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Bisogni organizzativi e ruolo del contesto: il caso IKEA e il Welfare norvegese

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE

Corso di Laurea magistrale in

Sociologia e Management dei Servizi Sociali

TESI DI LAUREA

Bisogni organizzativi e ruolo del contesto: il caso IKEA

e il Welfare norvegese

CANDIDATA

RELATORE

Marzia Cettina Severino

Prof. Matteo Villa

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INDICE

Abstract in lingua italiana pag. 4 Abstract in lingua inglese pag. 6 Introduzione pag. 8

CAPITOLO I

GLOBALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA: CAMBIAMENTI PER L’IMPRESA LO STATO E IL LAVORO

I.1 Come si arriva a un mondo globale: dal fordismo al postfordismo pag. 11 I.2 Cambiamenti per l‟impresa e per il lavoro pag. 15 I.3 Lo Stato Sociale: evoluzione e crisi pag. 20 I.4 Un mondo globale: globalizzazione dell‟economia pag. 22 e posizione dello Stato

I.5 L‟impresa multinazionale pag. 26

CAPITOLO II

CONTESTUALIZZAZIONE ED EVOLUZIONE DELLE TEORIE ORGANIZZATIVE

II.1 Gli studi classici pag. 32 II.2 La scuola delle relazioni umane pag. 37 II.3 La scuola delle human resources pag. 41

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II.4 La scuola burocratica pag. 45 II.5 La scuola funzionalista pag. 48 II.6 Teoria delle contingenze e teoria ecologica delle popolazioni pag. 50 II.7 Teorie della cultura pag. 54 II.8 L‟economia dei costi di transazione pag. 60 II.9 Analisi dell‟organizzazione in una prospettiva metaforica pag. 62 II.9.1 Le organizzazioni in quanto organismi pag. 64 II.9.2 Le organizzazioni in quanto sistemi culturali pag. 75 II.9.3 Le organizzazioni in quanto sistemi di dominio pag. 83 II.10 Clima e benessere organizzativo pag. 88

CAPITOLO III

IKEA E I SUOI AMBIENTI GENERALI NEL MONDO: IL CASO ITALIANO E NORVEGESE

III.1 Il colosso mondiale dell‟arredamento: IKEA pag. 103 III.2 Organizzazione, ambiente e adattamento pag. 111 III.3 Due contesti internazionali a confronto pag. 117 nell‟analisi del mercato del lavoro

III.4 I sistemi di Welfare State: uno sguardo all‟Europa pag. 125

CAPITOLO IV

LE FASI DELLA RICERCA EMPIRICA

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IV.2 Dimensioni analizzate pag. 138 IV.3 Metodo e strumento di rilevazione dei dati pag. 142 IV.4 Modalità di analisi del materiale empirico pag. 144

CAPITOLO V

L’INDAGINE QUALITATIVA: IL BENESSERE DEI LAVORATORI IKEA IN NORVEGIA

V.1 L‟indagine qualitativa: il caso norvegese pag. 146 V.2 Gli esiti dell‟indagine pag. 147 V.2.1 L‟area individuale pag. 148 V.2.2 L‟area organizzativa pag. 150 V.2.3 L‟area contestuale pag. 155 V.3. Discussione generale pag. 158

Bibliografia pag. 163 Sitografia pag. 170

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ABSTRACT IN LINGUA ITALIANA

Il cambiamento del paradigma organizzativo ha avuto conseguenze non solo economiche, che si esplicano nel processo di globalizzazione dell‟economia, ma anche per le imprese, lo stato e il lavoro. Nella produzione degli studi organizzativi degli ultimi anni infatti, si tenta di ampliare lo studio mettendo in luce gli aspetti culturali, ambientali, di mercato e complessi, che caratterizzano le organizzazioni. L‟oggetto della presente tesi tratta il tema del benessere organizzativo, analizzato secondo un‟ottica multidimensionale tenendo conto non solo di fattori individuali e organizzativi bensì anche contestuali. L‟obiettivo è quello di indagare quanto il contesto generale esterno in cui è inserita un‟organizzazione, può avere una certa influenza nei processi organizzativi e più nello specifico nel benessere dei lavoratori. Nel nostro caso, quando utilizziamo il termine esterno facciamo riferimento a un contesto sociale, politico e istituzionale che ingloba il welfare, il mercato del lavoro e aspetti culturali, che caratterizzano ciascun paese. Di particolare importanza, in questa analisi, sono alcune delle teorie organizzative, soprattutto quelle che attribuiscono importanza al contesto organizzativo esterno e all‟influenza che esso esercita nei processi organizzativi e le teorie cognitive, prestando particolare attenzione alle teorie più soggettiviste e interpretative con lo scopo di comprendere come i soggetti attraverso le esperienze conferiscono senso alla realtà che li circonda.

L‟organizzazione oggetto di analisi è Ikea, multinazionale svedese nel settore mondiale dell‟arredamento operante in svariati paesi del mondo. Avendo punti vendita collocati in molti paesi del mondo, si è scelto di analizzare solo due contesti internazionali, Italia e Norvegia, mettendo in luce in ottica comparativa le specificità di ognuno per quanto riguarda la regolamentazione del mercato del lavoro, i sistemi di welfare e aspetti culturali. Per raggiungere l‟obiettivo, un elemento fondante della tesi doveva essere la valutazione del benessere dei lavoratori IKEA operanti in due contesti internazionali differenti quali l‟Italia e la Norvegia, valutazione che doveva seguire una chiave di lettura comparativa. L‟ indagine condotta in Norvegia, presso il punto vendita IKEA di Kristiansand, è stata effettuata con successo. La stessa cosa non possiamo dire dell‟indagine che si doveva svolgere in Italia in quanto le differenti sedi IKEA interpellate, Firenze, Pisa e Catania, hanno comunicato la propria indisponibilità alla

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conduzione e partecipazione alla ricerca. l‟indagine presentata farà perciò riferimento unicamente all‟indagine empirica svolta nella sede IKEA di Kristiansand. Lo strumento scelto, ai fini conoscitivi, è l‟intervista qualitativa semi-strutturata sottoposta ai diversi lavoratori IKEA (Kristiansand-Norvegia) nei diversi settori dell‟organizzazione. La tesi si conclude sostenendo che nonostante IKEA cerca di mantenere un sistema organizzativo e una cultura globale in tutti i paesi del mondo i dipendenti hanno una percezione del benessere organizzativo che è il frutto dell‟ambiente in cui sono inseriti e dal quale ne sono influenzati. L‟influenza contestuale trova maggiore riscontro nella percezione della sicurezza e nelle relazioni con i colleghi. Da parte di IKEA Italia si percepisce un atteggiamento di chiusura. L‟idea di condurre le interviste viene vissuta quasi in negativo e non come una possibilità di crescita e miglioramento. Questo tipo di non risposta costituisce comunque un dato su cui la tesi ha portato alcune riflessioni. La presente ricerca, pur presentando risultati parziali rispetto al tema, offre risultati interessanti rispetto agli obiettivi mettendo anche in luce la necessità di approfondire l‟indagine, sia rispetto alla possibilità della comparazione che rispetto ai metodi adottabili.

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ABSTRACT IN LINGUA INGLESE

The changing organisational paradigm has not just economic consequences, which are expressed in the economic globalization, but also it affects private companies, res publica, and, finally, the workers. The latest researches about the organisational model have shown how to enlarge the vision to other factors qualifying the organizational structure, in order to gain a new point of view in this field. The preeminence of new variables, such as: culture, market, environment and complexity has been, definitively, highlighted.

Hence, this research debates the organisational well-being, under a multidimensional perspective: analysing the individual, the organizational and contextual key factors. The purpose is to stress how the external context has influenced the organisational processes and the workers‟ wellness. In particular, the concept “external context” refers to social, political, cultural patterns of a given State and its national welfare system in the labour field.

Furthermore, the analysis specifically refers to the organisational theories, which have been largely exposed the external context „s relevance and its influence on the organisational processes and, moreover, to the cognitive doctrine (i.e. subjectivist and interpretive theories) which gave importance to the individual experience, as a way to affects his own reality.

The content of this thesis is the organisational structure of IKEA, a Swedish corporation began the major furniture retail in 40 countries/territories around the world. Specifically, the purpose of this writing is to highlight the different national framework of the labour market, welfare system and culture, between Norway and Italy.

At IKEA store in Kristiansand (NOR) the data has been successfully collected. Conversely, at IKEA stores in Pisa, Florence and Catania (ITA) the data has not been collected at all, because of the clear refusal to contribute to the search.

As a result, the research reports only the data gathered in Kristiansand (NOR). The research method used is the semi-structured qualitative interview with workers.

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Finally, despite the parent company IKEA promotes a global organisational structure around the world, this analysis shows that, de facto, the organisational well-being perception depends on environmental causes, which change and influence the workers in different ways, depending on the national context.

Therefore, in this perspective, the negative aptitude of the Italian workers is itself a result: not only, in terms of job security and employment, but moreover it is important to evaluate the organisational hierarchy and inter-office personal dynamics.

In the end, the research shows interesting results on the contemporary debate on organisational well-being, within big corporations, as IKEA, and it may raise some meaningful questions on new research methods and solutions.

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INTRODUZIONE

È possibile che due lavoratori che lavorano nella medesima multinazionale, quale IKEA, ma in punti vendita collocati in contesti internazionali differenti, possano percepire un benessere lavorativo e organizzativo differente?

Per rispondere a questa domanda bisogna indagare aspetti interni ed esterni all‟organizzazione che sono in grado di condizionare e influenzare il benessere organizzativo. La domanda muove dalla consapevolezza che vi è una relazione fra organizzazione, individuo e contesto, e detta relazione è in grado di produrre performance differenti che si ripercuotono sul benessere organizzativo dei lavoratori. Per tali ragioni molte imprese di successo investono su una “buona” gestione delle risorse umane e su quella che viene definita “cultura organizzativa”, poiché da esse può dipendere il benessere, lo sviluppo e il successo dell‟organizzazione. Nel presente elaborato, nel tentativo di rispondere alla domanda precedente, vengono messi a confronto differenti variabili contestuali esterne all‟organizzazione utili per uno studio comparativo. In questo caso, quando utilizziamo il termine esterne, facciamo riferimento a un contesto sociale fatto di welfare, mercato del lavoro e aspetti culturali che caratterizzano ciascun Paese, mettendo in luce l‟influenza che potrebbe esercitare detto contesto esterno nei processi organizzativi e più nello specifico nel benessere dei lavoratori. Per tale ragione un elemento fondante della presente tesi, utile alla comprensione dell‟influenza contestuale, sarebbe dovuto essere la valutazione del benessere dei lavoratori IKEA operanti in due contesti internazionali quali l‟ Italia e la Norvegia, valutazione che avrebbe dovuto seguire una chiave di lettura comparativa. L‟ indagine condotta in Norvegia, presso la sede IKEA di Kristiansand, è stata condotta con successo, avendo avuto la possibilità di poter condurre delle interviste con lavoratori aventi ruoli differenti all‟interno dell‟organizzazione. La stessa cosa non si può dire dell‟indagine che si sarebbe dovuta svolgere in Italia in quanto le differenti sedi IKEA interpellate, Firenze, Pisa, Catania, hanno comunicato la propria indisponibilità alla conduzione e partecipazione alla ricerca. L‟obiettivo originario della tesi volto ad indagare il benessere organizzativo, tramite una ricerca di tipo qualitativo, mettendo a confronto i risultati che sarebbero dovuti emergere dai due paesi, non è stato possibile portarlo a termine nella sua interezza ma solo parzialmente. Per le ragioni sopra esposte

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l‟indagine presentata e analizzata non sarà più di comparazione ma farà riferimento unicamente all‟indagine empirica svolta nella sede IKEA di Kristiansand. L‟elaborato muove una cornice teorica e storica che ha l‟obiettivo di interpretare e comprendere i fenomeni organizzativi, nello specifico si analizzano i cambiamenti avvenuti nel mondo delle organizzazioni e nei modi di produzione fino a descrivere il fenomeno della globalizzazione e delle imprese multinazionali , investigando le posizioni che esse assumono a livello internazionale e i cambiamenti che hanno introdotto nel mercato del lavoro, inoltre uno spazio è dedicato alla posizione assunta dallo stato nel processo di globalizzazione dell‟economia. Successivamente, ai fini della ricerca, ho osservato e studiato le multinazionali attraverso sia la lente delle diverse teorie, che fanno riferimento ai vari contributi interpretativi che scavano le dinamiche sociali delle organizzazioni, attraverso vari approcci e modelli, sia attraverso alcune delle teorie riassunte nelle metafore di Gareth Morgan che, rispettivamente, aprono la possibilità di considerare le organizzazioni in quanto organismi, sistemi culturali e sistemi di dominio. Per quanto concerne le teorie, maggiore attenzione è stata posta al paradigma motivazionale e alla scuola delle umane relations, che conferiscono importanza ai bisogni degli individui, alle relazioni di gruppo, alla motivazione e soddisfazione lavorativa; i paradigmi sistemici; le teorie contingenti, le quali attribuiscono importanza al contesto dell‟organizzazione e infine le teorie cognitive, prestando attenzione agli approcci più soggettivisti e interpretativi, in cui attraverso le esperienze i soggetti conferiscono senso alla realtà esterna, dunque quest‟ultima non esiste ontologicamente bensì è costruita dai soggetti che ne fanno parte. Rispettivamente le metafore mettono in luce i bisogni organizzativi, i rapporti dell‟organizzazione con l‟ambiente, i valori, le idee e le norme, nonché i significati condivisi che orientano i comportamenti all‟interno dell‟organizzazione. Successivamente uno spazio è riservato all‟analisi comparativa dei due contesti Italia e Norvegia, i quali differiscono per sistemi di welfare, per una diversa regolamentazione del mercato del lavoro e per aspetti culturali. Tramite le analisi condotte sul mercato del lavoro, nei due contesti nazionali, si vuole mettere in luce come le alterazioni che si riscontrano sull‟occupazione potrebbero avere ripercussioni sulle condizioni, sulla qualità del lavoro e sulla Job Security. L‟analisi condotta sul sistema di welfare social democratico in Norvegia e familista in Italia ha lo scopo di far emergere le differenze in termini di maggiore o minore protezione da parte dello Stato

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verso i sui cittadini (i quali tramite la fruizione di determinati servizi potrebbero rendere più o meno allineati i bisogni professionali con quelli personali) con conseguenze anche nel benessere dei lavoratori. Infine, nel caso IKEA, nonostante la cultura organizzativa aziendale sia probabilmente uguale in tutti i punti vendita, in quanto le holding devono coordinarsi con i principi, i valori e la cultura della casa madre, i dipendenti che appartengono a diversi Paesi potrebbero avere opinioni e valori differenti dalla cultura aziendale che sono il frutto delle loro specificità storico-culturali e del loro modo di interpretare la realtà che li circonda. in conclusione, viene presentata e successivamente analizzata, la ricerca empirica, realizzata mediante una metodologia di ricerca di tipo qualitativo. Lo strumento da me scelto, ai fini conoscitivi, fa riferimento all‟intervista qualitativa di tipo semi-strutturato sottoposta ai diversi dipendenti IKEA (Kristiansand-Norvegia) nei diversi settori dell‟organizzazione, con l‟obiettivo di fare emergere le peculiarità del sistema norvegese, e non purtroppo le eventuali differenze che sarebbero potute emergere da uno studio di comparazione.

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CAPITOLO I

GLOBALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA: CAMBIAMENTI PER L’IMPRESA LO STATO E IL LAVORO

Il presente capitolo ha l‟obiettivo di ricostruire i diversi contributi di sociologia organizzativa ed economica i quali, offrono una chiave di lettura per interpretare i cambiamenti che il passaggio dal fordismo al postfordismo hanno portato con sé. Si cercherà di comprendere come ci si è organizzati da un punto di vista economico, mediante il processo di globalizzazione dell‟economia, discutendo anche le relative conseguenze per le imprese, lo Stato e il lavoro.

I.1 Come si arriva a un mondo globale: dal fordismo al postfordismo

È opportuno chiarire cosa si intende per fordismo e su quali basi si poneva questo sistema di produzione al fine di poter leggere le cause che hanno determinato la crisi di tale sistema e la successiva fase di trasformazioni che ci porta oggi a parlare di postfordismo.

L‟idea chiave del fordismo, come modello di produzione, si esplica nell‟adozione di un approccio di ingegnerizzazione dei processi produttivi centrato sull‟idea di standardizzazione, omogenizzando i componenti, i prodotti finali e le operazioni al fine di strutturare i processi di lavoro nel modo più efficiente possibile. Questo flusso, continuo e omogeneo di produzione, era reso possibile dall‟introduzione della catena di montaggio (Masino: 2005:17). Masino scrive: <<il perfetto “matrimonio” tra le idee relative alla ingegnerizzazione di processo di Henry Ford e le idee relative all‟organizzazione del lavoro di Frederick Taylor produssero ciò che oggi conosciamo come fordismo, inteso in termini organizzativi>> (Masino: 2005:19). Sempre nelle parole di Masino, <<Da un lato lo scentific management permetteva di accrescere la produttività dei lavoratori mediante una pianificazione dei processi di lavoro; dall‟altro il processo produttivo mediante linee di assemblaggio continue articolate in compiti standardizzati stabilivano un approccio al coordinamento e al controllo che consentivano di incrementare le economie di scala e l‟efficienza complessiva del processo>> (Masino: 2005:19).

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Nelle parole di Accornero << Ford li sottoponeva a una silenziosa, inesorabile violenza meccanica>> (Accornero: 1994:113).

La logica di produnzione si basava su due assunti fondamentali:

 Standardizzazione dei prodotti di massa attraverso l‟introduzione della catena di montaggio, la quale permetteva all‟impresa di raggiungere l‟efficienza totale del processo

 Un‟organizzazione del lavoro che va ad accrescere la produttività di ogni singolo lavoratore, configurandosi con un disegno organizzativo di integrazione verticale che aveva come principi cardine il controllo e la supervisione dall‟alto (Masino: 2005).

Analizzando la questione da un punto di vista macroeconomico i beni prodotti, si andavano a collocare su un mercato che aveva come clienti i consumatori di massa, nonché gli stessi operai che lavoravano all‟intero processo di produzione (Masino: 2005).

Lo stesso Ford, intuì che era più profittevole vendere tanto a un prezzo basso piuttosto che vendere poco a un prezzo alto, trasformando un bene di lusso in un bene di massa (Accornero:1994). Tale logica è riscontrabile nel famoso modello T1, il quale rappresentò la prima auto economica. Ford scrive: <<le nostre stesse vendite dipendono in certa misura dai salari che noi paghiamo>> (Ford: 1926: 148-149) concretizzando il primo rapporto tra produzione di massa e consumo di massa.

Da un punto di vista sociale tale sistema creava condizioni di lavoro alienanti e disagiate che porteranno gli stati occidentali a intervenire e assumere posizione mediante politiche di tipo keynesiani, le quali investivano in servizi pubblici e sociali (istruzione, sicurezza e sanità), che vedeva come principali attori: lo stato i sindacati e le grandi imprese (Masino: 2005).

Tra gli effetti negativi della produzione di massa riscontriamo:

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La Ford modello T, nominata dagli americani “Tin Lazzie”, che era stata messa in produzione sin dal 1908, rappresentò il risultato dell‟integrazione di tutta la produzione in una sola gigantesca linea di montaggio. nel 1924 Ford mise sul mercato 2 milioni di esemplari ad un prezzo inferiore alla metà di quello richiesto nel 1912 con il risultato che più della metà di auto circolanti nel mondo erano vetture Ford modello T. (P. Barrucci, La divisione del lavoro, in Introduzione alla sociologia, a cura di M. A. Toscano, Vol.32 di collana di sociologia, Franco Angeli, Milano, 2006, p. 559)

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 Monotonia, alienazione ed estraneazione del lavoro meccanico  Elevati rischi di infortuni

 Sfruttamento delle risorse naturali  Disoccupazione tecnologica  Spinta al consumo

 Rumori e congestione urbana (Accornero: 1994:21).

Per le ragioni sociali ed economiche appena descritte, il fordismo a partire dagli anni 70 subisce una profonda crisi dovuta in particolar modo a cambiamenti di mercato e tecnologici che si possono sintetizzare in:

 Saturazione dei mercati per i beni di massa

 Domanda sempre più diversificata e instabile di beni di qualità

 Evoluzione tecnologica

 Specializzazione flessibile

Barrucci (1998) descrive tre approcci che discutono della transizione dal fordismo al postfordismo: l‟approccio neo-schumpeteriano, quello della specializzazione flessibile e l‟approccio della regolazione. Il primo, ha una visione sistemica e ciclica dello sviluppo capitalistico, attribuendo alla tecnologia e agli standard tecnici la causa della transizione. In questa prospettiva gli assetti socio-istituzionali hanno il compito di assecondare e favorire lo sviluppo del nuovo paradigma. In sostanza questa prospettiva è caratterizzata da un forte determinismo tecnologico. Il secondo, si focalizza principalmente sulla produzione e si basa sull‟opposizione dei due modelli, produzione di massa (richiede l‟uso di specifici macchinari e lavoratori poco esperti che producono merci standardizzate) e specializzazione flessibile (richiede lavoratori molto professionali i quali producono differenti merci di consumo). L‟approccio ipotizza un ritorno a delle forme di produzione definite “neo-artigianali”, che tramite la loro flessibilità sono nelle condizioni di essere più appropriate alle condizioni di mercato e alla competizione internazionale. Infine, Il terzo approccio, della regolazione, è molto differenziato, infatti è possibile distinguere ben sette scuole diverse. A tal proposito

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Barrucci scrive: <<Scopo originario era quello di sviluppare una teoria in grado di spiegare il paradosso, nel capitalismo, tra la inerente tendenza verso l‟instabilità, la crisi e il cambiamento, e la sua abilità a stabilizzare, intorno a un set di istituzioni, regole e norme tese ad assicurare un periodo di stabilità economica relativamente lungo>> (Barrucci: 1998: 84).

In questo ultimo approccio la stagnazione che prese piede negli anni ‟70 non era vista come ciclica, bensì come una crisi delle forme istituzionali che avevano contrassegnato l‟economia mondiale del dopoguerra. In sostanza l‟approccio della regolazione, attribuisce le cause dello sviluppo a pratiche sociali, piuttosto che a leggi economiche considerate naturali (Barrucci:1998).

In merito a quanto detto, Bertoldi scrive: <<Principio olista che attribuisce il primato al rapporto sociale piuttosto che all‟individuo>> (Bertoldi:1988: 272). Secondo questo principio le regole che fissano il comportamento degli attori economici nelle società capitalistiche dipendono dal rapporto sociale. Il modo di produzione viene dunque inteso come: <<un insieme strutturato e dinamico che organizza l‟interdipendenza delle istanze economiche, politiche e sociali al fine di garantire la riproduzione sistemica>> (Barrucci:1998:84).

Dopo aver menzionato alcuni aspetti del dibattito sulla crisi del fordismo e con esso le relative crucialità del cambiamento è possibile analizzare il nuovo regime produttivo avvenuto negli anni ‟80. A partire da questi anni, è possibile individuare diversi fattori che hanno contribuito alla fine della produzione di massa e dunque l‟avvento di nuovi sistemi di tipo postfordista, caratterizzati da una flessibilizzazione dell‟organizzazione del lavoro e della produzione che non assume più la logica della produzione in grandi serie, bensì una produzione snella e a serie limitate, causando all‟impresa un‟incertezza tale da richiedere una flessibilità e una reattività mai visti prima (Mutti:2002).

L‟avvento del nuovo regime produttivo è avvenuto negli anni 80 e si è affermato nella società giapponese, riscontrabile nel procedimento Just in time. La peculiarità del just in time sta nell‟abolire le scorte e mettere in fabbricazione solo ciò che viene ordinato dai clienti adattandosi così a una spinta (della domanda) che non viene più dall‟alto, bensì dal basso. I cambiamenti si hanno anche nel processo lavorativo in quanto si necessita di un maggior numero di informazioni e comunicazioni tra chi dirige e chi esegue con

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una maggiore propensione ai lavori di gruppo, gettando le basi nella costruzione di un regime di produzione postfordista (Bonazzi, vol-1:2002).

<<Scorte e stoccaggi crescenti rivelano rigidità insopportabili nel meccanismo di produzione-consumo di massa. La via d‟uscita, la stessa che ha reso Benetton un marchio planetario, è di produrre alti volumi di merci, che siano esteriormente differenziate>> (Accornero:1994: 305).

Dalle parole di Accornero, si può dedurre che i modelli vanno in contro a variazioni continue e i volumi si possono prevedere ma non decidere. Per le imprese non è più profittevole imporre modelli e volumi al consumatore, bensì portare il consumatore stesso nella condizione di poter scegliere su una vasta gamma di prodotti. Questo rappresenta il fulcro per la produzione snella che ha innovato la produzione di massa alla variabilità del consumo. Sul modello giapponese, è importante sottolineare come esso poggia da un punto di vista culturale sulla coesione sociale che in azienda emerge dall‟impiego a vita.

<<Rispetto alla produzione di massa la produzione snella ha bisogno di coinvolgere i lavoratori, renderli partecipi e possibilmente ottenere il loro consenso>> (Accornero:1994: 310).

Questo aspetto verrà approfondito successivamente, attraverso l‟analisi delle diverse teorie organizzative, facendo emergere anche gli aspetti culturali negativi legati al modello giapponese.

I.2 Cambiamenti per l’impresa e per il lavoro

Nel paragrafo precedente si è detto che un primo elemento di crisi del sistema fordista fu la saturazione dei mercati e la conseguente ricerca, da parte delle imprese, di espandersi a livello internazionale in quei paesi dove i costi del lavoro erano inferiori rispetto ai paesi occidentali. L‟espansione verso mercati esteri intensificò una forte spinta competitiva, di ristrutturazione e razionalizzazione delle imprese ove la protezione dello stato nazione venne meno e si accentuarono forti conflitti con i sindacati per ridurre i costi di produzione.

Masini scrive: <<Furono i primi passi di ciò che oggi viene diffusamente chiamato globalizzazione dell‟economia, ossia quel fenomeno di compressione spazio-temporale

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della competizione per cui i confini dei mercati nazionali perdono via via d‟importanza a vantaggio di una competizione su scala internazionale>> (Masino:2005: 22).

Altri cambiamenti si hanno a causa della concorrenza da parte delle imprese di soddisfare i gusti mutevoli dei consumatori i quali, generano mercati stabili e incerti. Questo porta all‟affermazione di nuovi principi dell‟economia dell‟appropriatezza secondo i quali, non bisogna ridurre i costi unitari di produzione (come avveniva precedentemente), ma produrre beni appropriati nel tempo e nel luogo, ove sono richiesti.

Per l‟impresa la prontezza, nel rispondere agli impulsi del mercato, diviene la nuova parola d‟ordine. Quanto detto si concretizzava tramite una nuova impresa, l‟impresa flessibile, che riusciva grazie all‟uso di macchinari programmabili, a mettere in commercio un‟elevata variabilità di prodotti (Mari:2004).

Altri cambiamenti rilevanti si ebbero con l‟avvento della terziarizzazione, cedendo ad altre imprese alcune fasi o servizi del processo di produzione dell‟impresa madre. Nelle parole di Bonazzi, <<La fabbrica così organizzata viene definita modulare>> (outsourcing) (Bonazzi, vol-1:2002: 184). Questo sistema comporta delle conseguenze anche nel disegno generale dell‟impresa stessa, in quanto gli ordini non saranno più impartiti dall‟alto ma tramite la gestione dei contratti stipulati con imprese terze (Bonazzi, vol-1:2002).

L‟affermazione di questi nuovi principi dell‟economia, ha reso di particolare rilevanza non solo la questione della flessibilità dell‟impresa, ma anche la questione della flessibilità delle risorse umane. I modelli del postfordismo infatti, non si basano più su modelli organizzativi gerarchici con una subordinazione dei lavoratori, ma sullo sviluppo professionale e su una polivalenza dei lavoratori in contesti di alta tecnologia. Ne consegue un significativo passaggio, da un‟esecuzione molto rigorosa a una cooperazione intelligente, modificando la struttura gerarchica interna dell‟impresa stessa, da verticale a orizzontale. Aumenta anche l‟impegno della gestione delle risorse umane e le tecniche di coinvolgimento dei lavoratori. A questi ultimi è richiesto un maggior grado di conoscenza e una professionalità che esige una formazione professionale continua. Va precisato però che i cambiamenti appena discussi non valgono per tutti i lavoratori, per cui rappresentano dei cambiamenti parziali e non delle tendenze di carattere generale (Mari:2004).

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<<La lente del postfordismo consente di cogliere alcuni importanti elementi in più. Essa consente, in special modo, di scorgere, sia pure in modo ancora sfuocato, come la spinta verso la flessibilità non sia priva, sia pure in modo diversificato e discontinuo nei vari comparti, di una contropartita sistemica, rappresentata da una tendenza evolutiva dei modelli organizzativi di impresa nella direzione di una maggiore valorizzazione del ruolo del lavoratore come soggetto (attivo, consapevole e formato) dell‟organizzazione>> (Mari:2004: 235).

A tal proposito, Mari (2004) afferma che vi è un nesso sistemico fra postfordismo e individualismo. Un aspetto, quello dell‟individualismo, che non deve essere letto per forza in negativo, mettendo in luce la flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro, ma anche in positivo tramite una richiesta maggiore nei livelli di formazione, conoscenze, autonomia e iniziativa richieste al lavoratore. Secondo la prospettiva di Mari, il lavoro non viene visto più come un fattore produttivo, ma come una risorsa. Lavoratore-Risorsa su cui deve poter contare l‟impresa nella misura in cui essa rispetta e attribuisce valore alla medesima.

Castels (2002) sostiene che con la crisi del fordismo e con esso il medesimo meccanismo di de-individualizzazione (il rapporto di lavoro avveniva mediante un sistema di regolazione generale che definiva le modalità di relazione tra datore di lavoro e lavoratore), si assiste oggi a nuove forme di individualismo, distinguendolo in individualismo positivo e negativo. In positivo consiste nella capacità da parte dell‟individuo di possedere una certa libertà per scegliere come condurre la propria vita per non dipendere da altri (Castels e Haroche 2002), in negativo quando un soggetto non è nelle condizioni di avere le risorse e i mezzi per realizzare i propri obiettivi (Castels:1995).

Questo fondamento individualistico che connota la modernità trova riscontro anche nelle parole di Barcellona (Barcellona:1998) , il quale però lo portano a porsi delle domande e a non enfatizzare, rispetto a Mari, i suoi aspetti positivi. Barcellona si sofferma principalmente sull‟autorappresentazione dei lavoratori, in quanto il superamento del paradigma produttivo fordista porta con sé un lavoro sempre più flessibile, precario e parcellizzato.

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<< La nuova forma del lavoro incide non solo sulla posizione individuale del lavoratore, ma sulla consapevolezza collettiva di fare parte di qualche cosa che comunque potrebbe organizzarsi e dare vita a un contropotere>> (Barcellona:1998:202).

La “singolarizzazione”, come la definisce lo studioso, tende a colpire gli affetti, i legami sociali e a rappresentare appunto l‟individuo singolarizzato, atomizzato e senza legami. Barcellona scrive: <<l‟individualismo senza soggettività è l‟individualismo della massificazione, dell‟omologazione e della differenziazione funzionale>> (Barcellona:1998:215).

Quanto affermato fa riflettere sull‟ordine della società assumendo che l‟individuo è sciolto dai vincoli comunitari, da un‟etica sociale condivisa universalmente (Barcellona:1998). Oggi il mondo del lavoro, e più nello specifico la ristrutturazione del mondo del lavoro presenta tratti di fluidità e individualizzazione.

Altro argomento su cui discutere è il tema della flessibilità, che secondo Fullin <<viene presentata come uno degli ingredienti indispensabili per migliorare le condizioni del mercato del lavoro e raggiungere gli alti livelli di occupazione degli altri paesi Europei e degli Usa>> (Fullin:2004: 11). Questo tema, della flessibilità, non allude solo all‟aspetto relativo ai contratti che garantiscono continuità nel tempo, infatti possiamo distinguere altri tipi di flessibilizzazione:

 Esterna o numerica, che equivale al grado di discrezionalità con cui l‟impresa può variare il grado di occupazione in entrata e in uscita

 Funzionale o organizzativa, che si esplica nella capacità di spostare i lavoratori da un posto all‟altro all‟interno dell‟impresa o di modificare il contenuto della prestazione

 D‟orario o salariale, che in genere può essere spiegata come possibilità di aumentare o ridurre le retribuzioni e come possibilità di differenziare gli orari dei lavoratori (Reyneri:2017).

Nella letteratura relativa ai mutamenti dell‟impresa capitalistica e al passaggio da fordismo al post fordismo con conseguente affermazione della produzione snella e dell‟impresa a rete, è possibile reperire numerosi studi in merito alla diffusione delle occupazioni temporanee; sulle condizioni di vita e sulle motivazioni dei lavoratori con

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contratti che non offrono la continuità e stabilità nel tempo; altri prettamente economici, che analizzano la relazione tra aumento della flessibilità e livello di disoccupazione. A tal proposito sono stati condotti differenti studi che indagano non solo l‟efficacia delle politiche di flessibilizzazione nel ridurre la disoccupazione, ma anche l‟effettiva espansione, di tali politiche, in altri contesti nazionali.

Gallino (1998) mette in luce come nel dibattito politico italiano la risposta a questi quesiti sia generalmente positiva, mentre il dibattito internazionali sostiene che non vi sia nesso fra aumento della flessibilità e disoccupazione.

Reynieri (2017) analizzando differenti contesti appartenenti all‟UE e non, mette in evidenza come la variazione del mercato del lavoro nei vari contesti nazionali muta a seconda delle proprietà del sistema di welfare.

Secondo Polanyi (1944), i fenomeni che emergono nelle società industriali si possono leggere come risultato di mescolanza di due forze opposte, da un lato vi è il mercato sempre in continua espansione e dall‟altro la società che per tutelarsi e difendersi tenta di limitare quanto più possibile l‟espansione del mercato. Sempre secondo l‟autore i fenomeni economici possono essere <<distruttivi>> sulla società. Le contraddizioni, secondo Polanyi, nascono mediante il processo di mercificazione del lavoro che segue l‟industrializzazione, affidando al mercato aspetti fondamentali della vita umana come il lavoro.

Questa prospettiva è di notevole importanza per analizzare la diffusione delle occupazioni instabili e le trasformazioni che portano con sé. Consente di vedere le contraddizioni tra le dinamiche in atto nel mercato del lavoro e le esigenze di riproduzione della forza lavoro.

A tal proposito Fullin scrive: <<Riducendo la stabilità dell‟impiego si scaricano sui lavoratori i rischi e i costi dell‟elevata instabilità del mercato e si rende quindi estremo il livello di mercificazione del lavoro>> (Fullin:2004: 51). Secondo la studiosa è come se gli individui dipendessero dal mercato e ciò rappresenta un rischio sociale dato dal fatto che essi ne perdono in parte o in gran parte il controllo (Fullin:2004). Questo aspetto appena discusso, verrà analizzato in modo più dettagliato nel capitolo successivo prendendo in considerazione il ruolo del sistema di welfare e le protezioni che vengono garantite ai lavoratori instabili.

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I.3 Lo Stato Sociale: evoluzione e crisi

Lo Stato Sociale vede la sua massima espansione intorno agli anni 60‟-70‟, anni in cui, quasi tutti i paesi occidentali implementano politiche di welfare state le quali, camminano di pari passo con una crescista economica inarrestabile e dove si ritiene sempre più raggiunto l‟obiettivo della piena occupazione maschile. I protagonisti di questo periodo, le grandi partecipazioni di massa, fanno emergere la questione dell‟emancipazione sociale, con idee radicali di trasformazione degli assetti dello stato e dei rapporti economico-sociali. Tuttavia, a partire dalla prima metà degli anni 70‟ e in progressivo aumento negli anni 80‟, si assiste a un mutamento radicale dato dalla costituzione di un mercato globale.

Gli anni successivi all‟89‟ vedono lo Stato Sociale entrare in una profonda crisi, che si esplica in un indebolimento dello Stato nazional-sociale, nonché uno stato in grado di garantire protezioni.

Tra le principali cause riscontriamo:

 L‟avvento della globalizzazione dei mercati

 La ristrutturazione tecnologica-informatica delle imprese

 Il frantumarsi di valori, istituzioni e pratiche che avevano permesso in occidente (tramite il compromesso socialdemocratico) forme di intervento, normative e redistributive, dello stato e della spesa pubblica volte a garantire prestazioni e sicurezze per fasce di cittadini. Ne consegue un venir meno del paradigma di cultura economica, sociale e politica su cui poggiava la fabbrica fordista e del modello sociale che includeva il lavoro e la vita fuori dalla fabbrica.

Un paradigma con una specifica organizzazione del lavoro e di incremento della produzione che dava vita all‟aggregazione di lavoratori i quali acquisivano la coscienza collettiva di poter condizionare il potere dell‟impresa. Inoltre, questo paradigma attribuiva allo Stato il ruolo di promotore del benessere economico collettivo, ruolo che gli conferiva e ne legittimava il potere di intervento sia nell‟ambito produttivo, favorendo e indirizzando le scelte del capitale privato, sia nella distribuzione del sovrappiù in direzione delle domande e dei bisogni, che il mercato non è in grado di

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soddisfare. Il declino della fabbrica fordista porta con sé uno svuotamento delle pratiche di solidarietà, dirette dallo Stato, con conseguente declino o in alcuni casi miglioramento dei diritti sociali, intesi sia come cittadinanza attiva, sia come potere collettivo di partecipare alle decisioni degli affari comuni, sia come insieme di pretese per ottenere a livello nazionale il riconoscimento di servizi (istruzione, sanità, tempo libero e sicurezza sociale), non riconosciuti e soddisfatti dal mercato.

Quelli appena discussi rappresentano i segni della crisi, ma secondo Barcellona (1998) ancor più problematica è la loro interpretazione. Lo Stato Sociale e i diritti sociali hanno rappresentato e continuano a rappresentare il riconoscimento degli interessi collettivi dei lavoratori e legittimano il potere rivendicativo del sindacato operaio.

<<Lo Stato Sociale contribuisce potentemente alla giuridicizzazione della vita sociale e all‟affermazione del primato dell‟economico, giacchè tende in ogni caso a ridurre la conflittualità alla sfera distributiva e costringe i bisogni sociali ad assumere sempre la forma economica della pretesa a una quota delle risorse. Il conflitto redistribut ivo presuppone comunque una base comune. Questa base è il primato dell‟economia, l‟obiettivo di soddisfare il maggior numero possibile di bisogni economici del maggior numero possibile di cittadini tramite lo sviluppo della tecnica>> (Barcellona:1998:195). Secondo Barcellona (1998), è nell‟affermazione sopra esposta che deve essere interpretata la crisi delle diverse esperienze di Stato Sociale. Come detto in precedenza, dall‟impresa fordista si passa a un sistema di impresa a rete la quale dà vita a un ciclo produttivo flessibile che si esplica nella capacità di saper gestire e amministrare il rischio dell‟innovazione. Quanto detto, porta l‟impresa ad espandersi in altri territori al di là dei confini nazionali, mantenendo un nucleo di comando definito da Barcellona (1998:200) centro-cervello. Il mutamento di impresa appena descritto trova riscontro nell‟unificazione del mercato mondiale con conseguente concorrenza per le imprese mediante un controllo delle reti di commercializzazione su scala mondiale, oggi esigenza dominante dell‟impresa multinazionale. Questo processo ha delle conseguenze non indifferenti nel rapporto tra impresa e Stato, ove quest‟ultimo assume una posizione non più centrale nel sistema dell‟economie e della società.

Lo Stato diviene sempre meno capace di manifestare una politica che incorpora le caratteristiche della globalità. Lo stato Sociale è approfondito maggiormente nel corso del terzo capitolo ove, oltre a presentare le diverse fasi che ne hanno segnato lo sviluppo

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e le differenti modalità di classificazione dei modelli di Stato Sociale, mettendo a confronto il pensiero di più studiosi, sono analizzati anche i modelli attuali di Stato sociale presenti in Europa prestando particolare attenzione al modello social-democratico vigente in Norvegia e a quello familista presente in Italia, evidenziando in chiave comparativa potenzialità e criticità dell‟uno e dell‟altro.

I.4 Un mondo globale: globalizzazione dell’economia e posizione dello Stato

<<Globalizzazione è sicuramente la parola più usata-abusata e più raramente definita, probabilmente la più incompresa, la più nebulosa, la più ricca di implicazioni politiche>> (Beck:1999:37).

Parlare della globalizzazione è utile ai nostri fini per comprendere la posizione assunta dagli Stati in un‟era definita globale.

Diversi autori, di diversi ambiti disciplinari, hanno cercato di darne una definizione al fine di migliorare la comprensione di tale fenomeno definito molte volte complesso. Ad oggi, una delle definizioni più diffuse viene data da Giddens il quale, definisce la globalizzazione come: <<intensificazione di relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località molto lontane, facendo si che gli elementi locali vengano modellati da eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa>> (Giddens:1994, cit. in Zolo:2004: 6).

Zolo (2004) sostiene che la globalizzazione si sia verificata tramite un processo sociale che vede nello sviluppo tecnologico e nella rivoluzione informatica la causa dell‟aumento della velocità dei trasporti e della comunicazione, costituendo la base di una rete mondiale di connessioni spaziali e interdipendenze funzionali.

Altre definizioni del tutto peculiari e contrapposte tra loro vengono date da Clark e Beck. Per Clark: <<globalization denotes movements in both the intensity and the extent of international interactions; in the former sense, globalization overlaps to some degree with related ideas of integration, interdependence, multilateralism, openness and interpenetration; in the latter, it points to the geographical spread of these tendencies and is cognate with globalism, spatial compression, universalization, and homogeneity>> (Clark 1997: 1). Lo studioso contrappone la globalizzazione alla localizzazione vedendo in esse due forze in continua tensione. Nella sua concezione la

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globalizzazione viene vista come un qualcosa di reversibile e conflittuale che non può essere sottratta alle decisioni delle forze politiche, bensì vi è un equilibrio tra le due forze. Per Beck la globalizzazione è un processo irreversibile nel passaggio dalla prima alla seconda modernità. Secondo lo studioso: <<La globalizzazione consiste nell‟estensione, densità e stabilità, empiricamente rilevabili, delle reti di relazioni reciproche regional-globali e della loro autodefinizione massmediale, così come degli spazi sociali e dei loro flussi d‟immagine a livello culturale, politico, finanziario, militare ed economico>> (Beck:1999:23).

Queste definizioni analizzate sin ora associano la globalizzazione a uno sviluppo della società, che per quanto interessante si discosta un po' dai nostri fini. E‟ utile invece, analizzare i vari contributi che vedono la globalizzazione come frutto di decisioni politiche ed economiche.

Ampliando lo sguardo e attenzionando la questione dai vari contributi economici, Gallino vede nella globalizzazione <<l‟accelerazione e l‟intensificazione del processo di formazione di un‟economia mondiale che si sta configurando come sistema unico, funzionante in tempo reale>> (cit. in Zolo 2004:7). Da questa affermazione si evidenzia come per lo studioso la globalizzazione sia un processo meramente economico dunque, il suo pensiero, si discosta dalle definizioni precedenti che associano la globalizzazione allo sviluppo della società. Per lo studioso, la globalizzazione si deve associare a decisioni politiche ed economiche fatte da attori per lo sviluppo e il funzionamento dell‟economia a livello mondiale (Zolo:2004).

Di seguito, ci si focalizzerà sulla globalizzazione dell‟economia al fine di comprendere qual è la posizione dello stato e come essa si struttura nelle diverse società.

L‟espressione “globalizzazione dell‟economia” viene spesso utilizzata per connotare differenti fenomeni che fanno emergere forti contraddizioni. In un‟approssimazione di Barrucci viene intesa come <<tutti gli elementi che caratterizzano l‟attuale fase di internazionalizzazione del capitale >> (Barrucci:1998: 59). Sempre per lo studioso, essa non deve essere studiata come un fenomeno meramente economico, né può essere analizzata solo con gli strumenti conoscitivi delle discipline economiche. Essa rappresenta una dinamica dell‟espansione del modo sociale di produzione capitalistico, per cui implica oltre agli aspetti economici anche quelli relativi alla

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riproduzione sociale come: politica, cultura, istituzioni, relazioni sociali ecc. Per tali ragioni è opportuno utilizzare un approccio multidisciplinare per la sua comprensione. Vari autori associano la Globalizzazione delle economie a una forte trasformazione delle strategie produttive e dei processi lavorativi, con conseguente trasformazione delle forme di regolazione sociale. Su questo ultimo aspetto si riscontra molta condivisione dell‟idea secondo cui il mercato non rappresenta uno strumento di regolazione sociale sufficiente, per cui anche con la globalizzazione delle economie si necessita dell‟intervento di istituzioni politiche e sociali.

Solitamente nella varia letteratura specifica e pubblicistica corrente, la nascita e lo sviluppo della globalizzazione delle economie, devono essere contestualizzati in un periodo storico, essa impone le sue esigenze tecniche e oggettive agli attori sociali (locali e globali) i quali, perseguono il loro interesse e contribuiscono allo sviluppo globale nella misura in cui si adeguano al processo mondiale “irreversibile”.

Discostandosi da questi pensieri, Barrucci scrive:

<<la globalizzazione delle economie è invece il risultato dinamico, dialettico e contraddittorio di scelte compiute da soggetti reali sulla base di una gerarchizzazione/selezione degli interessi materiali, in quanto prodotto essa tende ovviamente a sviluppare anche proprie logiche interne di funzionamento, logiche che però sono sempre, almeno potenzialmente, reversibili e modificabili dagli attori sociali>> (Barrucci:1998: 60). La globalizzazione delle economie come attuale forma del modo sociale di produzione non viene vista dall‟autore come un fatto naturale, bensì come una determinazione storica dei rapporti sociali e proprio per questo è soggetta ad essere sempre modificabile, reversibile e governata da soggetti reali. D‟altronde, le traiettorie future della globalizzazione dell‟economia non sono prevedibili e ciò trova conferma nel fatto che vi è un‟ambivalenza del fenomeno della finanziarizzazione dell‟economia. Da un lato mostra incapacità nel saper individuare investimenti per i capitali futuri, per una vasta competizione dei vari territori i quali, cercano di attrarre denaro e investimenti produttivi; dall‟altro si presentano problematicità nell‟individuare istituzioni sovranazionali in grado di saper regolare in modo cooperativo e negoziale l‟economia globale (Barrucci:1998).

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Sassen scrive: <<La globalizzazione economica comporta una serie di pratiche che destabilizzano un‟altra serie di pratiche; per esempio, alcune pratiche che costituiscono la sovranità dello stato nazionale>> (Sassen:2008: 71).

Nell‟ambito della globalizzazione economica un elemento molto discusso è rappresentato dalla propensione, iniziata negli anni 70, di vedere un indebolimento del legame tra stato nazionale e capitale il quale, si manifesta nell‟abilità dell‟impresa di andare oltre i confini nazionali tramite esportazioni di merci, investimenti diretti esteri e trasferimenti di segmenti produttivi nelle diverse aree del mondo. Da parte dei governi tutto ciò si traduce nella difficoltà di monitorare le economie nazionali e la gestione fiscale con conseguente crisi di legittimità e sovranità degli stati nazionali (Barrucci:1998).

Si possono distinguere diverse posizioni sui rapporti stato-globalizzazione:

 stato sacrificato alla globalizzazione e conseguente perdita di significato

 gli stati continuano a far ciò che hanno sempre fatto in precedenza e non e cambiato quasi nulla

 lo stato si adatta e a volte viene trasformato in modo da evitare il declino e assumere un ruolo di protagonista

A queste diverse posizioni la Sassen fa emergere una quarta posizione in cui:

<<lo stato è un dominio istituzionale strategico nel quale si compie un lavoro di importanza fondamentale per lo sviluppo della globalizzazione>> (Sassen:2008: 44). In questa posizione si evince come lo stato non per forza deve andare in declino, né assumere una posizione come in passato o di adattamento alle nuove condizioni.

<< lo stato diventa il luogo di trasformazioni di fondo nelle relazioni tra il pubblico e il privato, nell‟equilibrio di potere interno allo stato, nel più vasto campo delle forze nazionali e globali al cui interno lo stato deve ora funzionare>> (Sassen:2008: 44). Secondo Vaccà, a differenza del capitalismo fordista che imponeva il proprio modello a prescindere delle differenze socio-culturali e istituzionali dei singoli contesti, oggi con lo sviluppo delle imprese transnazionali la situazione si è ribaltata.

Lo stesso Vaccà parla dello sviluppo di <<assetti capitalistici differenziati per aree nazionali e socio-culturali>>, il capitalismo <<tende ormai a divenire sempre più

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differente e variegato, e al tempo stesso compatibile e integrato con sistemi ambientali e contesti socio-culturali che presentano valori, esigenze, aspirazioni e tradizioni culturali anche profondamente differenti tra loro>> (Vaccà:1996: 41). Secondo la prospettiva di Vaccà, vi è interazione tra impresa e contesto socio-culturale (Vaccà:1996). Questo aspetto sarà discusso maggiormente nel corso del terzo capitolo che ha ad oggetto il contesto generale ove sono collocati due, dei tanti, punti vendita della multinazionale IKEA. Si accenna brevemente che in detti punti vendita è stata svolta la ricerca empirica, volta ad indagare il benessere dei lavoratori sulla base di fattori non solo interni all‟organizzazione ma anche esterni.

Al momento, è utile analizzare l‟articolazione dello stato e della globalizzazione che mette in evidenza le disuguaglianze di potere degli stati. Un filone di studi, infatti, cerca di decentrare l‟analisi dello stato inserendola in un contesto storiografico. Tutto ciò condotto però per vie molto differenti. Chakrabarty (2008) elabora il concetto di <<Europa provincializzante>> per evidenziare come gli Stati hanno seguito traiettorie diverse nei diversi contesti globalizzati. Mbembe (2001) sostiene che alcuni paesi, come ad esempio l‟Africa, sono contrassegnati da un potere molto fragile rispetto ad altri stati come Stati Uniti e Regno Unito i quali, stanno configurando nuovi standard e nuove <<legalità>>, necessarie a procurare protezioni e garanzie ai mercati e alle imprese globali. Questi ultimi due Stati sono visti da Mbembe come i più forti e potenti produttori di tali standard e legalità derivati dagli standard del diritto commerciale e amministrativo angloamericano. Da quanto detto emerge come gli stati, così come anche le imprese, non sono tutti uguali in questo processo.

In sostanza, un numero ristretto di Stati, operante tramite un sistema sopranazionale, impone le legalità e gli standard appena descritti nonché misure legislative, provvedimenti esecutivi, conformità ai nuovi standard tecnici etc. (Mbembe:2001).

I.5 L’impresa multinazionale

Le multinazionali hanno fatto la loro comparsa alla fine del diciannovesimo secolo, rappresentando oggi i principali attori nelle economie globalizzate. Esse sono in genere grandi, godono di potere contrattuale e di mercato nell‟arena politica, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Sono “attori globali” in grado di aggirare le regolamentazioni e

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le politiche nazionali in modo più semplice rispetto alle imprese nazionali. Hanno ottima capacità di mobilità nel trasferimento delle proprie attività in quei paesi dove i costi (ad esempio di produzione) sono relativamente bassi. Tuttavia, nonostante le caratteristiche appena descritte, i paesi competono per attrarle in quanto vengono viste come quelle imprese che apportano tecnologie, competenze e risorse finanziarie. Sono rapide nel saper captare nuove opportunità economiche, contribuendo a un incremento della creazione della ricchezza nazionale. Esse sono anche vincolate da standard internazionali e dalla concorrenza di mercato, offrendo molte volte, in base al paese dove si trovano, condizioni di lavoro e qualità dei prodotti migliori rispetto alle imprese nazionali.

Analizzandole dall‟interno, l‟aumento della dimensione di impresa è stato accompagnato da importanti mutamenti nella struttura organizzativa i quali, hanno introdotto suddivisioni e differenziazioni dei compiti, mediante la creazione di nuovi organi di controllo (Navaretti, Venables:2006).

Hymer scrive: <<Man mano che l‟impresa cresceva orizzontalmente, essa sviluppava una più complessa struttura amministrativa, per controllare le sue attività disperse, e un cervello più grande per pianificare la sua crescita e sopravvivenza>> (Hymer:1974:17). Lo sviluppo dell‟impresa porta con sé un aumento del personale amministrativo e di ricerca come manager, responsabili risorse umane ecc. i quali, non si trovano più ad esercitare un controllo dall‟alto, bensì un‟integrazione e cooperazione, seguita da un margine di differenziane dei ruoli nei confronti del personale (Hymer:1974).

Analizzando la questione da un punto di vista prettamente economico, per impresa multinazionale si intende l‟impresa o il gruppo di imprese che svolge attività in numerosi paesi, concepite organizzate e condotte su scala mondiale.

Questa definizione fa emergere tre questioni rilevanti:

 Le svariate operazioni di produzione, ricerca ecc. in numerosi paesi diversi da quello di origine

 Una politica globale dell‟impresa che prende in considerazione le condizioni mondiali di attività

 Un‟organizzazione internazionale che conduca la politica globale con un piano di parità con gli altri stati nazionali (Gilles-Y.Bertin:1977).

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Le IMN rappresentano quelle imprese che detengono una significativa partecipazione azionaria, solitamente il 50%, in un‟altra impresa, che prende il nome di filiale, operante in un paese estero.

Per calcolare le loro attività ci si serve di dati di impresa che comprendono il numero degli occupati e la dimensione del fatturato. Dati che la maggior parte delle volte non sono del tutto accessibili.

Barlett e Ghoshal (1987,1989) descrivono quattro modelli di impresa internazionalizzata:

 Impresa multinazionale  Impresa internazionale  Impresa globale

 Impresa transnazionale

Queste imprese si differenziano secondo gli studiosi per le strategie di espansione adottate. Nel nostro caso si farà riferimento solo a quelle dell‟impresa multinazionale. L‟espansione internazionale crea valore per l‟impresa quando è in grado di equilibrare sia le pressioni per l‟integrazione globale, sia le pressioni per l‟adattamento locale. Nel modello delle multinazionali, l‟impresa deve saper adattare quanto più possibile i prodotti al contesto locale in cui vengono commercializzati. La strategia si esplica nell‟equilibrare la capacità di gestione dei costi organizzativi, in quanto l‟integrazione globale genera costi di coordinamento, mentre l‟adattamento locale crea un aumento dei costi per riuscire ad organizzare attività specifiche per ogni contesto. In ciò le multinazionali vanno incontro ad una forte pressione per l‟adattamento locale, adattando i prodotti alle esigenze e ai gusti dei clienti nel mercato in cui opera. Nello specifico i costi di organizzazione si esplicano nel compito (da parte della casa madre) di trasferire alle sussidiarie estere le competenze che gli consentono di competere in quello specifico contesto. Importante a tal proposito è anche il ruolo che assumono le sussidiarie. Rispetto al passato, hanno acquisito maggiore autonomia e responsabilità operative e strategiche, svolgendo attività di marketing e pianificazione strategica (M.G.Caroli:2000).

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Inoltre, affrontando il ruolo delle imprese multinazionali nel mercato globale, non si può non parlare di investimenti diretti esteri i quali, rappresentano il flusso di investimenti delle imprese in paesi differenti dal paese di origine ove vi è il nucleo delle loro attività (Navaretti, Venables:2006). Secondo le definizioni del FMI e dell‟OCSE, per investimento diretto estero si intende un investimento in un‟impresa estera in cui l‟investitore possiede almeno il 10% delle azioni ordinarie, con il fine ultimo di stabilire un interesse, una relazione e un‟influenza nella gestione dell‟impresa, a lungo termine (IMF:1993; OECD:1996). Un‟impresa tende ad espandersi all‟estero tramite gli investimenti diretti esteri e solitamente la spinta agli investimenti è rappresentata dalla valutazione di diversi fattori i quali, potrebbero rappresentare vantaggi o svantaggi. Quelli più rilevanti fanno riferimento a:

 Costi del commercio internazionale i quali, comprendono costi di trasporto, le distanze e le barriere causate dalle politiche commerciali

 Dimensione del mercato la quale, risulta essere un‟importante fattore di attrazione per le imprese multinazionali in quanto la maggior parte degli investimenti diretti esteri è orientata su grandi mercati. Le statistiche, a tal proposito mostrano che i paesi in qui e indirizzata la quota maggiore di investimenti esteri è rappresentata da USA e UE

 Politiche e differenziali fiscali i quali, si riferiscono agli incentivi che molti paesi prevedono per attrarre le multinazionali

Questo ultimo punto verrà analizzato successivamente attraverso l‟analisi della prospettiva geografica che in generale si occupa sia dello studio dei fattori di attrazione degli investimenti diretti esteri (vantaggi di localizzazione), sia dell‟analisi delle conseguenze della presenza delle multinazionali in un dato contesto locale. Un contesto locale che influenza non solo le scelte di localizzazione ma anche le modalità in cui l‟impresa multinazionale opera localmente e principalmente il modo in cui le istituzioni e i lavoratori si relazionano con le imprese multinazionali.

Nel momento in cui una multinazionale si espande in nuovi mercati diviene utile comprendere se l‟impresa sceglie di svolgere determinate attività dall‟interno o definire rapporti con imprese terze.

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Per sintetizzare vi saranno:

1. imprese controllate del tutto possedute dalle multinazionali 2. accordi di mercato con imprese indipendenti

Ma cosa spinge un‟impresa a scegliere tra le diverse alternative?

Nonostante questo aspetto sarà ripreso nel secondo capitolo, tramite l‟analisi della teoria dei costi di transazione di cui Oliver Williamson è il maggiore esponente, di seguito vengono analizzate alcune questioni. L‟impresa, internalizzando o esternalizzando un servizio, può andare in contro a vantaggi o viceversa, dati dal fatto che da un lato l‟internalizzazione può apportare maggiori costi per l‟impresa ma al tempo stesso evita problemi di tipo relazionale con le altre imprese. Gli svantaggi, derivanti dai costi dell‟internalizzazione, emergono dal momento in cui l‟impresa non si affida a un fornitore locale che riesce ad operare sul mercato locale a un costo più basso in quanto ha una buona conoscenza del mercato ed è più aggiornato sulle informazioni. I costi connessi al ricorso al mercato, come alternativa all‟internalizzazione, si esplicano in costi transnazionali, informazione imperfetta e incompletezza contrattuale (HOLD-UP) tra impresa e fornitore. Questo ultimo problema, delle hold-up, si manifesta in presenza di contratti incompleti, motivo per cui molte volte le imprese decidono di non esternalizzare le attività quanto piuttosto mantenerle dal proprio interno. Nello specifico il problema dei contratti incompleti si verifica quando non è possibile inserire nei contratti una possibile “evenienza” nella relazione impresa e fornitore. Il fornitore ha il timore che dopo aver investito per produrre l‟input, la multinazionale si rifiuta di effettuare il pagamento, sostenendo che vi siano state “evenienze” che non sono previste dal contratto. Per tale motivo accadono le rinegoziazioni dei contratti e se l‟investimento è specifico di quel contratto, la posizione del fornitore è debole. Il timore del subfornitore può condurlo a un investimento iniziale subottimale, il che presenta un‟inefficienza che riduce il rendimento dell‟esternalizzazione. Quanto detto fa sì che gli investimenti siano effettuati da società interamente controllate, spiegando perché molte imprese dopo tanti anni di produzione in outsourcing affidata a società terze decidono di produrre mediante società interamente controllate.

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La multinazionale IKEA, che verrà approfondita e analizzata nel corso del terzo capitolo, è una società svedese di vendita al dettaglio di arredamenti per la casa con capacità di progettazione e rete di distribuzione e di vendita che gli consentono di vendere articoli di buon design a prezzi bassi. Nel recente passato, IKEA non aveva impianti di produzione ed era stata una delle prime imprese a far ricorso ad approvvigionamenti internazionali. I suoi articoli sono disegnati e progettati in Svezia e vengono prodotti da subfornitori esterni in oltre 70 paesi, il che permette un basso costo del lavoro e permette che i subfornitori siano più vicini alle materie prime con un facile accesso ai canali di distribuzione. In questo caso i fornitori esterni si devono adattare ai mutevoli gusti ed esigenze dei designer e progettisti IKEA. Nonostante IKEA fornisca assistenza tecnica e finanziaria per agevolare i suoi subfornitori ad andare in contro alle proprie richieste, e le loro attività siano particolarmente controllate, possono nascere problemi di hold-up. Per tali ragioni IKEA ha recentemente costituito una controllata manifatturiera, Swedwood, che ha acquisito il controllo di diversi produttori dell‟Europa occidentale precedentemente indipendenti (Navaretti, Venables: 2006).

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CAPITOLO II

CONTESTUALIZZAZIONE ED EVOLUZIONE DELLE TEORIE ORGANIZZATIVE

I primi studi organizzativi, che hanno inizio nella seconda metà del diciannovesimo secolo, costituiscono una varietà di approcci e metodi di analisi delle organizzazioni. I loro principi, sanciscono che vi è una relazione in qualche modo positiva tra efficienza organizzativa e alcuni modi di organizzare le fabbriche e gli uffici.

Nella produzione di studi degli ultimi anni invece, si tenta di ampliare lo studio mettendo in luce gli aspetti culturali, ambientali, di mercato e complessi, che caratterizzano le organizzazioni. il presente capitolo presenta un quadro sintetico delle diverse teorie organizzative le quali, non devono essere lette come una il superamento o migliore dell‟altra, bensì come modelli che analizzano aspetti organizzativi differenti in diversi periodi storici. Si farà riferimento anche a Morgan in quanto, rispettivamente alle teorie, propone di studiare le organizzazioni mediante la lente delle diverse metafore organizzative consentendoci di mettere in luce i bisogni organizzativi, i rapporti dell‟organizzazione con l‟ambiente (environment), i valori le idee e le norme nonché i significati condivisi che orientano i comportamenti all‟interno delle organizzazioni. Successivamente, si presterà particolare attenzione all‟evoluzione storica del benessere organizzativo con lo scopo di mostrare i diversi approcci al problema della salute nelle organizzazioni e l‟evoluzione da visioni centrate sull‟individuo a visioni centrate sul contesto organizzativo. L‟obiettivo dell‟elaborato è valutare il benessere organizzativo (o salute organizzativa) e far chiarezza sul fatto che esso potrebbe dipendere non solo da aspetti individuali, e di contesto organizzativo interno, bensì anche da aspetti di contesto esterno all‟organizzazione e come in qualche modo questi aspetti hanno una certa influenza sia per le organizzazioni, sia per coloro che vi lavorano, dunque per il benessere organizzativo nel suo complesso.

II.1 Gli studi classici

Muovendo da molto lontano, i primi studi dei modelli organizzativi iniziano a diffondersi nella seconda metà del diciannovesimo secolo. In questi studi, la teoria

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