• Non ci sono risultati.

L'interpretazione analogica nel pensiero di Norberto Bobbio.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'interpretazione analogica nel pensiero di Norberto Bobbio."

Copied!
113
0
0

Testo completo

(1)

Indice

Introduzione - Libro l’ analogia nella logica del diritto p. 3

Capitolo I - La vicenda storica dell’analogia secondo Bobbio p. 5

1.1 L’interpretatio nell’opera dei trattatisti e dei giuristi dialettici. p. 5 1.2 L’interpretatio nella dottrina dei teologi p.14 1.3 Dall’interpretatio all’analogia e i giuristi del XIX p.19

Capitolo II p.28

2.1 L’analogia logica p.28

2.2 L’attività di interpretazione e la distinzione tra interpretazione estensiva e

analogia. p.37

2.3 L’analogia giuridica p.42

Capitolo III - L’analogia secondo G.Tarello e R.Guastini p.49

Prima sezione

3.1 Tarello : l’interpretazione del diritto e della legge. p.49 3.2 “Interpretazione” Significato : l’attività di chi interpreta e i documenti del suo risultato : interpretazione-attività e interpretazione-prodotto. p.53 3.3 Il ruolo della logica nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto.

(2)

Seconda sezione

3.4 Guastini : la duplice indeterminatezza del diritto p.64

3.5 La vaghezza delle norme p.69

3.6 L’argomentazione delle decisioni interpretative p.76

3.7 Analogia e interpretazione estensiva p.77

3.8 La disciplina legale dell’interpretazione p.80

Capitolo IV

4.1 Il problema dell’analogia nelle norme eccezionali p.85

4.2 L’analogia nel diritto penale p.92

4.3 L’analogia nel diritto penale secondo Bobbio p. 99 4.4 L’analogia nel codice penale sovietico p.104

(3)

INTRODUZIONE

Libro l’analogia nella logica del diritto

La preoccupazione principale di Bobbio, va subito detto, è assolutamente chiara e ripetutamente, talora appassionatamente dichiarata: difendere e fondare, con il principio di legalità, la certezza del diritto e le sue valenze liberali contro “i nuovi ideali del giudice-legislatore e della scienza creatrice di diritto” espressi dalle varie tendenze – dalla “giurisprudenza degli interessi” alla “scuola del libero diritto” – a “uscir fuori dall’ordinamento stesso, rivolgendosi ad altre fonti di diritto, e principalmente alla giurisdizione e alla scienza”. Fu proprio per contrastare gli attacchi al principio di legalità che in quegli anni venivano portati, in nome dell’analogia, non solo sul piano teorico ma anche, nella Germania nazista e nell’Unione Sovietica, sul terreno della legislazione penale, che Bobbio propose una duplice restrizione del ragionamento analogico: il suo rigido ancoraggio alla legge e la sua configurazione come ragionamento logico, di tipo o deduttivo o induttivo. Ma ciò che preme a Bobbio è “dimostrare” che “l’argomento per analogia può essere un argomento di certezza” ed affermare la sua “piena compatibilità con la concezione della legge come il “certo” del diritto” (p.141): cioè esattamente il contrario delle tesi che identificano nell’analogia uno strumento di creazione del diritto mediante integrazione della legge, cui ricorrere di fronte a

(4)

Il fondamento di questa ridefinizione dell’analogia, dichiara Bobbio, è evidentemente una concezione antivolontaristica e razionalistica del diritto, che postula “l’intima razionalità del sistema positivo” quale presupposto non solo della scienza giuridica ma anche di ogni applicazione razionale del diritto: “è in questa razionalità che trova fondamento, senza andare a trovare giustificazioni trascendenti, l’estensione analogica, in quanto essa è prima di tutto un procedimento logico che contribuisce a dare alla norma, considerata nel suo valore razionale, tutta la sua efficacia”. Precisamente, egli aggiunge, “la sua giustificazione e il suo fondamento” risiedono nell’idea stessa “di ordinamento giuridico come sistema razionale” assunta “a ipotesi fondamentale, come espressione di un’esigenza razionale intrinseca al mondo delle azioni”. Si manifesta qui quel nesso tra diritto e ragione che rappresenterà un tratto costante e distintivo di tutta l’opera di Bobbio.

(5)

CAPITOLO I

LA VICENDA STORICA DELL’ANALOGIA SECONDO BOBBIO

1.1 L’interpretatio nell’opera dei trattatisti e dei giuristi dialettici.

Il tentativo di ricostruire una dottrina giuridica sull’interpretatio può farsi risalire, secondo Bobbio1, al Medioevo, quando i giuristi dell’epoca rinvennero in alcuni frammenti del Digesto2, il fondamento giustificativo dell’attività integratrice compiuta dagli interpreti3.

Questi frammenti4 furono presi in esame dai glossatori5, dai commentatori6 ed infine dai trattatisti7.

Il primo trattatello sull’argomento che, secondo Bobbio, ci sarebbe pervenuto è quello di Bartolomeo Cepolla, intitolato De interpretazione legis extensiva8.

L’Autore del trattato ritiene che si possa parlare d’interpretazione estensiva, cioè in definitiva di vera e propria interpretazione, solo quando il caso non sia

1 N. BOBBIO, L’analogia nella logica del diritto, Milano, 2006 2

Frammenti 10 e 12 del tit. De legibus senatusque consulti set longa consuetudine (D. 1, 3)

3C. A. CANNATA – A. GAMBARO, Lineamenti di storia della giurisprudenza europea, Torino, 1989

4 AA.VV. (a cura di Filippo Liotta), Studi di storia del diritto medioevale e moderno Bologna, 1999, pp. 132 ss.

5

Fra cui Irnerio, cfr. E. BESTA, L’opera di irnerio, Torino, 1896, II, pp. 5-6 6Fra cui Baldo, si veda L. DE MAURI, Regulae juris, Milano, 1984

7TURAMINUS, Ad rubricam pandectarum de legibus libri tres, et in eiusdem tituli leges

commentarii, Firenze, 1590; HIERONYMUS CAGNOLUS, De regulis juris, Venezia, 1558, si veda

il trattato CEPOLLA, De verborum significatione, Lugduni, 1551, col. 34, n. 131, dove l’Autore tratta dell’interpretazione in generale.

8D. BARTHOLOMAEI CEPOLLAE VERONENSIS, Juriconsulti clarissimi, de interpretatione legis

extensiva, uberrimus ac utilissimus tractatus, nec non; D. MATTHAEI MATHESILANI

BONONIENSIS, I.U.D. Celeberrimi, alter eiusdem argumenti, aureus tractatus. omnia nunc primum

summo studio ac diligentia D. Gabrielis Saraynae Veronensis i.u.d. in lucem emissa, additis summariis et reportoriis, Venezia, 1557.

L’opera del Cepolla è divisa in 8 capitoli, tutti dedicati al tema dell’extensio. Egli esamina l’interpretazione estensiva nella sua definizione parola per parola(cap.I); distingue lìextensio in attiva e passiva (cap.II, III, IV); ne rinviene il fondamento nel diritto naturale, essendo fondata sull’aequitas (cap.V, VI); ne evidenzia la finalità nell’esigenza di evitare l’assurdità della legge (cap.VII). Il libro si chiude con la questione circa la fonte dell’extensio, da dove cioè si possa ricavare (cap.VIII).

(6)

compreso né nelle parole, né nella mens, né nella ratio della legge, perché se il caso fosse compreso attraverso i suddetti modi, esso dovrebbe considerarsi “espresso”.

La riduzione al caso “espresso” quindi non porterebbe ad una vera extensio ma semplicemente ad una intensio, una comprehensio o tutt’al più ad una

interpretatio intensiva.

Secondo il Cepolla, quindi, perché si possa parlare di vera e propria extensio, sarebbe necessario che soccorra soltanto una similis ratio e non già l’eadem

ratio.

L’extensio costituirebbe in definitiva quell’attività giuridica utile per colmare le lacune della legge, quell’attività che, secondo l’accezione moderna, si sarebbe soliti definire come analogia.

La stessa questione distintiva tra pura e semplice comprensione della legge ed estensione (quindi interpretatio autentica), si ritroverebbe, secondo Bobbio, anche nel Tractatus de iuris interpretatione di Costanzo Roggero9.

Egli affronta il tema dell’interpretazione non da un punto di vista logico, ma ai fini della pratica forense, cercando di fissare, per ciascun tipo di legge, la maggiore o minore possibilità di estensione10.

9

COSTANZO ROGGERO, Tractatus de iuris interpretazione, Lugduni, 1549, è stato composto nel 1463 come risulta nella prefazione.

10 Il trattato è diviso in dodici capitoli: nei primi quattro, il Roggero affrontata argomenti generali sulla natura (I), sui modi (II), sulle fonti (III), sull’uso (IV) dell’interpretazione; esamina il problema dell’interpretazione successivamente rispetto alle leggi correttive (V), alle leggi esorbitanti (VI), alle leggi penali (VII), alle leggi non odiose (VIII) e infine analizza l’argomentum a contrario (IX), l’interpretazione dei correlativi (X), l’interpretazione delle leggi nuove (XI), per finire con alcune considerazioni di carattere didascalico sugli strumenti dell’interpretazione (XII).

(7)

Dopo aver fissato alcuni principi generali in tema d’interpretazione, il Roggero, allineandosi agli altri trattatisti del suo tempo, afferma che

l’extensio è la sola vera e propria interpretatio.

Un altro trattato che Bobbio prende in considerazione nella sua ricostruzione storica è quello del Gammaro11.

Secondo il giurista, due sono i modi dell’interpretazione: “circa verba” e “circa mentem”. La prima si suddivide in intensio, che sarebbe l’interpretazione larga di una parola, e remissio, che sarebbe l’interpretazione stretta di una parola; la seconda che è quella che ci interessa si suddistingue in

intensio ed extensio, cioè rispettivamente in interpretazione estensiva e

analogia.

Bobbio rileva come i giuristi del medioevo12 esprimessero tale distinzione (interpretazione/analogia) con una terminologia fondamentalmente più esatta, distinguendo un’interpretazione semplicemente comprensiva della legge da un’interpretazione veramente estensiva, nella quale collocavano l’analogia13

. Un altro trattato significativo in tema d’interpretazione sarebbe quello del giurista bresciano Federici14, che ripropone la distinzione tra completamento

11 PETRUS ANDREAS GAMMARUS, De extensionibus, in tractatus universi iuris, t. XVIII, cc. 247-260.

12

Più in generale sui giuristi-filosofi del Medioevo, si veda M. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI, Storia della filosofia medievale : da Boezio a Wyclif, Roma, 1996

13 N. BOBBIO, L’analogia, cit., p. 43. L’Autore ricorda, a titolo di esempio, il giurista Everardo, che distingue a tal fine un significato stretto e uno largo della parola interpretatio.

14

STEPHANUS DE PHEDERICIS; De interpretazione iuris, commentarii quattuor, Lugduni, 1536; ristampato in Tractatus universi iuris, t. I, cc. 209 – 225, con il titolo “Deinterpretatione legum”. Il trattato è diviso in quattro parti: la I parte dedicata propriamente all’interpretazione (estensiva e restrittiva), la IV parte invece è dedicata all’analogia.

(8)

della legge attraverso l’esplicazione dell’intenzione implicita e il completamento dell’ordinamento giuridico attraverso il ragionamento logico. Il giurista, con estrema chiarezza, afferma che occorre ricostruire la mens legis quando vi sia divergenza fra mens e verba; quando invece si tratti di un caso nuovo, cioè non compreso né nei verba né nella mens, è necessario estendere al caso non regolato (c.d. lacuna) la norma del caso simile15.

Dopo il Federici, rileva Bobbio, non si ebbero opere innovative in materia di analogia, anzi dopo di lui la sistemazione del problema poteva dirsi sostanzialmente compiuta. Del problema relativo all’interpretatio, ad esempio, non mancò di occuparsi il giurista Donatello16 ma questi, pur accogliendo la distinzione fra interpretazione restrittiva ed estensiva, non fece minimamente menzione nei suoi commentari al tema dell’analogia. Da allora in poi, sottolinea Bobbio, della distinzione del Federici non si fece più parola e questa omissione finì per avallare l’accusa secondo cui i giuristi medioevali non distinguessero tra interpretazione estensiva e analogia17.

Sulle stesse orme del Donello, si posero altri due giuristi tedeschi del XVII secolo: il Forster18 e lo Hunn19, allievo del precedente.

15 N. BOBBIO, L’analogia, cit., p. 45. L’Autore sottolinea come il Federici abbia evidenziato non solo che l’interpretazione estensiva e restrittiva si verifichino quando vi sia un’eccedenza da una parte o dall’altra tra l’interpretazione e le parole, ma abbia anche individuato ben diciassette argomenti per riconoscere l’eccedenza dell’intenzione e quattordici per riconoscere l’eccedenza delle parole.

16

DONELLUS, Commentarii, I, capp. 13, 14, 15. 17

N. BOBBIO, L’analogia, cit., p. 47. L’Autore rileva come invece nelle opere del tempo l’analogia non fosse disconosciuta ma anzi già implicita nel significato più ampio d’interpretazione .

18 VALENTINI GUGLIELMI FORSTIERI, Interpres sive de interpretazione iuris, libri duo, Viterbergae, 1613, ristampato in Thesaurus iuris romani everardi ottonis, Lugd. Bat., 1726, t. II, p. 945. L’opera è divisa in due libri in base alla distinzione dell’interpretazione in generale o filologica e speciale o propria dei giuristi. La prima si divide in grammaticale, dialettica, retorica, storica, etico-politica, ecc..; la seconda si divide in volgare e in magis singularis, che può essere dichiarativa, restrittiva ed estensiva.

(9)

Il primo, prendendo in considerazione l’interpretazione estensiva, evidenzia il fondamento dell’estensione e i limiti di essa e ribadisce come l’analogia (o almeno quello che i moderni definiscono come tale) rientri nell’interpretazione estensiva. Il secondo non si discosta sostanzialmente dalla posizione del suo insigne maestro.

Bobbio non manca di far menzione nella sua opera20 di altri due trattati, quello del Felde21 e quello del Placcio22.

Felde sarebbe l’autore del primo tentativo di elaborare una vera e propria scienza dell’interpretazione; Placcio, muovendo dalla tesi che l’interpretazione mira ad eliminare i vizi della legge, distingue i vari tipi d’interpretazione in base ai diversi tipi di vizi di cui la legge può essere affetta.

Bobbio evidenzia come il tema dell'analogia dovesse necessariamente essere approfondito in sede logica, attraverso quella continua e meticolosa attività di argomentazione diretta ad estrapolare i principi da una serie di dati empirici. Dopo aver rilevato la rilevante e necessaria funzione svolta dal metodo dialettico nella storia della giurisprudenza, l'Autore sottolinea come i primi veri e propri trattati di logica giuridica e quindi d’interpretazione, considerata non più nel suo significato pratico ma nel suo valore logico, si debbano collocare all'inizio del XVI secolo.

19

HELFRICUS ULRICUS HUNNIUS, De interpretazione et authoritate iuris libri duo, Giessen, 1615. Solo il primo libro dell’opera è dedicata all’interpretazione nella duplice veste di restrittiva e estensiva.

20 N. BOBBIO, L’analogia, cit., p. 49

21 JOANNIS VON FELDE, Tractatus de scientia interpretandi, cum in genere omnes alias orazione,

tum in specie leges romanas, helmstadii, typis et sumptibus henrici hessii, 1689.

22 VINCENTIUS PLACCIUS, De juriconsulto perfecto sive interpretazione legum in genere, liber

singularis, itemque musae juridicae sive opuscula juridica novem, ii ed., holmiae et hamburgi, Apud

(10)

Mentre i giuristi esaminati in precedenza si erano occupati in gran parte del fondamento e dei limiti dell'estensione, ora i nuovi trattati di logica pretenderebbero di valutare la struttura logica di quell'estensione, con i mezzi della logica scolastica.

La base di partenza era costituita dalle compilazioni di logica generale più conosciute a quel tempo.

La fonte indiretta era pur sempre l'opera aristotelica23, ma le fonti dirette erano soprattutto Boezio24 e per i tempi moderni Rodolfo Agricola25. Erano opere di contenuto vario e tutte erano indicate sotto il nome comune di "dialettica legale"26.

Escluso il trattatello del Gammaro27, queste trattazioni di logica giuridica provenivano dall'area germanica e si svilupparono nel sec. XVI e nei primi del sec. XVII28. Il problema dell'analogia, considerato sotto il profilo logico, veniva affrontato tutte le volte in cui si distingueva la scienza dialettica, la dottrina del giudizio e la dottrina dell'invenzione. La prima esaminava

23 G. ZANETTI, Ragion pratica e diritto : un percorso aristotelico, Milano, 2001 24

BOETIUS, Dialectica, Venetiis, Johannis Gryphius, 1549; BOETIUS, Commentariorum in topicis

ciceronis, libri sex, pp. 223¬260 e De differentiis topicis, libri quattuor, pp. 260-272. Su Boezio si

veda anche M. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI, Storia della filosofia medievale, cit., pp. 70 ss.

25

RODOLPHUS AGRICOLA, De invenzione dialectica, libri tres, Coloniae, 1538

26 Queste opere comprendevano a volte solo la topica o dottrina dei « loci » o ars inveniendi, altre volte la topica e insieme l'analitica, vale a dire la dottrina del giudizio e del sillogismo o ars judicandi, altre volte ancora non soltanto l'argumentatio (logica e topica), ma anche la dottrina dell'expositio (categorie), insomma pressoché tutta la materia dell'opera aristotelica, dalla dottrina delle categorie agli elenchi sofistici. Comunque, ricorda l'Autore, l'espressione dialettica non si riferiva evidentemente a questa o a quella materia ma, proprio secondo il suo significato prevalente nelle scuole,indicava lo scopo a cui quelle trattazioni miravano che era quello non già di fissare principi del vero e del falso, ma di esporre un'arte dell'argomentazione, da realizzarsi in particolare nella pratica forense. In ogni caso però la parte più corposa era pur sempre la dottrina dei luoghi (o topica).

27 PETRUS ANDREAS GAMMARUS, Dialectica legalis, 1535 (senza luogo). 28 Alcune di queste opere saranno ricordate dal Leibniz

(11)

l'argomentazione logica nelle tipiche forme, enucleate da Aristotele e precisate dalla scolastica (sillogismo, induzione, entimema ed esempio), la seconda esaminava e classificava i vari luoghi da cui le argomentazioni potevano essere tratte (c.d. dottrina dei luoghi o topica). Dall'argomentazione e dal luogo si ricavava l'argumentum, cioè la ratio dell'argomentazione.

L'argumentatio era quindi la forma discorsiva in cui veniva svolto l'argomentum, ovvero lo svolgimento di un determinato argomento mediante il discorso. Il locus era invece la sedes argumenti cioè la materia da cui si traeva l'argumentum. Insomma un determinato argomento veniva ricavato dal locus e svolto mediante l'argumentatio.

Bobbio rileva dunque come all'argomento per analogia, cioè all'argomento fondato sulla somiglianza, dovessero corrispondere sia una argomentazione particolare, di cui si occupava la logica del giudizio, sia un luogo particolare, di cui si occupava la topica. Quell'argomentazione era l'exemplum e quel luogo era il locus a simili29.

L'argomentazione per exemplum sarebbe quell'argomentazione con la quale si opera il passaggio da un particolare ad un altro particolare simile.

Bobbio evidenzia come i giuristi dialettici usassero in modo confuso i termini

similitudo, identitas e paritas senza tuttavia coglierne le differenze30.

29 Di questo rapporto tra l'exemplum e il locus a simili si erano già resi conto gli stessi giuristi dialettici: il Gammaro infatti dice che l'exemplum e il locus a simili si distinguono perché mentre il primo è l'argumentatio, il secondo è il locus argumentationis, si veda GAMMARO, Dialettica legalis, cit., c. 2 r.

30 Già il Federici ricordava che nelle fonti la parola similis fosse usata in tre significati diversi, impropriamente come identitas e poi come paritas e infine come convenientia accidentium ad diversas

(12)

Ora, rileva Bobbio, seguendo l'accezione aristotelica31, “somiglianza” non è una qualunque concordanza di due termini, ma la concordanza di due termini sotto l'aspetto della qualità. Su questo punto tutti i dialettici sarebbero risultati concordi.

Una volta chiarita la differenza tra similitudo e identitas, si sarebbe venuta anche a distinguere la similitudo dalla paritas, essendo la prima una concordanza nella qualità, la paritas una concordanza nella quantità.

Per tradurre questa distinzione in termini giuridici, si sostituì al termine generico di "qualitas", la "ratio legis" cioè l'elemento qualitativo che caratterizza una fattispecie giuridica e si concluse che due casi si potevano dir simili quando avessero in comune la ratio.

In questo modo, la similitudo diventava il fondamento per passare da un caso espresso al caso non espresso e quindi uno dei principali strumenti dell'estensione, in base alla nota massima: ubi eadem ratio, ibi eadem juris

dispositio32. Il locus, da cui si traeva l'argomento fondato sulla somiglianza, era il locus a simili33.

species . FEDERICI, De interpretazione iuris, cit., c. 222 r, § 8. Su posizioni analoghe cfr. il MASSA,

De exercitatione jurisperitorum, cit., c. 170 v. § 37..

31 ARISTOTELE, Metafisica, V, 9; 1018 a. Si veda anche G. ZANETTI, Ragion pratica e diritto, cit., pp. 76 ss.

32 Risolto il problema della somiglianza nella sua struttura logica, veniva risolta anche la confusione tra eadem e similis ratio; della ratio soltanto similis non si fa infatti più menzione perché da essa non si poteva trarre alcuna argomentazione logica.

33

Si procedette a vari suddivisioni fra loci interni, quelli che si traggono dalla cosa stessa di cui si tratta e loci externi, quelli cioè che si traggono dal di fuori. Il Gammaro rigettò questa bipartizione, optando invece per una tripartizione fra loci desunti dalla materia stessa in questione o intrinseci, loci posti al di fuori della materia o extrinseci, e foci medii che « aliunde tracci in ipso negotio nascuntur » Un'ampia disamina sopra i due modi, il ciceroniano e il temistiano, di dividere i loci si trova in BOEZIO, De differentiis topicis, cit., I. II e III, pp. 263-269, soprattutto p. 268. Una nuova e più accurata distinzione è fatta dall'AGRICOLA, De invenzione dialettica, cit., con tavola sinottica, 1. I, c. 4; sulla differenza della sua dalle precedenti divisioni, spiegata sinotticamente, 1. I, c. 28. Una diversa

(13)

1.2 L’interpretatio nella dottrina dei teologi

I giuristi dialettici, secondo Bobbio, avevano evidenziato i presupposti logici dell'estensione, avevano esaminato pedissequamente i limiti di essa, ma non avevano affrontato il problema se l'estensione stessa, in quel senso largo in cui veniva considerata, fosse possibile, cioè fosse logicamente compatibile col concetto di legge.

Un'impostazione teorica più precisa della questione si potrebbe invece trovare nei teologi34.

Il problema tradizionale affrontato già nel medioevo,in quanto legato al più generale tema teologico, sarebbe costituito dalla natura della legge, cioè se essa dovesse essere considerata ratio o voluntas.

Nel primo caso la sua forza obbligatoria deriverebbe dall'essere conforme alla ragione naturale, nel secondo dall'essere imposta da una volontà esterna (autorità) che l'avrebbe posta.

Il problema presenterebbe secondo Bobbio una enorme importanza perché se accettassimo la prima soluzione, l'estensione sarebbe lecita tutte le volte in cui essa consista in uno svolgimento razionale della legge; se invece facessimo propria la seconda alternativa, l'estensione non sarebbe più possibile, a meno

partizione distingueva i loci generales, cioè comuni ad ogni forma dell'argomentare, dai loci speciales, propri dell'argomentare giuridico (Vigelius).

In base al criterio seguito da un altro giurista (Agricola), il locus a simili deve essere distinto dal locus a comparatis, che consiste in due termini messi a confronto con un terzo termine comune ad entrambi e si suddivide a sua volta nei tre loci a minori, a majori, a pari.

34 U. MARIANI, Chiesa e stato nei teologi agostiniani del secolo XIV, Roma, 1957; V. PALAZZOLO, Lezioni di storia della filosofia, cit., pp. 26 ss.

(14)

che non si limiti a ricostruire la volontà espressa della legge e quindi limitata tutt'al più al significato delle parole35.

Fra queste due soluzioni i giuristi, propensi di solito a considerare il diritto come promanazione di un'autorità, preferirebbero la seconda ma non per questo rifiutano l'estensione, anzi l'accolgono, pur costretti poi a giustificarla inventando degli espedienti al fine di preservare l'autorità della legge.

Due sarebbero gli strumenti utilizzati dai giuristi a tal fine.

Uno sarebbe l'espediente della volontà tacita del legislatore, in cui si farebbero rientrare tutte le norme consuetudinarie, e l'altro sarebbe costituito dall'espediente della volontà presunta, con cui verrebbe legittimata tutta l'opera integratrice della giurisprudenza36.

In questo modo i giuristi attribuivano al legislatore ciò che questi non aveva mai detto, ma che era presumibile che dicesse qualora vi avesse pensato, conciliando così le difficoltà della teoria e le esigenze della pratica.

Gli scrittori di teologia morale37, affermati nel periodo della controriforma, elaborarono la loro teoria delle leggi rifacendosi alla corrente di pensiero tomistica.

35

Si tornerebbe, secondo l'Autore, a quella distinzione già nota tra l'extensio della legge, possibile se condotta con procedimenti logici e la comprehensio, a cui effettivamente si riduce ogni interpretazione, che presupponga la legge come atto di volontà, cioè a quella distinzione tra l'esplicazione analitica della legge, intesa come atto razionale e l'interpretazione della legge, intesa come atto di volontà.

36 N. BOBBIO, L'analogia, cit., pp. 65 ss. L'Autore ricorda come già i giureconsulti romani, dovendo equiparare la consuetudine alla legge per giustificarne la forza obbligatoria, erano ricorsi alla "tacita civium conventio" (v. Hermogenianus, fr. 35 D. 1, 3).

37

N. BOBBIO, L’analogia, cit., pp. 65 ss. I teologi morali affrontarono il problema dell'estensio sia in trattazioni specifiche sulle leggi, tra cui prima e più nota quella del Suárez e quindi quelle del de Salas e del Bonacina, sia in numerosi trattati di teologia morale, che si andarono moltiplicando sulla fine del Cinquecento sino alla sistemazione compiuta da S. Alfonso de' Liguori.

(15)

La vexata quaestio se il diritto fosse ratio o voluntas aveva trovato una pacifica soluzione nella distinzione ripresa dal tomismo tra diritto naturale e diritto positivo: l'uno era inteso come l'espressione della ragione, l'altro come promanazione della volontà.

La volontà che costituirebbe la ratio del diritto positivo dovrebbe essere, secondo S. Tommaso38, una volontà razionale cioè conforme al diritto naturale e non una volontà arbitraria né una qualsiasi volontà di potenza39.

Identificato il diritto naturale o razionale come suprema categoria giuridica in S. Tommaso40, non si dovrebbe ignorare tuttavia come l'elemento volontaristico svolga comunque un'importante funzione nel diritto positivo, essendo questo l'espressione di un atto di volontà sovrana.

Che una norma di diritto positivo, rileva Bobbio, non possa contrastare con il diritto naturale, non vuol dire che il diritto si riduca totalmente a diritto naturale. Vi sarebbe una parte cospicua del diritto positivo che non potrebbe essere dedotta dal diritto naturale perché sarebbe stata posta in essere da una volontà e si giustificherebbe unicamente per il fatto di conseguire il bonum

commune.

38 V. PALAZZOLO, Lezioni di storia della filosofia, cit., pp. 26 ss.

39 S.TOMMASO, Summa theologica, 2a, 2ae, q. 57, a. 2, ad secundum dicendum. "...si aliquid de se repugnantiam habeat ad ius naturale, non potest voluntate humana fieri justum...”[e reciprocamente] “Voluntas humana ex communi condicto potest aliquid facere iustum in his quae secundum se non habent aliquam repu¬gnantiam ad naturalem iustitiam". Da ultimo, S. TOMMASO, Summa

theologica , Bologna, 1985. N. BOBBIO, L'analogia, cit., p.69. L'Autore ricorda che il ragionamento

sarebbe riconfermato da quell'altra celebre distinzione di San Tommaso, fra lex naturalis e lex humana, dove la "lex ab hominibus inventa" sarebbe quella"secundum quam in particulari disponuntur quae in lege naturae continentur ".

40 Sul tema dell’analogia in S. Tommaso, si veda R. MC INERNY ( a cura di Stephen L. Brock; traduzione di Fulvio Di Blasi), L’analogia in Tommaso D’Aquino , Roma, 1999

(16)

Il problema dell'interpretazione quindi si porrebbe esclusivamente per il diritto positivo, come rileva infatti il Suárez 41il quale afferma che per la lex naturalis non si potrebbe neppure porre un problema di extensio42.

Se il diritto positivo è il frutto di una volontà sovrana, questa non potrebbe essere vincolata a regolare casi da essa non previsti, dunque l'interpretazione non sarebbe possibile, perché violerebbe l'autorità della legge.

L'estensione sarebbe quindi ammissibile solo nel caso di eadem ratio e non di

similis ratio poiché solo nel primo caso si rispetterebbe la volontà del

legislatore.

Bobbio evidenzia tuttavia come non si sarebbe trattato di vera e propria interpretazione estensiva, perché si sarebbe fatto dire alla legge quello che essa veramente voleva dire, ma di semplice comprehensio.

In questo modo, data l'ampiezza con cui essa veniva intesa, c'era il rischio di violare quella volontà che si voleva invece tutelare ad oltranza. Per scongiurare una simile eventualità, Suárez sottolinea che la comprehensio della legge non doveva ammettersi sempre, ma soltanto quando, non ammettendola, ne sarebbe scaturita una ingiustizia o una contraddizione43.

41

FRANCISCO SUAREZ, Tractatus de legibus ac de deo legislatore, Opera Omnia, Venetiis, 1740, t. V, 1. VI, De interpretazione, cessazione et mutazione humanarum legum. Si veda anche di recente pubblicazione, FRANCISCO SUAREZ, Trattato delle leggi e di dio legislatore, Libro I, Padova, 2008. Per una disamina del suo pensiero, V. PALAZZOLO, Lezioni di storia della filosofia, cit., pp. 42 ss.

42

FRANCISCO SUAREZ, Tractatus, cit., p. 329.L'Autore: "nam si lex hominis tantum sit declarativa rationis naturalis, sine dubio tantum extendetur, quantum ipsa ratio"

43 FRANCISCO SUAREZ, Tractatus, cit., p. 334. Egli distingue due tipi di comprehensio, una di necessità e l'altra di congruità.

(17)

Per evitare abusi dell' eadem ratio, riconoscendola anche laddove non esisteva, i teologi stabilirono quindi tassativamente i casi in cui essa sussisteva ed era quindi ammessa l'extensio44.

In via di anticipazione, possiamo dire comunque che la parola "analogia", nel significato moderno di ragionamento logico basato sulla somiglianza dei termini, era rimasta sconosciuta ai giuristi dialettici e ai teologi45.

Il suo significato, come vedremo meglio in seguito, subì dei continui aggiustamenti semantici: dal significato matematico di "proporzione" in cui l'adoperò la filosofia greca46, sino al significato più generico di "comparazione"47.

Fu proprio in questo secondo senso che la parola "analogia" tornò in uso da parte della giurisprudenza, che riferendosi ad essa parlava di "exemplum".

44 N. BOBBIO, L'analogia, cit., p. 73. Questi casi sono quattro, i correlativi, gli equiparati, i connexi e i contenti.

45 N. BOBBIO, L’analogia, cit., pp. 75 ss. L'Autore ricorda come la parola "analogia" accolta e diffusa soprattutto dai grammatici, presso cui lasciò addirittura il nome ad una scuola , entrò attraverso i grammatici nel mondo latino e attraverso la compilazione di Isidoro fu tramandata al pensiero medioevale. La filosofia scolastica utilizzò la distinzione tra i tre tipi di parole, univoche, equivoche e analoghe e fu appunto nella filosofia scolastica che l'analogia divenne un concetto filosofico fondamentale per l'importanza che venne attribuito al rapporto analogico tra l'uomo e Dio e quindi alla conoscenza analogica, come forma di conoscenza propria della teologia .

46 Per un'ampia analisi dell'analogia nella filosofia greca, si veda A. PASTORE, Sillogismo e

proporzione, Torino, 1910, pp. 81-209. Da ultimo, L. GERNET (a cura di A. TADDEI) Diritto e civiltà in grecia antica, Firenze, 2000

47 D'altronde già in CICERONE i due significati estremi si trovano uniti nella spiegazione che egli dà del termine analogia: « Id optime adsequitur, quae Graece analoghia, latine comparatio proportiove dici potest » (Timaeus, 13).

(18)

1.3 Dall’interpretatio all’analogia e i giuristi del XIX

La parola "interpretazione analogica" comparirebbe per la prima volta, secondo Bobbio, nelle opere del giurista olandese Joachim Hopper, esponente della scuola del Mudaeus48.

Lo Hopper, partendo dallo studio dei principi giurisprudenziali, sarebbe giunto a suddividere l' interpretazione, in base alla fonte da cui promana, in tre tipologie: interpretazione scholastica, che è quella compiuta dai giureconsulti, quella forensis, compiuta dai giudici nelle soluzioni delle controversie e quella

politica, effettuata dal legislatore stesso.

L'interpretatio scholastica si suddividerebbe ulteriormente in quattro tipi, ovvero historica, etymologica, practica e analogica.

Quest'ultima sarebbe l'interpretazione diretta a rimuovere le apparenti contraddizioni che si coglierebbero mettendo a confronto (da cui il nome di analogica) le varie leggi e comprenderebbe quindi quell'attività svolta dai giureconsulti per mantenere la coerenza e la razionalità di un certo ordinamento giuridico.

Così intesa l'analogia non avrebbe niente a che fare con l'interpretazione estensiva, la quale, basandosi proprio su una presunta sistematicità

48

HOPPER, De juris arte, Lovanio, 1553, in Tractatus universi iuris, t. I, cc. 81-103; In veram jurisprudentiam Isagoges ad filium, libri otto, (Nempe: Paratítlon juris civilis sive de divinarum et humanarum rerum principiis, libri quattuor. Elementorum juris sive de principiis fusti et iniusti, libri quattuor), Coloniae, apud Maternum Cholinum, 1580; Seduardus sive De vera jurisprudentia, ad Regem, libri duodecim. (Nempe: Nomothesias, sive de juris et legion condendarum scientia, libri quattuor. Rerum divinarum et humanarum, sive de jure civili publico, libri quattuor. Ad Pandectas, sive de jure civili privato, libri quattuor), Antverpiae, in Officina Plantiniana, apud viduam et Joannem Moretum, 1590.

(19)

dell'ordinamento, si limiterebbe a regolare un caso non compreso nel sistema49.

Insomma interpretazione analogica, per Hopper, vorrebbe dire non già interpretazione estensiva dal simile al simile, ma più semplicemente interpretazione comparativa, volta a cogliere la razionalità e la coerenza nell'apparente e talvolta effettivo disordine logico delle leggi.

E' evidente come tale impostazione fosse destinata ad aver enorme fortuna anche perché la "comparazione" era già considerata lo strumento principale di lavoro di ogni giurista50.

In tal modo, essa venne ripresa da Alberico Gentili51, il quale, volendo difendere i giuristi italiani dall' accusa di non conoscere la lingua latina mossagli dai giuristi della scuola colta 52, affermava che i primi volessero soddisfare esigenze nuove attraverso il loro diverso metodo di interpretare il diritto.

Questo metodo, che Bobbio definisce "dommatico" in opposizione a quello "storico", verrebbe raffigurato nell'interpretazione analogica in opposizione

49 N. BOBBIO, L'analogia, cit., p. 79 ricorda che lo stesso Hopper in un'altra sua opera distinguendo l'interpretazione giuridica a seconda che essa serva ad intelligendum o ad supplendum, fa rientrare l'interpretatio analogica non già nella categoria "ad supplendum", come avrebbe fatto se essa avesse avuto anche minimamente il significato di interpretazione estensiva, bensì nella categoria "ad intelligendum", che equivale alla nostra interpretazione logica.

50 Allo studio della comparazione, come strumento comune ai giudici e ai giuristi, è dedicata, ricorda Bobbio, l'opera del MASSA, De exercitatione jurisperitorum, cit.

51

ALBERICI GENTILIS, De juris interpretibus, libri sex, edizione a cura di Astuti, Torino, 1937 (la I ed. è del 1582, Londini, apud Johannem Wolfium), pp. 68, 74, 81. Per una disamina del pensiero, V. PALAZZOLO, Lezioni di storia della filosofia, cit., p. 42

52 BRUGI, I dialoghi di a. gentili intorno agli interpreti delle leggi, I giureconsulti italiani del sec.

XVI, La riabilitazione dei giureconsulti accursiani, pubblicati rispettivamente in « Studi in onore di E

Schupfer », I, pp. 71-84, in « Archivio giuridico », 1903, pp. 247-270, e in « Studi senesi in onore di L. Moriani », 1, pp. 129-141; ristampati nella raccolta di saggi: Per la storia della giurisprudenza e delle Università italiane, cit., pp. 78-122.

(20)

all'interpretazione historica ed etymologica, in quanto appunto consisterebbe nello studio delle leggi, non già nel loro significato storico o etimologico, ma nella loro collocazione all'interno di un sistema organico di leggi, comparando le leggi simili e contrapponendo quelle contrarie, con un procedimento insomma che a tutti gli effetti potrebbe definirsi comparativo cioè analogico. Sulle stesse posizioni del Gentili si porrebbe anche il giurista Alberto Bologneti53.

Con lo sviluppo degli studi giuridici nei secoli XVII e XVIII si fece sempre più strada l'idea che tutte le leggi fossero imperniate in un'incontestabile spirito razionalistico che avrebbe consentito di ridurle ad un unico sistema complessivo.

L'ispiratrice della nuova tendenza fu indubbiamente la filosofia del giusnaturalismo54: si pensi ai tre più celebri filosofi del tempo, Domat, Leibniz55 e Vico56.

Proprio il diritto naturale fornì una incontrovertibile legittimazione all'idea della razionalità del diritto, in virtù della quale tutte le leggi sarebbero unite in un sistema logico e coerente.

Bobbio rileva inoltre come, ad un certo punto, dall'interpretazione analogica, nel suo significato più diffuso di interpretazione comparativa ("conciliatio

53

ASTUTI, Mos italicum e mos gallicum, cit., pp. 135-136 54

Sul giusnaturalismo si veda N. BOBBIO, Il positivismo giuridico, Torino, 1996, pp. 13 ss.

55 P. BELLINAZZI, Conoscenza, morale, diritto : il futuro della metafisica in Liebniz, Kant,

Schopenhauer, Pisa, 1990; V. PALAZZOLO, Lezioni di storia della filosofia del diritto, Pisa, 1985,

pp. 67 ss. 56

B. DONATI, Domat e Vico ossia del sistema del diritto universale, in « nuovi studi sulla filosofia

civile di g. b. vico », Firenze, 1936, pp. 263-319, che contiene anche interessanti cenni sulla teoria del

sistema giuridico (pp. 264-270). Si veda anche, L. BELLOFIORE, La dottrina del diritto naturale in

(21)

legum obstantium seu oppugnantium"), si passò all'espressione analogia juris,

per indicare l'intero sistema delle leggi. Secondo Bobbio, noi ora useremmo questa espressione senza renderci conto in modo preciso del suo valore, ma, riportata alla sua origine, risulta evidente che essa rappresenterebbe il fondamento e allo stesso tempo il frutto dell’ interpretatio analogica57.

Una volta consolidato questo significato dell'analogia, rileva Bobbio, essa servì ai giusnaturalisti per indicare non più la sistematicità delle leggi positive ma la razionalità "vera" del diritto inteso come diritto naturale. L'analogia divenne così il sinonimo stesso di quella razionalità intrinseca del diritto. Lo Hoefler evidenzia come il diritto naturale sia frutto dell'analogia, essendo fondato sulla sola ragione umana58.

Bobbio sottolinea come il concetto di analogia juris, essendo accettato sia dai giuristi positivi sia dai giusnaturalisti, dette vita ad una dibattuta questione, se cioè in caso di lacuna, essa dovesse essere colmata attraverso il ricorso al diritto positivo (soluzione positivistica) o al di fuori di esso (soluzione giusnaturalistica).

57 N. BOBBIO, L'analogia, cit., p.83 L'Autore rileva: "Tale espressione la troviamo in un discorso inaugurale del von Kulpis, il quale s'intrattiene sui vantaggi dell'analogia juris per la scienza e la pratica del diritto , e nella sua accezione più comune, che si manifesta in espressioni siffatte: questa o quella legge sono contrarie o conformi all'analogia juris, la troviamo usata in un opuscoletto del Faber . In questa stessa direzione sono l'Eberwein, il quale, in un saggio altrove già ricordato, definisce l'analogia juris come « harmonia locorum parallelorum » e il Kayser, il quale la definisce: « convenientia principiorum et principiatorum in con-iplexii legum hornogenearion obvia ». E nell'accezione tipica di « sistema » viene accolta dall'Eckhard, quando scrive che « ut omnis scientia, sic juris public' disciplina complexum requirit doctrinarum inter se connexa¬rum, id quod alii systema dicunt nos analogiam vocamus ».

Sta di fatto che o soltanto come armonia o come « convenientia » o addirittura come « systema » l'analogia juris rappresenta sempre, se pur in varie gradazioni, il valore unitario e razionale di una legislazione, quella unità e quella razionalità in cui trovano origine e giustificazione i cosiddetti principi generali del diritto.

(22)

Comunque quello che importa è che in entrambi i casi i giuristi parlavano di

analogia juris59.

Qualunque sia la soluzione alla questione sul significato da attribuirsi all'analogia juris, Bobbio evidenzia come essa era diventata un utile e pratico strumento per risolvere i "vuoti" della legislazione.

In questo significato l' analogia juris era già accolta dallo Hoefler60 e dal giurista Johann Gottfried Kayser 61che affermò come essa servisse per decidere i casi non espressi, simili a quelli espressi.

Bobbio non ha mancato di esaminare un'altra questione, se cioè questa decisione avesse riferimento soltanto all' analogia juris o anche a quella che noi definiamo analogia legis.

Dall'opera del Kayser risulterebbe evidente che la decisione per analogia si potrebbe ricavare anche da una sola legge62 e che quindi l' analogia juris comprenderebbe anche l' analogia legis, la quale appunto rappresenta l'estensione della legge compiuta in base alla somiglianza cioè al ragionamento per analogia.

59

La prima soluzione fu quella adottata fra gli altri anche dal nostro codice, con¬validata dalla direzione quasi costante della dottrina e confermata ora dal nuovo progetto; la seconda soluzione, com'è noto, fu adot¬tata dal codice austriaco, il quale nell'art. 7 delle Disp. prelim. (36) si richiamava ai « naturliche Rechtsgrundsatze ».

60

HOEFLER, op. cit., § 10.

61JOHANN GOMRIFD KAYSER, Dissertatiti juridica de decisione casmon secundum analogiam,

Halae Salicae, 1751; attribuita da alcuni per errore al Nettelbladt stesso.

Fra i requisiti stabiliti dal Kayser, perché si possa esercitare la decisio secundum analogiam, il primo è che il caso da decidersi sia certo, il secondo che vi sia la legge, in cui è deciso il caso simile a quello da decidersi (op. cit., § 3). Ma è evidente allora che qui il riferimento è all'analogia legis.

62 Parla semplicemente di analogia, pur comprendendovi la odierna analogia legis, il GLOCK, Commentario alle Pandette, trad. it., vol. I, § 37;

(23)

La parola "analogia", dopo una serie di passaggi storici, sarebbe così tornata ad acquisire il suo significato originario di somiglianza, tale espressione non indicherebbe altro che il vecchio argumentum a simili di cui parlavano i giuristi scolastici e dialettici, un aspetto della interpretatio extensiva elaborata già dai commentatori .

Interpretazione estensiva ed analogia legis indicherebbero insomma lo stesso procedimento.

Di tale identità, fu ben consapevole, sul finire del secolo XVIII, Thibaut63 che con estrema chiarezza rilevò come l'analogia non potesse essere altro che l'interpretazione estensiva.

Dopo Thibaut, Bobbio passa ad esaminare l'opera del Savigny64.

Questi, dopo aver distinto l'interpretazione dall'analogia, definisce quest'ultima come quel procedimento che "soccorre alla mancanza della legge, ricorrendo

all'unità organica del diritto e non già alla legge simile "65. Risulta evidente il riferimento all' analogia juris e non al ragionamento per analogia (analogia

legis).

Il Savígny, in netta contrapposizione all'orientamento oggi prevalente, che riconosce come unica fonte del diritto la legge, avrebbe finito per infrangere le

63 THIBAUT, Teoria dell'interpretazione logica del diritto in generale e del diritto romano in

particolare, Napoli, 1872 (trad. di de Marinis)All'epoca del Thibaut la dottrina dell'interpretazione

veniva per lo più trattata sotto il nome di « Ermeneutica ». Per un rapido excursus sul pensiero, si veda N. BOBBIO, Il positivismo giuridico, Torino, 1996, pp. 44 ss.

64 V. SOLARI, L'idea individuale e l'idea sociale nel diritto privato, 1911, II, pp. 246-250.

65 SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, trad. it., 1886, I, p. 299. Per un rapido excursus sul pensiero, si veda N. BOBBIO, Il positivismo giuridico, cit., pp. 42 ss.

(24)

ferree regole della logica interpretativa per giungere ad un quid ( sia esso la razionalità o la coscienza storica) che è al di sotto e al di là della legge.

Secondo l'Autore, le qualità che deve avere un sistema di leggi sarebbero due: l'unità e la completezza.

Per ottenere la prima bisogna eliminare le contraddizioni e ciò si otterrebbe attraverso il metodo sistematico e quello storico; per ottenere la seconda bisogna colmare le lacune e ciò si otterrebbe con l'analogia66.

L'interpretazione estensiva e quella restrittiva non avrebbero a che fare con l'incompletezza dell'ordinamento, ma si riferirebbero soltanto al caso dell'inesattezza delle singole leggi, il che si verificherebbe quando ci fosse un contrasto fra pensiero ed espressione67.

Per quanto riguarda la pandettistica dell'Ottocento, Bobbio ricorda come, in tema d'interpretazione, essa non presenterebbe caratteri di novità, oscillando tra le posizioni del Savigny e del Thibaut; ripetendo e a volte mischiando le teorie dell'uno e dell'altro68.

Dopo la codificazione, la disciplina sull'interpretazione contenuta nei pochi articoli delle Preleggi, non suscitò grande interesse da parte della dottrina.

66 Secondo Bobbio, non si può comprendere la distinzione del Savigny senza far riferimento alla sua particolare concezione del diritto e delle fonti del diritto. La scienza giuridica per il Savigny sarebbe una vera e propria fonte primaria di diritto, accanto alla consuetudine e alla legge. Se si attribuisce quindi alla scienza giuridica una funzione non più meramente recettiva, ma bensì creativa del diritto e nello stesso tempo si considera l'analogia come uno strumento della scienza, non si può accettare evidentemente questo valore dell'analogia senza accettare insieme quella funzione della scienza (4) 67 Egli considera l'interpretazione come un'attività tecnica rivolta al fine di correggere la legge, mentre considera l'analogia come uno degli strumenti principali di elaborazione di cui si avvale la scienza giuridica.

68 Con maggior interesse ne tratta il WAECHTER, Pandekten, §§ 25 e 26; con qualche innovazione il WENDT, Lehrbuch der pandekten, § 5.

(25)

In Italia, a differenza della Francia69, non troviamo opere degne di rilievo sull'argomento, tranne rari esempi70.

Bobbio menziona l'opera del Pescatore71 col quale polemizza direttamente il Capitani72; i libretti del Jannuzzi in polemica col Borrelli73 e del Negroni74; la brevissima nota dello Scialoja75, che per di più non affronta il tema dell'analogia.

Bobbio rileva come la dottrina italiana abbia rivolto la sua attenzione solo al tema relativo ai "principi generali di diritto" e su questo argomento si sarebbe dilungata.

Sarebbe stata accolta la tesi secondo cui l'analogia non sarebbe propriamente interpretazione ma interverrebbe solo quando il testo di legge manchi; mentre si ricorrerebbe all'interpretazione quando il testo risulti incomprensibile e consisterebbe nel ricostruire la volontà del legislatore.

Ai primi del '900 l'unica monografia italiana completa sul tema dell'interpretazione fu quella del Degni76.

69

FAUCHER, De la législation en matière d'interprétation des lois en france, Paris, 1835; MAILHER DE CHASSAT, Traité de l'in terprétation des lois, Paris, 1845; DELISLE, Principes de

vinterprétation des lois, Paris, 1852; BROCHER, Elude sur les principes généraux de l'interprétation des lois, Paris, 1872.

70

S. ROMANO, L'interpretazione delle leggi in diritto pubblico, in « Il Filangieri », 1899, p. 241; ALFREDO Rocco, L'interpretazione delle leggi processuali, in « Archivio Giuridico », LXXVII, 1906, p. 87. Anche recentemente sono apparse buone monografie su particolari aspetti del problema interpretativo: VANONI, Natura ed interpretazione delle leggi tributarie, CEDAM, 1932; BELLAVISTA, L'interpretazione della legge penale, Roma, 1936; soprattutto GRASSETTI,

L'interpretazione del negozio giuridico, 1938.

71 M. PESCATORE, La logica del diritto, Utet, 1883, II ed., I, pp. 39 ss. 72 CAPITANI, Analogia, in Digesto italiano;

73

S. JANNUZZI, Della interpretazione e dei suoi limiti, Napoli, 1873; 74 NEGRONI, Dell'interpretazione, Roma, 1878.

75 V. SCIALOJA, Sulla teoria dell'interpretazione delle leggi, in « scritti giuridici », III, pp. 46-49. 76 DEGNI, L'interpretazione della legge, II ed., Napoli, 1909.

(26)

Il metodo tradizionale fu detto "metodo dell'interpretazione storica", in quanto precisava il senso di una norma nel momento storico in cui era stata emanata, o anche "metodo di ricerca della volontà soggettiva", in quanto, attraverso l'esame dei lavori preparatori, cercava di evidenziare la volontà stessa del legislatore.

A questo si oppose "il metodo dell'interpretazione storico-evolutiva" che si poneva come obiettivo quello di adattare il significato della legge all'evoluzione dei tempi, o altrimenti detto "metodo della volontà obiettiva", in quanto, lasciando da parte la volontà del legislatore, si tentava di reperire la volontà della legge77.

Da questa concezione risultò il metodo teleologico78 il quale si configurava come una novità anche se in realtà non era altro che la riproposizione del metodo elaborato dai giuristi del diritto comune.

Tale metodo riteneva che per il completamento della legge si dovesse guardare non tanto alla legge o al legislatore, quanto piuttosto al fine della legge, cioè alla ratio legis.

Un altro modo per colmare le lacune dell'ordinamento consisteva nel far riferimento ad altre fonti di diritto, soprattutto alla giurisdizione e alla scienza79.

77 La più precisa formulazione di questo metodo fu data nell'articolo del KOHLER, Ober die Interpretation von Gesetzen, in « Zeit. f. priv. u. óff. Rechi der Gegenwart », 1886, pp. 1-62.

78 LORENZ BRUT, Die kunst der reclusanweridung, Berlin, 1907, p. 57; ERICH DANZ,

Richterrecht, Berlin, 1912, p. 218, e Einfiihriíng in die rechtsprechung, Jena, 1912; HANS REICHEL,

Gesetz u. Richterspruch, 1915, pp. 70 ss.; e tutti gli Autori citati da R. TREVES, 11 Metodo

teleologico nella filosofia e nella scienza del diritto, in « Rivista internazio¬nale di filosofia del diritto

(27)

Insomma le varie scuole che si diffusero nel XIX secolo proponevano soluzioni diverse al problema dell'interpretazione e accusavano le scuole tradizionali di essere troppo impregnate di logica formale.

In questa caotica situazione, l'analogia continuò ad occupare nelle discussioni dottrinali, un posto di rilievo anche se finì per perdere a poco a poco il suo primitivo significato, divenendo sinonimo di creazione giuridica80.

79 GENY, Méthode d'in¬terprétation et sources en droit privé positif, II ed., 1919, II, pp. 330-430; e REICHEL, Gesetz und Richterspruch, cit., Parte I.

80

Già il Savigny, separando l'analogia dall'interpretazione estensiva aveva mantenuto in vita il significato equivoco del termine. Se in un primo tempo, con le dottrine che sostenevano la completezza dell'ordinamento, l'analogia esercitò la sua vera funzione che è quella di estendere la legge rimanendo nell'ambito di essa, quando poi scoppiò il periodo di crisi della legislazione, in cui, in seguito all'idea che le leggi fossero incomplete, ci si interessò più delle lacune che delle leggi, l'analogia cominciò ad acquistare tanti significati quanti furono di volta in volta i mezzi escogitati per colmare le lacune. Accadde sovente che nelle definizioni di analogia si dicesse ciò a cui essa doveva servire e non già che cosa essa fosse. Infine si accomunò l'analogia al metodo teleologico, si veda E. JUNG, Von der « logischen geschlossenheit » des rechts, in « festg. f. h. dernburg », Berlin, 1900.

(28)

CAPITOLO II L’analogia logica

Il ragionamento per analogia è stato dai logici sia antichi che moderni perlopiù assimilato al ragionamento induttivo.

Per quanto riguarda i logici antichi, e la logica sillogistica fiorita dal ceppo Aristotelico, l’assimilazione dell’analogia all’induzione si spiega perché è ripetutamente indicata dallo stesso Aristotele81.

La differenza tra paradigma ed induzione secondo Aristotele risiede nel fatto che, mentre l’induzione giunge alla conclusione dopo aver esaminato tutti gli individui appartenenti alla totalità, a cui si vuole attribuire il predicato, il paradigma ne esamina soltanto uno o alcuni, o almeno non tutti. Ma è nella retorica, che la dottrina del paradigma trova il suo pieno svolgimento, ed ivi appunto è detto che il paradigma è induzione, e più precisamente è l’induzione oratoria82. In questa qualifica di argomentazione oratoria data al paradigma, trova chiara giustificazione la definizione proposta negli Analitici al fine di differenziarlo dalla induzione, definizione che mal si adattava ad un ragionamento logico, non indicando gli elementi che sono necessari affinché un ragionamento abbia una conclusione, ma non appare invece adatta ad una argomentazione retorica, la quale non ha lo scopo di dare una dimostrazione rigorosa ma soltanto persuasiva; infatti per la persuasione non è necessario che

81

Già nei Primi Analitici, nel capitolo dedicato al paradigma, Aristotele si preoccupava di mettere in evidenza il rapporto che intercorre non già tra paradigma e sillogismo, bensì tra paradigma ed induzione. CALOGERO A. I fondamenti della logica aristotelica.

82

(29)

vengano esaminati e controllati tutti gli individui appartenenti ad una classe, ma basta esaminarne anche solo alcuni o addirittura uno solo, purché siano assunti con il valore di paradigma o esempio. E infatti soltanto chi proceda alla lettura della retorica, e giunga alla distinzione delle due specie di paradigma, l’una in cui si adducono fatti accaduti, l’altra in cui si adducono fatti inventati83, può prenderne in considerazione l’utilità che può consistere o nel dimostrare qualcosa o semplicemente nel testimoniare alcunché. La differenza fondamentale tra queste due specie sta nel fatto che nel primo caso gli esempi addotti devono essere più di uno, invece nel secondo è sufficiente un solo esempio.

Bobbio osserva come in Aristotele non sia presente una vera e propria teoria della logica, ma una volta accettata la dottrina aristotelica del paradigma, simile all’induzione, e trasportato il risultato senza consapevolezza dell’equivoco dal piano retorico al piano logico, il ragionamento per analogia finisce per figurare nel capitolo dedicato alla induzione, sia pure come induzione incompleta o imperfetta e quindi come argomento di probabilità accanto agli argomenti di certezza84.

Bobbio poi osserva come per quanto concerne i logici moderni, essi dovettero prender in considerazione il ragionamento per analogia soltanto come ragionamento induttivo, dato che per essi, posti sul piano delle scienze naturali

83

E questa a sua volta può essere in forma o di parabola o di favola. BOBBIO N., Il ragionamento per

analogia nella logica, Giuffrè, Milano 2006.

84

(30)

e con l’intendimento di fare della logica la teoria generale dei procedimenti conoscitivi delle scienze sperimentali, non vi era altra logica che la logica induttiva, come logica materiale in opposizione a logica formale, implicante per sé stessa la negazione dell’autonomia e della validità della logica formale85.

Bobbio rileva inoltre come non è del tutto evidente il motivo per il quale questi logici considerarono l’analogia soltanto come ragionamento di probabilità, da porre accanto all’induzione vera e propria come cosiddetta “induzione imperfetta”. Infatti non risulta chiaro perché chiamare analogia soltanto il ragionamento probabile e non anche quello rigoroso; in effetti si dovette trattare di una sorta di improprietà di linguaggio nella quale sarebbero incorsi tali logici, oltre che di una impostazione superficiale del problema. La degradazione del ragionamento per analogia a ragionamento imperfetto, parallela alla sua classificazione nella logica induttiva, o in quanto frutto di una pedissequa imitazione aristotelica, o come espressione di nuove esigenze, era pur sempre, principalmente la conseguenza di una considerazione autonoma del ragionamento per analogia, come forma di ragionamento a sé stante, considerazione giustificabile soltanto sul piano retorico, su cui si era posto Aristotele e non sul piano logico sul quale si posero gli studiosi summenzionati86.

85

BOBBIO N., Il ragionamento per analogia nella logica, op. cit.,p.121. 86

(31)

Infatti Bobbio osserva che il ragionamento per analogia, scomposto nei suoi elementi semplici è riducibile al ragionamento sillogistico comune; esso pertanto non è definibile un tipo di ragionamento, ma soltanto come una formulazione tipica con la quale si può rivestire qualsivoglia ragionamento; e allora non soltanto quello induttivo, ma anche quello deduttivo. Dunque sotto il profilo logico, secondo Bobbio, se non si vuole cadere nello stesso equivoco degli studiosi del passato occorre anziché focalizzare l’attenzione sulla figurazione meramente grammaticale e sulla formula, incentrata sulla ragione della sua validità. Infatti se essa non è altro che una formula abbreviata per esprimere certi ragionamenti, quel che conta in una logica non verbalistica è il ragionamento e non la formula87. Questo ragionamento sottinteso cui allude Bobbio, che costituisce la ragione della sua validità intrinseca, può essere tanto deduttivo quanto induttivo, cioè fondato su una proposizione generale o su un’osservazione empirica, perché in fondo a questo soltanto si riduce l’unica differenza teorizzabile fra i due procedimenti88

.

Da un’analisi degli esempi tratti da Aristotele emerge come i ragionamenti accolti nella loro pura formulazione appaiano problematici; per attribuire loro validità di ragionamenti rigorosi occorre sottintendere qualcosa. Dunque

87

BOBBIO N., Il ragionamento per analogia nella logica, op. cit.p.123. 88

A tal proposito Bobbio cita un esempio tratto da Aristotele: la guerra dei Tebani contro i Focesi è un male; la guerra degli Ateniesi contro i Tebani è simile alla guerra dei Tebani contro i Focesi; la guerra contro i Tebani è un male. Bobbio evidenzia come ciò che sottintende Aristotele è nientemeno che la proposizione generale: tutte le guerre contro i popoli confinanti (a cui appartengono come specie rispetto al genere entrambe le guerre dell’esempio) sono un male. ARISTOTELE, Primi Analitici, 1,24; tr.it. di Gabriele Giannantoni.

(32)

appare altresì evidente che la validità del ragionamento è legata alla validità di quella proposizione generale, e che una volta accettata tale proposizione, comunque essa sia posta e in qualunque modo sia stata rinvenuta - il che non interessa alla logica formale - discende da essa e soltanto da essa la validità della conclusione. Peraltro Bobbio osserva come un ragionamento di tal fatta sia un ragionamento deduttivo89.

Inoltre è sufficiente sostituire alla proposizione generale una constatazione di fatto, cioè far dipendere la validità della conclusione dall’osservazione empirica, per far mutare il ragionamento sottinteso da deduttivo a induttivo, cioè per risolvere in un procedimento induttivo anziché deduttivo il ragionamento per analogia90. Per quanto concerne il ragionamento per analogia in senso stretto, Bobbio afferma che esso è schematizzabile con tale formulazione tipica: Q è P; S è simile a Q; S è P; tale formulazione peraltro non offre nessuna garanzia di validità. E infatti la maggiore o minore possibilità di trarre una conclusione valida dipende dall’estensione e dai limiti con cui viene assunto il concetto di somiglianza, che è un concetto di per sé stesso indeterminato e per lo più indeterminabile in linea astratta ed assoluta.

89

Infatti nell’esempio succitato della guerra dei Tebani contro i Focesi la guerra degli Ateniesi contro i Tebani è una guerra contro i popoli confinanti; la guerra degli Ateniesi contro i Tebani è un male, non vi è differenza essenziale sotto il profilo logico, ma soltanto rispetto alla formulazione, nel senso che nella prima formulazione invece di attribuire un predicato alla totalità degli individui di un genere come si fa nella seconda, lo si attribuisce ad un individuo particolare scelto con il significato e la funzione di esempio, cioè come un rappresentante di tutto il genere.

90

Cioè far dipendere la validità della conclusione dall’osservazione empirica che la guerra dei Tebani contro i Focesi è stata un male perché combattuta tra popoli confinanti. Da alcuni autori analizzati da Bobbio è stato sostenuto che l’analogia si distingue in due ragionamenti, uno induttivo e l’altro deduttivo. Vds. BERTINI G.M. La logica, Torino, 1886.

(33)

Egli rileva come la somiglianza non sia un concetto assoluto, ma un concetto relativo, che sposta in più o in meno i suoi limiti a seconda del punto di riferimento che viene di volta in volta assunto. Non soltanto un oggetto può avere con un altro maggiore o minore somiglianza che con un terzo, ma anche tra due oggetti può variare la misura della somiglianza a seconda del diverso termine di confronto, a cui vengono riferiti. Pertanto secondo l’autore è assurdo parlare di somiglianza tra due oggetti in termine assoluto; ma è possibile soltanto in relazione al punto di riferimento che viene assunto per stabilire tra quei due oggetti un raffronto, posto che due oggetti, simili rispetto ad un determinato punto di riferimento, possono essere dissimili rispetto ad un altro. Dunque quel qualcosa in comune che costituisce l’essenza della somiglianza è una espressione oltremodo variabile. Peraltro quando si dice semplicemente che due oggetti sono simili, si dice soltanto che essi hanno qualcosa in comune, ma non che cosa, e ciò è la ragione per cui la formula del ragionamento per analogia, presa nella sua espressione verbale, ci indica la struttura del ragionamento, ma non ancora la ragione della sua validità. Affinché il ragionamento per analogia sia valido, cioè sia necessariamente concludente, bisogna dunque che il rapporto di somiglianza sia accolto in un significato determinato, e non vi è che un modo solo per cui due oggetti possano dirsi simili tanto da formare un’analogia logicamente valida. Vale a dire è necessario che posta la formula Q è P; S è simile a Q; S è P; il qualcosa in comune, cioè M, per cui Q e S sono simili, sia insieme la ragione sufficiente

(34)

di Q è P; e, seguendo l’esempio aristotelico, è necessario che l’appartenere alla categoria della guerra contro i popoli confinanti, per cui la guerra degli Ateniesi contro i Tebani e quella dei Tebani contro i Focesi sono simili, sia la ragione sufficiente per cui la guerra dei Tebani contro i Focesi è stata posta come un male.

La condizione necessaria a cui la somiglianza deve sottostare per dare un risultato concludente, si può chiamare “legge generale di validità” del ragionamento per analogia91. Che M sia la ragione per cui Q è P vuol dire che Q è P perché è M. Ora questo “perché” può intendersi in due modi tipici, secondo il duplice significato della ragion sufficiente: o come rapporto di fondamento a conseguenza, in quanto M rappresenti il genere, di cui P è il predicato, da cui la proposizione universale tutti gli M sono P, che è il vero fondamento della validità del ragionamento; oppure come rapporto di causa ad effetto, in quanto M rappresenti la causa di P. Nel primo caso il ragionamento sottinteso dalla formula dell’analogia è un ragionamento deduttivo, in quanto conclude che Q è P dalla proposizione generale che tutti gli M sono P; nel secondo caso è una osservazione empirica, in quanto la proposizione Q è P è una conclusione dell’osservazione che la causa di P è M. Posta in questi termini e accertata la legge di validità, il cosiddetto ragionamento per analogia, che meglio si direbbe la formulazione analogica di qualsiasi tipo di ragionamento, riveste carattere di ragionamento valido. Ma perché la formula

91

(35)

acquisti senso determinato, deve essere risolta nei suoi termini impliciti: la nuda somiglianza, se può avere efficacia di persuasione retorica, non offre di per se stessa rigorosità di ragionamento, se non quando sia assunta nel solo significato conforme alla legge di validità. Una volta assunta in quell’unico significato, l’analogia diventa un ragionamento di certezza; proprio per non aver tenute presenti tali condizioni di validità e per aver quindi scambiato la formulazione analogica con un ragionamento per se stante da esaminare e da valutare in se stesso i logici sono stati indotti a considerare l’analogia come un ragionamento di probabilità e non di certezza, classificandola perlopiù come induzione imperfetta e giungendo pure ad affermare che se l’analogia è perfetta non è vera e propria analogia92.

Invece è chiaro, afferma Bobbio, che volendo risolvere l’indeterminatezza della formula nella certezza di un processo logico, ci troviamo di fronte a due possibilità: o si verifica la legge di validità, e allora il ragionamento è valido; ovvero, se l’analogia non è perfetta e il ragionamento non è certo, non si verifica un’analogia imperfetta, ma un’analogia falsa, cioè una non – analogia, e il ragionamento diventa non già un ragionamento probabile ma un cattivo ragionamento. Secondo Bobbio dunque si può concludere che la legge di validità serve a distinguere tra due termini assunti come analoghi l’analogia perfetta cioè tale da cui si possa trarre necessariamente una conclusione certa, dalla falsa analogia, da cui necessariamente deriva una conclusione falsa; la

92

Riferimenti

Documenti correlati

Diagnostic value of aberrant gene methylation in stool samples for colorectal cancer or adenomas:

Di conseguenza codesta Azienda, trattandosi di beni destinati ad assolvere la medesima funzione ed accumunati dalla medesima classificazione di riferimento, ha l’obbligo

Due reti sono equivalenti se si può sostituire una rete con l’altra senza influenzare la corrente e la tensione associate ad un altro elemento qualsiasi esterno alla rete. – Una

Il convegno, Da Gigi Ghirotti alla Carta di Torino 2019, nasce dalla collaborazione tra Regione Piemonte, Ordine dei Giornalisti, Rete Oncologica, ASL Città di Torino,

ho utilizzato due volte la tabella datiAnagrafici una volta rinominandola medici e un'altra pazienti, poi ho effettuato la solita giunzione tra visite e le 2 tabelle appena

• Interpretazione letterale: 1) analisi delle parole che compongono il testo della norma per individuare il senso di ciascuna in sé; 2) reinserimento di ciascuna parola nel

Tra questi spiccano: capacità di analisi e di pensiero critico, capacità di esprimersi e parlare in pubblico, saper scrivere bene, capacità di risolvere problemi

Di questo aveva già parlato del resto anche Boi- leau, usando un gioco di parole: “le vrai peut quel- quefois n’etre pas vraisemblable” (“il vero qualche volta può non