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L’attività di interpretazione e la distinzione tra interpretazione estensiva e analogia.

CAPITOLO II L’analogia logica

2.2 L’attività di interpretazione e la distinzione tra interpretazione estensiva e analogia.

La dottrina e la giurisprudenza appaiono concordi nell’affermare che conformemente a quanto previsto dall’art.12 delle Preleggi93 la norma giuridica debba essere interpretata innanzitutto e principalmente dal punto di vista letterale, non potendosi al testo attribuire altro senso se non quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse; allorché tale significato non sia già tanto chiaro ed univoco da rifiutare una diversa e contrastante interpretazione si deve ricorrere al criterio logico: ciò al fine di individuare, attraverso una congrua valutazione del fondamento della norma, la precisa “intenzione del legislatore”, avendo però cura di individuarla quale risulta dal singolo testo che è oggetto di specifico esame94.

La differenza fondamentale tra interpretazione estensiva ed analogia consiste nel fatto che la prima non comporta la fuoriuscita dalla norma mentre l’analogia presuppone una vera e propria lacuna dell’ordinamento che viene supplita o attraverso il ricorso ad una norma che regola il caso simile, o addirittura ai c.d. “principi fondamentali dell’ordinamento”95

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“Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore. 94

BETTI E., Interpretazione della legge e degli atti giuridici, (Teoria generale e dogmatica), Milano, 1971 pp. 122 ss.; BETTI E. Teoria generale dell’interpretazione, Milano, 1955, 1, p.833. Vds. Anche Cass. 16 ottobre 1975 n.3359; 13 novembre 1979 n.5901; Cass.Sez.lavoro 3 luglio 1991 n.7279. 95

La dottrina, invocando nel caso dell’interpretazione estensiva la necessità comunque di ricorrere appunto ad una attività interpretativa e non meramente decodificativa, ha concepito l’attività interpretativa in questione come non travalicante i limiti di ripartizione dei poteri dell’ordinamento e dunque un non travalicamento dell’attività giudiziaria rispetto a quella legislativa. Bobbio osserva come l’interpretazione estensiva sia una forma minore di ragionamento per analogia; infatti mentre nell’ analogia legis si formula una nuova norma, simile ad una già esistente, per disciplinare un caso non previsto da quest’ultimo, ma simile a quello da essa regolato, nell’interpretazione estensiva si amplia la fattispecie stabilita da una norma, cioè si applica questa medesima norma a un caso da essa non previsto ma simile a quello espressamente regolato96. Si è infatti indicata l’interpretazione estensiva come lo strumento in grado di risolvere i casi dubbi ricercando gli strumenti per la loro soluzione all’interno della stessa norma. L’interprete verrebbe allora a muoversi allargando la mano del testo fino a farla coincidere il più possibile con quella della realtà senza ricorrere ad una cosiddetta “terza mano”97. L’ipotesi tradizionale più remota al riguarda è quella cosiddetta “volontaristica”, vale a dire che l’interprete deve fare, per tentare il più possibile di far coincidere la realtà ed il testo di ricorrere alla ricerca della

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BOBBIO N., Il positivismo giuridico, Giappichelli, 1996, p.228. 97

Tale metafora appare in FRACANZANI M.M., Analogia ed interpretazione estensiva, Giuffrè, Milano, 2003, p.97; e ancora ARMELLINI S., Le due mani della giustizia, Torino, 1996 p.56.

volontà del legislatore, tentando addirittura di immedesimarsi egli stesso nell’ipotetico legislatore98

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Distinguere l’interpretazione estensiva dall’analogia sulla base della concezione volontaristica significa ricorrere a questa sorta di finzione e ritenere che nell’analogia si tratti di disciplinare il caso non previsto come se fosse stato previsto dal legislatore, mentre nell’interpretazione estensiva il caso sia stato, sia pure implicitamente, previsto99. Tuttavia Bobbio individua le

aporie insite nella concezione volontaristica, segnalandone l’artificiosità100. La volontà presunta, infatti, sarebbe, in realtà, un’interpretazione correttiva

dato che trasformerebbe la volontà del legislatore in volontà razionale. Questo almeno, con l’utilizzo del criterio teleologico, volto a ricercare non tanto una volontà in quanto tale, ma una volontà, appunto, secondo i criteri della razionalità. Peraltro, così facendo si finirebbe per esautorare la stessa volontà sovrana del legislatore e con essa lo stesso principio di sovranità. Se dunque l’interprete cerca legittimazione all’estensione analogica attraverso il ricorso alla volontà presunta cade in errore perché non è dalla presunzione della volontà favorevole che si deduce la possibilità dell’estensione analogica, ma è

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E’ la famosa immagine del giudice come la “bouche de la loi”; l’espressione risale al barone di La Brède, MONTESQUIEU C., L’esprit del lois, Paris, 1748: I giudici della nazione sono soltanto la bocca che pronuncia le parole della legge: esseri inanimati, che non possono regolarne né la forza né la severità.

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Cfr. CAIANI L., Voce analogia, teoria generale, in Enciclopedia del diritto, vol.11, Milano, 1958, p.353.

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viceversa dalla possibilità dell’estensione che si presume una volontà favorevole.

La concezione volontaristica secondo Bobbio è una concezione teologica del diritto; ha le stesse origini e le stesse ragioni della dogmatica teologica, inoltre essa è essenzialmente antistorica; infatti considerare il diritto positivo come espressione di una volontà di volta in volta esclusiva ed esaurita in sé stessa, vuol dire porre il diritto al di fuori del perenne fluire della storia e quindi se la storia è razionalità vuol dire togliersi la possibilità di razionalizzarlo. Quello che fa il diritto, secondo Bobbio, non è la volontà di un momento, ma è il pensiero umano che in quel momento confluisce non per arrestarsi o solidificarsi in schemi definitivi, ma per trapassare in altro pensiero ed in altra storia. Il diritto è pensiero che si svolge, non volontà che si arresta. La volontà deve avere un fondamento, una ragion d’essere e questa ragione non può essere altro che la conformità ad una esigenza storica; dunque la volontà anziché essere espressione di un atto originario ed indeterminato è la consacrazione di una ragione. La concezione volontaristica si arresta alla volontà; la concezione storica risale al motivo, posto che non vi può essere volontà se non determinata da motivi.

Anziché essere la volontà che pone il motivo, è il motivo che determina la volontà; ed è appunto attraverso il motivo che si pone la legge a contatto con la storia, si immette la legge nella corrente del pensiero, in modo che il diritto positivo non sia più qualcosa che sta a sé, come se ogni legislazione nel tempo

e nello spazio fosse un mondo incomunicabile, ma è il riassunto di tutti i diritti precedenti, senza i quali non potrebbe essere né inteso né valutato101. Secondo Bobbio da queste difficoltà si esce abbandonando la concezione volontaristica e accogliendo bensì una concezione storicistica del diritto. Se la legge è razionale e la sua razionalità consiste nella corrispondenza ad un’esigenza storica, cioè nella sua storicità, essa vale non solo nell’ambito della sua manifestazione esteriore, ma anche nell’ambito della sua funzione storica; non si tratta di attribuirle, mediante una finzione, una volontà diversa da quella di cui è manifestazione; si tratta di coglierne l’intima razionalità. Ed è appunto in questa razionalità che trova fondamento, senza andare a ricercare giustificazioni trascendenti, l’estensione analogica, in quanto essa è prima di tutto un procedimento logico che contribuisce a dare alla norma, considerata nel suo valore razionale, tutta la sua efficacia.

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