Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere Corso di laurea magistrale in Archeologia
Tesi di laurea
L'utilizzo degli edifici ecclesiastici per la musealizzazione archeologica.
Relatore: Prof.ssa Fulvia Donati Correlatore: Dott.sa Daria Pasini Candidato:
Isabella Palmieri
INTRODUZIONE...4
CAPITOLO I: Gli edifici ecclesiastici come contenitori museali...5
I.1 La tesaurizzazione di materiali archeologici ed artistici in santuari e chiese...5
I.2 Il fenomeno del reimpiego...13
I.3 Le chiese come musei. Sistemazione delle raccolte...25
CAPITOLO II: Casi campione...32
II.1- Arles, il Musée de l’Arles Antique...32
II.2 Tolosa, il Musée des Augustins...41
II.3 Parigi, Musée Nationale du Moyen-Age Thèrmes de Cluny...46
II.4 Saint-Germain-en-Laye, Musée des Antiquites Nationales...49
II.5 Vienne , il Musée lapidaire de Saint-Pierre...55
II.6 Dalt Vila (Ibiza), il Museu Arqueològic de Eibissa y Formentera...60
II.7 Oviedo, il Museo Arqueològico de Asturias...65
II.8 Toledo, il Museo de Santa Cruz...70
II.9 Venezia, Museo della Basilica di San Marco...74
II.10- Viterbo, Museo Civico...79
II.11- Pisa, il Museo dell'Opera del Duomo e il Camposanto Monumentale...84
II.12- Ferrara, il Lapidario Civico...92
II.13- Ozieri (Sassari), il Civico Museo Archeologico...98
II.14- Brescia, il Museo della Città...103
II.15- Pisa, la Gipsoteca di Arte Antica...109
CAPITOLO III: Il trasferimento delle collezioni in edifici museali nuovi...114
CONCLUSIONI: Riflessioni sul rapporto binario fra contenitore e contenuto...121
BIBLIOGRAFIA...132
INTRODUZIONE
Lo scopo di questo lavoro consiste nello sviluppo di un’analisi circa i processi storici e culturali che fra il XVIII e il XIX secolo hanno condotto alla creazione in Francia, in Spagna e in Italia di alcuni musei archeologici all’interno di edifici progettati e costruiti per officiare il culto cattolico, in seguito sconsacrati.
Le motivazioni che giustificano la scelta delle tre nazioni all’interno del panorama europeo derivano dallo stretto legame che hanno avuto – e continuano ad avere – con la Chiesa Cattolica.
Il primo capitolo intende tracciare una sintesi storica che inizia con una riflessione riguardo la creazione delle prime raccolte di oggetti archeologici ed artistici, giunti all’interno delle chiese e tesaurizzati secondo modalità e scopi differenti, prendendo come esempio il tesoro di Saint-Dénis a Parigi e quello di San Marco a Venezia. In Italia durante l’epoca medioevale vengono inoltre registrati numerosi casi di reimpiego di materiali antichi all’interno e all’esterno di contesti ecclesiastici, come i sarcofagi utilizzati a Pisa per le sepolture dei personaggi illustri e a Roma per quanto riguarda la costruzione della chiesa di Santa Maria in Trastevere, sempre secondo modalità e tempi differenti.
Le raccolte di oggetti antichi assurgono allo status di collezioni nella misura in cui vengono organizzate in maniera sistematica, ovvero a partire dalla fine del XVIII e il XIX secolo, quando i governi di stati come la Francia assolutistica, il regno di Spagna alle prese con le colonie d’oltreoceano e le varie realtà della penisola italiana si ritrovarono a mettere in discussione il concetto di patrimonio culturale.
Nel secondo capitolo vengono presentati alcuni casi campione francesi, spagnoli ed italiani in unione con un’analisi degli aspetti museologici e museografici.
Il terzo capitolo è dedicato ad alcune osservazioni circa l’evoluzione dell’approccio museologico adottato nei confronti delle collezioni inserite all’interno di edifici nuovi prendendo come esempio il nuovo Musée Dèpartmental Arles Antique e il Museo naciònal de arte romano di Mérida.
Il lavoro si conclude con alcune osservazioni circa il rapporto binario che si crea fra il contenitore e il contenuto.
CAPITOLO I: Gli edifici ecclesiastici come contenitori museali
I.1 La tesaurizzazione di materiali archeologici ed artistici in santuari e chiese L'istituzione di musei archeologici all'interno di edifici ecclesiastici chiusi al culto avviene fra la fine del XVII secolo e l’inizio del XIX ed è preceduta da due importanti fenomeni culturali che si sono sviluppati in Europa a partire dalla tarda età imperiale fino al Rinascimento: la tesaurizzazione e il reimpiego di materiali antichi. In entrambi i casi, le antichità perdono la loro funzione originaria e ne assumono una completamente nuova secondo modalità e tempi differenti.
La tesaurizzazione consiste nella formazione, all'interno di edifici costruiti per officiare il culto religioso, di raccolte di oggetti antichi selezionati attraverso un approccio di natura estetica, funzionale ed economica e tale fenomeno presenta un forte legame con il culto delle reliquie, ovvero la conservazione di parti del corpo od oggetti legati alle vite dei santi e spesso funzionali all'esaltazione del prestigio di un edificio ecclesiastico, che in età medioevale ha un ruolo di primo piano come punto di aggregazione e sviluppo culturale.
L'importanza attribuita alle reliquie ha richiesto - specialmente in occasione di cerimonie che coinvolgessero l'intera comunità dei fedeli- l'utilizzo di contenitori adeguati per la protezione del contenuto in sé, pregevoli da un punto di vista estetico e dunque destinati ad occupare una posizione privilegiata all’interno dell’edificio ecclesiastico, talora incorporati negli altari1.
A Rovinj (Istria) un sarcofago romano2 è stato utilizzato nel IX secolo per custodire una parte delle spoglie di Santa Eufemia, martirizzata nel 303 d.C. durante il regno di Diocleziano e di conseguenza la chiesa che lo custodisce è divenuta una delle più importanti per i devoti alla santa.
Altri esempi sono la tomba di Sant’Agata a Catania, la sepoltura di San Clemente a San Clemente in Casauria e di Saint-Andéol nell’omonimo comune francese.
La protezione delle spoglie viene garantita anche grazie all’utilizzo di reliquiari, veri e propri contenitori adibiti a tale scopo3 prodotti durante l’intera epoca medioevale.
1 Cfr. Ragusa, 1951, p. 8 2 Cfr. Traina, 1982, p. 63 3 Cfr. Weinryb, 2010, p. 281
Un esempio importante è il reliquiario conservato nella chiesa di Notre-Dame-du-Mont-Cornadore ad Auvergne, in Francia, per il culto di Saint-Baudime: si tratta di un busto che riproduce l’immagine del santo, realizzato fra il 1130 e il 1150.
La struttura in legno è ricoperta di rame dorato e il mantello è decorato con cabochon mentre gli occhi sono formati da intarsi di pietra nera4.
Alcuni esempi italiani di reliquiari derivati da antichità romane sono stati studiati sul territorio toscano. A Lucca un sarcofago romano è conservato nella Cappella Trenta della chiesa di San Frediano a Lucca, utilizzato per il culto di San Riccardo mentre le reliquie di San Giovanni sono custodite nell’omonima chiesa all’interno di un’urnetta. Per quanto riguarda la chiesa di San Frediano, in essa è presente un sarcofago riusato come reliquiario per San Paolino5.
Nel XII secolo Ademaro, vescovo di Volterra, utilizzò il culto delle reliquie a fini politici in funzione anti imperiale, creando un legame di continuità fra la religione cristiana e il passato etrusco della città nel tentativo di ottenere consensi fra le varie fasce della popolazione6: un importante esempio è l’urna cineraria di tufo – oggi esposta al Museo Guarnacci di Volterra – che contiene i resti di San Clemente; un’altra urna era divenuta il reliquiario di due sante locali, Attiniana e Greciniana perseguitate durante l’età di Diocleziano.
Non mancano casi in cui le raccolte rappresentano un mezzo di propaganda per esaltare la superiorità della civiltà cristiana nei confronti di altre culture: si pensi per esempio agli oggetti d'arte islamica giunti in Europa in seguito alle crociate. L'edificio ecclesiastico diviene così un collettore di antichità, esercita una doppia funzione cultuale e culturale.
Uno dei più importanti esempi di veri e propri tesori costituiti in Francia è quello dell’Abbazia di Saint Dénis7 a Parigi, formatosi nel XII secolo grazie allo scrupoloso lavoro dell’abate Suger, ricordato nelle fonti come una delle personalità più influenti per la monarchia francese, dalla sua fondazione fino all’epoca di Luigi XIV.
Egli agì con l’intenzione di rafforzare il potere monarchico e al tempo stesso accrescere l’indipendenza dell’Abbazia, fondata durante il regno di Dagoberto (628-637) e divenuta un importante punto di riferimento per l’educazione dei principi e dei giovani di famiglia aristocratica.
4 Cfr. Weinryb, 2010, p. 283 5 Cfr. Chiarlo, 1984, p. 122-124 6 Cfr. Bonamici, 1984, p. 207 7 Cfr. Panofsky, 1979
Uno dei passi fondamentali per la realizzazione di questo obiettivo fu proprio l’utilizzo di materiali antichi e preziosi per officiare la Santa Messa8. Il nucleo principale del Tesoro – le cui componenti sono oggi confluite ed esposte in più sedi, come al Musée du Louvre, alla Bibliothèque Nationale de France e in altre istituzioni come il Taft Museum di Cincinnati, il Museo del Bargello di Firenze, il British Museum di Londra e la National Gallery of Art di Washington – era costituito dalla sepoltura in loco di Saint Dénis, vescovo di Parigi morto nel 250, e dei suoi compagni di martirio Rustico ed Eleuterio.
L’identificazione di Saint Dénis con Dionigi Areopagita, divenuto vescovo di Atene dopo essersi convertito al Cristianesimo grazie all’incontro con San Paolo, favorisce la teorizzazione di un legame diretto fra Parigi e gli Apostoli, funzionale non solo all’esercizio di una forte attrazione nei confronti dei fedeli in tutta Europa, ma anche all’accrescimento del prestigio della città.
Nonostante il Tesoro fosse prevalentemente composto da oggetti d’arte medioevale, non mancano ottimi esemplari di antichità provenienti da Roma, trafugate dal re visigoto Alarico nel 410 d.C e giunte ai Franchi nell’VIII secolo, come un busto di Augusto, un cammeo con l’immagine dell’imperatore Claudio.
Un oggetto liturgico vero e proprio è l’Escraine di Carlo Magno, ovvero uno scrigno a forma di facciata di chiesa, utilizzato come reliquiario collocato sull’altare dell’Abbazia e datato intorno al 90 d.C., la cui parte terminale presenta un’acquamarina con il ritratto di Giulia, figlia dell’imperatore Tito (così identificata in base alla στεφάνη, il diadema delle dee con cui venivano rappresentate le donne appartenenti alla Gens Flavia).
L’Escraine andò perduto durante la Rivoluzione francese e sopravvisse unicamente la sommità, oggi conservata alla Bibliothèque Nationale de France (Parigi).
Al secolo successivo risalgono il calice di Suger ed un busto di genio bacchico, mentre per la Coppa detta dei Tolomei è stato proposto il III secolo d.C.
Un esempio italiano di tesaurizzazione è il Tesoro di San Marco, custodito nell’omonima Basilica a Venezia insieme alle spoglie dell’Evangelista portate via da Alessandria d’Egitto nell’anno 828.
Il nucleo principale venne incrementato negli anni dal 1204 al 1261, durante la quarta crociata che determinò il sacco di Costantinopoli e nel 1797 – anno della caduta del governo repubblicano – subì alcune spoliazioni.
Nel 1820 sono stati catalogati 141 pezzi del Tesoro rimasti nella Basilica9, di cui 45 esemplari di oreficeria e glittica, che forniscono importanti informazioni sull’influsso dell’arte bizantina nel panorama culturale della Serenissima, come la Grotta della Vergine, una composizione realizzata con un vaso antico di cristallo utilizzato come ricettacolo per una statua della Madonna di XIII secolo e la corona dell’imperatore bizantino Leone VI (886-912), composta da quattordici medaglioni smaltati ed infine un altro importante esemplare è costituito da un’icona di San Michele lavorata a repoussé.
Anche la cultura islamica è ampiamente rappresentata nel Tesoro, grazie alla presenza di coppe e vasi in pietra dura, come la brocca detta di Al-Aziz-Baillah, califfo vissuto in Egitto fra il 975 e il 996. Essa fu realizzata in cristallo di rocca e decorata con motivi leoni affrontati10.
Per quanto riguarda le antichità, il Tesoro comprendeva un vaso egiziano in roccia porfirica nera, datato fra il IV e il III secolo a.C., un alabastron di VI-IV secolo a.C., uno skyphos alessandrino e un busto di Giove Serapide.
Il Tesoro di San Marco a Venezia riveste un significato completamente diverso rispetto all’esempio francese dell’Abbazia di Saint Dénis, che era strettamente legato ad esigenze cultuali: la Serenissima, forte della protezione dell’Evangelista e della sua superiorità militare, si era imposta sulla Roma d’Oriente, della quale non solo era conquistatrice ma anche legittima erede, l’unica degna di custodirne le antichità e le opere d’arte.
Attraverso l’affermazione del culto delle reliquie e della tesaurizzazione, molte antichità entrano per la prima volta nelle chiese assumendo una funzione completamente nuova e talvolta l’iconografia di personaggi del mito pagano come Achille o la Sibilla Cumana vengono reinterpretate in chiave cristiana11.
In questo modo diviene possibile la formazione di raccolte che nei secoli a venire sarebbero assurte allo status di collezioni, grazie ad un iniziale lavoro di organizzazione sistematica che durante i secoli XIX e XX avrebbe subìto delle modifiche importanti grazie al cambiamento del rapporto con il pubblico e la crescente importanza della museologia archeologica quale scienza che coinvolge numerose figure professionali.
9 Cfr. Armao, 1985, p. 68 10 Cfr. Armao, 1985, p. 69 11 Cfr. Poletti, 2012, p. 70
Auvergne, il reliquiario di Saint-Baudime. Fonte: http://www.commons.wikimedia.org
Parigi, Abbazia di Saint Dénis. Fonte: http://architetturamedioevale.blogspot.it
Parigi, Bibliothèque Nationale de France. Il calice detto di Suger. Fonte: http://www.nga.gov
Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Cabinet des Médailles. Il cammeo dell’imperatore Claudio. Fonte: http://www.auxplaisirs.over-blog.com
Venezia, Tesoro della Basilica di San Marco: coppa in vetro proveniente dall’Iran e montata a Costantinopoli nell’XI secolo. Fonte: http:// www.alessandraartale.it
Venezia, Tesoro della Basilica di San Marco: reliquiario e bruciaprofumi a forma di cupola. Fonte: http:// www.rositour.it
Venezia, Tesoro della Basilica di San Marco: la Grotta della Vergine. Fonte: http://www.meravigliedivenezia.it
Venezia, Basilica di San Marco: vaso egizio di IV-III secolo a.C. Fonte: http://www.meravigliedivenezia.it
I.2 Il fenomeno del reimpiego
Il reimpiego - e la pubblica esibizione - di materiali antichi all’interno oppure in relazione agli edifici ecclesiastici è un fenomeno che al pari della tesaurizzazione anticipa l’istituzione di musei veri e propri e stabilisce un legame molto forte fra la cultura pagana e la religione cristiana.
In base alla definizione elaborata da Sena Chiesa, esso consiste nell’impiego in costruzioni più recenti di materiale architettonico prelevato da strutture del passato ed usato con la stessa funzione originaria, o come semplice materiale da costruzione, o ancora con valore monumentale12.
Le origini del fenomeno si possono individuare a Roma, a partire dall’età giulio-claudia, soprattutto per quanto riguarda la scultura a tutto tondo, attraverso la procedura della damnatio memoriae che consisteva nella rilavorazione dei tratti del volto considerato sgradito in quelli del successore.
In campo architettonico, durante il III secolo imperatori come Alessandro Severo e Aureliano si impegnarono nella costruzione di nuove opere pubbliche con materiale di reimpiego. Uno degli esempi più importanti fu l’Arcus Novus eretto sulla Via Lata nel 293 d.C. per onorare i primi dieci anni del regime tetrarchico e le vittorie ottenute da Aureliano contro l’usurpatore Carauso13.
Durante il regno di Costantino, il fenomeno assunse una doppia valenza: da un lato si manifestò la necessità di mantenere un equilibrio fra le comunità cristiane e pagane dell’Impero e dall’altro la ricerca di consensi presso il Senato, in quanto l’imperatore non proveniva da una famiglia nobile. Egli nel 315 costruì il proprio arco onorario riutilizzando alcuni rilievi provenienti dagli archi di Traiano, Adriano e Marco Aurelio per richiamarsi a coloro che erano stati gli imperatori più graditi alla nobilitas romana.
Se si volesse tracciare alcuni confronti con la decisione di adottare la religione cristiana per ottenere l’appoggio di una fascia sempre più ampia di popolazione, sarebbe giusto parafrasare il motto in hoc signo vinces e riadattarlo alle scelte edilizie: in haec spolia vinces.
Accanto agli intenti di celebrazione dei sovrani si manifestò la necessità di risparmio sulle spese per l’estrazione e il trasporto di materiali da cava e nel corso del IV
12 Cfr. Sena Chiesa, 2011, p. 19 13 Cfr. De Lachenal, 1995, p. 12
secolo il reimpiego fu applicato anche per la costruzione di edifici ecclesiastici: l’aula d’ingresso del Templum Pacis, eretto in età flavia, fu inglobata nella Basilica dei SS Cosma e Damiano.
Durante il sacco di Roma del 410 Alarico, re dei Visigoti, portò via molti materiali preziosi che componevano gli edifici pubblici e nel 455 il re vandalo Genserico utilizzò alcune statue sottratte ai Romani per ornare i propri palazzi in Africa. Fu una vera e propria dimostrazione di forza e al tempo stesso un desiderio implicito di imitare il fasto edilizio di Roma.
Gli autori antichi che scrissero su questa tematica utilizzarono il sostantivo neutro plurale spolia14, sicuramente per sottolineare la condizione di oggetti15 un tempo dotati di una specifica funzione, in seguito venuta meno.
Nel corso del V secolo, mentre l’Impero Romano d’Occidente si avviava verso un declino inesorabile, il prestigio della Chiesa crebbe sempre di più e così aumentò il numero degli edifici ecclesiastici nella capitale, costruiti con materiali di reimpiego provenienti da strutture pubbliche in rovina: la chiesa di Santa Maria Maggiore presenta un colonnato in marmo proconnesio.
La chiesa di Santa Sabina viene costruita con 24 colonne dotate di capitelli corinzi portati via dalle terme di Sura sull’Aventino16 e durante il papato di Sisto III (432-440 d.C.) numerosi materiali di reimpiego provenienti dal Foro di Cesare furono utilizzati per il restauro del battistero lateranense.
All’inizio del VI secolo Ravenna diventò la capitale del regno ostorogoto e Teodorico (morto nel 525 d.C.) attuò una politica interna incentrata sul restauro degli edifici pubblici attraverso il reimpiego di spolia17 provenienti da Roma e da altre città al fine di stabilire la pace sul territorio italico e rafforzare il proprio potere.
Nell’VIII secolo la Chiesa Cattolica acquisì il potere temporale su Roma, diventando un interlocutore importante per l’Impero Romano d’Oriente e i regni germanici dell’Italia settentrionale. Furono avviate importanti campagne in tutta la città per il recupero di edifici pubblici essenziali come gli acquedotti, le mura di età aureliana e le basiliche di epoca costantiniana in cui confluirono le reliquie di molti santi.
Il mausoleo degli Anicii diventò la chiesa di Santa Petronilla mentre la cripta di Santa Maria in Cosmedin fu costruita secondo il modello degli antichi colombari.
14 Cfr. De Vecchi, 2011, pp. 47-50 15 Cfr. Donati, Parra, 1984, p. 103 16 Cfr. Marano, 2011, p. 76
Per quanto riguarda le sculture antiche, i sarcofagi romani costituiscono la categoria maggiormente interessata dal fenomeno del reimpiego. Principalmente, essi venivano preservati con lo scopo di accogliere le spoglie di personaggi illustri (santi, uomini di chiesa, membri di importanti famiglie) oppure tagliati in lastre da utilizzare come decorazioni interne ed esterne degli edifici ecclesiastici, come il sarcofago con eroti inserito nella facciata della chiesa di San Paolo a Ripa d’Arno a Pisa.
Da Roma, il reimpiego di materiali antichi si diffuse nel resto della penisola e giunse anche in Europa seppure in misura minore e secondo modalità e tempi diversi. In Germania e in Francia, che nel Medioevo costituivano i territori più importanti del Sacro Romano Impero, l’arrivo di materiali antichi fu dovuto ad un crescente interesse culturale nei confronti delle antichità romane, secondo un’ideologia politica basata su un rapporto di continuità legittima con la potenza di Roma.
Ad Aachen (Nordrhein-Westfalen) le spoglie di Carlo Magno – che spesso aveva chiesto a papa Adriano I il permesso di prelevare materiali antichi da Roma a fini decorativi18 per le proprie dimore e per edifici ecclesiastici come la Pfalzkapelle -furono collocate in un sarcofago i cui fregi illustravano il ratto di Proserpina19, mentre in Francia vi furono casi di tale reimpiego a Parigi, Arles, Marsiglia, Béziers, Reims, Soissons.
In Spagna il fenomeno del reimpiego assunse sfumature diverse su base territoriale: le Asturie, la Castilla, l’Aragona e l’Andalucìa utilizzarono il passato romano come stimolo culturale e propagandistico per arrestare l’avanzata islamica sulla penisola e molti sarcofagi furono riusati per le sepolture regali.
Nella chiesa di Santiago de Compostela fu collocato un sarcofago detto di Ithacius risalente al V secolo e l’edificio fu decorato con materiali sottratti ai nemici musulmani20.
Ad Oviedo un sarcofago tetrarchico divenne la tomba del re Alfonso III (866-910) e al X secolo risalgono tre casi importanti: il sarcofago del conte castigliano Fernan Gonzàlez e della moglie Sancha nel monastero di San Pedro de Arlanza, il sarcofago di Santa Maria de Husillos (Castilla y Léon) e il sarcofago del “conte santo” Osorio Gutiérrez nel monastero di Villanueva de Lorenzana (Galicia).
In Catalunya prese piede un approccio alle antichità scevro di ogni interesse politico: la vicinanza geografica con la Provenza e l’Italia rese la regione molto aperta alle
18 Cfr. De Lachenal, 1995, p. 110-114 19 Cfr. Ragusa, 1951, p. 16
influenze culturali esterne. La cattedrale di Santa Maria del Mar di Barcellona contiene un sarcofago romano reimpiegato come fonte battesimale e ad Ager nella chiesa di Sant’Pere è presente un caso analogo. Un sarcofago è inserito nel muro del presbiterio nella Colegiata de San Félix a Girona; a Tarragona un sarcofago è posto sopra la porta destra della facciata occidentale.
In Italia il fenomeno del reimpiego può essere inquadrato all’interno di due principali filoni: le esigenze cultuali e l’esaltazione del prestigio di una singola famiglia o di una città.
A Cherasco (Cuneo) il sarcofago di Acutia Sabina fu inserito nella facciata della chiesa di San Pietro nel XII secolo21 mentre il Duomo di Modena nei secoli dal XIV al XVI fu arricchito da sarcofagi riutilizzati come tombe della nobiltà locale, collocati presso il lato settentrionale.
Le absidi ospitarono due esemplari scelti in base a criteri estetici e politici, come il sarcofago di Bruttia Aureliana, considerato erroneamente il sepolcro del cesaricida Marco Giunio Bruto.
A Venezia il Vescovo Morosini, morto nel 1263, fu deposto in un sarcofago all’interno della Basilica di San Marco, che nel IX secolo fu ricostruita secondo il modello bizantino e con il reimpiego di materiale romano nelle fondamenta, mentre il colonnato interno fu composto da circa 300 colonne di spoglio e da capitelli di provenienza greca.
La diocesi di Aquileia, rivale di Venezia, accolse numerosi sarcofagi nella cripta del Duomo e intorno al Battistero22, mentre a Padova il fenomeno del reimpiego servì come supporto alla propaganda politica, per sottolineare le mitiche origini della città dall’eroe troiano Antenore.
Pisa, che nel XII secolo assurse allo status di diocesi rappresenta uno dei casi italiani più interessanti per ciò che riguarda il riutilizzo di materiali antichi all’interno di contesti religiosi: l’apertura del Camposanto Monumentale sul lato nord di Piazza Duomo nel 1278 ospitò circa 28-30 sarcofagi23 prelevati da Roma e da Ostia e riutilizzati come sepolcri per la nobiltà cittadina. Il caso di più antica attestazione è quello della contessa Beatrice di Lorena, le cui spoglie furono deposte nel 1076 entro un sarcofago romano con il mito di Fedra collocato presso all’altezza del portale di
21 Cfr. Robecchi, 1984, p. 43 22 Cfr. Traina, 1984, p. 63 23 Cfr. Donati, 196, p. 70
San Ranieri, presso la primitiva facciata del Duomo che presentava 14 epigrafi di epoca costantiniana reimpiegate in punti diversi dell’edificio24.
Il Camposanto diventò un collettore di antichità romane, tardoromane, paleocristiane e manufatti islamici, paragonando Pisa a Roma per ciò che riguarda la forza militare e il prestigio dal punto di vista culturale. Si manifestò inoltre l’esigenza di conservare le raccolte25 destinate alla fruizione pubblica e negli anni dal 1266 al 1270 sono attestati i primi lavori di sistemazione.
La basilica di San Piero a Grado presenta numerosi reimpieghi antichi sulla facciata esterna mentre la porta di accesso era sormontata da un sarcofago con scene dionisiache in seguito trasferito nel Camposanto Monumentale.
Nel 1187 la cattedrale pisana accolse un altro sarcofago reimpiegato come sepoltura per papa Gregorio VIII, morto a Pisa dove era impegnato in una missione diplomatica per ricucire i rapporti fra la Toscana e Genova in funzione antimusulmana.
Fra il 1297 e il 1303 tutti gli esemplari furono trasferiti all’interno del Camposanto Monumentale, che nel XIX secolo diverrà un vero e proprio museo.
Al di fuori dell’area del Duomo, altri edifici ecclesiastici pisani presentano casi di sarcofagi reimpiegati come sepolture: un esempio sono le tombe di Santa Bona e del beato Vernagalli, morti nei primi decenni del Duecento e sepolti rispettivamente nelle chiese di San Martino in Kinzica e San Michele in Borgo.
La chiesa ad oggi sconsacrata di San Zeno presenta materiali di spoglio sulla facciata e ben quattro sarcofagi collocati ai quattro lati dell’ingresso26. Un frammento di sarcofago del III secolo fu identificato dalla tradizione popolare come Kinzica de’ Sismondi e posto sulla facciata di Casa Tizzoni, un edificio costruito fra il XII e il XIII secolo in via San Martino.
A Pisa le sepolture illustri furono riservate anche a personalità importanti del mondo accademico come Burgundio Pisano, giurista e traduttore del Digesto di Giustiniano morto nel 1193 e l’architetto Buscheto al quale furono affidati i lavori per la costruzione del Duomo di Pisa e nella cui facciata fu sepolto.
Il fenomeno del reimpiego a Pisa assunse un significato totalmente laico: la Repubblica Marinara, in quanto potenza di rilievo nel panorama del commercio internazionale, considerava se stessa una delle città più importanti del Tirreno,
24 Cfr De Lachenal, 1995, p. 199 25 Cfr. Cristiani, 1977, p. 12 26 Cfr. Donati, 1996, p. 69
raccogliendo il testimone lasciato da Roma e pertanto la creazione di una raccolta di antichità reimpiegate era funzionale per il rafforzamento delle analogie con la Città Eterna anche dal punto di vista culturale.
La scelta effettuata dalla collettività di seppellire artisti ed intellettuali all’interno di sarcofagi come i membri della nobiltà serviva a sottolineare come in una città potente di conseguenza la mobilità sociale fosse possibile anche per chi non godesse di illustri natali.
Uno studio della professoressa Faedo sulla situazione di Genova - Repubblica Marinara rivale di Pisa - che costituisce l’unico esempio ligure di antichità reimpiegate in un edificio ecclesiastico, ha dimostrato come il fenomeno fra XII e XIV secolo avesse una connotazione strettamente legata al prestigio cittadino anche grazie alla propaganda costituita dal possesso di marmi preziosi, conquistati durante la prima crociata27.
La chiesa di Santa Maria di Castello presenta in facciata un blocco di architrave romana di III secolo d.C.; all’interno la navata è sostenuta da dodici colonne di età imperiale e quindici capitelli di tipologie differenti.
La facciata della Cattedrale di San Lorenzo contiene 17 fronti di sarcofago inserite nel paramento murario mentre 8 frammenti sono stati collocati nei fianchi delle torri. Il fenomeno si estese anche alle sepolture dei membri della nobiltà locale fra XIII e XIV secolo.
Nella facciata della chiesa di San Matteo un sarcofago contiene le spoglie dell’ammiraglio Lamba Doria, vincitore della battaglia di Curzola (1298) contro Venezia e l’Abbazia di San Fruttuoso di Capodimonte ospita un sarcofago usato come sepoltura per un altro membro dei Doria.
La Firenze dei secoli XIII, XIV e XV presenta diversi casi di reimpiego, tra cui alcuni sarcofagi collocati all’interno del Duomo in qualità di tombe nobiliari, come quello utilizzato per Piero da Farnese – morto nel 1363 – e ad oggi esposto nel Museo dell’Opera del Duomo fiorentino.
Un caso di reimpiego con finalità cultuali è invece rappresentato dal sarcofago antico divenuto mangiatoia e culla del Salvatore nella Cappella Sassetti della chiesa di Santa Trinita.
Nel XII secolo Roma conobbe un vero e proprio riutilizzo delle antichità funzionale alla celebrazione del potere temporale della Chiesa e una delle fonti letterarie più
importanti al riguardo è il Delle cose gentilesche e profane trasportate ad uso ed ornamento delle chiese di Giovanni Marangoni, erudito vicentino attivo presso la Santa Sede vissuto fra il XVII e il XVIII secolo.
Egli scrisse utilizzando molti esempi, come le epigrafi pagane murate nel portico di Santa Maria in Trastevere28 per sottolineare un rapporto di continuità fra le cose antique e la fede cristiana, determinato dal trionfo di quest’ultima sulla cultura pagana.
Molti seggi papali furono costruiti con inserti di materiali antichi e continuò il processo di trasformazione di templi ed edifici termali in chiese, cominciato nel IV secolo, mentre le urne e i sarcofagi furono reimpiegati per accogliere le spoglie di pontefici e santi in misura maggiore rispetto a Pisa e a Firenze: il sarcofago in porfido dell’imperatore Adriano divenne la tomba di papa Innocenzo II (1198-1216) prima di finire distrutto nell’incendio del 1360.
Durante il suo pontificato l’interesse nei confronti della cultura pagana crebbe ulteriormente attraverso la creazione di una ricca raccolta di antichità nella platea Lateranensis, della quale fecero parte i bronzi oggi esposti ai Musei Capitolini, la Lupa Capitolina e il gruppo equestre di Marco Aurelio29.
Anastasio IV scelse di essere sepolto all’interno di un sarcofago in porfido detto di Sant’Elena proveniente dal mausoleo di Tor Pignattara.
Il messaggio vincolato da tali scelte culturali aveva lo scopo di rafforzare il potere temporale della Chiesa, rivisitando in modo funzionale la mitologia e l’iconografia pagana e nel corso del XIII secolo furono attestati due importanti casi di reimpiego all’interno di contesti ecclesiastici: la chiesa di Santa Maria in Trastevere presenta un dossale formato da un antico disco in marmo mentre la basilica di San Lorenzo fuori le mura fu restaurata con l’inserimento nell’ordine inferiore di dodici colonne scanalate in pavonazzetto e sormontate da capitelli di corinzi in marmo bianco della prima metà del II secolo e le Vittorie che decorano l’architrave sono portatrici di un messaggio cristiano, legato al trionfo della vita eterna sulle persecuzioni di cui San Lorenzo era stato vittima30.
A partire dal VI secolo molti edifici ecclesiastici nell’Italia meridionale esercitarono una funzione accentratrice sulle antichità romane, reimpiegate in qualità di spolia
28 Cfr. Poletti, 2012, p. 70 29 Cfr. De Lachenal, 1995, p. 221 30 Cfr. De Lachenal, 1995, p. 284
architettonici e sepolcri: l’esempio più antico fu la riconversione del tempio di Apollo nella chiesa di Sant’Andrea a Fondi31.
Una delle città italiane in cui il fenomeno del reimpiego si manifestò in misura maggiore è Benevento, capitale dell’omonimo ducato longobardo dominata da Arechi II negli anni dal 758 al 774: la chiesa palatina di Santa Sofia (consacrata nel 760) conteneva un sarcofago romano al centro dell’abside32 e la sua struttura era arricchita dalla presenza di materiale antico, come quattordici colonne ed altrettanti capitelli corinzi.
Fra il 1087 e il 1197 fu costruita la chiesa di San Nicola per ospitarne le reliquie portate via da Myra, in Asia e sancire il prestigio della diocesi come centro religioso e commerciale. I materiali reimpiegati furono colonne, capitelli di V-VI secolo e pilastri di granito e marmi pregiati, specialmente per ciò che concerne la cripta. Ai lati del portale maggiore della chiesa sono presenti alcune mensole dotate di cornici antiche e rilavorate.
La cattedrale di Canosa, consacrata nel 1101, presenta materiali di reimpiego datati al II secolo d.C provenienti dal proprio territorio che risalgono all’epoca della dominazione romana: sei colonne monolitiche di marmo verde antico con capitelli corinzio-asiatici poste ai lati del muro presso le cupole, mentre nella zona absidale sono state reimpiegate alcune colonne in marmo cipollino.
Secondo De Lachenal33 il riutilizzo di antichità romane a Canosa era funzionale ad esaltare il passato antico della città, decisa a negare l’autonomia episcopale di Bari. Gli ultimi anni del XII secolo videro dei casi di reimpiego piuttosto importanti nel regno normanno di Sicilia: nel 1198 la regina Costanza d’Altavilla fece seppellire il marito Enrico VII dentro la cattedrale di Palermo in un’arca di porfido. Il figlio Federico II mostrò un grande interesse nei confronti delle antichità e nonostante i difficili rapporti con il papato vide sempre Roma come un modello culturale di riferimento.
Nel 1266 Carlo IX d’Angiò sconfisse a Benevento Manfredi, figlio di Federico II e fece deporre le sue spoglie in un sarcofago romano nel santuario di Montevergine (Avellino).
Durante il suo regno vi furono altri casi di sarcofagi reimpiegati: 7 nella cattedrale di
31 Cfr. De Lachenal, 1995, p. 76 32 Cfr. De Lachenal, 1995, p. 85 33 Cfr. De Lachenal, 1995, p. 177
Amalfi, di cui soltanto uno ad oggi sopravvive come tomba dell’arcivescovo di Salerno morto nel 126334.
A Montanaro di Francolise (Capua), un sarcofago ospitò i resti di Tommaso d’Aquino il giovane all’interno della chiesa locale e nel XIX secolo subì un ulteriore reimpiego come tomba per un barone all’interno della cappella di famiglia.
Le famiglie Hohestaufen e d’Angiò si servirono entrambe delle antichità quale mezzo di esaltazione del proprio prestigio, tuttavia diversi furono i rapporti con la Chiesa Cattolica: Federico II fu scomunicato ufficialmente con l’accusa di aver aderito alla dottrina epicurea ma la vera motivazione fu il suo rifiuto di sottomettersi all’autorità temporale di Roma.
Al contrario, il sovrano provenzale Carlo IX fu un alleato importante del papato e contribuì alla sottomissione dei territori meridionali.
Il fenomeno del reimpiego si può giustificare con il desiderio dei sovrani di età tardo antica e medioevale di definire il proprio ruolo e i propri territori come legittimi eredi del potere di Roma non solo dal punto di vista militare, ma anche culturale.
La Chiesa Cattolica, dal suo canto, vede crescere sempre più la propria auctoritas in campo religioso e politico; essa è l’artefice di una lenta rinascita urbana per Roma, saccheggiata da popolazioni diverse nel corso dei secoli.
Le antichità entrano a far parte degli edifici ecclesiastici attraverso modalità completamente differenti tra loro: che si tratti di sarcofagi reimpiegati come tombe o reliquiari o di materiale architettonico utilizzato a fini decorativi, il loro significato iconografico e ideologico viene completamente modificato e si crea un rapporto armonioso con i dettami della nuova fede, collante sociale dei popoli europei.
A partire dal XII secolo nasce un nuovo approccio nei confronti dell’antico, basato su criteri estetici che progressivamente influenzano le arti contemporanee fino ad assumere all’inizio del Rinascimento un significato totalmente laico, una reazione totalmente opposta rispetto alla concezione della vita e della figura umana che aveva dominato il pensiero medioevale.
Il passato classico non subisce più alcuna modifica in senso cristiano, bensì diventa un punto riferimento per la letteratura, la filosofia e la produzione artistica, la Roma papalina con le sue rovine a cielo aperto è un polo di attrazione per gli uomini di cultura di tutto il mondo fino ad allora conosciuto e progressivamente le autorità
cominciano a lavorare per rispondere all’esigenza di tutelare il patrimonio culturale cittadino contro lo spiacevole fenomeno delle spoliazioni non necessarie.
Pisa, la sepoltura di Buscheto presso la facciata del Duomo. Fonte: http://www.wikipedia.org
Roma, il portico di Santa Maria in Trastevere. Fonte: http://roma.mysuperstite.it
Pisa, il sarcofago riutilizzato per la sepoltura della contessa Beatrice. Fonte: http://commons.wikimedia.org
Pisa, Camposanto Monumentale. Il sarcofago di Lucius Sabinus. Fonte: http://commons.wikimedia.org
I.3 Le chiese come musei. Sistemazione delle raccolte
Se durante il Rinascimento il fenomeno del reimpiego subì una brusca battuta d’arresto, tuttavia la presa di coscienza nei confronti delle antichità come prove materiali di una fase importante della storia dell’uomo rimase tenacemente salda e a partire dal XVI secolo cominciò a manifestarsi la tendenza all’organizzazione delle raccolte.
Nacquero così le prime Wunderkammern, ovvero stanze delle meraviglie all’interno delle abitazioni private di principi, sovrani e uomini di cultura ricche di antichi manufatti, opere d’arte e in alcuni casi di oggetti naturalistici, disposti secondo un criterio principalmente estetico, al fine di suscitare meraviglia presso quel pubblico ristretto – dotato di una preparazione culturale pari a quella dei proprietari delle raccolte - a cui era concesso visitarle.
Durante il medesimo secolo cominciò a delinearsi il concetto di museo come luogo aperto al pubblico, funzionale alla sistemazione di raccolte di antichità ed opere d’arte organizzate in modo sistematico.
Esso fu teorizzato per la prima volta durante il sacco di Roma da Paolo Giovio, intellettuale al servizio di papa Clemente VII, come una sorta di resistenza culturale contro il difficile momento storico.
Egli nel 1552 pubblicò le Iscritioni poste sotto le vere imagini de gli huomini famosi, le quali a Como nel Museo del Giovio si veggono, nel quale utilizzò termini come “Museo” e “Tempio della Fama”, per esprimere il fine educativo del suo progetto ovvero la raccolta di 150 ritratti35 raffiguranti i più importanti uomini legati al mondo della cultura e della politica, da custodire all’interno di un edificio appositamente costruito sul lago di Como.
Non meno importanti furono le riflessioni circa la necessità di creare un percorso museale coerente, basato sull’organizzazione tematica degli oggetti esposti, al fine di offrire ad un pubblico formato da intellettuali e uomini di potere un’idea di ordine razionale in perfetta sintonia con gli ideali dell’Umanesimo e del Rinascimento, distinto dal modello – caratterizzato da una vera e propria casualità paratattica -delle Wunderkammern.
Le antichità non furono più viste solamente come oggetti da ammirare la loro bellezza ma anche come uno strumento per lo studio dell’antico al pari dei testi degli
autori latini e greci. Mancavano quattro secoli alla nascita dell’Altertumswissenschaft e del suo ingresso negli ambienti accademici, ma questa ne fu senza dubbio la premessa fondamentale.
Un’altra fonte letteraria che affrontò il tema fu la Città del Sole, scritta dal filosofo Tommaso Campanella nel 1602, durante gli anni di prigionia trascorsi a Napoli. A differenza di Giovio, Campanella non utilizzò esplicitamente il termine “museo”, ma definì “tempio” la dimora della Sapienza, principio collaterale del Sole che riunisce in sé ogni aspetto dello scibile umano.
La città ideale teorizzata dal filosofo era caratterizzata dalla completa eguaglianza fra tutti i suoi abitanti e così anche il tempio della Sapienza, nato per favorire una conoscenza completa delle cose del mondo, doveva prescindere da qualunque distinzione di genere o classe sociale.
Durante il XVII secolo l’Illuminismo divenne l’ideologia filosofica dominante, che dalla Francia si diffuse in tutta Europa, (giungendo anche in Italia) ed elaborò la teoria della ragione quale unica guida per l’agire umano.
La religione al contrario fu vista come uno strumento impugnato dall’aristocrazia e dall’alto clero per soffocare qualsiasi tentativo di mobilità sociale e mantenere intatti i privilegi di cui godevano.
Sul piano culturale, si ritenne indispensabile la creazione di luoghi appositi per la conservazione del patrimonio culturale, ritenuto un mezzo fondamentale per l’educazione di quel popolo bisognoso di uscire dalla caverna di platonica memoria e vedere la luce del sapere.
La filosofia dei lumi rimase circoscritta agli ambienti intellettuali senza mai penetrare nei palazzi del potere e il governo monarchico, di stampo assoluto, si accingeva ad intraprendere un percorso all’insegna dell’oscurantismo: nel 1665 il re Luigi XIV abolì l’Editto di Nantes che garantiva la libertà di culto alle minoranze ugonotte e con i suoi successori le disuguaglianze sociali si accentuarono sempre più. Quando il 14 luglio del 1789 fu espugnata la prigione della Bastiglia, cominciò un periodo tumultuoso che si concluse con la decapitazione del re Luigi XVI e della regina Maria Antonietta nel 1792 che pose fine alla dinastia dei Borbone.
Il nuovo governo repubblicano, costituito da un Direttorio, applicò inoltre un programma politico volto al ridimensionamento dei poteri dell’alto clero, che insieme all’aristocrazia era stato la classe sociale dominante e aveva goduto di grandi privilegi.
Fra i beni confiscati ai membri della Chiesa Cattolica, figurarono anche alcuni edifici ecclesiastici, che furono riutilizzati fra la fine del XVIII e il XIX secolo come sedi per la fondazione di musei aperti al pubblico.
Con la nascita della prima Repubblica Francese e il decreto del 26 luglio 1791, cambiò anche il concetto di patrimonio culturale, non più relegato nei palazzi del potere ma restituito al suo legittimo proprietario: lo Stato.
Esso divenne un mezzo fondamentale per promuovere l’educazione di coloro che da sudditi di un governo assolutista erano diventati cittadini di uno stato fondato sugli ideali di libertà, uguaglianza e fratellanza e fornire loro gli strumenti per una vita attiva all’interno di una nazione destinata a guidare l’Europa, non solo dal punto di vista economico e militare ma anche culturale.
Quando nel corso dell’Ottocento la Francia intraprese la colonizzazione dell’Africa Occidentale e dell’Indocina, il suo prestigio crebbe ulteriormente e gli oggetti d’arte sottratti alle popolazioni conquistate entrarono nei musei nazionali: è il caso del Musée des Antiquites Nationales di Saint-Germain-en-Laye, in cui si formò una collezione dedicata all’arte africana.
Le idee illuministiche si diffusero anche in Spagna, dove a partire dalla fine del XVIII secolo fino alla fine del XIX le autorità avviarono un processo politico ed economico definito desamortizaciòn, ovvero la confisca di terreni e beni immobili di proprietà del clero considerati improduttivi36 (ovvero che fruttassero una rendita annua dagli interessi inferiori al 3%), con lo scopo di rivenderli all’asta per favorire lo sviluppo del libero mercato, la creazione di un ceto borghese e rafforzare il potere monarchico contro le ingerenze della Chiesa Cattolica.
La prima importante fase del fenomeno avvenne durante il regno di Carlo III e la Compagnia di Gesù fu il primo ordine religioso a vedere confiscati i propri beni: ospedali, collegi universitari, chiese divennero di proprietà statale. Una delle figure chiave della prima desamortizaciòn fu Manuel Godoy y Álvarez de Faria, ministro del re Carlo IV che emanò la real cédula del 19 settembre 1798 sia in merito al patrimonio immobiliare funzionale al culto, sia agli edifici usati in ambito civile. Le motivazioni furono essenzialmente politiche ed economiche: nel XVIII secolo la Spagna era impegnata in una guerra contro la Francia e in Inghilterra per la difesa delle proprie colonie americane, pertanto aveva una forte necessità di reperire finanziamenti per la spedizione oltre oceano e per condurre le operazioni militari. Per
ciò che concerne la situazione economica del Paese, la nascita di una classe media attraverso l’acquisto e l’utilizzo dei terreni un tempo appartenuti ai religiosi avrebbe rappresentato uno stimolo della produzione agricola.
La seconda grande desamortizaciòn cominciò a partire dal 1833 con la morte del re Ferdinando VII. Dal momento che la figlia Isabella aveva soltanto tre anni, sua moglie Maria Cristina di Borbone- sostenuta dai governi conservatori di Austria, Prussia e Russia - assunse la reggenza in attesa che la bambina raggiungesse la maggiore età in osservanza della Pragmatica Sanciòn37 del 1830 che stabiliva la linea
di successione al trono. Don Carlos, fratello di Ferdinando, cominciò a stringere una serie di alleanze con i gruppi liberali e fra il 1834 e il 1840 la monarchia spagnola da assolutista diventò costituzionale e di conseguenza ci furono molti cambiamenti anche in materia di economia funzionali all’incremento delle casse statali e all’iniziativa privata.
Nel 1836 il ministro Juan Álvarez Mendizábal dichiarò come dalla desamortizaciòn lo Stato potesse trarre dei benefici tali da poter essere paragonati allo splendore del regno di Isabella II, usando il termine resurrecciòn polìtica38. Attraverso la
desamortizaciòn Don Carlos fortificò il consenso di cui già godeva fra i liberali e contribuì alla diminuzione del debito pubblico generato dalle guerre dei decenni precedenti contro la Francia e l’Inghilterra.
L’ultima grande desamortizaciòn avvenne dal 1855 al 1924 durante la reggenza di Baldomero Espartero, fu avviata dal ministro delle finanze Pascual Madoz e questa volta oltre ai beni ecclesiastici fu applicata anche a molti beni di proprietà statale. Egli fece approvare la Ley General de Desamortizaciòn39 nel 1855 per sanare
definitivamente il debito pubblico spagnolo e avviò una riforma di espansione urbanistica che cambiò il volto di moltissime città fra cui Barcellona e Pamplona. Gli studiosi Vazquez Lemses e Martìnez Pino nel 2012 hanno studiato il fenomeno basandosi sugli archivi parrocchiali ed episcopali che soprattutto a Lucena – un piccolo comune dell’Andalucìa - e a Murcia forniscono informazioni non soltanto sugli espropri ma anche sulle compensazioni ricevute dai membri del clero per evitare una rottura insanabile dei rapporti fra Stato e Chiesa.
Nonostante il grande numero di edifici ecclesiastici chiusi al culto, soltanto in tre casi si arrivò al loro riutilizzo come sedi museali: il Museu Arqueològic de Eivissa i
37 Cfr. Martìnez Pino, 2012, p. 185 38 Cfr. Martìnez Pino, 2012, p. 186
Formentera nel comune di Dalt Vila ad Ibiza, il Museu de Asturias ad Oviedo e il Museu de Santa Cruz a Toledo.
I lavori per il reperimento delle sedi, la catalogazione delle collezioni e gli allestimenti avvennero come nel caso del Museo Arqueològico de Asturias -attraverso l’impegno delle autorità pubbliche, con lo scopo di raccogliere le collezioni di antichità rinvenute sul territorio e organizzare la tutela del patrimonio culturale della provincia. Allo stesso tempo non mancò il desiderio di sottolineare l’impatto culturale che la dominazione romana aveva avuto sulla storia della penisola iberica.
Per quanto riguarda l’Italia, le premesse alla nascita dei musei aperti al pubblico devono essere individuate nelle raccolte di antichità, opere d’arte e oggetti naturalistici, costituite nel XVII secolo nelle residenze di privati cittadini, principi e sovrani occasionalmente aperte ad un pubblico d’élite40.
Nel XVIII secolo, i governi degli stati in cui era suddivisa l’Italia preunitaria osservarono con crescente preoccupazione il fenomeno del collezionismo privato, soprattutto in materia di antichità e presero importanti provvedimenti: da un lato, l’emanazione di leggi funzionali alla tutela del patrimonio culturale, dall’altro la creazione di istituzioni aperte al pubblico in grado di poter adempiere a tale compito: nel 1753 a Roma fu fondato il Museo di Villa Albani e a Firenze nel 1769 nacque la Galleria degli Uffizi.
Durante il processo di unificazione, fu emanata la legge 3036/186641 che soppresse le congregazioni religiose e favorì la nascita dei musei civici, con lo scopo di documentare la storia delle città e mantenere saldo il legame fra le collezioni e il territorio.
Nonostante i rapporti con la Chiesa Cattolica si fossero incrinati in seguito alla presa di Roma (20 settembre 1870), il riutilizzo di edifici ecclesiastici chiusi al culto non fu caratterizzato da motivazioni ostili, bensì derivò da un particolare approccio al patrimonio immobiliare: la presenza sul suolo italiano di un grande numero di edifici disponibili, sia laici che adibiti al culto religioso, non determinò l’esigenza di costruirne altri ex novo e al tempo stesso permise di procedere con il recupero e la valorizzazione, fornendo una sede idonea per le raccolte archeologiche assurte allo status di collezioni, grazie ad uno scrupoloso lavoro museologico e museografico
40 Cfr. Mottola Molfino, 1991, p. 12 41 Cfr. Mottola Molfino, 1991, p. 44
capace di creare una sintesi virtuosa fra la struttura dell’edificio e le esigenze di conservazione, tutela e studio delle antichità.
Firenze, Galleria degli Uffizi. Fonte: http:// www.flonthego.com
CAPITOLO II: Casi campione
II.1 Arles, il Musée de l’Arles Antique
Nel 1784 fu creato ad Arles un museo lapidario all’interno della cappella dei minimi, nella chiesa di Sainte-Anne per ospitare una cospicua raccolta di antichità romane formatasi fra il XVI e il XVIII secolo e catalogata grazie al lavoro di importanti antiquari come Antoine Agard.
Intorno al 1936 le collezioni furono portate via dall’edificio e nascoste all’interno di magazzini nella città di Arles, in previsione dei problemi che sarebbero sorti dalla politica espansionistica del Terzo Reich ai danni degli stati vicini e vi rimasero fino al 1995, quando l’architetto peruviano Henri Ciriani progettò una nuova struttura – il cosiddetto musée bleu – che ospitasse il Musée departemental Arles antique poiché la ripresa degli scavi nei pressi della vecchia città romana aveva comportato un grande numero di ritrovamenti che la vecchia sede museale non sarebbe stata in grado di accogliere nel miglior modo possibile.
La chiesa di Sainte-Anne era stata costruita negli anni dal 1614 al 1629, durante il regno di Luigi XIII e fu uno dei più importanti esempi di architettura gotica nel sud della Francia, fino alla sconsacrazione nel 1792 che ebbe come conseguenza il danneggiamento delle antichità.
Nel febbraio 1813 l’architetto Michel Robert Penchaud presentò al consiglio comunale un progetto basato su una serie di riduzioni da apportare alla chiesa di Sainte-Anne, utilizzando finestre alte e sostituendo la seconda navata con una nuova facciata, da ornare con frammenti antichi. Per quanto riguarda le collezioni, Penchaud pianificò un restauro delle statue.
La creazione del museo procedette di pari passo con il piano regolatore di Place Napoléon, che Penchaud aveva progettato di ornare attraverso la costruzione di portici con i muri coperti di iscrizioni e opere d’arte dei nomi più celebri, quasi a voler imitare le αγοράι greche.
La mancanza di fondi rese inattuabile il programma: fu demolita solamente la prima navata, mentre la seconda venne sistemata per accogliere la nuova facciata.
Gli sforzi delle autorità locali e gli appelli di intellettuali come Quatremère de Quincy per mantenere le raccolte ad Arles furono premiati dal decreto imperiale del 9
gennaio 1805, che pose fine alla tendenza repubblicana ad accentrare il patrimonio culturale nei musei parigini.
In particolare l’articolo 1 del decreto stabilì che: "Le Préfet des Bouches-du-Rhône est autorisé à concéder gratuitement à la ville d'Arles l'ancienne église de Sainte-Anne, située dans cette ville, à l'effet d'en former un musée et un dépôt de monuments d'art qui existent dans son enceinte"42.
Fra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo gli scavi archeologici effettuati sul territorio di Arles, in particolare nell’area del Teatro e dell’Anfiteatro, resero possibile l’organizzazione sistematica delle raccolte all’interno della chiesa di Sainte-Anne, che nel 1825 acquisirono lo status di collezioni.
Due anni dopo Huard, professore di disegno presso la scuola comunale, fu nominato conservatore del museo e stilò un catalogo delle antichità.
La visita di Napoleone III nel 1860 contribuì a focalizzare l’attenzione sul Musée de l’Arles Antique nonostante il Musée du Louvre fosse considerato il più importante di tutta la Francia.
All’interno della chiesa di Sainte-Anne si manifestò tutto lo splendore dell’antica Colonia Julia Paterna Arelate Sextanorum dalla fondazione fino alla media età imperiale e i risultati dei primi scavi archeologici.
Dal punto di vista stilistico, le collezioni rispecchiano i dettami dell’arte romana classica, che fa sue le influenze del coevo tardo ellenismo.
Il punto di partenza del progetto museale è dato dalla sezione dedicata alle statue che raffigurano alcune divinità romane, come Giove, Apollo, la Bona Dea, Minerva, Iside, Nettuno, Silvano, Mitra, il Genius Arelate e Diana. Tra i frammenti più importanti è da menzionare una testa d’Attis con indosso un berretto frigio e un torso di Saturno mitriaco.
Per quanto riguarda l’arte funeraria, la sezione include un rilievo funerario con l’immagine di Attis e il Sarcofago con Fedra e Ippolito.
Nel 1614 fu trovata una statua frammentata di Giove da Trinquetaille, che inizialmente fu trasportata al museo dei Minimi e della quale rimangono il drappeggio all’inizio delle gambe. La testa venne smarrita nel XVII secolo e il torso rubato durante la Rivoluzione francese.
La Bona Dea fu trovata sotto l’ingresso della chiesa Maggiore e due altari dedicati ad Apollo (di cui uno narra tramite decorazione a rilievo la punizione che il dio infligge
al sileno Marsia) provengono dal Teatro della città antica.
Un torso di Minerva e la base di una statuetta che doveva raffigurare la dea furono attribuiti al tempio capitolare.
Dagli scavi del Teatro antico provengono esempi di scultura notevoli, come una Venere trovata fra le colonne, donata al re Luigi XIV e ad oggi esposta al Louvre, ispirata a modelli di IV secolo a.C.
Nei pressi della fronte scena, una statua di Augusto e due Sileni che dovevano essere funzionali alla decorazione della fontana; infine, un busto di Adriano e un torso d’Afrodite provengono dal quartiere del Circo.
Gli esemplari architettonici consistono in un tamburo di due colonne scanalate ed un architrave decorato con palmette riutilizzato per la costruzione dell’arco dell’Arcivescovo, abbattuto nel 1810. Una Vittoria appartenente ad una semicolonna ed altri frammenti pertinenti ad un arco onorario sono stati trovati una decina d’anni dopo.
La sezione dedicata ai mosaici fu caratterizzata da quattro pavimenti provenienti da alcune villae gallo-romane di Trinquetaille: il Ratto di Europa, lo Zodiaco e le quattro stagioni posti nella navata centrale; gli altri due sono collocati accanto al cimitero: la Conquista del vello d’oro e Orfeo incantatore d’animali.
I monumenti e le statue funerarie rappresentano uomini e donne drappeggiati, cippi con ritratto probabilmente eretti dalle più importanti famiglie della città.
Molti sarcofagi provengono dalla vecchia chiesa di Saint-Honorat, come quello di Cornelia Iacaena, ornato con teste di toro e di montone, quello con scene relative al mito di Amore e Psiche, uno di Iulia Tyrrania e infine il succitato di Ippolito e Fedra. Sono presenti anche alcuni esemplari di vasellame greco-etrusco provenienti dalla collezione Campana.
L’allestimento del museo fu caratterizzato da una disposizione paratattica degli oggetti, che occuparono le sette cappelle della chiesa, l’abside e il corridoio a diretto contatto con il pavimento, seguendo il gusto dell’epoca e le esigenze di studi basati sulla classificazione dei materiali.
Al centro dell’abside era presente un busto di Augusto, appoggiato su un rilievo probabilmente funerario ed affiancato su entrambi i lati da teste ritratto e statue di piccole dimensioni; sarcofagi e monumenti funerari sono collocati davanti all’ingresso di ciascuna delle sette cappelle, in quanto l’allestimento stabiliva un
ordine gerarchico delle antichità; uno dei più importanti è il gruppo di Medea che si accinge ad uccidere i propri figli.
Sopra i monumenti funerari poggiavano statuette molto piccole e presso il fondo del museo è interessante notare la musealizzazione del vasellame: un grosso armadio in legno dotato di teche conteneva un gran numero di esemplari disposti in modo tale che quelli di maggiori dimensioni fossero immediatamente visibili ai visitatori. Numerosi esempi di anfore erano state disposte in cima agli armadi, le une affiancate alle altre senza alcun sostegno o puntello.
Questa singolare sistemazione non è altro che un esempio di come il modello della Wunderkammer cinquecentesca non fosse stato del tutto abbandonato durante i secoli successivi, esplicitandosi anche in casi italiani come i Musei Capitolini e i Musei Vaticani.
All’interno del vecchio Musée de l’Arles Antique non è presente il concetto di contesto archeologicamente inteso, manca una coerenza di fondo fra il singolo oggetto esposto e il luogo del suo ritrovamento: la presenza delle antichità accumulate nella chiesa è dovuta a motivazioni puramente estetiche.
I mosaici giacevano al centro dei corridoi, protetti da un cordone e circondati da sculture di grandi dimensioni e rilievi funerari riutilizzati come basi; le epigrafi venivano addossate alle pareti delle cappelle così come le colonne provenienti da templi e dall’anfiteatro di Arles.
L’effetto complessivo dell’allestimento esprime un concetto di museologia piuttosto acerbo, basato su una disposizione degli elementi non proprio coerente con l’edificio e la mancanza di un apparato didattico impediva di soddisfare pienamente il programma educativo che la Rivoluzione francese voleva estendere sull’intero territorio nazionale.
Sicuramente fu un passo importante per quanto riguarda il ridimensionamento delle vecchie classi sociali e la presa di coscienza di un legame con Roma attraverso le città della Gallia Narbonensis: durante l’epoca napoleonica il passato classico verrà utilizzato per giustificare le numerose spoliazioni di antichità ed opere d’arte dai territori nemici sconfitti.
L’utilizzo di un edificio ecclesiastico chiuso al culto fu invece la prova materiale di come il nuovo governo repubblicano fosse in grado di trionfare sul potere quasi millenario della Chiesa Cattolica, facendo spazio alla laicità che ancora oggi caratterizza la Francia.
Per quanto riguarda il nuovo Musée departemental Arles Antique, la nuova struttura fu progettata in modo tale da favorire l’illuminazione naturale delle collezioni, arricchite grazie ad un lavoro costante di studio e ricerca.
Viene meno il criterio classificatorio dell’allestimento così come l’utilizzo di basi e rilievi funerari in qualità di sostegni per la scultura a tutto tondo dal momento che ogni pezzo di piccole dimensioni si regge su infissi di acciaio saldati su paletti di legno, mentre la scultura di grandi dimensioni presenta sostegni proporzionati. Le epigrafi sono fissate alle pareti grazie all’utilizzo di puntelli e non sono più appoggiate per terra a contatto con la pavimentazione: così è possibile favorire la visuale, la lettura del testo e la protezione di questi oggetti molto delicati.
I sarcofagi acquisiscono una nuova autonomia all’interno del nuovo allestimento ed occupano i corridoi della sezione funeraria, senza che sia stabilita alcuna gerarchia, occupando tuttavia una posizione decisamente preponderante rispetto alle epigrafi. Nonostante il nuovo Musée départemental Arles Antique fosse una sede decisamente migliore per la tutela, la valorizzazione delle collezioni e dotata di spazi per favorire lo studio e la ricerca scientifica, tuttavia si perse definitivamente un esempio di allestimento museale ottocentesco che aveva rappresentato un importante punto di riferimento per la città di Arles, antica colonia della Gallia Narbonenis e non inferiore a Parigi per quanto riguarda la presenza di antichità romane sul territorio.
Arles, la chiesa di Sainte-Anne.
Foto su gentile concessione della dottoressa Lorène Linares-Henry.
Arles, dettaglio della facciata di Sainte-Anne.
Arles, Musée de l’Arles Antique. L’allestimento dell’abside con il busto di Augusto. Foto su gentile concessione della dottoressa Lorène Linares-Henry.
Arles, Musée de l’Arles Antique. L’allestimento del vasellame. Foto su gentile concessione della dottoressa Lorène Linares-Henry.
Arles, Musée de l’Arles Antique. Vista generale del museo. Foto su gentile concessione della dottoressa Lorène Linares-Henry.
Arles, Musée de l’Arles Antique. L’interno del museo. Foto su gentile concessione della dottoressa Lorène Linares-Henry.
Arles, Musée de l’Arles Antique. La sezione di archeologia funeraria. Foto su gentile concessione della dottoressa Lorène Linares-Henry.
Arles, Musée départemental Arles Antique. Il nuovo allestimento. Fonte: http://www.camargue-turismo.it
Arles, Musée départemental Arles Antique. La nuova sezione di archeologia funeraria. Fonte: http:// www.musees-mediterranee.com
II.2 Tolosa, il Musèe des Augustins
Un altro esempio nel sud della Francia di museo archeologico nato all’interno di un edificio ecclesiastico chiuso al culto fu il Musée des Augustins fondato a Tolosa nel 1795.
Come sede fu scelto il convento delle suore Augustine, ritenuto idoneo per l’accogliere un'importante collezione d’antichità e d’arte che si era formata durante i decenni e che crebbe in seguito alla politica di soppressione degli ordini monastici durante gli anni della Rivoluzione Francese43.
Costruito durante la prima età del XIII secolo, fu confiscato dal Direttorio con il decreto del 2 novembre 1789.
Nel 1804 il museo e l'École des artes furono insediati nelle ali sud-est dell'edificio e per favorire l'illuminazione naturale le originarie vetrate medioevali delle facciate nord e ovest furono sostituite con vetrate traslucide, mentre negli anni dal 1805 al 1828 tutte le cappelle meridionali ad eccezione di quella di Saint Gabriel furono riutilizzate come servizi igienici per la scuola44.
Il convento nel 1811 accolse alcuni materiali antichi provenienti dalla chiesa de La Daurade45, come colonne, capitelli e rilievi. L’archeologo Alexandre Du Mège si occupò dell’acquisto di numerose antichità, così come dell’allestimento delle collezioni.
L’architetto Virebent si occupò dell’allestimento dal 1804 al 1828: nel 1823 le antichità precedenti la Rivoluzione francese, furono collocate all’interno delle tre sale gotiche del convento, per essere utilizzate come modelli di studio dagli allievi dell’École des Arts.
Durante gli anni ’30 del XIX secolo l’edificio subì una serie di lavori che miravano alla sua trasformazione in un vero e proprio “tempio delle arti”, con l’aggiunta di strutture in stile neoclassico e la rimozione delle vetrate medioevali per favorire l’infiltrazione della luce naturale.
Le decorazioni originarie furono stuccate per cancellare ogni riferimento al campo semantico della religione e sancire la definitiva vittoria dello stato laico.
Gli architetti Viollet-le-Duc e Darcy costruirono l’attuale sala delle sculture romane al posto del vecchio refettorio.
43 Cfr. Berne, 2002, p. 2 44 Cfr. Culot, 1986, p. 368 45 Cfr. Seidel, 1973, pp. 328-333
La maggior parte delle antichità conservate al Musèe des Augustins furono rinvenute sul territorio di Tolosa ed in particolare all’interno di altri edifici ecclesiastici come il monastero de La Daurade, l’Abbazia di Saint-Sernin e la cattedrale di Saint-Etienne. Soltanto da quest’ultima provennero 31 iscrizioni, 4 capitelli, 1 pilastro formato da cinque pezzi di colonna e 2 colonne in marmo marezzato46.
L’allestimento definitivo fu progettato a partire dal 1941, con il restauro delle sale gotiche ed ebbe una brusca battuta d’arresto durante gli anni della seconda guerra mondiale. Dal 1976 al 1980 il museo è rimasto chiuso per il restauro dei locali che si sono concentrati in particolare sulla scalinata progettata da Viollet-Le-Duc , con lo scopo di dotarla di una grande vetrina che favorisse un'illuminazione dai toni caldi47. Il progetto viene eseguito dall'architetto Boiret e dal pittore su vetro Guérin che scelgono di creare un effetto armonioso fra il vetro e il mattone. In particolare, è stata scelta una colorazione intonata con i mattoni per il rivestimento delle montature esterne e per la decorazione della vetrata Guérin ha elaborato un ciclo di pitture dedicate alle varie fasi del giorno: “L'Aurore”, “Le Plein Jour”, “La Nuit”.
La sistemazione delle collezioni si basa su una particolare attenzione alle diverse categorie di oggetti: al piano terra, installate su un ponte metallico, sono presenti alcuni sarcofagi paleocristiani, mentre al di sotto della struttura si trovano invece le antichità romane provenienti dalla Daurade.
Il percorso museale comincia dal chiostro, che ospita alcune sculture disposte lungo le pareti, sopra basi bianche di pietra.
Dal chiostro si accede alla sala delle sculture gotiche, dotate anch’esse di sostegni in pietra oppure musealizzate a contatto con la pavimentazione ma dotate di una recinzione di acciaio. All’interno della chiesa del convento sono presenti quadri e sculture, che si dispongono allineati lungo le pareti secondo un percorso paratattico. Ciascun capitello custodito nella sala delle sculture romane è posto su un pilastro d’acciaio quasi a voler ricreare la peristasi di un tempio e dotati di cavi che conferiscono un effetto dinamico in rapporto all'asse delle basi.
Dal 2012 al 2014 l'artista cubano Jorge Pardo ha progettato un nuovo allestimento per i capitelli romani, basato su un gioco di contrasti fra il bianco della pietra e la vivacità del blu e dell'ocra, i colori predominanti della sala, mentre le colonne utilizzate per il sostegno dei capitelli sono rosse. In questo modo per i visitatori è
46 Cfr. Mesplé, 1961
possibile essere catturati dal forte contrasto cromatico dell'ambiente che offre un'idea dinamica di ciascun esemplare esposto, accompagnato da un cartellino che fornisce una breve descrizione dell’oggetto.
Dalla sala delle sculture romane si estende un corridoio utilizzato per la musealizzazione delle epigrafi, affisse alle pareti grazie all’utilizzo di perni in acciaio piegato che si adegua all'asse di rotazione degli oggetti.
Per ciò che concerne il rapporto con il pubblico, il Musée des Augustins ha adottato una particolare attenzione nei confronti dei visitatori con problemi di mobilità attraverso l’istituzione di un servizio d’accoglienza su misura e dal 2010 due ascensori permettono l’accesso alla sala delle sculture romane, alla sala delle epigrafi e al chiostro.
Tolosa, il convento delle Augustine. Fonte: http:// www.wikipedia.org
Tolosa, Musée des Augustins. La scalinata di Darcy. Foto: Louis Rafenomanjato. Fonte: http://www.photorendu.com
Tolosa, Musée des Augustins. L’allestimento creato da Jorge Pardo nella sala delle sculture romane. Foto: Louis Rafenomanjato. Fonte: http:// www.photorendu.com
Tolosa, Musée des Augustins. Dettagli dell’allestimento. Fonte: http:// www.toulouse-brique.com
Tolosa, Musée des Augustins. Il chiostro del convento. Fonte: http://www.wikiwand.com
Tolosa, Musée des Augustins. Sarcofagi e sculture nella sala gotica. Foto: Louis Rafenomanjato. Fonte: http:// www.lieuxoutsita.free.fr