui lo utilizza anche C.HARDING, Criminal

enterprise. Individuals, organisations and criminal responsability, 2007, Londra, p.

76, il quale afferma che “agency is used here to refer to the situation of an actor

capable of responding to relevant norms within a normative domain, such as the moral or the legal”.

221 Ricorda infatti C.HARDING, op. cit., p. 39 che i quattro elementi costitutivi della definizione di M. WEBER sono “a) social relationships or individual interactions

within closed or limited boundaries; b) order – a structuring of interactions imposed by the organisation itself; c) interactions which are “associative” rather than “communal” (distinguishing the corporate group from other forms of social organisation, such as the family); d) the performance of continuous purposive activities of a specified kind (pursuit of goals)”. Il gruppo di società pare soddisfare

queste quattro condizioni.

222 Ancora C.HARDING, op. cit., p. 69 ss., ove richiama T.ERSKINE, Can Institutions

have responsibilities? Collective moral agency and International relations, 2003, New

York, p. 24.

223 Si v. supra, Capitolo I, § 5.1.

Chiarito che non è possibile immaginare una responsabilità complessiva del gruppo di società inteso come unico agent, si tratta di esaminare le tre soluzioni che sul piano teorico (e, talora, pratico) sono state elaborate con riferimento al problema della civil liability nel contesto di gruppo.

Il primo approccio, tradizionale e assolutamente prevalente tanto nei sistemi di common law quanto in quelli di civil law (e, quindi, anche nell’ordinamento italiano225), è il c.d. entity-law approach: in estrema

sintesi, esso si caratterizza per l’esaltazione della distinzione della personalità giuridica e dell’autonomia delle diverse società che compongono il gruppo (pluralità di soggetti giuridici) e, di conseguenza, per l’esclusione di qualsiasi responsabilità (al di là del capitale sottoscritto) della capogruppo per i debiti delle società subordinate226. È

nell’ambito di questa generale strategia alla risoluzione delle problematiche di responsabilità patrimoniale nel contesto della

polycorporate enterprise che si sviluppa, come eccezione rispetto alla

usuale regola della distinzione tra la holding e le altre società del gruppo, la già richiamata dottrina del “piercing (or lifting) the corporate veil” (in italiano, come detto, “squarcio” del velo o superamento dello schermo della personalità giuridica).

Il secondo approccio, appena abbozzato in alcuni documenti europei227 ma comunque di grande interesse teorico, è il c.d. enterprise

225 Salvo alcune eccezioni che, per così dire, confermano la regola. J.E.ANTUNES, op.

cit., p. 258 richiama gli artt. 2632 c.c. e 147 L.F.

226 J.E.ANTUNES, op. cit., p. 237 così descrive tale approccio: “the position of those

legal orders that decide intragroup liability questions on the basis of the fundamental principle that one member of a corporate group, namely the parent corporation, cannot be made liable for the debts or the acts of another group member for the reason that they are distinct legal entities”.

227 Ricordava infatti oramai vent’anni fa J.E.ANTUNES, op. cit., p. 277, 278 e 285 che questo approccio “has found its most clear and elaborated recognition in several

proposals initiated by EU Commission during the 1970s in the context of its work on the harmonization and coordination of company laws in Europe. The original trend- setting source of this new approach was introduced for the first time in the history of modern company law in the context of the Statutes for a European company (Societas Europea). […] has found a second major recognition in the context of the preliminary

approach: in estrema sintesi, esso si caratterizza per l’esaltazione della

direzione unitaria che la capogruppo esercita sulle subordinate (unità di impresa) e, di conseguenza, afferma la responsabilità patrimoniale della

holding “for all the unpaid debts and acts” delle subordinate. Di fatto,

quindi, essa impone una “unlimited liability of the parent company”228:

il che, si noti per inciso, precluderebbe il perseguimento di quella diversificazione e limitazione dei rischi che, come si è visto, è una (o, forse, la) ragione centrale per la costituzione di un gruppo di società229,

draft for a 9th EU Directive on the harmonization of the law on group of companies. […] the proposed regulatory strategy still remains today purely de lege ferenda”. In

realtà, come osserva, C.A.WITTING, op. cit., p. 174 “the conception of the company

and its constituents as pursuing business projects as ‘an enterprise’ can be traced back to the early twentieth century, following implementation of statutory workers’ compensation laws in the United Kingdom”. La vera e propria genesi di questo

approccio è secondo lui da farsi risalire a un paper di A.A.BERLE, The Theory of

Enterprise Entity, in Columbia Law Review, 1947, p. 343 ss.

228 Ancora J.E.ANTUNES, op. cit., p. 277. L’Autore evidenzia peraltro che questo approccio non è meno “formalistic” del precedente e, a p. 295 ss., ne critica le debolezze, riassumibili nei seguenti tre vizi: “uncertainty, automatism and rigidity”. Su quest’ultima carenza pare opportuno riportare qualche ulteriore riflessione (p. 301 ss.) dell’Autore: “by imposing a uniform solution indiscriminately on all types of

corporate groups, it fails to provide a flexible and differentiated regime able to accommodate the diversity of their organizational and governance structures and proves to be rather inconsistent regulatory framework for a large sector of group reality. To begin with, this will be the case for all corporate groups with a very decentralized organizational and governance structure. […] Likewise, this will also be the case for all those groups organized in a centralized way where […] the particular managerial decision-making process from which the concrete liabilities complained of by creditors in the case at hand arose is to be entirely imputed to the autonomous decision-making authority of subsidiary managers. […] Finally, this regime also seems to be misleading for all those groups where, irrespective of their centralization […], one of these two following situations occur. First, where the parent’s involvement in subsidiary affairs has been carried out in the best interests of the subsidiary itself and the state of subsidiary default has emerged from purely fortuitous and unpredictable circumstances, completely independent of its unified management. […] Second, where that state of subsidiary default had its origins before the beginning of the group relationship itself, being therefore outside the parent corporation’s control”.

229 Si v. supra, Capitolo I, § 2. Peraltro, questo si rifletterebbe, come osserva sempre J.E.ANTUNES, op. cit., p. 313, anche nel venir meno “its capital-raising properties” poiché “by increasing the risk exposure both of shareholder and managers, it would

have a deterrence effect on the undertaking of high-risk, but economically and socially desirable, investments” così “introducing an artificial law-made competitive advantage of single-corporate enterprises over polycorporate ones”.

inducendo di conseguenza le medio-grandi imprese a scegliere altre forme di organizzazione della loro attività economica230.

Il terzo ed ultimo approccio, di minore interesse ai fini della presente ricerca, in quanto radicato nelle peculiarità della disciplina tedesca dei gruppi di società, è il c.d. dualist-approach: in estrema sintesi, esso si caratterizza per la proposizione di due diverse soluzioni al problema della responsabilità patrimoniale della holding a seconda che si sia in presenza di un c.d. gruppo contrattuale (e cioè di un gruppo costituito sulla base di un contratto di dominazione, la cui liceità è, come accennato, da escludersi nel nostro ordinamento231) ovvero di un c.d. gruppo di fatto (in cui la direzione unitaria è esercitata a prescindere da un accordo di tal genere). Nell’ipotesi dei gruppi contrattuali, infatti, la capogruppo ha un obbligo di “cover all the annual losses” delle subordinate e una “joint liability for the settlement of their debts”; viceversa, nell’ipotesi dei gruppi di fatto, si mantengono integralmente la separazione della personalità giuridica e l’autonomia del patrimonio delle diverse società del gruppo232.

Prescindendo da ulteriori considerazioni, basti qui evidenziare come tale strategia regolatoria risulti teoricamente feconda laddove si osservi che essa pare essere “responsive to the increase needs of

regulatory flexibility in this area, by leaving to regulatory addresses themselves the ultimate choice about the most suitable legal environment for their organization (given the voluntary character of the