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La mafia nell'urna: voto di scambio e reati elettorali. Profili evolutivi e strumenti di contrasto.

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea Magistrale in Giurisprudenza

La mafia nell’urna: voto di scambio e reati elettorali.

Profili evolutivi e strumenti di contrasto

Relatore

Candidato

Chiar.mo Prof. Domenico Notaro

Simona Folegnani

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Per garantire la giustizia occorre un’informazione pluralistica, integrale e trasparente, che sappia mettere in sintonia il diritto con la realtà, l’istituzione con il punto di vista esterno.

Per garantire la giustizia occorre una voce libera che spieghi cosa accade dentro le aule dei tribunali, che mantenga viva l’attenzione dell’opinione pubblica sulle effettive istanze di politica criminale.

Per garantire la giustizia occorre un’informazione che raccolga tutte le prospettive di diritto, i sentieri battuti, le strade ancora da percorrere e che costituisca la solida base per un consapevole esercizio dei diritti

.

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INDICE

Introduzione 6

CAPITOLO PRIMO 11

Origine ed evoluzione del fenomeno mafioso 1. L’origine del fenomeno mafioso e il suo inquadramento giuridico 11

2. Stato e mafia: paradosso del XX secolo 16

3. Mafia e politica. La trasversalità di un rapporto lungo l’intero arco della storia della Repubblica 19

4. “Mafia silente”. Metamorfosi di una fattispecie 28

5. La legislazione d’emergenza 40

6. Le leggi antimafia 42

7. Il d.l 8 giugno 1992, n. 306. L’art. 416 ter c.p.: un compromesso normativo 45

CAPITOLO SECONDO 49

L’origine del voto di scambio e la sua originaria formulazione 1. L’origine del voto di scambio e il suo originario significato etimologico 49

2. L’esegesi della norma 51

3. Il bene giuridico tutelato 51

4. I soggetti attivi 56

5. Tempus commissi delicti. Le condotte incriminabili: promessa ed erogazione di denaro 59

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CAPITOLO TERZO 75 Il rapporto con le altre fattispecie

1. Il rapporto con l’art. 416 bis c.p. 75 2. Il rapporto con i reati elettorali: la sacralità del voto 81

CAPITOLO QUARTO 93 La contiguità politico – mafiosa e il rapporto con il

concorso esterno

1. Il ruolo dell’aggravante della c.d ambientazione mafiosa di cui all’art. 7 l. n. 203/1991 oggi traslato

nel codice penale (dal d.lgs. 21/2018) 93 2. Il fenomeno mafioso e la contiguità. Paradigmi

normativi 100 3. Il difficile rapporto tra il reato di voto di scambio

elettorale politico – mafioso e il concorso esterno 105 4. Il dibattito sociologico e la crisi del paradigma

causale nel concorso di persone 113 4.1 L’evoluzione giurisprudenziale del concorso

esterno. La sentenza Demitry e il metodo

fibrillazionista 117 4.2 La sentenza delle Sezioni Unite n. 22327

del 30 ottobre 2002 “Carnevale”.

Il superamento del modello fibrillazionista 121 4.3 La sentenza “Mannino”. L’approdo ermeneutico

Definitivo 126 4.4 La sentenza “Dell’Utri” 135 4.5 La sentenza “Contrada” 141

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3

CAPITOLO QUINTO 151 L’intervento riformatore del 2014

1. Le ragioni della riforma dell’art. 416 ter c.p. 151 2. Il travagliato iter legislativo: i disegni di legge 153

presentati alla Camera

3. La proposta avanzata da Costantino Visconti. Un tentativo di sintesi 160 4. Verso la stesura del testo definitivo dell’art. 416

ter c.p. 163

5. La natura giuridica 166 6. Art. 416 ter c.p., il nuovo comma 2:

espressione di plurisoggettività propria o impropria,

reato plurisoggettivo o pluralità di reati monosoggettivi? 169 6.1 I soggetti attivi 176 6.2 La condotta incriminata: erogazione o

promessa 183 6.3 Il momento consumativo del reato 190 6.4 Il bene tutelato 193 6.5 L’elemento soggettivo e la sua mancata

Delimitazione 194 6.6 Il metodo mafioso 199

6.6.1 Le incertezze sul ruolo del metodo mafioso. La tesi restrittiva della

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6.6.2 La rilevanza del metodo mafioso. La sentenza “Polizzi”: confutazione

o implicita conferma? 207 6.6.3 Il diverso orientamento delle

sentenze “Albero”. “Annunziata” e “Serino” 210 6.6.4 Il metodo mafioso nel nuovo reato

di scambio elettorale: condizionamento

processuale o “sociologizzazione”? 214 6.6.5 Le questioni di diritto intertemporale 218 6.6.6 Altri profili intertemporali della riforma 223 6.7 Il nuovo reato di scambio elettorale politico –

mafioso e l’aggravante ex art. 7 d.l. 152/1991,

legge n. 203/1991 225 6.8 La nuova dosimetria sanzionatoria 226 6.9 I rapporti tra l’art. 416 ter c.p. e la legge 23

febbraio 2015, n. 19 229

CAPITOLO SESTO 236 I problematici rapporti tra il novellato reato di

scambio elettorale e altre figure delittuose

1. I rapporti tra l’art. 416 ter c.p. e il concorso esterno 236 2. I rapporti con i reati di corruzione elettorale artt. 243

96 t.u. 361/1957 e 86 d.p.r. 750/1960

CAPITOLO SETTIMO 249 La nuova fattispecie di scambio elettorale politico – mafioso

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2. I disegni di legge 250

3. Il novellato art. 416 ter c.p. 252

4. La condotta del promissario 253

5. I soggetti attivi 258

6. I profili sanzionatori 260

7. La circostanza aggravante 263

8. La pena accessoria 265

9. Il rapporto con il concorso esterno e la condotta di partecipazione 267

10. Il rapporto con i reati elettorali 270

CAPITOLO OTTAVO 273

Il d.lgs. n. 159 del 2011 e il divieto di propaganda elettorale 1. Dalla legge delega n. 136 del 2010 al decreto legislativo n. 159 del 2011 273

2. Il c.d. Codice antimafia 275

3. La pericolosità unica 277

4. La legge n. 175 del 13 ottobre 2010 280

5. I sorvegliati speciali 286

6. Il divieto di svolgere attività di propaganda elettorale 288

7. La violazione del divieto e la punibilità del candidato 292

8. Gli effetti della condanna 301

9. Analisi e criticità della c.d. legge Lazzati 305

Conclusioni 314

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INTRODUZIONE

Le organizzazioni mafiose hanno mostrato una particolare attitudine a intrecciare rapporti di cooperazione attiva e passiva con soggetti che non militano tra le loro fila. Attraverso l’imprenditoria, le istituzioni pubbliche, la politica, i liberi professionisti, la mafia ha libero accesso al mercato legale, acquisisce conoscenze, opera invisibilmente nel grande mondo delle relazioni e condiziona settori nevralgici della vita associata. Il legame col potere politico, articolato secondo lo schema dei reciproci favori, non rappresenta soltanto il tratto distintivo della criminalità mafiosa rispetto alle altre forme di delinquenza, ma la relazione simbiotica che per due secoli ne ha garantito la sopravvivenza e la protezione. I sodalizi mafiosi nascono e trovano terreno fertile proprio in quei contesti ambientali in cui la politica lascia colpevolmente spazi vuoti, oppure offre appigli collusivi in cambio di sostegno elettorale. Quel cono d’ombra dove il distinguo tra lecito e illecito svanisce, quella vasta area denominata “zona grigia” espressione di relazioni e connivenze, relegata nel limbo dei concetti sfocati sospesi tra immaginazione e realtà, ha stentato a trovare il condiviso riconoscimento delle scienze sociali, da un lato, e del legislatore, dall’altro; quest’ultimo è addirittura apparso impreparato e poco sensibile, mentre la giurisprudenza cercava di elaborare il concetto di “contiguità”. Il presente lavoro si propone di analizzare l’intervento legislativo probabilmente più discusso e tribolato in materia, volto a sanzionare uno degli effetti di tale disfunzione patologica. Con il reato di voto di scambio politico – mafioso si è inteso colpire la deplorevole pratica di mercanteggiamento dei voti tra le organizzazioni mafiose operanti su un territorio e gli esponenti politici, in occasione delle competizioni elettorali.

L’indagine si strutturerà in otto capitoli, ciascuno con una precisa area tematica.

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La prima parte della tesi tenterà di analizzare quella lenta presa di consapevolezza, quale causa del ritardo nella comprensione, nell’analisi scientifica del fenomeno mafioso e nell’elaborazione di una strategia di contrasto delle forme di collusione tra mafia e politica: una tara originaria che ha condizionato l’intera indagine sul problema. Per lungo tempo ha dominato nel nostro paese una concezione della mafia come “comunità” e prodotto del retaggio culturale di quel primitivo entroterra agricolo meridionale. Negli anni Ottanta, la sorprendente capacità di trasformazione e adattamento ha favorito l’espansione dei sodalizi mafiosi verso i poli industriali del nord Italia, costringendo dottrina e giurisprudenza a scontrarsi sul terreno della configurabilità del delitto di associazione mafiosa in ambiti territoriali diversi da quello di origine. I paradigmi esplicativi della mafia “sistema” e della mafia “impresa” coglieranno aspetti fondamentali del fenomeno, quali la sussistenza di una stabile struttura organizzativa, il ricorso alla violenza e la finalità economica, ma senza esaurirne la complessità.

Un forte contributo all’incertezza è pervenuto dalle scienze sociali che hanno descritto la mafia quale soggetto alternativo alle istituzioni pubbliche, piuttosto che un meccanismo operante all’interno dello Stato, in un’ottica di sfruttamento delle relazioni e dei canali politico – istituzionali, per la realizzazione dei propri obiettivi.

Nel secondo capitolo analizzeremo il reato di voto di scambio politico - mafioso fin dalla sua prima introduzione con l’art. 416 ter c.p. mediante il d.l. n. 306 del 8 giugno 1992 (c.d. decreto Scotti – Martelli) convertito con modifiche nella legge n. 356 del 7 agosto 1992, esaminando il contesto storico, sociale e politico che lo ha generato e le singole componenti costitutive. È in concomitanza con i più gravi fatti di sangue che la legislazione antimafia ha ricevuto la spinta necessaria per l’inquadramento giuridico delle principali fattispecie delittuose. Dall’omicidio di Pio Della Torre e del generale Carlo

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Alberto Dalla Chiesa alle stragi di Capaci e via D’Amelio, il legislatore ha introdotto una serie di norme, tra le quali quella oggetto della presente trattazione, fortemente simboliche ma dotate di scarsa efficacia sul piano repressivo, e per le quali il dibattito interpretativo è ancora aperto e attuale. Ci soffermeremo in particolare sulle modalità caratterizzanti l’intimidazione mafiosa ritenute poco conciliabili con il concetto “sinallagmatico” dell’accordo, nonché sulle lacune che hanno reso la norma di difficile interpretazione e applicazione, dando vita a pareri discordanti in dottrina a partire dalla ratio della stessa fattispecie.

Nel terzo capitolo esamineremo il rapporto tra l’originaria formulazione del reato di voto di scambio elettorale e altre fattispecie penali applicabili a fenomeni analoghi ed individuabili sostanzialmente nei reati di partecipazione mafiosa, di corruzione elettorale ex art. 96 e 97 del D.P.R. 361/57, mettendo in evidenza la difficoltà di focalizzare uno spazio applicativo autonomo dell’art. 416

ter c.p. rispetto a queste figure delittuose.

Il quarto capitolo si pone l’obiettivo di analizzare i rapporti tra il reato di scambio elettorale politico - mafioso e il concorso esterno di cui al combinato disposto degli artt. 110 e 416 bis c.p., con particolare riguardo a quelle lacune che hanno influito negativamente sul rapporto tra le due ipotesi delittuose e sulle motivazioni che hanno indotto il potere giudiziario a trovare in maniera autonoma e creativa una risposta adeguata e appagante. Lo studio del contesto sociale, dei numerosi scandali politici e l’interesse mediatico costituiranno l’imprescindibile retroterra di tale analisi.

Nel quinto capitolo affronteremo l’intervento riformatore dell’art. 416

ter c.p., mediante la legge n. 64 del 17 aprile 2014, giunto dopo

quattrocento giorni di discussione, quattro letture delle Camere, molteplici emendamenti contrastanti e una seduta di lavori parlamentari particolarmente accesa. Tenteremo di far luce sulle

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motivazioni che hanno sostenuto l’intento del legislatore, con particolare riguardo a quel rinnovato interesse dell’opinione pubblica verso disposizioni a tutela della regolarità delle competizioni elettorali, e a garanzia della libertà di voto. Ripercorreremo le principali modifiche apportate al novellato reato di scambio, onde valutarne l’adeguatezza in ordine al soddisfacimento di quelle istanze repressive del tutto disattese dalla precedente formulazione, affrontando le questioni di diritto intertemporale e le prime applicazioni giurisprudenziali, anche alla luce del nuovo requisito del metodo mafioso.

Nel sesto capitolo cercheremo di confrontare il riformato reato di scambio elettorale, con le altre fattispecie riconducibili all’area della contiguità politico – mafiosa, tentando di comprendere se e in che modo le modifiche apportate abbiano consentito di tracciare un confine più netto tra le varie ipotesi delittuose, anche sotto il profilo costituzionale.

Nel settimo capitolo affronteremo l’ultimo intervento riformistico del reato di scambio elettorale. Con la legge 21 maggio 2019, n. 43, recante “Modifica all’articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso”, è stata varata l’ennesima riforma dell’art. 416 ter c.p. nel giro di appena un lustro.

Numerose sono le modifiche apportate alla disciplina pregressa, tanto sul versante del precetto primario e, quindi, della condotta penalmente rilevante, tanto su quello del precetto secondario e, dunque, della dosimetria sanzionatoria.

L’obiettivo è ancora una volta, come emerso nell’intervento del 2017, l’inasprimento della risposta punitiva nei confronti di un fenomeno di elevato allarme sociale qual è la contiguità politico -mafiosa di tipo elettorale e, soprattutto, la facile aggregazione di consensi attorno a leggi che incidono su fatti diffusamente

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disapprovati dalla collettività, ma senza generare oneri economici a carico dello Stato.

Tuttavia, come molte novelle normative dotate di valenza simbolico-espressiva, nessuno dei cambiamenti realizzati appare convincente. Anzi, come si vedrà, alcuni risultano del tutto irrilevanti, altri, invece, assolutamente irrazionali.

L’ultima parte è dedicata all’analisi del d.lgs. n.159 del 6 settembre 2011 (c.d. Codice antimafia) con particolare riguardo alle disposizioni sul divieto di propaganda elettorale (cd. legge Lazzati). Le logiche emergenziali che hanno contraddistinto le principali misure antimafia non hanno condizionato in alcun modo tale intervento legislativo, che resta tuttavia legato a un forte simbolismo. Nodo centrale della trattazione è il concetto di propaganda elettorale e il suo divieto a carico dei sorvegliati speciali, sia nell’originaria formulazione che nel testo licenziato dal Parlamento.

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CAPITOLO PRIMO

ORIGINE ED EVOLUZIONE DEL FENOMENO MAFIOSO: DALLA CONTIGUITÀ POLITICO ELETTORALE ALL’INCRIMINAZIONE DEL VOTO DI SCAMBIO

SOMMARIO: 1. L’origine del fenomeno mafioso e il suo inquadramento giuridico 2. Stato e mafia: paradosso del XX secolo – 3. Mafia e politica. La trasversalità di n rapporto lungo l’intero arco della storia della Repubblica – 4. “Mafia silente”. Metamorfosi di una fattispecie – 5. La legislazione d’emergenza – 6. Le leggi antimafia – 7. Il d.l. 8 giugno 1992, n. 306. L’art. 416 ter c.p.: un compromesso normativo.

1. L’origine del fenomeno mafioso e il suo inquadramento giuridico

La criminalità di stampo mafioso si presenta come un sistema eterogeneo, diversamente radicato e distribuito sul territorio nazionale, legato alle caratteristiche economiche e socio - culturali proprie delle aree in cui si è sviluppato.

‘Ndrangheta, Cosa nostra, Camorra, Sacra corona unita, rappresentano lo scheletro di quel sistema denominato criminalità mafiosa.

Dotate di una pericolosità maggiore rispetto ad altre organizzazioni, sono in grado di adattarsi alle contingenze del momento, tanto da essere definite dal Lombroso, “le più temibili delle delinquenze”1.

Definire cosa si intenda per criminalità organizzata, oltre ad esigenze di carattere sistemico, risponde anche alla necessità pratica di circoscrivere l’ambito di applicazione dei regimi processuali speciali e degli istituti ad essa esclusivamente applicabili.

___________________

1 C. LOMBROSO, L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla

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Il fenomeno della criminalità di stampo mafioso presenta articolazioni più complesse rispetto alla semplice associazione di persone nell’illecito anche se caratterizzate da strutture complesse.

La mafia non viola il diritto, semplicemente lo nega, non riconoscendo il monopolio statale della forza e collocandosi fuori e contro lo Stato. L’omicidio è la forma di giustizia dei suoi tribunali.

Il fenomeno mafioso, depurato da quegli stereotipi che lo hanno nel tempo attanagliato, è innegabilmente complesso e poliforme, con connotazioni indubbiamente criminali ma anche politiche, culturali, economiche e sociali. È un insieme di organizzazioni criminali volte all’acquisizione di potere, all’accumulazione di capitali, fatte di regole, ruoli, gerarchie e gestite da uomini, quegli “uomini d’onore” che, come ricordava Giovanni Falcone, non sono poi così distanti da noi ed anzi ci rassomigliano.

La mafia ha bisogno del consenso della gente, del rapporto con le amministrazioni pubbliche, con l’imprenditoria, con la politica. La complessità del fenomeno emerge in tutta la sua potenza, nella proliferazione dei concetti prodotti sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina e che spaziano da una visione autonoma, ad una più spiccatamente relazionale. Un concetto “sovradeterminato” in quanto riconducibile a significati diversi e stratificati. Un terreno nel quale convergono e confliggono più paradigmi interpretativi.

L’importanza dell’individuazione dei limiti entro i quali confinare le fattispecie di criminalità organizzata è legata ad un’ esigenza classificatoria ma soprattutto alla necessità di circoscrivere l’ambito di applicazione dei regimi processuali speciali.

Il dibattito sulla vexata questio del rapporto tra mafia e reato di associazione per delinquere, nel quale veniva fatta confluire la fattispecie dell’associazione mafiosa, è decisivo per comprendere i precedenti dell’art. 416 bis c.p. e non può dirsi del tutto superato dall’entrata in vigore dell’art. 416 bis, dal momento che tale reato

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associativo rappresenta una figura speciale di associazione per delinquere2.

La mafia è stata considerata oggetto di studi da parte della scienza criminologica, fin dagli ultimi decenni dell’Ottocento3.

Più tardivo l’interesse verso il fenomeno, da parte della scienza giuridico – penale, che se ne è occupata per lungo tempo, solo nei limiti dell’applicabilità alle consorterie mafiose dell’art. 248 del Codice Zanardelli e dell’art. 416 del Codice Rocco4.

Occorrerà infatti attendere il 1965, affinché il termine mafia trovi la sua consacrazione in un testo normativo della Repubblica.

Con la legge n. 575 del 1965, recante le disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso straniere, e misure di prevenzione, viene per la prima volta contemplata dal legislatore, sia pure senza definirla, la categoria criminologica dell’associazione mafiosa (art. 1: “La presente legge si applica agli indiziati di appartenere ad associazioni mafiose”). Un testo destinato ad essere interpretato ed applicato dal magistrato penale e che ha costituito uno dei principali motori dell’elaborazione giurisprudenziale alla quale avrebbe attinto il legislatore del 1982.

La mutata percezione socio – criminologica del fenomeno mafia, unitamente all’inadeguatezza del generico reato associativo di cui all’art. 416 c.p. nella repressione della criminalità mafiosa, e la necessità di reagire a tutta una serie di gravissimi reati hanno indussero il legislatore, ad introdurre, mediante l’art. 1 legge 13 settembre n. __________________

2 G. TURONE, Il delitto di associazione mafiosa, Milano 2015, p. 5

3 G. ALONGI, La mafia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni, Torino 1886;

N. CALAJANNI, La delinquenza della Sicilia e le sue cause, Palermo 1885; A. CUTRERA, La mafia e i mafiosi, saggio di sociologia criminale, Palermo, 1900.

4 G.G. LOSCHIAVO, Il reato di associazione per delinquere nelle provincie

Siciliane, Selci Umbro 1993; contra G.M. PUGLIA, Il mafioso non è associato per delinquere, in Scuola pos., 1930, I, p. 452; A. INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, Milano 1993, pp. 46 ss.

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646 il reato di associazione di stampo mafioso nell’art. 416 bis. Il legislatore riuscì così a sanzionare penalmente condotte antisociali riconosciute come caratteristiche del fenomeno mafioso ma che, stanti le difficoltà di inserimento nello schema tradizionale della comune associazione a delinquere (art. 416 c.p.), avevano goduto dell’impunità.

Con grande sforzo, il legislatore del 1982, mutuando i tratti già stagliati con la legge del 1965, ha individuato i caratteri distintivi dell’associazione, nella forza intimidatoria e nella duplice condizione di assoggettamento ed omertà che ne discendono.

Questi tre elementi, si presentano come strumentali al perseguimento del programma criminoso tipico dell’associazione mafiosa, rappresentando gli strumenti dei quali gli associati “si avvalgono” per la realizzazione dei loro scopi.

L’impegno del legislatore del 1982 si spinge fino ad individuare ed elencare le possibili finalità tipiche dell’associazione di stampo mafioso:

1. la commissione di delitti;

2. l’acquisizione della gestione o del controllo di attività economiche, operata anche attraverso il condizionamento di atti amministrativi;

3. la realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti.

Tale connotazione è stata tuttavia arricchita dal legislatore del 1992, il quale ha inserito tra le possibili finalità tipiche anche quella del condizionamento del libero esercizio di voto in occasione delle consultazioni elettorali, mediante l’introduzione dell’art. 11-bis del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356. Nasce così una norma fortemente simbolica, anche se dotata di un buon livello di efficacia, attraverso la quale il legislatore forgia la nozione identificativa delle associazioni di tipo mafioso mutando terminologia e concetti, dalle indagini storiche ed

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empiriche sulla criminalità organizzata, nonché dal lavoro compiuto dalla giurisprudenza in materia di misure di prevenzione.

Tra i maggiori pregi vi è quello di aver eliminato ogni incertezza circa l’ambito di operatività della fattispecie.

L’originalità del precetto penale contenuto nell’art. 416 bis c.p. risiede nell’ elevazione di un concetto metagiuridico (il concetto di mafia) al rango di categoria giuridica (l’associazione di tipo mafioso) o meglio ancora, di elemento descrittivo della fattispecie incriminatrice, facendo ricorso a definizioni di carattere sociologico, quali la forza di intimidazione, la condizione di assoggettamento e di omertà e dilatandolo a tal punto, da ricomprendervi strutture associative non riconducibili alla mafia intesa nel senso tradizionale del termine (quello specifico fenomeno di origine siciliana)5.

Con l’introduzione dell’art. 416 bis c.p., il legislatore traccia anche una netta linea di demarcazione tra la figura delittuosa dell’associazione per delinquere semplice di cui all’art. 416 c.p. e quella di stampo mafioso.

Mettendo a confronto le due fattispecie, è evidente come la prima incrimini un gruppo organizzato di persone costituito per la commissione di qualsiasi classe di delitti, mentre la seconda sanzioni penalmente un’associazione che avvalendosi del c.d. “metodo mafioso”, condizioni la libertà personale dei consociati in una determinata area geografica perseguendo finalità di arricchimento parassitario tramite la commissione di reati di qualunque tipologia, ma anche attraverso la realizzazione di attività lecite6.

Mentre per i gruppi organizzati la commissione dei c.d. delitti scopo rappresenta il fine stesso dell’associazione, per le consorterie di tipo mafioso, l’attività delinquenziale rappresenta il “mezzo” per il __________________

5 G. TURONE op. cit. pag. 30; G. NEPPI MODENA L’associazione di stampo mafioso, in

Studi Delitalia, II, Milano 1984, pag. 896 ss.

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perseguimento di un obiettivo più ambizioso, vale a dire il controllo stabile di un frammento della vita sociale per garantirsi l’arricchimento parassitario, anche a prescindere dalla realizzazione di delitti scopo7.

L’associazione di tipo mafioso “non è un’associazione per delinquere, bensì un’associazione che delinque, poiché esercita attraverso l’intimidazione un controllo immanente sul corpo sociale di riferimento e perché mercé l’intimidazione riesce a guadagnare assoggettamento ed omertà8.

2. Stato e mafia: paradosso del XX secolo

La mafia, quale realtà complessa e pluriforme, fa parte di un sistema di vita, in costante movimento, che si trasforma e si adatta con abilità camaleontica alle circostanze esterne. La lotta alla mafia non può prescindere dall’analisi e dalla conoscenza di un fenomeno che è al tempo stesso giuridico, economico, sociale e politico. Il giudice Giovanni Falcone ne aveva compreso la forza e la complessità, definendola “sistema, articolazione, patologia del potere. La mafia che si fa Stato dove lo Stato è assente. La mafia sistema economico, organizzazione criminale che usa e abusa dei tradizionali valori siciliani. Laddove il concetto di cittadinanza tende a diluirsi, si presenta come una organizzazione dal futuro assicurato.

Il contenuto politico delle sue azioni ne fa senza alcun dubbio, una soluzione alternativa al sistema democratico”9.

___________________

7 G. CARUSO, Struttura e portata applicativa dell’associazione di tipo mafioso,

in B. ROMANO, Le associazioni di tipo mafioso, Torino 2015, p. 27 ss

8 M. RONCO, L’art. 416 bis nella sua origine e nella sua attuale portata

applicativa, in Il diritto penale della criminalità organizzata, a cura di B. ROMANO B. – G. TINEBRA, Milano, 2013.

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Queste considerazioni, unite all’esistenza di regole informali interiorizzate, non scritte, ma che si considerano autonome e contrapposte a quelle dello Stato, hanno contribuito alla nascita di quell’orientamento dottrinale che identifica nella mafia un ordinamento giuridico autonomo. La teoria cosiddetta istituzionalistica elaborata dal giurista siciliano Santi Romano, ed espressa in una celebre opera di teoria generale del diritto, fu pubblicata per la prima volta a Pisa nel 1917. Secondo questo orientamento, la nozione di diritto non può essere limitata all’ insieme delle norme che costituiscono l’ordinamento che, in quanto istituzione ed organizzazione, trascende il suo aspetto meramente normativo. L’ordinamento, prima di essere norma che regola i rapporti sociali, è la struttura che regola tutti i rapporti sociali astrattamente immaginabili nella società stessa, articolandosi a sua volta in diverse istituzioni extrastatuali dotate di autonomi ordinamenti giuridici. La storia del Novecento può essere osservata come un confronto continuo del diritto con le realtà circostanti, con un persistente cedimento di valori.

Lo Stato vede l’affermarsi di quei “governi particolari o privati”10con

le loro regole, a cui corrispondeva lo sminuirsi del ruolo della legge, la quale si ritirava per lasciare il campo a normazioni di origine diversa, provenienti ora da soggetti pubblici, ora da soggetti sociali collettivi, come i sindacati o le associazioni degli imprenditori11.

Di tali soggetti, alcuni erano considerati nemici dell’ordinamento, che li persegue con tutti i mezzi di cui dispone.

“…Finché essi vivono – sosteneva Romano – significa che sono costituiti, hanno un’organizzazione interna e un ordinamento che considerato in sé per sé non può non qualificarsi giuridico…”.

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10 P. GRASSI, Scienza giuridica italiana – Un profilo storico 1870 – 1950, Milano,

Giuffrè, 2000, p. 354;

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Le organizzazioni denominate Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra, caratterizzate da una struttura di potere, un popolo militante, un sistema normativo e punitivo, devono essere inquadrate, alla luce di quella teoria, tra gli ordinamenti giuridici. Il richiamo alla plurisoggettività, all’organizzazione e al potere di normazione, frutto della rielaborazione compiuta da Massimo Severo Giannini, rafforza questa analisi. Un insieme di soggetti, gli uomini d’onore, che acquisiscono quel particolare status, attraverso una procedura di controllo tesa ad accertarne affidabilità e attitudine criminale, che fanno capo ad una struttura complessa (frazione territoriale, mandamento, commissione), alla quale sono riconosciuti determinati poteri tra i quali il processo normativo e la cui osservanza è garantita da un efficace sistema sanzionatorio.

Il modello della mafia - ordinamento seppur dotato di indubbia suggestione sotto il profilo simbolico – espressivo, appare del tutto inadeguato alla risoluzione dei problemi più significativi che si delineano in subiecta materia: tra di essi in particolare, l’individuazione di una risposta penale capace di adattarsi al significato ed al ruolo concretamente assunto dalla complessa fenomenologia delle attività di cooperazione e di sostegno alla mafia, nonché l’enucleazione di metodi di verifica e di accertamento in concreto delle responsabilità penali riguardanti queste ed altre manifestazioni criminali in varia guisa collegate ai modelli operativi propri delle organizzazioni di stampo mafioso12.

Il paradigma della mafia come ordinamento giuridico ha trovato conferme sia nella giurisprudenza di merito che in quella di legittimità: in questo senso si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza del 28 gennaio 2000 n. 5343 che ha definito Cosa Nostra un’organizzazio- _________________

12 G.A. DE FRANCESCO, Paradigmi generali e concrete scelte repressive nella

risposta penale alle forme di cooperazione in attività mafiosa, Quaderni CSM n. 10/99, 1996.

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ne criminale articolata su base territoriale e disciplinata da precise regole comportamentali, la cui violazione determinava l’applicazione di sanzioni gravissime.

L’accettazione di tale orientamento da parte della magistratura, che fonda le sue radici nella elevata pericolosità delle organizzazioni mafiose e nella convinzione della rigidità delle norme vigenti all’interno della struttura, quale criterio per l’accertamento della responsabilità, reca con sé il rischio di giustificare interventi di carattere eccezionale e di rottura rispetto alle garanzie costituzionali. È in realtà l’analisi dello stesso Falcone a escludere l’equazione mafia - ordinamento giuridico: “il dialogo Stato/mafia…dimostra chiaramente che Cosa Nostra non è un anti Stato ma piuttosto una organizzazione parallela che vuole approfittare delle storture dello sviluppo economico, agendo nell’illegalità”.

La fenomenologia mafiosa è estremamente complessa; ad essa sono riconducibili significati diversi e storicamente stratificati; essa si colloca nelle pieghe profonde della società e non potrebbe sopravvivere se non intrecciandosi con le sfere del potere (politico, economico, istituzionale).

La sostanza delle sue attività resta il più delle volte celata dall’apparente legittimità di transazioni e meccanismi di mercato o della democrazia rappresentativa, rendendo necessaria un’azione di contenimento e di erosione degli spazi occupati dalle multiformi attività di sostegno e di agevolazione13.

3. Mafia e politica. La trasversalità di un rapporto lungo l’intero arco della storia della Repubblica.

Uno degli aspetti più inquietanti del fenomeno mafioso e nel quale si __________________

13 FIANDACA e COSTANTINO (a cura di), La mafia, le mafie tra vecchi e

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esplica la sua complessità è senza dubbio il rapporto con le forze politiche. Molto si è discusso sull’esistenza di una vera e propria strategia politica della mafia piuttosto che di semplici alleanze. La produzione documentale, seppur abbondante, non ha contribuito ad affrontare adeguatamente il tema in tutte le sue implicazioni.

Per comprenderne la portata, occorre compiere una breve disgressione sull’aspetto evolutivo del fenomeno, partendo da quella che è ritenuta la mafia più studiata ed approfondita, ossia quella siciliana.

Le origini della mafia si perdono nel tempo trovando difficilmente una collocazione temporale. Altrettanto incerta pare l’etimologia del termine mafia, anche se è opinione diffusa che si tratti di un termine di derivazione araba: potrebbe rappresentare l’adattamento dialettale di “mahias” che significa spavalderia e prepotenza, o della parola “màha” che significa cava, rifugio, ovvero di “ma afir” che era la stirpe saracena dominante a Palermo, o ancora di “mahaˆfatˆ” che significa impunità o immunità.

Se risulti difficile ricondurre l’origine della mafia al dominio arabo che si conclude fra il 1072 e il 1091, esiste un carattere della cultura mafiosa, intesa come atteggiamento mentale, non come organizzazione, che è riconducibile non tanto alla cultura saracena quanto al susseguirsi di dominazioni straniere, di culture estranee a quella isolana.

Si tratta di un dominio ben più lungo degli otto secoli che intercorrono tra la fine dell’emirato di Sicilia all’unità nazionale: l’emirato riuscì a garantire l’indipendenza e l’autonomia dell’isola.

Prima degli arabi, infatti, la Sicilia fu amministrata per tre secoli da Costantinopoli, alla fine dell’emirato fu dominio dei Normanni prima e degli Angioini poi, quindi gli aragonesi e i borboni. Sotto il loro dominio la Sicilia perse l’autonomia e al governo diretto di Napoli si associò un ribellismo endemico che, soprattutto nel territorio di Palermo si manifestò con caratteri indipendentistici.

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La necessità di preservare l’identità contro un dominio estraneo e prevaricatore ha concorso ad attribuire alla mafia delle origini un profilo che ne ha consentito l’insediamento e la diffusione.

La mafia, com’è noto, non è solo quella siciliana; altrettanto nota la leggenda dei tre cavalieri spagnoli, Osso, Mastrosso, Carcagnosso, che fondarono le tre principali mafie: Cosa Nostra, ‘Ndragheta, Camorra. Sebbene l’influenza spagnola abbia un fondamento storico, le differenze tra queste organizzazioni sono profonde.

La più distante dalle altre due e forse la più antica è senz’altro la camorra, soprattutto nelle origini, delle quali troviamo tracce documentarie già nel XVI secolo.

Essa ha origini urbane e plebee e nasce come strumento di estorsione del pizzo a danno dei carcerati. Solo successivamente si estende ad altre realtà come i mercati, la prostituzione e le case da gioco, favorendo la nascita di una borghesia camorristica.

A differenza delle altre due organizzazioni non si doterà mai una struttura organizzativa di tipo verticistico.

La ‘ndrangheta può essere considerata per alcuni aspetti, in particolare il latifondo, simile alla mafia siciliana. Al pari di quest’ultima ha una natura interclassista, ma se ne differenzia per due caratteristiche: nel secondo dopoguerra la ‘ndrangheta non si è dotata di quella struttura verticistica territoriale che ha permesso a Cosa Nostra di gestire il traffico internazionale degli stupefacenti; inoltre la struttura parentale e la scelta di non scendere in guerra con le istituzioni, che attirò invece l’attenzione sulla mafia siciliana, le hanno consentito di agire indisturbata e favorito il suo rafforzamento.

Molta acqua è passata sotto i ponti e quelle stesse caratteristiche hanno permesso alla ‘ndrangheta, in tempi più recenti, di presentarsi nel panorama internazionale, di commercializzare ogni tipo di arma, di sedere al tavolino con i temuti cartelli colombiani, sfidando e

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superando l’opposizione della vecchia guardia, dei vecchi capobastone, all’ingresso in campo degli stupefacenti.

L’affidabilità criminale di Cosa Nostra devastata dai collaboratori di giustizia, non passò infatti inosservata agli occhi dei narcotrafficanti internazionali. Quel vuoto fu riempito dalla mafia calabrese, che negli anni ebbe il “merito” di non produrre pentiti, se non in minima parte. Non a caso la ‘ndrangheta è l’unica organizzazione che è riuscita a colonizzare anche paesi stranieri.

Questi “sistemi paralleli” affondano come abbiamo visto, le loro radici nel passato, nel latifondo e nella protezione che determinati gruppi, quali contadini, minatori, proprietari di bestiame necessitavano. L’abolizione del sistema feudale, tuttavia, non determinò la scomparsa di quella mentalità. I frutti della terra continuavano a “rimpolpare” la borghesia parassitaria che ben presto però, scoprì altri e nuovi canali di arricchimento come le forniture idriche, il tutto entro un quadro di intimidazione diffusa14.

L’intreccio tra potere economico, oppressione di classe e coercizione fisica, rappresentano il terreno dal quale trae origine e si sviluppa il fenomeno mafioso.

Negli anni ’50 la mafia inizia a perdere interesse verso il latifondo prediligendo la città, tentando quella penetrazione nel tessuto sociale ed economico che la caratterizzerà nel prosieguo fino ai giorni nostri. La configurazione territoriale, ostile, aspra e l’assenza di collegamenti tra le zone ha impedito la formazione di industrie e di una classe operaia.

Il vuoto creato dalla debolezza della società civile verrà progressivamente riempito dalla politica15.

Il processo di imprenditorializzazione registrerà negli anni successivi, uno sviluppo virulento, anche se il vero e proprio salto di qualità, che _________________

14 E.J. HOBSBAWM, I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale, Torino 1980;

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consentirà alla mafia di ampliare la struttura, avverrà solo vent’anni dopo.

L’industrializzazione del Meridione, il grande intervento di finanziamento pubblico, garantiranno ai sodalizi mafiosi l’ingresso nell’economia legale. Le gare d’appalto, (il c.d. patto del tavolino, “u tavolinu”, una trattativa avvenuta della seconda metà degli anni Ottanta e ricollegabile ad un’intuizione di Angelo Sino che coinvolgeva imprenditori e Cosa Nostra per la spartizione degli appalti pubblici), le attività edilizie, daranno luogo ad un processo di trasposizione della connotazione originaria e basata sulla forza di intimidazione alle attività lecite, al circuito legale del mercato.

Il boom edilizio segnerà lo spartiacque: il c.d. Sacco di Palermo, il completamento dell’autostrada del sole a metà degli anni ’60, nel tratto compreso tra Salerno – Reggio Calabria sono due esempi della politica dell’epoca, rappresentando la grande occasione di accrescimento della potenza e capacità economica della mafia16.

Fu proprio nel settore edilizio che si misuravano la sua consistenza e il grado di condizionamento.

L’allora commissario capo della squadra mobile reggina, Franco Sirleo, deponendo al c.d. processo dei 60, denunciò la lievitazione del 15% di tutti i lavori dello Stato e degli enti pubblici17.

Crebbe anche l’interesse verso le banche: l’aumento dei proventi delle attività illecite accresceva la necessità di utilizzo dei circuiti finanziari, definiti dal giudice Vincenzo Macrì i “luoghi dove si cela il cuore del potere mafioso18.

L’attività bancaria rifiorisce grazie al reinvestimento del capitale illecito derivante dal traffico di droga, estorsioni, sequestri19.

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16 GAUDIOSO F. Calabria ribelle, Angeli, Milano 1987;

17 MALAFARINA L.,”Ndrangheta alla sbarra, Dimensione 80, Roma 1981;

18 ARCÀ F. Mafia potere malgoverno, Newton Compton, Roma 1979;

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Negli anni ’80 raggiungerà il massimo grado di imprenditorialità, di violenza e di non consenso. Con questa nuova veste, la mafia, si appronta a conquistare anche il nord Italia, interessando quelle zone sino a poco tempo fa refrattarie al fenomeno: destinate inizialmente al reinvestimento dei capitali lucrati con le attività illecite, in particolare con il traffico degli stupefacenti, grazie all’ausilio della politica, divengono poli di attrazione dei capitali mafiosi fino alla completa colonizzazione.

Il rapporto tra mafia e politica rappresenta uno degli aspetti più controversi e problematici sia sotto il profilo sociologico che giuridico. Un intreccio tra poteri forti che giunse ad un punto tale da non poter essere più celato.

Nel rapporto di un prefetto di Reggio Calabria si evidenziava come “il delitto sia andato via via assumendo le precise caratteristiche di un fatto organizzato” e di come gli autori dei vari crimini “riescano ad assicurarsi l’impunità attraverso un bene ordinato sistema di protezione finanche nei settori politici. Non è infatti raro che siffatti individui si trasformino al momento delle elezioni in propagandisti per l’uno o l’altro partito ed influiscano o tentino di influire, col peso delle loro clientele, sui risultati elettorali20.

Il condizionamento della vita amministrativa è descritto in maniera puntuale nel rapporto prefettizio dove si precisa che “costituisce caratteristica della loro attività il sistematico intervento, attraverso le acquiescenti tolleranze di amministratori e l’arrendevolezza supina degli esponenti delle categorie più elevate, in affitti, appalti, concessioni di servizi, riscossioni di diritti d’uso civico e via dicendo, dai quali ritraggono sotto forma di percentuali, illeciti profitti.

Non esistevano opere pubbliche che non vedessero la presenza della mafia nella loro realizzazione grazie agli appalti e ai subappalti.

L'informativa Mafia Appalti, sotto la direzione di Giovanni Falcone fu

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la prima operazione che fece luce sulle connessioni mafioso-politico-imprenditoriali, svolta in Sicilia.

Lo Stato “finanziò” la mafia nella misura in cui non esercitò i dovuti controlli sulla destinazione dei finanziamenti, che puntualmente finivano nelle mani delle cosche21.

Ciò fu reso possibile grazie anche alle connivenze con i settori del mondo economico e finanziario.

I prestanome, uomini cerniera tra i mafiosi e i politici, gestivano società immobiliari, finanziarie e turistico alberghiere22.

Contemporaneamente le cosche rafforzavano quella funzione nota con il nome di “sorveglianza dell’elettorato”23. Una funzione attiva e di

controllo sul singolo voto, sintomatico di come la mafia riuscisse ad avere rapporti e a condizionare uomini politici.

Il giudice Saverio Mannino scriverà che “la mafia non si limita più a convogliare consensi elettorali verso gli uomini politici ma elegge direttamente propri rappresentanti negli organismi elettivi”24.

Molto si è discusso sull’esistenza di una strategia politica piuttosto che di semplici strategie criminali. Secondo una relazione della Commissione antimafia del 199325, la mafia ha una propria strategia

politica. “L’occupazione del territorio, le risorse finanziarie, la disponibilità di un esercito clandestino e ben armato, un’espansione illimitata ne fanno un’organizzazione che si muove secondo logiche di potere e di convenienza. La strategia politica della mafia non è mutuata da altri, ma imposta agli altri con la corruzione e la violenza”.

Una collusione, quella tra potere mafioso, economico e politico, che si concretizza in un tacito accordo, un do ut des garantito da reciproci vantaggi: investimenti, posti di lavoro, consenso elettorale.

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22 ARLACCHI P., La mafia imprenditrice, Il Mulino, Bologna 1983;

23 MALFARINA, op. cit, p. 319;

24 MANNINO S. La strage di Razzà, Dimensione 80, Roma 1983;

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Cointeressenze che portarono il giudice Falcone già nel 1987, a segnalare la necessità di una fattispecie in grado di colpire penalmente queste condotte: la criminalità dei cosiddetti colletti bianchi, la convergenza di interessi, ritenuta “una delle cause maggiormente rilevanti della crescita di Cosa nostra”26. Queste considerazioni

rappresentarono il terreno di coltura del concorso esterno in associazione mafiosa.

Una collusione, quella tra potere politico e mafioso, definita dalla dottrina in termini di coabitazione, di compenetrazione organica, e ribattezzata nella requisitoria del P.M. del Maxiprocesso di Palermo, “contiguità” politico-mafiosa.

L’agire politico e l’agire mafioso non possono essere affrontati in termini generali e in maniera definitiva. L’esperienza storica, la riflessione sociologica e le indagini giudiziarie mettono in evidenza non soltanto la complessità delle interazioni tra sistema politico e sistema mafioso ma anche le diverse modalità con le quali tale complessità si manifesta. Un interrogativo di fondo è se alla base delle interconnessioni tra mafia e politica vi sia una logica sistematica, che in relazione ai diversi contesti, si traduce in una posizione di autonomia, di supremazia o piuttosto di sottomissione del potere mafioso o se si tratti più semplicemente di convergenza di interessi che dà vita ad accordi di volta in volta finalizzati al conseguimento di determinati obiettivi27.

Il modo di atteggiarsi dei rapporti tra mafia e politica non può essere ricondotto ad un unico modello esplicativo. Può accadere infatti che, mentre in alcuni contesti è il politico ad assumere un ruolo di supremazia o di indirizzo, in altri le dinamiche potrebbero assegnare al mafioso un ruolo di guida. In entrambi i casi risulterebbe comunque compromessa la qualità dei processi democratici. L’assenza di un ___________________

26 G. Falcone, Interventi e proposte (1982-1992), Sansoni editore, Milano 1994.

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unico modello di riferimento consente di superare secondo alcuni autori, ottiche “mafiocentriche”, le quali finiscono per trascurare che il modo di fare politica e di gestire la cosa pubblica rappresentano terreno fertile per la nascita e lo sviluppo del “parassitismo” mafioso. La complessità del fenomeno ha contribuito a generare nel tempo fantasiose teorie sul rapporto tra mafia e politica, tra le quali spicca quella del cosiddetto “terzo livello”. Una sorta di “supercupola” composta da uomini politici, finanzieri, sovrapposta alla cupola mafiosa e in grado di determinare le scelte di Cosa nostra, esclusa in questi termini dallo stesso giudice Falcone.

L’unico dato certo è che la mafia non persegue alcuna ideologia politica al di fuori di spietate ed opportunistiche logiche di potere. Grazie alla smisurata capacità di adattamento alle circostanze e al mutamento del quadro politico essa è stata liberale, democristiana, socialista e comunista.

Il PCI rappresentava l’antagonista del fascismo uscendo da quel periodo storico con grande prestigio, approntandosi come la classe politica del cambiamento perché in possesso di caratteristiche antistatuali. Era il partito dei contadini e dei proletari, che lottava contro i ricchi e i padroni, in netto contrasto con le forze dell’ordine. Peculiarità queste ultime che avevano affascinato quei giovani che della mafia possedevano una visione romantica e idealizzata, fino al punto di considerarla un’organizzazione popolare di autodifesa. Il successo elettorale del ’48, che portò al potere la Democrazia Cristiana, esercitò il fascino della vittoria.

La mafia cercò subito un collegamento con il principale partito di governo, in grado di consentirle di penetrare nel cuore del potere locale e nazionale.

Significativa la denuncia del deputato socialista Rocco Minnasi alla Camera dei Deputati nei confronti del boss Vincenzo Romeo: “ con il

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mitra in spalla faceva campagna elettorale – o votate Democrazia Cristiana o vi ammazzo”28.

È tuttavia negli anni Ottanta che la mafia completa la sua metamorfosi: da una entità rurale ad una imprenditoriale e finanziaria. La mafia di quegli anni non scende a patti, ma sostituisce proprie leggi a quelle che lo Stato non riesce ad imporre. E se lo Stato si oppone, lo combatte, lo corrompe, lo uccide.

L’equilibrio generato dal fenomeno collusivo, mostrò infatti tutta la sua precarietà ai primi duri colpi inferti al “sistema” dalle Procure siciliane. E la risposta di Cosa nostra non tardò ad arrivare e fu tra le più violente che la storia ricordi. La linea stragista degli anni Novanta rappresenterà il retroterra della legislazione emergenziale, nella quale si colloca il reato di scambio elettorale mafioso, previsto all’art. 416

ter c.p.

4. “Mafia silente29”. Metamorfosi di una fattispecie

“Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia…A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso nord, di cinquecento metri, mi pare ogni anno…la linea della palma….io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… e sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte degli scandali: su su per l’Italia ed è già oltre Roma…”30.

Una visione quasi profetica quella espressa diversi decenni orsono, da ____________________

28 Seduta del 4 ottobre 1955. Intervento dell’on. R. Minasi, pp. 21090-94.

29 Relazione Scuola Superiore della Magistratura, Scandicci 5 ottobre 2015;

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un grande scrittore siciliano, Leonardo Sciascia. Quelle righe esprimono tutta la potenzialità di un fenomeno destinato a perdere la propria dimensione territoriale, essenzialmente circoscritta alle regioni meridionali, per essere presente sulla scena economica, politica e sociale, nazionale ed internazionale. Senza dubbio la mafia a cui si riferiva Sciascia divergeva profondamente da quella attuale, soprattutto con riferimento alle regioni del nord Italia.

Con l’espressione mafia silente si intende una particolare manifestazione del metodo intimidatorio che caratterizza le organizzazioni mafiose.

Queste ultime, oltre a porre in essere espliciti atti di violenza o minaccia, possono rivelarsi anche attraverso messaggi intimidatori indiretti e larvati o, addirittura, in assenza di avvertimenti diretti. Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità31 il

messaggio intimidatorio può acquisire diverse forme. La prima è rappresentata dall’esplicito avvertimento mafioso; la seconda è caratterizzata da un messaggio intimidatorio avente forma larvata ed indiretta che costituisce un chiaro avvertimento della sussistenza di un interesse dell’associazione verso un comportamento attivo od omissivo del destinatario; la terza si sostanzia nell’assenza di un messaggio e di una contestuale richiesta finalizzata ad ottenere una condotta attiva o passiva del destinatario. Si evidenzia in proposito il caso ipotizzato da autorevole dottrina32, concernente la semplice

partecipazione di un boss mafioso ad una gara d’appalto e il conseguente abbandono, per ciò solo, degli altri concorrenti.

I primi tentativi di applicazione della fattispecie per gruppi diversi dalle mafie storiche, risalgono agli anni immediatamente successivi ___________________

31 Cass. Sez. V sentenza del 3 febbraio n. 21562; Cass. Sez. V n. 17081/2015; Cass.

Sez. V n. 28531/2013;

32 G.A. DE FRANCESCO, Associazione per delinquere e associazione di tipo

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30 alla sua introduzione nel codice penale.

Nel 1983 il delitto di associazione mafiosa fu contestato al presidente della giunta regionale della Liguria, Alberto Teardo, nel 1984 alla cosiddetta mafia dei casinò, per arrivare alla Mala del Brenta e del gruppo sardo guidato dalla sindacalista, Maria Ausilia Piroddi. Di tali vicende giudiziarie solo le ultime due si sono concluse con condanne per mafia, quelli in cui era più evidente il ricorso alla violenza anche efferata.

Le associazioni in questione “si avvalgono” della fama criminale conseguita nel corso degli anni nei territori di origine prima, e in altre zone del territorio nazionale poi.

Seppur silente, il messaggio mafioso costituisce una manifestazione del metodo intimidatorio, secondo gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità33, che ha ritenuto di ricondurne le diverse

forme e modalità, alla “cattiva fama” dell’associazione.

Le forme di manifestazione del metodo mafioso sono caratterizzate da messaggi larvati, indiretti che tuttavia costituiscono un chiaro avvertimento della sussistenza di un interesse dell’associazione verso un comportamento attivo od omissivo del destinatario, con conseguente richiesta di agire in conformità.

La metamorfosi della mafia è frutto dell’evoluzione compiuta dal sodalizio. È soprattutto la complessità del fenomeno ad agevolare l’estensione ermeneutica della fattispecie, nonché la creazione di un concetto sovradeterminato che identifica nel medesimo tempo più nozioni: associazione criminale, realtà storica, una struttura di potere

che interagisce con il sistema legale.

A tale estensione hanno contribuito la vasta letteratura in tema, la considerazione della mafia per l’utilizzo del metodo mafioso piuttosto ___________________

33 Così diverse sentenze: Cass. Sez. 5, Sentenza n. 21562 del 03/02/2015 ric. Fiorisi

e altri; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17081 del 2015, ric. Bruni e altri; Cass. Sez. 5, sentenza n. 28531 del 2013 ric. Benedetto.

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che come entità, l’evanescenza del bene giuridico tutelato e la nuova classe di soggetti coinvolti: la c.d. borghesia mafiosa che ha definitivamente sradicato il classico volto del mafioso, nell’immaginario collettivo.

L’eccessiva dilatazione della fattispecie determina incertezza, mettendo in crisi la tipicità del reato e anche se espressioni di buon senso che devono trovar adattamento ai mutamenti storici, quando si arriva ad estendere eccessivamente la portata di una norma, si travalica pericolosamente il confine della creatività.

Gli orientamenti giurisprudenziali con riferimento all’art. 416 bis c.p. nell’ambito specifico della repressione delle mafie al nord sono tutt’altro che convergenti, tanto da richiedere un intervento delle Sezioni Unite34.

Richiesta che il Primo Presidente della Corte, con provvedimento del 28 aprile 2015 ha deciso di non avvallare, ritendendo tale contrasto non così rilevante e ricomponibile senza l’intervento delle sezioni unite.

Ad opinione del Primo Presidente il panorama giurisprudenziale converge nell’affermazione di principio secondo cui “l’integrazione

della fattispecie di associazione di tipo mafioso implica che un sodalizio mafioso criminale sia in grado di sprigionare, per il sol fatto della sua esistenza, una capacità di intimidazione non soltanto potenziale ma attuale, effettiva ed obbiettivamente riscontrabile, capace di piegare ai propri fini la volontà di quanti vengono in contatto con i suoi componenti”.

In realtà la lettura delle motivazioni di alcuni provvedimenti giurisprudenziali porta esattamente nella direzione opposta.

Mentre infatti alcuni orientamenti ritengono sufficiente per integrare gli estremi dell’art. 416 bis c.p. la prova che il sodalizio presenti evidenti connotati di “mafiosità” sul piano organizzativo “interno”, in ___________________

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particolare quando il gruppo criminale risulta insediato in aree di non tradizionale radicamento mafioso; altri, invece, considerano ineludibile in ogni caso anche la prova dell’esteriorizzazione del “metodo mafioso”, quale riflesso dell’avvalersi “della forza di intimidazione del vincolo associativo e dell’assoggettamento e omertà che ne deriva” postulato del terzo comma del medesimo articolo. Negli ultimi anni il tema della mafia silente ha impegnato la giurisprudenza non solo con riferimento sia alle “mafie nuove” che alle “mafie storiche”35.

Con riguardo a queste ultime, in particolare, le principali vicende giudiziarie facevano riferimento a soggetti ritenuti appartenenti alla ‘ndrangheta calabrese ma residenti ed operativi in regioni diverse da quella di origine.

La ‘ndrangheta, infatti, ha come proprio modulo di diffusione, la riproduzione nei territori dove opera di proprie strutture organizzative chiamate “locali”, caratterizzate da una specifica componente personale e territoriale.

I processi alla ‘ndrangheta che negli ultimi anni hanno riguardato la predetta associazione insediata nei c.d. territori refrattari portano il nome delle rispettive operazioni investigative (in particolare “Minotauro” e “Albachiara” sulla ‘ndrangheta in Piemonte, “Infinito” sulla ‘ndrangheta insediata a Milano, “Maglio” e “La Svolta” su quella insediata in territorio ligure).

La prima verifica da compiere è quella di accertare se la mera delocalizzazione di una struttura appartenente ad una mafia storica implichi di per sé sola l’esteriorizzazione del metodo mafioso.

Occorre domandarsi in particolare se il metodo intimidatorio che si estrinseca nei territori dove sono insediate le strutture centralizzate della ‘ndrangheta possa estendersi anche a quelle singole strutture o ___________________

35 R. SPARAGNA, Indagini e giudizio nei reati di criminalità organizzata -

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“locali” per le quali, in concreto, lo stesso metodo non sia stato accertato36.

In particolare occorre rilevare l’unitarietà dell’organizzazione di tipo mafioso denominata ‘ndrangheta, a livello nazionale, quale elemento fondamentale da cui deriva il fenomeno definito “osmosi” dell’estrinsecazione del metodo intimidatorio37.

La ‘ndrangheta quale tipica organizzazione di stampo mafioso è stata introdotta nel testo dell’art. 416 bis c.p. comma 3 c.p. nel 2010. L’art. 6 comma 2 del d.l. 4 febbraio 2010, n. 4 convertito, con modificazioni, nella L. 31 marzo 2010, n. 50 ha infatti inserito il termine ‘ndrangheta nel testo della fattispecie, così tipizzandola nel novero delle c.d. “mafie storiche”.

Il tema della mafia silente in questi processi ha riguardato la possibilità di integrazione dell’art. 416 bis c.p. in applicazione di una sorta di “osmosi”, cioè di trasposizione del metodo intimidatorio anche in quei territori in cui esso non è stato concretamente accertato.

La distinzione tra l’associazione per delinquere semplice e quella di stampo mafioso non è di poco conto nella lotta alle mafie, con riferimento a quelle garanzie costituzionali a tutela degli individui, che prescindono dall’ “autore” o dal “contesto geografico” del fatto, e che potrebbero soccombere di fronte a un eccessivo desiderio repressivo. Dalla necessità di tracciare una linea di demarcazione che consenta di riportare la fattispecie alla sua originaria connotazione, discendono due importanti corollari: il carattere di eccezionale rigore del regime penitenziario che deve essere riservato ai condannati per mafia e la _______________________

36 R. SPARAGNA, Metodo mafioso e c.d. mafia silente nei più recenti approdi

giurisprudenziali, DPC, 2015;

37 S. ALEO Sistema penale e criminalità organizzata. Le figure delittuose

associative, Milano, 1999; nonché dello stesso autore Causalità complessità e funzione penale. Per un’analisi funzionalistica dei problemi della responsabilità penale” Giuffrè 2009 e Delitti associativi e criminalità organizzata, in Rass. Penitenziaria e criminologica, n. 3 2012.

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possibilità di sanzionare quei piccoli sodalizi che utilizzano il metodo mafioso, pur senza avere il peso, la dimensione, l’intensità della “vera” mafia.

Secondo il vertice della Cassazione, occorre accertare in capo al sodalizio una capacità di intimidazione “effettiva e attuale” nonché “obbiettivamente riscontrabile e in grado di “piegare” la volontà di quanti vengano a contatto con i suoi componenti”.

Un tale approccio si colloca nell’alveo di un orientamento dottrinale38

che tende a configurare il delitto di associazione mafiosa quale reato a struttura mista, bisognoso per il suo perfezionamento di un quid pluris rispetto al solo dato organizzativo pluripersonale, elemento aggiuntivo identificato nel riscontro di un dispiegarsi effettivo della forza di intimidazione; con ciò tracciando un profondo solco rispetto al modello di reato associativo puro suscettibile di perfezionarsi alla sola presenza di un’organizzazione diretta a commettere reati.

La prima sconfessione dell’approccio del Primo Presidente arriva dalla sentenza della sezione V nel processo “Albachiara”39. Secondo il

collegio, occorre identificare due ben distinti fenomeni criminali. Un conto, afferma la Suprema Corte, è avere di fronte una neoformazione delinquenziale che si proponga di utilizzare la stessa metodica delinquenziale delle mafie storiche; altro conto se si tratta di giudicare una “mera articolazione di tradizionale organizzazione mafiosa, in stretto rapporto di dipendenza o comunque di collegamento funzionale con la casa madre”. In questo secondo caso a detta della Corte, diventerebbe “un fuor d’opera pretendere che in una simile caratterizzazione delinquenziale sia necessaria la prova ___________________

38 G.A. DE FRANCESCO, Associazione per delinquere, cit.; G. SPAGNOLO,

L’associazione di tipo mafioso 5a ed., Padova 1997; G. TURONE, Il delitto di

associazione di tipo mafioso, Milano, 1995.

39 Cass. Sez. V pen. 3 marzo 2015, n. 31666, Pres. Lapalorcia, Rel. Bruno, imp.

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della capacità intimidatrice o della condizione di assoggettamento e omertà, spostando il baricentro della prova sui caratteri precipui della formazione associativa sbarcata in aree non tradizionali e soprattutto sul suo collegamento esistente con l’organizzazione di base.

Con riferimento alla prima ipotesi prospettata, una volta raggiunta tale prova, può senz’altro ritenersi la nuova formazione associativa sia già di per sé pericolosa per l’ordine pubblico, indipendentemente dalla manifestazione della forza intimidatrice nel contesto ambientale in cui è radicata.

La seconda smentita arriva da un’altra pronuncia: quella che ha chiuso il processo “Infinito” a Milano40.

Secondo la II Sezione della Corte è necessario che l’associazione di tipo mafioso “sia in grado di sprigionare per il solo fatto della sua

esistenza, una capacità di intimidazione non solo potenziale ma attuale, effettiva ed obiettivamente riscontrabile”. Sempre secondo gli

“ermellini”, “detta capacità di intimidazione potrà in concreto

promanare dalla diffusa consapevolezza del collegamento con l’associazione principale, oppure dall’esteriorizzazione in loco di condotte integranti gli elementi previsti dall’art. 416 bis”.

A ben vedere, la Corte aderisce all’orientamento che configura il delitto di associazione mafiosa come un reato associativo a struttura mista. Alcuni autori definiscono poco plausibile, sotto il profilo ermeneutico, l’operazione compiuta dalla Corte41, la quale pone sullo

stesso piano due situazioni inconciliabili quali contesti che integrano il requisito oggettivo: il caso del sodalizio che esteriorizza in loco la forza intimidatrice e quello del tutto diverso in cui da quest’ultima invece promana una diffusa consapevolezza del collegamento con la ___________________

40 Cass. Sez. II pen. 21-30 aprile 2015, n. 34147, Pres. Esposito, Est. Beltrani, imp.

Agostino;

41 C. VISCONTI, I giudici di legittimità alle prese con la “mafia silente” al nord.

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casa madre. Due ricostruzioni del delitto di associazione di tipo mafioso contrapposte sul piano ermeneutico. L’una, frutto di una consolidata tradizione giurisprudenziale che richiede una esteriorizzazione tangibile del metodo mafioso per l’integrazione del reato, l’altra che sposta l’attenzione sul dato organizzativo, pur qualificato dalla “mafiosità” dei soggetti coinvolti.

Le sentenze, testé citate, segnano un revirement giurisprudenziale, rafforzato da altre due pronunce della Cassazione42.

Nella prima, la Corte, pur confermando le condanne inflitte nel merito del processo c.d “Minotauro”, rimprovera ai giudici di aver abbandonato il modello ricostruttivo del delitto, facente leva sulla necessità di riscontrare una esteriorizzazione della forza intimidatrice. Nella seconda, relativa al processo c.d. “Cerberus”, gli “ermellini” facendo leva sul dato sostanziale e probatorio, confermano che l’elemento distintivo e specializzante dell’associazione mafiosa rispetto alla comune associazione per delinquere risiede nel metodo utilizzato, che consiste nell’ “avvalersi della forza intimidatrice che

promana dall’esistenza stessa dell’organizzazione, alla quale corrisponde un diffuso assoggettamento nell’ambiente sociale e dunque una situazione di generale omertà….La situazione di omertà deve ricollegarsi alla forza intimidatrice dell’associazione. Se essa è invece indotta da altri fattori, si avrà l’associazione per delinquere semplice”.

La Corte propone una ricostruzione più fedele al dettato legislativo, che imponga l’accertamento del nesso causale tra la condizione di assoggettamento e omertà e l’esteriorizzazione del metodo mafioso riconducibile agli imputati.

Nel variegato panorama giurisprudenziale la Suprema Corte ha ___________________

42 Cass. Sez. II pen., 23 febbraio 2015 n. 15412 Pres. Esposito, Rel. Manna, Imp.

Agresta; Cass. Sez VI pen. 22 gennaio 2015 n. 18459 Pres. Conti, rel. Di salvo, Imp. Barbaro;

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