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La vaghezza delle norme

CAPITOLO II L’analogia logica

3.5 La vaghezza delle norme

i “cittadini dell’uno e dell’altro sesso”; se i costituenti avessero voluto riferirsi ai cittadini di entrambi i sessi, l’avrebbero fatto (come hanno fatto nel redigere l’art.51, comma 1); pertanto la disposizione deve essere intesa nel senso che si applichi solo ai cittadini di sesso maschile (non alle cittadine). L’esito di questo argomento127 è una interpretazione restrittiva.

Dogmatica. Ogni interprete si accosta ai testi normativi provvisto di una serie di presupposizioni “teoriche”, che fatalmente condizionano la sua interpretazione 128. Tali presupposizioni non sono altro che le costruzioni dogmatiche – concetti e teorie - elaborate dai giuristi in un momento logicamente antecedente a, e indipendente da, l’interpretazione di qualunque specifico enunciato normativo129. Si pensi, per fare un classico esempio, alla la dottrina formulata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti nel caso Marbury (1803), secondo cui ogni costituzione scritta implica il principio che qualunque legge contraria alla costituzione sia nulla (e che la sua nullità possa essere dichiarata dai giudici).

3.5 La vaghezza delle norme

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Che nella nostra cultura giuridica, probabilmente, nessuno mai oserebbe avanzare… 128

Scrive giustamente F.MODUGNO, Interpretazione giuridica, Padova, 2009, p.180: ”ogni tesi interpretativa suppone […] una tesi dogmatica”.

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In verità, negli esempi che seguono non è facile distinguere la interpretazione propriamente detta dalla costruzione giuridica.

Alla indeterminatezza dell’ordinamento si accompagna la ulteriore indeterminatezza di ciascuna norma per sé presa130. Ogni norma vigente è indeterminata, nel senso che non si sa esattamente quali fattispecie ricadano nel suo campo di applicazione. Ciò dipende dalla ineliminabile vaghezza dei predicati in ogni linguaggio naturale. Si dicono “predicati” tutti i termini che denotano non una entità individuale (“il signor X”, “l’accusato”, “la Corte costituzionale”, etc.), ma una classe (come “contratto”, “trattato”, “impresa”, “associazione”, “corte”, etc.): una classe è un insieme di entità individuali che condividono un medesimo attributo o un medesimo insieme di attributi. Generalmente parlando, il significato dei predicati può essere analizzato in due componenti: il senso (“Che cosa vuol dire?”) e il riferimento (“A che cosa si riferisce?”). Il senso (detto anche intensione) è l’insieme degli attributi che un oggetto deve avere perché il predicato possa essergli applicato. Il riferimento (detto anche estensione) è la classe di oggetti che presentano tali attributi ed ai quali il predicato è pertanto applicabile. Così, ad esempio, il senso di “pianeta” è (grosso modo) corpo celeste opaco che ruota attorno ad una stella; il suo riferimento è a tutti i corpi celesti opachi che ruotino attorno ad una stella (Venere, Marte, Terra, etc., ma non Luna). Palesemente, il riferimento dipende dal senso: quanto meno il senso è preciso, tanto più largo è il riferimento, e viceversa. Insomma, quanto più si precisa il senso di un

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La nozione di vaghezza è bene illustrata da E.DICIOTTI, L’ambigua alternativa tra

cognitivismo e scetticismo interpretativi, Università di Siena, Dipartimento di Scienze Storiche,

predicato – ossia quanti più attributi vi si includono – tanto più diminuisce il riferimento; quanto meno si precisa il senso - quanti meno attributi vi si includono – tanto più aumenta il riferimento. Se, ad esempio, definissimo “pianeta” come corpo celeste opaco (senza precisare: che ruota attorno ad una stella) il riferimento del predicato sarebbe più ampio, e includerebbe anche la Luna. Orbene: tutti i predicati hanno un riferimento dubbio, o “aperto” (open textured), e in questo senso sono affetti da vaghezza estensionale131. Per conseguenza, data una norma qualsivoglia, vi sono casi ai quali essa è certamente applicabile, casi ai quali essa non può certo essere applicata, e finalmente casi “dubbi” o “difficili” per i quali l’applicabilità della norma è discutibile132.

La parola “abitazione” designa certamente le stanze dell’appartamento o della casa dove qualcuno abiti; è dubbio se sia riferibile anche all’androne, al cortile, alle cantine, e all’autorimessa. L’espressione “rovina di edificio” designa certamente il crollo totale dell’edificio stesso; è dubbio se comprenda anche il semplice crollo di un balcone, di un cornicione, di una grondaia, di una tegola, dell’ascensore. E ancora: l’art.575 cod. pen. con la reclusione “chiunque cagioni la morte di un uomo”. Tizio ha tagliato la gola al nonno (allo scopo di ereditare i suoi beni): non c’è dubbio che Tizio abbia cagionato

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Per semplicità, ometto di distinguere tra vaghezza senza ulteriori specificazioni e open texture, o vaghezza “potenziale (“trama aperta”)

132 “si dà vaghezza quando si presentano casi limite (borderline cases) che non siano in grado di assegnare ad una data classe né al suo complemento” (C.LUZZATI, “1984, ovvero l’indifferenza dei princìpi”, in Rassegna forense, 2006, p.917 ss.)

la morte del nonno. Caio invece, guidando l’automobile, ha urtato un pedone, facendolo cadere sulla corsia opposta, sulla quale stava transitando l’auto di Sempronio, che ha travolto e ucciso il pedone. Possiamo dire che Caio abbia cagionato la morte del pedone? E’ l’art.575 cod. pen. applicabile a Caio? O dobbiamo dire che la morte è stata cagionata da Sempronio? E’ Sempronio punibile ai sensi dell’art.575 cod. pen.?

La vaghezza – a differenza dell’equivocità – è una proprietà oggettiva del linguaggio, e non solo del linguaggio giuridico: tutti i predicati in senso logico condividono questa proprietà. La vaghezza non dipende dunque dalle tecniche interpretative o dalla dogmatica: essa non può essere soppressa. La vaghezza delle espressioni usate nel linguaggio delle fonti – che non è risolta dalla interpretazione in astratto – fa sì che l’interprete, di fronte ad un caso “marginale”, cioè ad un caso che cade ai margini della “trama” – “nella area di penombra”, come si usa dire – possa decidere discrezionalmente se la fattispecie in esame debba o non debba essere inclusa nel campo di applicazione della norma in questione.

L’interpretazione “in concreto” riduce l’indeterminatezza delle norme. Analogia e differenza: due strategie di riduzione della vaghezza. – E’ utile dire

fin d’ora qualcosa sulle tecniche interpretative che tipicamente si usano per ridurla. Prendiamo ad esempio la locuzione “rovina di edificio”, che compare in alcune disposizioni del codice civile vigente. E’ indiscutibile, abbiamo detto,

che il concetto abbracci il crollo totale di un immobile, ma è discutibile se si estenda anche al crollo di un balcone. Orbene, le strategie fondamentali di riduzione della vaghezza sono due: tesi dell’analogia (o della eguaglianza “sostanziale”) e tesi della dissociazione (o della differenza “sostanziale”). Tesi dell’analogia. Una prima strategia di riduzione della vaghezza consiste nel sostenere che – alla luce di una supposta ratio legis – il crollo di un balcone è del tutto analogo – sostanzialmente eguale a fini di disciplina giuridica – al crollo di un edificio. Se ne può concludere che la norma sul crollo di edificio si applica anche alla fattispecie “crollo di balcone”. E’ un esempio di interpretazione estensiva, fondata sull’uso dell’argomento analogico. Per questa via, l’area di “penombra” della norma è ridotta, includendo in essa la classe di fattispecie marginali “crollo di balcone”. Tesi della differenza. Una seconda strategia consiste nel sostenere, al contrario, che crollo dell’edificio e crollo del balcone – ancora alla luce di una supposta ratio legis – sono fattispecie sostanzialmente diverse. Con la conclusione che la norma sul crollo di edificio non si applica alla fattispecie “crollo di balcone”.

E’ un esempio di interpretazione restrittiva, fondata sull’argomento della dissociazione. Di nuovo, per questa via l’area di “penombra” della norma è ridotta, escludendo da essa la classe d casi marginali “crollo di balcone”. L’indeterminatezza del significato dei testi normativi consiste in questo: che ogni testo normativo esprime – almeno potenzialmente e/o diacronicamente –

una pluralità di significati alternativi (ossia ammette diverse interpretazioni, a ciascuna delle quali corrisponde una diversa norma). L’insieme dei possibili significati di un testo – identificabili alla luce delle regole della lingua, dei metodi interpretativi in uso, delle tesi dogmatiche diffuse in dottrina, etc. – possiamo chiamarlo, con Kelsen133: la “cornice di significato del testo”. Orbene: l’interpretazione cognitiva consiste nell’identificare la cornice, ossia nell’elencare i possibili (plausibili) significati del testo; l’interpretazione decisoria standard consiste nello scegliere uno dei significati inclusi nella cornice; l’interpretazione creativa consiste nell’attribuire al testo un significato che non rientra nella cornice.

A rigor di termini tuttavia, in presenza di una “interpretazione creativa”, non dovremmo dire che l’interprete (giurista o giudice) ha “interpretato” il testo in questione: dovremmo dire piuttosto che ha creato un a norma nuova, o, come dicono alcuni, cambiato il diritto preesistente.

Beninteso: la cornice ha contorni vaghi, fluidi. Può accadere, ad esempio, che le norme N1 e N2 ricadano sicuramente nella cornice, che la norma N4 ne cada sicuramente fuori, e che però la situazione sia incerta per la norma N3. Sicché è indecidibile se N3 sia da ascrivere alle operazioni di mera interpretazione o invece di creazione normativa. Nondimeno, almeno per ciò che riguarda le norme N1, N2 e N4, discriminare tra interpretazione e creazione normativa è possibile e, credo, altamente significativo. D’altra parte,

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come già abbiamo detto in altra occasione (analizzando i diversi tipi di enunciati interpretativi), una interpretazione creativa, che attribuisca al testo di cui si tratta un significato diverso e ulteriore rispetto a quelli ritenuti possibili in sede di interpretazione cognitiva (N4, poniamo), ha l’effetto di estendere la cornice dei significati possibili. Sicché da quel momento in poi l’interpretazione cognitiva – una “buona” interpretazione cognitiva – dovrà riconoscere quel nuovo significato (N4) come uno dei significati ammissibili. Come che sia, la cornice (anche se di incerta identificazione) – e con essa l’interpretazione cognitiva che consiste nell’identificarla – serve a classificare le operazioni degli interpreti: in particolare, a discriminare tra interpretazione propriamente detta e creazione di diritto nuovo. I limiti (concettuali) dell’interpretazione. – Con questa ultima osservazione a proposito della “interpretazione creativa”, si vuole suggerire di usare – contro le abitudini linguistiche correnti – un concetto ristretto di interpretazione, escludendo dall’interpretazione propriamente detta la formulazione di norme nuove (uno degli aspetti fondamentali della costruzione giuridica). Da questo punto di vista, deve intendersi per “interpretazione” non qualsivoglia attribuzione di significato al testo interpretato, ma un’attribuzione di significato che ricada entro la cornice – di variabile ampiezza – dei significati ammissibili.

L’interpretazione dunque ha limiti134. Non nel senso che giuristi e giudici (soprattutto giudici di ultima istanza) non possano, di fatto e di diritto, e/o non debbano attribuire ai testi normativi qualunque significato – anche bizzarro o implausibile – paia loro opportuno. Ma nel senso che non a qualunque attribuzione di significato conviene il nome di “interpretazione”: non qualunque attribuzione di significato può essere sussunta sotto il concetto di interpretazione.

Beninteso, tracciare limiti all’interpretazione serve non a distinguere le interpretazioni buone, corrette, o accettabili dalle interpretazioni cattive, scorrette, o inaccettabili – che è questione valutativa o normativa, questione di politica del diritto, estranea come tale dalla scienza del diritto – bensì a distinguere, in sede di scienza del diritto, la genuina (“normale”) interpretazione dalla creazione di norme nuove.

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