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Il problema dell’analogia nelle norme eccezional

CAPITOLO II L’analogia logica

4.1 Il problema dell’analogia nelle norme eccezional

Secondo Bobbio è importante trovare il criterio per evidenziare la norma eccezionale, o meglio fissare l’essenza della norma eccezionale. Egli ritiene che il discrimine sia costituito da un criterio qualitativo e non quantitativo; infatti la qualificazione è data dall’essere la norma eccezionale una deroga alla norma di diritto comune; una norma può estendere la propria efficacia a un sempre maggior numero di casi sino ad assorbire in gran parte o anche in tutto, (purchè in questo caso provvisoriamente) la materia regolata dalla norma generale, e continuare ad essere una norma eccezionale. La norma è eccezionale sino a che rimane ancora valido, se pure in un numero esiguo di casi, il principio generale di cui essa è presentata come la deviazione; pertanto, anche nell’ipotesi in cui il principio generale, per esempio in circostanze di tempo straordinarie, sia del tutto esautorato, ma solo in via provvisoria, ed abbia quindi ancora potenzialmente efficacia per il futuro, la norma che vi deroga è pur sempre una norma eccezionale.138

L’elemento costitutivo dell’eccezione dunque, secondo Bobbio, non è la minor quantità dei casi regolati in modo derogatorio rispetto al principio generale, ma la deroga al principio, qualunque sia il numero dei casi regolati. Si può altresì rilevare come la norma eccezionale sia quella che regola la stessa fattispecie in modo diverso da un’altra norma, ma in forma derogatoria, cioè in

modo che se essa non fosse intervenuta, quella fattispecie, ora regolata dalla norma eccezionale, non sarebbe stata una fattispecie non regolata o indifferente al diritto, ma sarebbe stata regolata dalla norma di diritto comune. Un’altra importante considerazione è legata al fatto che per il problema dell’analogia nel diritto eccezionale, poteva essere analizzato e risolto prendendo in considerazione o la natura del diritto eccezionale, o la natura dell’analogia: mediante la prima si distingue dalla categoria delle norme eccezionali, la categoria del diritto speciale, che non cadendo sotto il divieto dell’art. 4 delle Preleggi è passibile di interpretazione analogica; mediante la seconda si distingue dall’analogia l’interpretazione estensiva, la quale, secondo la comune interpretazione elusiva, non sarebbe compresa nell’art. 4. Bobbio osserva come, tanto la prima, quanto la seconda, sono state proposte soprattutto nello studio del diritto commerciale.139

L’autore chiarisce la differenza fra diritto eccezionale e diritto speciale; tale distinzione coincide con la distinzione fra due tipi di rapporto: regola- eccezione, genere-specie; entrambi disciplinano una materia particolare rispetto al principio generale; ma mentre il diritto eccezionale costituisce una deroga al principio, il diritto speciale ne costituisce la specificazione e quindi il prolungamento o la continuazione.

Non vi è alcun dubbio – prosegue Bobbio – che la norma speciale sia sottratta al divieto dell’art. 4, ma occorre fare attenzione al fatto che quando si dice per esempio a proposito del diritto commerciale che questo è un diritto speciale,

l’aggettivo “speciale” acquista non il senso di specifico rispetto a generico, bensì di “particolare” o “peculiare”, il che presuppone un diritto diverso che non abbia quella particolarità o peculiarità. In questo senso diritto “speciale” è assimilabile a diritto “singolare” e non è quindi nulla di diverso rispetto al diritto eccezionale. Tale ragionamento non riesce a sciogliere la difficoltà proposta in tema di analogia; perché se è vero che l’art. 4 esclude il diritto speciale come “diritto specifico”, non esclude affatto il diritto speciale come “diritto singolare”. In effetti ritenere tutto il diritto commerciale in blocco come diritto singolare o eccezionale è troppo semplicistico ed è quindi legittimo parlare di diritto speciale in relazione al diritto commerciale, soltanto nella misura in cui si intenda indicare con questa espressione un diritto che ha principi giuridici propri. Ma allora - osserva Bobbio - si assume il concetto di diritto speciale non come relativo ad un altro diritto non speciale, ma bensì come concetto assoluto, tanto è vero che la specialità così intesa implica il problema dell’autonomia di quel diritto.

Considerato così come “diritto speciale in senso improprio”, il diritto commerciale non è più né diritto speciale in senso proprio, né diritto eccezionale, né diritto singolare, ma può configurarsi come diritto autonomo fornito di propri principi generali, presi in considerazione indipendentemente dal fatto che costituiscano o no deroga ad altri principi, venendo a contenere esso stesso norme generali, speciali od eccezionali.

Soltanto in questo modo il diritto commerciale nel suo complesso si sottrae all’art. 4.140

Il secondo escamotage utilizzabile ha carattere eccezionale e non vale solo per il diritto commerciale, ma per ogni norma eccezionale e consiste nel fatto di compiere l’estensione di una norma anche in diritto eccezionale, purchè questa estensione si chiami interpretazione estensiva e non analogia. Ma secondo l’autore si tratta di una sorta di “trucco” non accoglibile.141

Bobbio viene dunque a formulare una teoria interessante ed ardita e cioè che i succitati espedienti - di cui il primo sottrae apertamente all’applicazione dell’art. 4 tutta la sfera del diritto speciale e il secondo sottrae se pur nascostamente tutto quanto il diritto eccezionale- ci mettono in condizione di affermare l’assurdità di mantenere un divieto che in pratica non ha più nessuna sfera di applicazione.

Secondo Bobbio tale affermazione può essere comprovata anche sul piano teorico.

Infatti se è vero che la norma eccezionale costituisce una deroga al diritto comune, è pur vero che le ragioni di questa deroga sono dal punto di vista giuridico altrettanto fondate quanto le ragioni della norma generale; e quindi la norma eccezionale non può essere considerata come una “anomalia giuridica” – quasi fosse paragonabile alla malattia in un organismo vivente – il cui

140 BOBBIO N., L’analogia nella logica del diritto, cit., p. 199. Bobbio osserva peraltro come non si sottraggono all’art. 4 le norme eccezionali che il diritto commerciale può contenere e in questo modo si elimina dunque la difficoltà del divieto dell’art. 4 non in generale, ma solamente per una particolare sfera di diritto.

allargamento a casi noti espressi possa venire accolto come un peggioramento o addirittura il dissolvimento del sistema giuridico, ma deve essere considerata per quello che è e cioè per una deviazione fondata in quella stessa logica delle azioni su cui è fondata la norma generale, e il cui allargamento a casi non espressi non solo non vanifica il principio generale - il quale continua ad essere efficace qualunque sia il numero dei casi ad esso sottratti - ma costituisce anche, in base al principio della espansione logica del diritto valevole tanto per l’eccezione quanto per la regola, un perfezionamento, anziché un dissolvimento del sistema giuridico.

L’analogia in effetti è quel ragionamento che trova la propria forza e quindi anche i limiti della propria validità nella c.d. “eadem ratio”; pertanto per una sua esclusione fondata logicamente bisognerebbe pensare ad una norma la cui ragion sufficiente non potesse ripetersi in nessun altra situazione; ma tale norma non può essere la norma eccezionale nel senso normale della parola, ma bensì soltanto quella norma, la cui eccezionalità raggiunge il livello più alto. Bobbio allude a quella norma il cui contenuto eccezionale è rivolto in favore o in disfavore di una sola persona, vale a dire il cosiddetto “privilegio”. La norma eccezionale, secondo l’autore, può essere estesa senza che venga meno la sua natura di eccezione; invece il privilegio è quella norma che per definizione stessa non può essere estesa, perché laddove si desse inizio all’estensione di un privilegio, quest’ultimo cesserebbe per ciò stesso di essere tale. Pertanto il privilegio è quella norma per la cui estensione analogica si

incontra non soltanto una difficoltà pratica, ma in primo luogo una incompatibilità logica.142

L’autore osserva come il fatto che l’art. 69 c.c. il quale deroga ad alcune disposizioni riguardanti le condizioni necessarie per contrarre matrimonio in favore del re della famiglia reale, non possa essere esteso per analogia, non dipende dal fatto che tale norma rientri fra quelle colpite dal divieto dell’art. 4, ma bensì, molto più semplicemente dal fatto che non si da e non si darà mai la condizione essenziale perché si applichi l’analogia: cioè la presenza di una fattispecie simile. Là dove invece si verifica il caso simile, cioè l’identità della ragione, come può accadere in diritto eccezionale, l’analogia opera automaticamente nell’ordinamento assunto come sistema razionale; Bobbio infatti sostiene che se si volesse impedire l’analogia in tale ipotesi, bisognerebbe non proibire l’analogia ma la formazione di un caso il quale avesse la stessa ragion d’essere del caso previsto. Peraltro che in teoria l’analogia sia ammissibile anche in diritto eccezionale, non vuol dire che in pratica l’estensione analogica si verifichi per la norma eccezionale con la stessa frequenza con cui si verifica nella norma non eccezionale. Tale condizione si determina comunque non a causa del divieto legislativo, ma solo per ragioni fondate sulla natura stessa del diritto eccezionale: infatti Bobbio osserva come, se la ragione di una norma è veramente eccezionale, è poco

probabile che nei fatti si verifichi il formarsi di un caso che partecipi della stessa ragione di eccezionalità, o almeno è molto meno probabile di quanto possa esserlo nel caso di una norma non eccezionale.143