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L’oscurità e la farraginosità della descrizione del metodo consistente nell’avvalersi della forza intimidatoria dell’organismo mafioso, impongono una riflessione sull’analisi delle condotte idonee ad integrare il delitto di scambio elettorale, non soltanto sotto il profilo oggettivo o soggettivo ma anche sotto il profilo dell’estrinsecazione delle stesse.

L’indeterminatezza induce a scorciatoie probatorie consistenti nell’affievolimento o nell’eliminazione sul piano probatorio di alcuni elementi costitutivi della fattispecie, recando con sé il grave rischio di una estensione della punibilità fino a comprendere condotte inidonee a porre in pericolo concreti beni giuridici.

Fin dalla sua entrata in vigore, la disposizione ha impegnato la dottrina nella risoluzione della questione ruotante attorno all’effettivo impiego del metodo mafioso.

La tendenza di parte della giurisprudenza ad espandere i confini dell’originaria formulazione procede in senso contrario rispetto ad altro filone proteso ad interpretare il riferimento al metodo mafioso contenuto in modo poco chiaro nella fattispecie di cui all’art. 416 ter c.p. nella parte in cui stabiliva che è punito colui che ottiene la promessa di voti prevista dall’art. 416 bis terzo comma c.p.

Il riferimento alla norma in materia di associazione di tipo mafioso era poco congeniale: la disposizione infatti non faceva riferimento alla promessa di voti quale attività tipica dell’organizzazione, limitandosi ad elencare, dopo la riforma del 1992, tra i tanti scopi caratterizzanti il suo operato, quello di “impedire od ostacolare il libero esercizio di voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione delle consultazioni elettorali”.

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91 N. MADIA, Scambio elettorale politico – mafioso: il fascino riscoperto di una

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Parte della dottrina sottolineava l’urgenza di una pronta modifica, proponendo di prevedere nell’art. 416 ter c.p. la punibilità di quelle promesse di voti ottenute da “soggetti che si avvalgono dei modi previsti nel terzo comma dell’art. 416 bis c.p.92.

Si discuteva se fosse sufficiente alla configurazione del reato la mera definizione dell’accordo elettorale illecito, oppure se fosse necessario anche l’effettivo impiego delle modalità mafiose, cioè il ricorso alla violenza o alla minaccia per condizionare il consenso degli elettori orientandolo a favore di un determinato candidato93.

La questione era tutt’altro che meramente teorica, incidendo sulla natura giuridica del reato e trasformandolo da reato di pericolo in reato di danno, nonché sul tempus e locus commissi delicti, potendo gravare sulla data di inizio della decorrenza dei termini della prescrizione. Una parte di giurisprudenza, più fedele al dato normativo, riteneva che, per integrare il reato, fosse sufficiente la stipula della promessa tra gli interessati, senza un effettivo impiego del metodo mafioso per il procacciamento dei voti, costituendo il reato in questione un mero reato – contratto che si consuma “nel momento della formulazione delle reciproche promesse indipendentemente dalla loro realizzazione, trovando rilevanza la disponibilità dell’uomo politico a scendere a patti con la consorteria mafiosa, in vista del futuro e concreto adempimento dell’impegno assunto in cambio dell’appoggio elettorale94.

Ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 416 ter c.p. piuttosto che quello previsto dall’art. 96 d.P.R. n. 361/1957, era irrilevante la commissione di singoli ed individuabili atti di sopraffazione o di minaccia. Secondo altro orientamento

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92 C. VISCONTI, Il reato di scambio, cit, 295;

93 G. FIANDACA, Scambio elettorale politico – mafioso: un reato dal destino

legislativo e giurisprudenziale avverso?, in Foro it., 2015, 523 ss;

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giurisprudenziale, tuttavia, ciò che rilevava era l’accertamento della stipula di un accordo che prevedesse “espressamente l’uso di metodi mafiosi per condizionare il corretto e libero esercizio della consultazioneelettorale”95.

In quest’ottica che partiva dalla considerazione del reato di scambio elettorale quale strumento finalizzato ad anticipare la tutela penale della libertà di voto e dell’ordine pubblico, l’eventuale esecuzione da parte dei due contraenti delle rispettive prestazioni, degradava al rango di rilevanza solo probatoria, rispetto all’avvenuta definizione del patto, potendo essere impiegata per dimostrare l’esistenza di un accordo illecito, non rilevando ai fini della consumazione e scadendo a post fatto non punibile96.

Ad avviso di altra parte della giurisprudenza occorreva dimostrare che il mafioso, oltre a promettere i voti avesse adempiuto a tale impegno. Secondo un orientamento più restrittivo, “per la configurabilità del

reato di cui all’art. 416 ter c.p. non era sufficiente l’elargizione di denaro, in cambio dell’appoggio elettorale al soggetto aderente alla consorteria mafiosa, ma occorreva che questi facesse ricorso all’intimidazione con le modalità previste dal 3° comma dell’art. 416 bis c.p., per impedire ovvero ostacolare il libero esercizio del voto e per falsare il risultato elettorale: elementi, questi ultimi, da ritenersi determinanti ai fini della distinzione tra la figura di reato in questione e gli illeciti di cui agli art. 96 e 97 T.U. delle leggi elettorali approvato con d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361”97.

Secondo altra alternativa ermeneutica98, era sufficiente che

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95 Cass., Sez. III, 3 dicemre 2003, Saracino, in Foro it., 2004, II, 508;

96 I. FONZIO- F. PULEIO, Lo scambio, cit., 1913ss.; G. FIANDACA, Riflessi,

cit., 142. In tal senso la giurisprudenza cfr. Cass. Sez. 10 luglio 2007, n. 34974, Brusca, secondo il quale è “la consorteria che deve aver conseguito nell’ambiente circostante un’effettiva capacità di intimidazione indipendentemente dal compimento di specifici atti di intimidazione da parte degli associati”;

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l’indicazione venisse percepita all’esterno come proveniente dal clan mafioso e supportata dalla forza intimidatrice del vincolo associativo senza necessità che fossero posti in essere singoli atti di sopraffazione e di minaccia. In entrambi i casi ci si trova al cospetto di una interpretazione additiva del tipo criminoso, che richiedeva un quid

pluris rispetto al tenore letterale della norma per attribuire maggiore

consistenza sul piano dell’offensività differenziandola da quelle fattispecie sovrapponibili in materia elettorale99. Mutava la stessa

natura giuridica del reato che perdeva le sembianze del reato – contratto e quindi di fattispecie di mero pericolo, per trasformarsi in reato di danno, richiedendo non la semplice esposizione al pericolo ma la compressione degli interessi giuridici protetti dalla norma.

Una parte della dottrina muovendo dall’effettivo impiego della forza di intimidazione e del vincolo di assoggettamento e di omertà che ne deriva, considerava il reato di cui all’art. 416 ter c.p. una sotto- fattispecie del delitto di cui all’art. 416 bis c.p., per il cui perfezionamento erano necessari gli elementi costitutivi di quest’ultimo più la conclusione di un accordo a prestazioni corrispettive: voti in cambio di denaro.

Alla base di questa formulazione, vi era il ribaltamento della considerazione del metodo mafioso da criterio probatorio dell’esistenza di un accordo a suo requisito indefettibile, tramite un ___________________

98 Cass., Sez. VI, 24 aprile 2012, n. 2765; Cass., Sez. I, 14 gennaio 2004, Milella,

in Foro it., 2005, II 479 con nota di C. VISCONTI, per il quale “non è necessario che nel corso della campagna elettorale vengano realizzati comportamenti violenti, essendo sufficiente che l’indicazione di voto sia percepita come proveniente dall’organizzazione mafiosa e come tale sorretta dalla forza d’intimidazione del vincolo associativo, in quanto gli atteggiamenti succubi e omertosi sono conseguenza del prestigio criminale dell’associazione che, per il solo fatto di esistere e di operare, per la sua fama negativa, si accredita come autorevole centro del potere”;

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forzato arricchimento della norma con elementi ad essa estranei100.

___________________

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CAPITOLO TERZO

IL RAPPORTO CON LE ALTRE FATTISPECIE

SOMMARIO: 1. Il rapporto con l’art. 416 bis c.p. – 2. Il rapporto con i reati elettorali artt. 96 – 97 d.p.r. 361/1957, l., n. 61/2004 e art. 86 d.p.r. 570/1960: la sacralità del voto

1. Il rapporto con l’art. 416 bis

Il concetto di mafia è “sovradeterminato”101, perché si presta a fondere

significati diversi, indicando al medesimo tempo una realtà storica, una criminale, una struttura di potere contrapposta al sistema legale. Tra le sue principali caratteristiche sta la capacità di rapportarsi con il potere politico: i mafiosi assumono il ruolo di “grandi elettori”, capaci di dirigere il voto popolare verso candidati di loro gradimento.

Una parte della dottrina102, nell’ottica di un rilevante ampliamento

normativo, riconduce questo legame a tre tipologie di intervento. Il primo definito inquinamento interno, individuabile attraverso i cd. voti

di cosca, provenienti da chi affiliato o contiguo all’associazione, dirige

il proprio consenso verso le scelte operate dall’organizzazione stessa. Il secondo intervento, riconducibile all’influenza esercitata sulle masse, impedendo od ostacolando il risultato che l’elettore vuole perseguire; ed infine il terzo, che riguarda il procacciamento di voti in favore di componenti o di chi è legato da interessi economici o di cosca ___________________

101 G. FIANDACA, Riflessi penalistici, cit, 137;

76 all’associazione.

Il sostegno elettorale, secondo altra autorevoledottrina,103 può essere

riassunto sostanzialmente in tre tipologie di sostegno:

a) al candidato che è già membro interno dell’organizzazione; b) al candidato che costituisce suo referente politico abituale nella

prospettiva di scambio di favori ripetuti nel tempo;

c) al candidato che chiede di essere sostenuto per la prima vota o in maniera occasionale.

Nel 1992, il legislatore, proprio per colpire il legame mafia - politica, realizzò un duplice intervento legislativo.

La lacuna di tutela venutasi a creare dopo l’entrata in vigore nel 1982 dell’art. 416 bis c.p. che non contemplava tra le finalità dell’associazione quelle di compravendita dei voti, è stata nelle more colmata autonomamente dalla giurisprudenza, riconoscendo la punibilità degli accordi elettorali politico – mafiosi ai sensi del 416 bis c.p. o attraverso il combinato disposto con l’art. 110 c.p. forgiando l’istituto del concorso esterno, o dilatando la nozione di partecipazione nell’associazione mafiosa, figure nelle quali rientrano le prime due ipotesi di sostegno elettorale.

Mediante l’art. 11 – bis L. 356/92, il legislatore ha inteso adeguare le disposizioni di cui all’art. 416 bis c.p. al contesto nel quale le organizzazioni mafiose operano.

Prima della modifica del 1992, con la quale si è ampliato il novero delle finalità caratteristiche delle associazioni mafiose, inserendo quella di procacciamento dei voti, la Corte di Cassazione, in una controversa decisione, aveva affermato che il patto stipulato tra un candidato alle elezioni ed un’organizzazione mafiosa mirante ad ottenere consenso elettorale potesse configurare il delitto di cui all’art. 416 bis c.p.

La Corte, con una pronuncia emessa lo stesso giorno dell’entrata in ___________________

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vigore del d.l. n. 306/1992, con cui si incriminava per la prima volta, l’accordo politico – mafioso mediante l’art. 416 ter c.p., in particolare, aveva sancito che, laddove un simile patto venisse stipulato dal candidato con un’organizzazione di stampo mafioso e la controprestazione del politico fosse consistita nella promessa di agevolare chi gli avesse garantito l’elezione, nella realizzazione dei fini previsti dalla norma, tale fatto costituiva non solo il delitto di coercizione o corruzione elettorale ma anche quello di partecipazione nell’ associazione mafiosa, soprattutto nell’ipotesi in cui l’accordo risultava di intensità tale da far apparire il candidato quale espressione del sodalizio criminale104.

Questa pronuncia evidenziava come, ancora prima dell’intervento del 1992 con il quale si è inserito l’art. 416 ter c.p., la finalità di menomare o condizionare la libertà di voto fosse suscettibile di rientrare tra gli scopi tipici del reato di associazione mafiosa, potendo essere ricondotta nella locuzione “profitti o vantaggi per sé o per altri”. Nell’originaria definizione del 1982, questa categoria, assumeva il ruolo di formula di chiusura “aperta” dell’elencazione orientativa degli scopi perseguiti105: in essa erano ricompresi vantaggi illeciti,

iniqui o ingiusti che derivano da reati o illeciti diversi da quelli elencati nella norma106.

Un tale orientamento non è stato condiviso da parte da quella giurisprudenza tesa a negare la rilevanza penale degli accordi elettorali ___________________

104 Cass., Sez. I, 8 giugno 1992, Battaglini, in Foro it., 1993, II 842; R. FEBBRAI,

Patto elettorale fra associazione mafiosa: quale rilevanza prima del d.l. n. 306 del 1992, in Dir. pen. Proc., 2004, 1227 ss;

105 G. AMARELLI, La contiguità, cit. 214;

106 G. A. DE FRANCESCO, Commento agli artt. 11-bis e 11-ter d.l. 8/6/1992 n.

306, cit., 124; A. INGROIA, L’associazione, cit.,86; E. RUBIOLA, voce Associazione per delinquere di tipo mafioso, in Enc. Giur. Treccani, III, Roma, 1988, 3 s.;

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intervenuti prima della riforma, ritenendoli estranei alle attività tipiche delle consorterie mafiose.

La finalità dell’associazione di condizionare l’esercizio del voto costituirebbe, a detta della Suprema Corte, una fattispecie nuova che in virtù del principio di irretroattività della legge penale, determinerebbe la non punibilità dell’imputato che abbia realizzato la condotta in epoca precedente alla novella107.

Solo nel 2003 il contrasto circa la rilevanza dell’accordo elettorale politico – mafioso per i fatti commessi prima della duplice riforma del 1992 è stato risolto da un’altra pronuncia della Suprema Corte, la quale ha affermato che “l’introduzione della modifica di cui all’art. 416 bis c.p. comma 3 che punisce la condotta posta in essere al fine di impedire ed ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare a sé o ad altri in occasione delle consultazioni elettorali, aggiunta dall’art. 11-bis d.l. 8 giugno 1992 n. 306, conv. con modif. dalla l. 7 agosto n. 356, non rappresenta una fattispecie nuova, che qualifica in modo diverso rispetto alle altre, le finalità cui tende il sodalizio mafioso. Già prima che l’art. 416 bis comma 3 venisse modificato, il condizionamento del voto poteva rientrare nel delitto di partecipazione ad associazione di tipo mafioso, quale strumento per ottenere dal futuro amministratore appalti, vantaggi ingiusti, ovvero la gestione o il controllo delle attività economiche. La condotta addebitabile al soggetto imputato, ancora prima della modifica subita dall’articolo in questione, era dotata di propria rilevanza penale anche se compiuta precedentemente all’entrata in vigore della normativa108.

L’inserimento di tale finalità ha quindi un intento esemplificativo chiarificatore in grado di richiamare l’attenzione degli organi ___________________

107 Cass. Sez., I, 20 maggio 2002, n. 21356, Frasca, in Foro it., 2003, 682 ss. Per

un’analisi critica delle due sentenze Frasca si rinvia a V. MAIELLO, Il concorso esterno, cit., 3 ss.; C. VISCONTI, La contiguità alla mafia, cit., 410 ss.

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inquirenti ed eliminare ogni dubbio interpretativo circa la riconducibilità della stessa nel programma associativo, non comportando l’introduzione di una nuova fattispecie incriminatrice109.

La preoccupazione del legislatore parrebbe quella di colmare presunti vuoti di tutela legati non tanto alla formulazione quanto ad una interpretazione restrittiva della nozione di associazione mafiosa ricostruita in una chiave sociologica solo in parte corrispondente ai requisiti costitutivi tipici della fattispecie incriminatrice.

Particolarmente significativo è il tentativo di esclusione dalla previsione dell’art. 416 bis dell’accaparramento dei voti. “Il conseguimento di appalti o concessioni è fatto così distante dalle consultazioni elettorali che se si prevedesse il contrario, si finirebbe per contestare il delitto di associazione mafiosa a qualsiasi lobby o partito110”.

A ben vedere tuttavia, come sostenuto da autorevole dottrina111 e dalla

giurisprudenza112 sebbene la disposizione in esame non consentirebbe

pericolose fughe verso un ampliamento del fenomeno associativo, ossia verso realtà criminali prive dei requisiti richiesti dal terzo comma, sarebbe lecito chiedersi se mediante la norma in questione sia possibile colpire forme associative sviluppatesi al di fuori degli schemi socio – criminologici connessi alle manifestazioni proprie della mafia nella sua tradizionale configurazione. Il riferimento è in particolare alla cosiddetta mafia politica113 e agli atti di intimidazione e di ricatto

posti in essere da pubblici funzionari allo scopo di estorcere profitti indebiti a soggetti interessati all’emanazione di provvedimenti amministrativi.

___________________

109 R. FEBBRAI, Patto elettorale fra associazione mafiosa, cit., 1228.

110 C. TAORMINA Voti di mafia ai politici per Carnevale non è reato, in La

Repubblica, 1992.

111 G.A. DE FRANCESCO, Gli artt. 416, 416-bis, 416-ter e 418 c.p., cit.;

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Una risposta in tal senso è stata cercata nella possibilità di riscontrare o meno in tali ipotesi gli estremi di un’autonoma carica intimidatrice in capo all’associazione114, tale da consentire a quest’ultima la

realizzazione dei propri obiettivi, senza la necessità di reiterare di volta in volta comportamenti di violenza o minaccia. Il problema della configurabilità del reato è stato altresì impostato domandandosi se la forza intimidatrice dell’associazione possa essere identificata con il c.d. metus publicae potestatis, derivante dalla qualifica di pubblici ufficiali propria dei soggetti autori dei singoli atti di violenza e intimidazione.

L’esclusione della configurabilità del reato in ambito giurisdizionale, sembrerebbe legata alla suggestione esercitata dal modello sociologico di associazione mafiosa e soprattutto dal fatto che la carica intimidatrice viene ritenuta esperibile soltanto in un contesto sociale fondato da un diffuso clima subculturale di sottomissione alle regole mafiose, difficilmente riscontrabile nelle esternazioni della c.d. mafia

politica.

Queste considerazioni hanno finito per mettere in dubbio115

l’eventualità che le associazioni possano perseguire di scopi diversi dal condizionamento delle procedure di appalto e concessioni, al fine di guadagnare posizioni di monopolio nei vari settori dell’economia. __________________

113 G. FINDACA, Criminalità organizzata e controllo penale, in Ind. Pen., 1991,

25 ss; G. SPAGNOLO, L’associazione di tipo mafioso, Padova 1997, 41 ss; D. ASCHERO, L’esperienza applicativa dell’art. 416 bis c.p. in Liguria in La legge in La legge antimafia tre anni dopo, cit., 38 ss.; FORTI; RAPISARDA, nota a Cass., 12 giugno 1984, FI, 1985, II, 169.

114 Per un’applicazione espansiva dell’ambito operativo della norma cfr., Cass., 11

aprile 1983, CP, 1985, 752; cass., 12 giugno 1984, FI, 1985, II, 169; T. Bologna, 24 ottobre 1986, ivi, 1988, II, 202, con nota RAPISARDA; T. Roma, 8 novembre 1985, T. Torino, 7 dicembre 1984, entrambe, ivi, 1986, II, 564 ss.

115 Cfr. Cass., 30 gennaio 1990, CP, 1990, con nota di DE LIGUORI, L’oggetto

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Tale finalità integra non l’unico, ma certo uno dei possibili obiettivi del programma dell’associazione, che persegue finalità di natura diversa e tra le quali ad esempio, può essere ricompresa la commissione di delitti.

Secondo autorevole dottrina,116 difficilmente potrà attribuirsi

all’associazione mafiosa il perseguimento di finalità rilevanti sul piano economico, in quanto gli obiettivi attribuiti alla stessa dalla norma configurano scopi tipici alternativi e non cumulativi.