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3. La holding come amministratrice di fatto della subordinata o come

3.1. Per una “riscoperta” del principio di autonomia della

contesto dei gruppi di società

Per tale ragione, occorre verificare se, nel d.lgs. 231/2001, vi siano degli appigli normativi tali da consentire una legittima (in quanto rispettosa dei principi di legalità e di personalità dell’illecito)

da intendere come presunta. Per scansare la risalita di tale responsabilità, la società controllante sarà tenuta a dimostrare di aver fatto tutto il possibile al fine di evitare la commissione dell’illecito da parte della controllata”. Non si vede in che modo una presunzione di tal sorta possa essere giustificata nel sistema punitivo del d.lgs. 231/2001.

560 E analogamente sono viziate quelle argomentazioni che, al fine di confutare tali soluzioni, confondono i due piani (quello delle persone fisiche e quello degli enti che compongono il gruppo), quali ad es., A. SCAFIDI, op. cit., in Rivista231, 2010, n. 1, p. 91 ss., nonché C. CORATELLA,op. cit., in Rivista231, 2010, n. 3, p. 85 ss.

configurazione di un’autonoma responsabilità della holding. Il pensiero corre immediatamente all’art. 8, e in particolare al co. 1 lett. a), ove si stabilisce che l’ente può rispondere anche quando “l'autore del reato non è stato identificato”. Trattasi, come è noto, del principio di autonomia della responsabilità dell’ente, sulla cui portata gli interpreti si sono ampiamente interrogati561.

Senza poter qui ripercorrere l’interessante dibattitto sviluppatosi in materia, pare sufficiente riportare la prevalente opinione secondo la quale tale principio, “che senz’altro svolge una fondamentale funzione simbolica”, “nel piano pratico potrà trovare applicazione soltanto nei casi di imputazione soggettivamente alternativa, quando cioè sia acclarato il fatto-reato completo nei suoi elementi essenziali, senza che sia stato possibile attribuirlo ad uno o più soggetti determinati”562.

Pur accogliendo tale interpretazione “minimalista” del principio di autonomia della responsabilità dell’ente, chi scrive ritiene che esso possa comunque svolgere un ruolo estremamente rilevante nel contesto dei gruppi di società. Esso ha infatti, secondo la Relazione di accompagnamento al decreto, la funzione di disciplinare l’ipotesi “della mancata identificazione della persona fisica che ha commesso il reato”, la quale è “un fenomeno tipico nell'ambito della responsabilità

561 Ex multis, G.DE VERO, op. cit., p. 204 ss.

562 Così T. GUERINI, Diritto penale ed enti collettivi. L’estensione della soggettività

penale tra repressione, prevenzione e governo dell’economia, 2018, Torino, p. 68. Su

tale interpretazione “riduttiva” del principio converge anche G.DE VERO, op. cit., p. 207. Anche C.E.PALIERO, La società punita: del come, del perché, e del per cosa, in

Riv. it. dir. proc. pen., 2008, p. 1516 ss., afferma comunque che “pur se la

responsabilità dell'ente ha una sua autonomia, tanto che sussiste anche quando l'autore del reato non è stato identificato o non è imputabile (art. 8 d. lgs. n. 231), è imprescindibile il suo collegamento alla oggettiva realizzazione del reato, integro in tutti gli elementi strutturali che ne fondano lo specifico disvalore da parte di un soggetto fisico qualificato”. Sembrerebbe orientarsi in senso avverso G. COCCO, op.

cit., in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, p. 90 ss., il quale afferma di ritenere “superata

ogni contestazione sulla autonomia della responsabilità degli enti in esame, il ‘reato’ cui si riferisce la responsabilità dell'ente non è quello conosciuto dal diritto penale: piena autonomia, dunque, e anche netto distacco dalla responsabilità penale”.

d'impresa” determinato dalla “complessità dell'assetto organizzativo interno” che caratterizza la struttura aziendale.

Ciò considerato, è sufficiente ricordare quanto detto con riferimento alle potenzialità criminogene dei gruppi di società per comprendere come questo “fenomeno tipico” sia ivi ancor più intenso e frequente: in tale contesto, infatti, la presenza di una pluralità di società (e, quindi, di organi sociali e persone fisiche) che conducono simultaneamente un’unica impresa di medie o grandi dimensioni accresce la complessità dei percorsi decisionali, rendendoli spesso non intellegibili563 e accrescendo quindi il rischio di “subjektlose Prozesse”564.

Tali considerazioni illuminano il rilevante ruolo che il principio di autonomia della responsabilità dell’ente potrebbe svolgere nel contesto della “iper-complessità” organizzativa dei gruppi di società, ove i casi di “imputazione soggettivamente alternativa” paiono poter essere consistenti. Tuttavia, occorre sottolineare come, piuttosto curiosamente, né la dottrina né la giurisprudenza abbiano inteso valorizzare l’utilità dell’art. 8 del d.lgs. 231/2001 nella decifrazione del fenomeno in esame. Ciò è probabilmente dovuto non solo all’interpretazione “riduttiva” della norma prevalentemente accolta, ma anche alla difficolta pratica di soddisfare, quando l’autore del reato non sia identificato, i criteri di imputazione descritti agli artt. 5, 6 e 7 del d.lgs. 231/2001565.

Ad ogni modo, tutto ciò considerato, occorre tornare alla ragione per cui si è inteso valorizzare l’operatività dell’art. 8 nel contesto dei gruppi di società, e cioè l’esigenza di individuare delle modalità utili a far ricadere la responsabilità ex crimine direttamente sulla holding (senza coinvolgere le società subordinate), in coerenza con i principi

563 Cfr. supra, Capitolo I, § 10.

564 O “processi decisionali senza soggetto”. C. PIERGALLINI, op. cit., p. 16, che richiama W.LUBBE, op. cit., p. 15.

565 Difficoltà rilevata e risolta (nell’ottica dell’interpretazione minimalistica summenzionata) da G.DE VERO, op. cit., p. 209.

fondamentali del d.lgs. 231/2001, tra i quali, in primis, i principi di legalità e di personalità dell’illecito.

Adottando tale prospettiva di indagine, è evidente che non si possa comunque promuovere un uso spregiudicato della clausola dell’art. 8 del d.lgs. 231/2001, tale da imputare alla holding qualsivoglia reato commesso nel contesto di gruppo da un autore non identificato.

Al contempo, però, non pare peregrino l’orizzonte di una “riscoperta” di tale strumento normativo allo scopo di attingere la capogruppo in tutte quelle circostanze in cui il reato sia stato commesso da un autore non identificato in un ambito dell’attività di impresa in cui essa esercita la sua direzione unitaria.

In tali situazioni, evidentemente, l’art. 8 potrebbe – secondo l’interpretazione minimalista qui accolta - essere impiegato solo laddove sia ravvisabile un reato integrato in tutti i suoi elementi e tuttavia riconducibile a una cerchia ristretta di soggetti (verosimilmente apicali) della società capogruppo e della società subordinata coinvolta nell’attività da cui è scaturito l’illecito.

Anche in tale scenario, tuttavia, il principio di autonomia della responsabilità dell’illecito non potrebbe essere strumentalmente piegato all’esigenza di attingere la holding: al contrario, sarebbe necessario che gli organi inquirenti accertassero se il reato sia scaturito da una decisione di carattere strategico ovvero operativo. Nel primo caso, si potrà correttamente imputare l’illecito alla capogruppo566. Nel secondo,

invece, occorrerà accertare anche l’intensità dell’attività di direzione e coordinamento in quella specifica funzione aziendale: solo laddove quest’attività sia tale da riguardare anche le “quotidiane scelte gestorie

566 Sulla base della constatazione secondo la quale, nei settori d’impresa in cui è esercitata la direzione unitaria, le scelte strategiche spettano alla capogruppo. V. supra, Capitolo I, § 4, 4.1, 5 e 5.1.

della controllata”567 allora si potrà correttamente imputare l’illecito alla

holding.

Trattasi – lo si riconosce – di un percorso piuttosto accidentato: tuttavia, esso non pare, per le ragioni viste, impraticabile. Inoltre, esso si presenta come rispettoso dei principi di legalità e di personalità della responsabilità, soddisfacendo quindi – perlomeno in talune circostanze - l’esigenza dalla quale ci si era mossi.

Innanzitutto, infatti, sebbene esso proceda per presunzioni in ordine alla riconducibilità del reato all’attività di direzione unitaria della capogruppo (e quindi ad un soggetto ad essa appartenente), si richiede che queste siano comunque corroborate da adeguati riscontri empirici. Inoltre, è importante osservare come la riconduzione, per il tramite dell’art. 8, dell’illecito alla holding nel caso in cui non sia identificato l’autore del reato, non pregiudica in alcun modo la necessità di verificare la piena integrazione, rispetto ad essa, dei criteri oggettivi e soggettivi di imputazione di cui agli artt. 5 (in particolare, l’interesse o vantaggio) e (in ipotesi) 6 del d.lgs. 231/2001.

Per tali ragioni, l’uso dell’art. 8 testé proposto, pur muovendosi in uno spazio di incertezza relativo alla riferibilità soggettiva (agli apicali della capogruppo ovvero agli apicali della subordinata coinvolta) del reato, consente, nello scenario richiamato, di attingere direttamente la

holding in modo conforme non solo al principio di legalità, ma anche a

quello di personalità dell’illecito.

4. Il criterio oggettivo: il legame tra la persona fisica