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CAPITOLO II: Casi campione

II.14- Brescia, il Museo della Città

Il nuovo Museo della Città di Brescia è stato istituito fra il 1998 e il 2003, in sostituzione del vecchio museo archeologico all'interno del Capitolium.

Esso è stato il risultato finale di un lungo lavoro di ricerca iniziato negli anni Sessanta del secolo scorso, con una serie di scavi88 che hanno condotto alla scoperta di alcune domus romane ubicate nei quartieri dell'Ortaglia e di Santa Giulia, sopra le quali furono costruiti tra edifici ecclesiastici assai importanti per la città: il monastero di Santa Giulia e due chiese consacrate a San Salvatore.

La costruzione del monastero89 iniziò a partire dall’anno 753 per ordine del duca longobardo Desiderio e della moglie Ansa; a nord del complesso si trova la chiesa di San Salvatore e nel XII secolo furono menzionati nelle fonti, in posizione ad essa frontale, una cappella e un palazzo di San Daniele.

Nell’area sud erano presenti tre chiostri, il secondo dei quali era delimitato a nord dalla chiesa di San Salvatore, ad ovest da un edificio che lo divide dal primo chiostro e a sud da un corpo di fabbrica che in età altomedioevale viene dotato di un portico. Il cortile venne utilizzato come area sepolcrale fino al XV secolo e gli scavi hanno portato alla luce circa un centinaio di tombe, notevoli per le differenti tipologie. Intorno al 761 ebbero inizio i lavori per la costruzione del cunicolo di un nuovo acquedotto vicino a quello d’epoca romana.

Il monastero divenne così un elemento di grande rilievo nel panorama della Brescia feudale in quanto fulcro dei rapporti fra il sovrano, il vescovo e l’aristocrazia cittadina.

Gli scavi archeologici effettuati a partire dal 1967 all’interno del monastero hanno avuto come risultato la scoperta di alcune domus romane, due delle quali hanno maggiormente catturato l’attenzione degli studiosi: quella a nord, detta “di Dioniso”, è stata datata fra la fine del I e la prima metà del II secolo d.C. e presenta un apparato decorativo che è possibile collegare all’epoca dell’imperatore Adriano.

L’accesso si presenta lastricato in calcare locale e conduce ad una corte centrale, che si distingue per una pavimentazione in cocciopesto con lastrine di marmo

frammentarie.

88 Cfr. Stradiotti in Tortelli, Frassoni, 2009, p. 20 89 Cfr. Brogiolo in Stella, Brentegani, 1990, p. 12

Il cortile era dotato sul lato nord di un bacino rettangolare con vasca addossata al lato corto occidentale, davanti ad un affresco che rappresenta un motivo di pigmei e gru, in sintonia con il gusto della prima età imperiale per le scene nilotiche. Dal cortile si accede al triclinio, il cui pavimento possiede un mosaico geometrico in bianco e nero e nella parte centrale una raffigurazione di Dioniso che abbevera una pantera

conferendo così il nome alla domus. Fra gli affreschi sopravvivono solo i motivi vegetali e le maschere teatrali che decorano lo zoccolo nero posto sui registri inferiori.

Due piccoli vani a sud del triclinio presentano un sistema di riscaldamento a

pavimento, probabilmente connesso con la cucina. A sud del cortile si trova un vano con affreschi e pavimento a mosaico bianco ed anche sul lato ovest è presente un vano con pavimento in battuto e pareti intonacate.

Il complesso è collegato a nord-est alla domus delle Fontane, di dimensioni decisamente maggiori. Anche in questo caso la strada d’accesso è lastricata e si sviluppa da est ad ovest.

I due settori della domus, posti su quote diverse, vengono collegati grazie ad un lungo corridoio in pendenza. Un impluvium e tracce di pavimentazioni in cementizio costituiscono ciò che rimane di una fase più antica, così come le decorazioni dei vani a nord di esso. Uno di questi presenta un tessellato geometrico in bianco e nero databile alla prima metà del I secolo d.C.

Sull’accesso della domus si affacciavano vani funzionali alle attività artigianali o commerciali, mentre un portico situato alla fine del percorso consentiva l’immissione nella corte lastricata e decorata con uno stile che imita le crustae marmoree.

L’incremento dei vani sembra potersi datare fra il I e il II secolo d.C. e avviene attraverso l’abbattimento di pareti e alla tamponatura del portico.

A nord della corte lastricata di trova la sala della Fontana con il pavimento in cementizio bianco e pareti dalle decorazioni con motivi vegetali e campiture rosse e gialle. Al centro sono visibili i resti di uno spazio per fontana insieme ad una fistula di piombo. Ad ovest un ambiente identificabile come triclinio ha il pavimento in cementizio e l’emblema in sectile mentre ad est si conserva un triclinio con mosaico e tracce di un bacino in marmo. In direzione del viridario, un ambiente presenta una vasca in marmo sul lato di fondo, decorata da un mosaico in pasta vitrea.

All’età Severiana è stata datata la pavimentazione di due vani: la sala delle Stagioni, con un tessellato policromo che rivela la raffigurazione delle quattro stagioni

all’interno di cornici ottagonali.

Il pavimento dell’altro vano – probabilmente con funzioni di rappresentanza - spicca per il suo aspetto vivacemente policromo in tessellato, con due colonne che

sorreggevano una volta a botte. Nel III secolo d.C. vengono compiuti ulteriori lavori di sistemazione nei vani del lato occidentale, probabilmente con lo scopo di renderli autonomi dal resto della domus e di separarla dalla strada.

L’abbandono delle due abitazioni si può inquadrare fra la fine del III e l’inizio del IV secolo d.C., forse a causa di una serie di crolli che hanno portato al collasso delle strutture. Durante gli scavi sono stati ritrovati frammenti di arredi (in marmo e pietra), ceramica da mensa e da cucina e un’iscrizione in latino corsivo graffita su frammenti di intonaco.

La singolare presenza delle domus all’interno di un edificio ecclesiastico sconsacrato ha richiesto un intervento di musealizzazione particolarmente adeguato, affidato agli architetti Frassoni e Tortelli che hanno lavorato nel biennio 1996/1998 e nel triennio 2000/2003.

L’allestimento museale è stato progettato per essere funzionale al rispetto ed alla conservazione della stratificazione del sito archeologico e al tempo stesso creare un rapporto di continuità con il resto del museo di Santa Giulia.

La principale caratteristica che ha reso possibile il progetto è la stretta collaborazione fra settore pubblico e privato; non meno importante è la capacità di trovare un equilibrio fra città antica e città moderna. La decisione di eseguire il restauro dei pavimenti e delle pitture in presenza del pubblico ha contribuito alla consapevolezza di come il patrimonio culturale sia una parte fondamentale della storia dell’uomo. L’esperienza bresciana deve essere collocata nel panorama museologico nato in Italia fra gli anni Quaranta e Cinquanta, basato sulla ricerca di materiali semplici ma al tempo stesso robusti e funzionali e specialmente sulla ricerca della perfetta armonia fra l’antico e il moderno, fra l’opera d’arte e l’architettura.

Il lavoro degli architetti Tortelli e Frassoni comincia analizzando i materiali da esporre, per trovare le soluzioni più adatte a mantenere il legame con la città, utilizzando basi, supporti, teche, pannelli in pietra di Sarnico, acciaio e legno verniciati90.

Gli oggetti sono stati collocati su fondi astratti, in modo tale da mantenere un ruolo di primo piano; la sistemazione del mausoleo Martinengo diventa un punto di

contatto fra il coro di Santa Giulia e la chiesa di San Salvatore grazie all’impiego della pietra di Sarnico, mentre un fondale dai toni grigio-blu crea un contrasto cromatico con gli oggetti esposti.

Le sculture che rappresentano la Brescia veneta, sistemate nell’ex refettorio maggiore del monastero, sono supportate da pannelli isolati; l’oratorio di Santa Maria in Solario presenta un’importante pavimentazione romanica, tutelata grazie alla creazione di un piano di calpestio in pietra di Sarnico.

Per quanto riguarda il sistema di illuminazione, vengono utilizzate luci al sodio e biocide inserite sul soffitto, mentre per la pavimentazione sono a base di xeno. Un’unica vetrata quadrata garantisce la visuale sul giardino, dove sono stati ricreati gli antichi viridaria e gli horti che si adeguano alla pendenza del terreno.

Una superficie di 3200 metri quadrati è riservata per la conservazione dei numerosi reperti in pietra trovati nei depositi del museo ed è visitabile percorrendo lunghe passatoie in arenaria grigia.

L’allestimento delle domus ha richiesto la collaborazione fra gli architetti e gli archeologi, che hanno seguito i livelli stratigrafici degli scavi e ideato un percorso che facilitasse la visione delle decorazioni pavimentali e parietali.

Dal 2002 al 2004 il contenuto museale vive un continuo crescendo, con l’erezione di pareti perimetrali a nord e a sud che insistono su fondazioni antiche, mentre ad est e ad ovest vengono realizzate delle strutture ex novo. La copertura dell’area è

appoggiata a travi in acciaio che si incrociano ortogonalmente91. La superficie interna è articolata da passerelle in acciaio allineate alla quota del piano di calpestio del museo, dotate di parapetto aperto. I reperti rinvenuti nello scavo si trovano in vetrine illuminate da fibre ottiche.

Il Museo della Città nel monastero di Santa Giulia può essere considerato un

emblema della consapevolezza maturata in Italia in materia di rapporto fra il museo e il pubblico, rapporto che si basa su un approccio stimolante all’archeologia e alla storia dell’arte intese come elementi inscindibili dalla vita e dalla continuità cittadina.

Brescia, Museo della Città. L’allestimento. Fonte: http://www.lombardiabeniculturali.it

Brescia, Museo della Città. La musealizzazionedelle domus. Fonte: http://www.lombardiabeniculturali.it