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ai sindaci della holding

Coerentemente con quanto preannunciato in sede introduttiva, occorre soffermarsi ora sui paradigmi di imputazione, nel contesto dei gruppi di società, degli altri soggetti apicali della holding, e cioè i

487 Un uso rigoroso della clausola di equiparazione dell’art. 2639 c.c., infatti, consentirebbe di individuare una posizione di garanzia a carico degli amministratori della holding solo quando essi esercitano, in un determinato settore dell’attività economica della subordinata, un’ingerenza molto consistente (e cioè realmente “significativa” e “continuativa”). A fronte di ciò, l’applicazione congiunta degli artt. 40 co. 2 e 110 c.p. condurrebbe a ritenere penalmente responsabili (per concorso omissivo nel reato degli amministratori della subordinata) dei soggetti che quindi realmente possedevano, in quel settore dell’attività economica, un potere di “signoria”. Si tratta di un esito che potrebbe soddisfare quelle esigenze di tutela già menzionate

supra, Capitolo II, § 6, 7, 8 e 8.1. Si noti comunque che la possibilità di ritenere, nei

termini rigorosi appena menzionati, l’amministratore della holding come amministratore di fatto della subordinata non è, nel contesto economico italiano, del tutto remota: si consideri, infatti, che “che circa il 76% dei gruppi italiani è composto da strutture molto semplici (1-2 società operative) e che, dunque, soltanto una percentuale molto esigua di imprese è organizzata sul modello del gruppo polifunzionale e caratterizzato da ampia autonomia ed eterogeneità di azione che pure prevalentemente costituisce oggetto di analisi e ricerca da parte della dottrina sia penale che commerciale”. Così E. SCAROINA, La responsabilità del gruppo di imprese

ai sensi del d.lgs. 231 del 2001: problemi risolti e questioni aperte, 2013, in Riv. dir. comm., p. 1 ss.

sindaci. Lo studio verterà in realtà solamente sull’ipotesi, maggiormente rilevante nella prassi, della responsabilità penale scaturente dall’inosservanza dell’obbligo di garanzia di cui essi sono, secondo taluni, titolari489.

Anche in tale sede occorre tuttavia premettere alcune note introduttive sulla configurabilità di una posizione di garanzia in capo ai sindaci di società “monadi”.

Le incertezze sono, a tal proposito, ancora più consistenti rispetto a quelle che si sono registrate con riferimento agli amministratori non esecutivi. La dottrina è, infatti, piuttosto divisa in materia: a fronte di coloro che sono tendenzialmente inclini a ritenere che quello gravante sui sindaci sia un mero obbligo di sorveglianza (non rilevante, quindi,

ex art. 40 co. 2 c.p.)490, vi sono anche coloro che, invece, argomentano

a favore dell’identificazione in capo ad essi di un vero e proprio obbligo di garanzia penalmente rilevante ai sensi dell’art. 40 co. 2 c.p.491.

489 È ovvio, peraltro, che i sindaci potrebbero anche concorrere mediante una condotta di partecipazione attiva nella commissione di un illecito insieme agli amministratori. Lo ricordano F. STELLA e D. PULITANÒ, La responsabilità penale dei sindaci di società

per azioni, in Riv. trim. dir. pen. ec., 1990, p. 553 ss.

490 Così I. LEONCINI, op. cit., p. 172 ss., la quale, con riferimento alla normativa civilistica anteriore alla riforma del 2003, rilevava che “non risulta previsto dalla norma privatistica alcun potere di intervento diretto (impeditivo) su eventuali atti illeciti commessi dagli amministratori. Il che è perfettamente logico, essendo il collegio sindacale un organo di mero controllo, del tutto estraneo alla gestione sociale”. Così anche F. FOGLIA MANZILLO, op. cit., p. 190 ss., il quale, esaminando le disposizioni del codice civile posteriori alla riforma del 2003, ritiene che “dall’esame della normativa sulle funzioni e sui poteri dei componenti del collegio sindacale non sembra di poter affermare che i sindaci siano muniti di quei poteri di impedimento degli eventi posti in essere dagli amministratori. Le loro funzioni per gran parte attengono ad un potere di denunzia […] che potrebbe essere ricondotto nell’ambito di obblighi di sorveglianza. Per quanto attiene, invece, i poteri di controllo preventivo attribuiti agli stessi (poteri di convocazione dell’assemblea e del c.d.a.) è necessario verificare se l’esercizio di tali poteri in concreto impedisce la commissione dell’evento dannoso”. Anche F. MANTOVANI, op. cit., p. 159, osserva che l’obbligo dei sindaci ex artt. 2403 e 2407 c.c. può essere considerato un esempio paradigmatico di obbligo di sorveglianza.

491 Così, ex multis, F. STELLA e D. PULITANÒ, op. cit., in Riv. trim. dir. pen. ec., 1990, p. 553 ss., i quali sostengono che “In questi termini, dalla disciplina civilistica sembra emergere chiara una ‘posizione di garanzia’, con i contenuti della ‘posizione di controllo’ sull’attività degli amministratori, a salvaguardia di interessi patrimoniali della società e dei creditori sociali”. Gli autorevoli Autori, quindi, intendono comunque limitare l’obbligo giuridico dei sindaci all’impedimento dei soli reati

Il dibattito si focalizza, anche in tale ambito, sulla titolarità in capo ai sindaci di poteri giuridici effettivamente impeditivi: le norme di riferimento sono, sul punto, gli artt. 2403 bis e 2407 c.c. A fronte delle previsioni in esse contenute, alcuni ritengono che “i poteri-doveri dei sindaci hanno (anche) la funzione di prevenire il verificarsi di eventi dannosi, ed il loro esercizio può risultare idoneo a tal fine”492; altri,

invece, ritengono che tali poteri non possiedano “una capacità direttamente impeditiva dell’evento dannoso per la società”493. In effetti,

le facoltà di cui dispongono i sindaci494 appaiono poter impedire la realizzazione dell’illecito da parte degli amministratori solo mediante l’intervento di soggetti terzi dotati poteri impeditivi diretti: in quest’ottica, quindi, i sindaci paiono avere solo poteri impeditivi di tipo mediato495.

A fronte di tale controversia dottrinale, comunque, la giurisprudenza è piuttosto univoca496 nell’enucleare dalle norme

societari che possono essere commessi dagli amministratori. Cfr. anche, in modo piuttosto incidentale, C. PEDRAZZI,Gestione di impresa op. cit., oggi in ID.,op. cit., p.

da 683 a 685.

492 Ancora F. STELLA e D. PULITANÒ, op. loc. ult. cit., osservano, infatti, che “segnalando in sede societaria situazioni anomale accertate (poniamo, carenze del sistema contabile), o sospetti […] i sindaci portano allo scoperto fatti ed atti la cui conoscenza da parte di terzi è ostativa alla realizzazione degli illeciti: e in alcuni casi possono anche adottare direttamente concrete contromisure. V’è quanto basta, dunque, perché possa porsi il problema della causalità dell’omesso esercizio dei poteri dei sindaci rispetto al verificarsi dell’evento, nei medesimi termini in cui tale problema si pone in via generale per i reati commissivi mediante omissione”.

493 Così, F. FOGLIA MANZILLO, op. cit., p. 195.

494 Consistenti, oltre ai poteri di ispezione e informazione, nel potere di impugnare le delibere dell’assemblea o del c.d.a., quando non sono prese in conformità allo statuto o alla legge (ma l’illecito potrebbe già essere stato compiuto); nel potere di convocare l’assemblea, nelle società quotate, qualora il collegio ravvisi l’omissione o l’ingiustificato ritardo nell’effettuare le convocazioni obbligatorie da parte del c.d.a. e, infine, nel potere di denunzia al Tribunale, ex co. 5 dell’art. 2409 c.c., nell’ipotesi di gravi irregolarità nella gestione, capaci di produrre un danno alla società. Cfr. F. FOGLIA MANZILLO, op. cit., p. 194.

495 Che sono comunque, secondo taluni, idonei a fondare una Garantenstellung. Cfr. A. NISCO, op. cit., p. 444

496 Per una pronuncia orientata in senso avverso, v. Cass. pen., sez. V, 12 novembre 2001, in Cass. pen., 2003, p. 409 ss., in cui “la Corte esclude la configurabilità di una vera e propria posizione di garanzia in capo ai sindaci, non rilevando la sussistenza dei poteri funzionali in capo a questi” (richiama e commenta la sentenza F. FOGLIA

civilistiche una posizione di garanzia onnicomprensiva497, penalmente rilevante ai sensi dell’art. 40 co. 2 c.p., in capo ai sindaci, senza peraltro precisare quali siano i poteri impeditivi di cui essi dispongono e senza accertare adeguatamente il nesso di causalità tra il mancato adempimento del loro obbligo e la realizzazione del reato498.

Ciò chiarito, occorre innanzitutto osservare che la possibilità di configurare in capo ai sindaci della holding un obbligo giuridico penalmente rilevante di impedire i reati degli amministratori delle società subordinate non è presa in considerazione né dalla dottrina, né dalla giurisprudenza. Ciò è dovuto al fatto che l’individuazione di siffatta posizione di garanzia è non solo impossibile alla luce della attuale normativa civilistica, ma anche abnorme a fronte dell’autonomia di cui, ex art. 2380 bis c.c., godono gli organi gestori delle diverse società del gruppo.

Si è tuttavia ritenuto di doverla sottoporre ad esame in virtù delle considerazioni di una autorevole dottrina giuscommercialistica in ordine al rilievo che alcune norme del codice civile relative al collegio sindacale hanno rispetto al contesto dei gruppi di società. Innanzitutto, si osserva che l’art. 2403 bis co. 2 c.c. consente ai sindaci di chiedere agli amministratori notizie sull'andamento delle operazioni sociali o su determinati affari anche con riferimento alle società controllate; inoltre, si rileva che l’art. 2409 c.c. riconosce loro la facoltà di denunziare al tribunale il fondato sospetto che gli amministratori della controllante, “in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno” a una o più società controllate; infine, si ritiene che anche l’art. 2403 c.c. in ordine ai loro doveri di vigilanza vada adattato al contesto dell’impresa di gruppo, in tal modo

497 Non limitata, quindi, ai soli reati societari, come rilevano F. STELLA e D. PULITANÒ,

op. cit., in Riv. trim. dir. pen. ec., 1990, p. 553 ss.

498 Come rileva M. PELLISSERO, op. cit., in Giur. It., 2010, p. 978 ss., che analizza sia la giurisprudenza precedente alla riforma del 2003, sia quella successiva. Cfr. anche F. FOGLIA MANZILLO, op. cit., p. 35.

potendosi affermare che esso imponga al collegio sindacale della

holding di verificare“che l’organo amministrativo [della capogruppo]

eserciti l’attività di direzione e coordinamento in modo legittimo”499.

Tuttavia, in nessun modo è possibile da tali norme enucleare un obbligo penalmente rilevante a carico dei sindaci della holding di impedire i reati degli amministratori delle subordinate. In effetti, le norme appena menzionate si riferiscono esclusivamente al rapporto di controllo intercorrente tra il collegio sindacale della capogruppo e gli amministratori della medesima società. Nessun cenno è dedicato al tema dei doveri (e dei poteri) dei sindaci della holding rispetto agli organi gestori delle subordinate. La stessa dottrina giuscommercialistica sopra richiamata, del resto, chiarisce che il collegio sindacale della capogruppo non rappresenta “l’organo di controllo del gruppo”, essendo esso esclusivamente tenuto a vigilare sull’attività (anche di direzione e coordinamento) degli amministratori della capogruppo500.

In questa prospettiva, pertanto, è possibile affermare che, in base alla normativa civilistica attualmente vigente, non sussiste alcun obbligo né di (mera) sorveglianza né tantomeno di garanzia dei sindaci della

holding rispetto all’attività degli amministratori delle società

subordinate.