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Lettura integrata della violenza maschile: verso strategie di contrasto a rete

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Academic year: 2021

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U

NIVERSITÀ DI

P

ISA

Dipartimento di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Sociologia e Politiche Sociali

Classe LM-87 – Politiche Sociali

Lettura integrata della violenza maschile:

verso strategie di contrasto a rete

Relatrice:

Prof.ssa Silvia Cervia

Candidata:

Sara Bologna

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1

INDICE

INTRODUZIONE ... 3

PRIMO CAPITOLO ... 6

La violenza sulle donne ... 6

1.1. L’omicidio declinato al femminile: definizioni e concetti ... 6

1.2. Violenza interpersonale come “espressione” della violenza di genere ... 16

1.2.1. Le prime stime sui maltrattamenti dentro la famiglia ... 18

1.2.2. Il fenomeno in ottica diacronica attraverso le serie storiche ... 30

SECONDO CAPITOLO ... 38

Centri per uomini autori di violenza: le radici socio-culturali ... 38

2.1 L’autocoscienza femminile e la violenza maschile sulle donne ... 39

2.2 Emancipazione femminile e autoconsapevolezza maschile ... 41

2.2.1. L’appello pubblico: nasce Maschile Plurale ... 43

2.3 Dalla presa di coscienza maschile alla creazione dei “Centri per uomini autori di violenza” ... 49

2.3.1. Le direttive internazionali e la creazione di RELIVE ... 52

TERZO CAPITOLO ... 57

Violenza assistita: quando i figli sono “vittime” ... 57

3.1 Problemi definitori della violenza assistita come species di maltrattamento .... 57

3.2 Quando la donna vittima di violenza è anche madre ... 67

3.2.1 Sindrome di alienazione parentale: la vittimizzazione secondaria della donna ... 70

3.2.2 Presenza di minori e rischio di femicidio ... 77

3.3 Il minore come soggetto di volenza assistita ... 82

3.3.1 Gli effetti a breve termine ... 84

3.3.2 Gli effetti a lungo termine ... 89

3.4 Sulla disciplina della responsabilità genitoriale nei casi di violenza interpersonale: normative a confronto ... 92

3.4.1 L’ordinamento Italiano e la ratifica della convenzione ... 94

3.4.2 Discipline europee a confronto ... 98

QUARTO CAPITOLO ... 101

Verso un modello di intervento a rete ... 101

4.1 L’approccio integrato sul territorio Nazionale ... 101

4.2 Analisi comparata a livello regionale ... 106

4.2.1 Disposti normativi a confronto ... 110

a) Violenza assistita ... 112

b) Autori di violenza ... 113

c) Costituzione della Rete ... 114

4.3 Dalla normativa alla prassi: il caso toscano ... 115

4.3.1 Monitoraggio del fenomeno: pubblicazione dei Rapporti ... 117

a) Violenza assistita ... 118

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2

QUINTO CAPITOLO ... 124

Il modello di intervento a Pisa: dallo studio di caso ad una nuova progettualità ... 124

5.1 Il contesto ... 125

5.2 I nodi della rete nel modello territoriale ... 127

5.2.1 L’Assistente sociale e l’emersione del fenomeno della violenza interpersonale ... 127

5.2.2 Centro antiviolenza come “porto sicuro” ... 133

5.2.3 Centri per uomini autori di violenza: modelli differenti per un unico obbiettivo ... 134

5.3 La rete antiviolenza a Pisa ... 137

a) Metodologie d’intervento a confronto... 138

b) L’attenzione al tema della Violenza Assistita ... 139

5.3.1 Criticità e punti di forza di una collaborazione non formalizzata ... 142

5.3.2 Il Centro Nuovo maschile visto dai nodi della rete ... 145

5.3.3 Metodologia e criticità del Centro Nuovo Maschile ... 146

5.4 Sull’inserimento del centro Nuovo maschile nelle linee guida ... 149

CONCLUSIONI ... 153 ALLEGATO 1 ... 156 Quadro sinottico ... 156 ALLEGATO 2 ... 157 Normative Regionali ... 157 ALLEGATO 3 ... 161

Mappatura dei centri per autori di violenza ... 161

BIBLIOGRAFIA ... 166

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3

INTRODUZIONE

Il fenomeno della violenza maschile, ieri disconosciuto e negato, rappresenta oggi una categoria interpretativa ricorrente tanto nel linguaggio giornalistico che in quello giuridico-penale nei casi di violenze perpetrate a danno della partner. Il lungo processo di tematizzazione, affondando le proprie radici nei movimenti femministi di autocoscienza e nelle prime forme di auto-aiuto da questi attivate, ha condotto le pratiche dei servizi a strutturare un sistema di intervento che, coinvolgendo strutture ospedaliere, forze dell’ordine, privato sociale, oltre che i servizi sociali propriamente intesi, ha circoscritto l’interesse alla sola soggettività femminile. La figura dell’uomo come unico vero responsabile del fenomeno, è rimasta silente e misconosciuta ai servizi, per rappresentare il centro di interesse del sistema repressivo che, in corrispondenza dell’aumentato interesse per il fenomeno, ha ulteriormente ampliato le fattispecie e inasprito le pene, coerentemente con un immaginario collettivo stereotipato e stigmatizzante. Per parecchio tempo la scarsa attenzione alle motivazioni culturali sottese al gesto hanno portato a credere che la punizione fosse l’unica risposta per arrestare la violenza.

Nonostante la protezione della donna risulti un aspetto imprescindibile per tutte le politiche di contrasto alla violenza, non è possibile affermare che un tale modello di intervento, orientato esclusivamente al soccorso della figura femminile, sia l’unico possibile e neanche quello auspicabile. È ai gruppi di autocoscienza maschile che dobbiamo le prime tematizzazioni in merito all’opportunità di ampliare lo spettro di osservazione e, conseguentemente, di presa in carico, modello che, oggi, sta trovando spazi di legittimazione crescenti.

È partendo dalla constatazione di questo vulnus nell’attuale sistema di servizi e da una significativa discrasia tra le narrazioni dominanti e l’attuale modello di intervento, che prende spunto il presente lavoro di tesi, con l’obiettivo di ri-tematizzare la figura e il ruolo maschile tanto a livello culturale che operativo. La letteratura nazionale ed internazionale in materia, difatti sottolinea come una risposta efficace al contrasto della violenza non possa prescindere da un sistema di policies che, ricorrendo ad un modello di rete integrato, possa agire su tutti gli attori implicati nel fenomeno: la donna, i figli (soprattutto nel caso siano minori) perché una presa in carico precoce è in grado di

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4 sviluppare una maggiore resilienza e l’uomo, non il “maltrattante” ma partner e/o padre affinché possa essere sostenuto nel superamento della negazione e nell’abbandono del comportamento violento.

In ragione dell’obiettivo conoscitivo la tesi è stata articolata in due sezioni. La prima, comprendente i primi tre capitoli, è orientata ad acquisire le lenti atte a comprendere il fenomeno nella sua multidimensionalità che saranno utilizzate poi, nella seconda parte, come frame interpretativi degli attuali modelli di intervento e criteri orientativi per una revisione degli stessi.

Lo studio di qualsiasi fenomeno sociale impone un preliminare sforzo definitorio che, in questo caso, risulta particolarmente impegnativo a causa dell’assenza di riferimenti univoci e condivisi. A tal proposito il primo capitolo intende affrontare tale compito proponendo una definizione univoca dei concetti chiave, entrati nel senso comune e talvolta da questo travisati, allo scopo di utilizzarli per descrivere la complessità del fenomeno e coglierne le dimensioni principali anche ricorrendo alle indagini statistiche condotte sul territorio nazionale. L’analisi quantitativa ha permesso una lettura diacronica anche del divenire della percezione del fenomeno consentendo di far emergere la rilevanza della dimensione culturale.

Ricorrendo ad uno studio gender-oriented il secondo capitolo, individuando l’emersione della violenza maschile nelle istanze femministe, mostra come il processo di autocoscienza - il parlare di sé - delle donne abbia progressivamente coinvolto anche gruppi di uomini (Maschile Plurale) che hanno rivendicato una diversa prospettiva nell’analisi dell’asservimento e delle violenze perpetuate alle donne. Un’analisi diacronica che permette di risalire alla nascita dei primi servizi per autori di violenza cogliendone le specificità e le ragioni dell’interesse mostrato tanto a livello nazionale che internazionale.

Tale analisi ha imposto un ampliamento dello spettro di osservazione; l’excursus compiuto ha infatti evidenziato come la violenza maschile tenda a manifestarsi preferenzialmente all’interno di relazioni affettive e sentimentali, che spesso non si esplicano all’interno della relazione diadica uomo-donna. Quando sono presenti figli, evenienza molto frequente, questi vengono coinvolti dalla dinamica violenta seppur in modi e forme differenti. Partendo da tale presupposto il terzo capitolo, considerando la violenza assistita come species di maltrattamento, analizza gli effetti su tutti e tre gli

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5 attori della relazione da un punto di vista psicologico e giuridico, come dimensioni rilevanti di cui il sistema dovrebbe farsi carico. Avvalendosi della letteratura di riferimento, vengono esaminati gli effetti sulla madre (vittimizzazione secondaria) e sul minore (a breve e lungo termine), rilevando altresì nel rapporto padre-figlio il presupposto della trasmissione intergenerazionale della violenza.

La seconda parte della tesi è dedicata ad analizzare criticamente i modelli di intervento di contrasto alla violenza allo scopo di valutarne l’adeguatezza in relazione alla complessità che connota tale fenomeno. In assenza di una normativa quadro a livello nazionale, la modellizzazione dei servizi realizzata nel quarto capitolo si è giovata un’analisi comparata a livello regionale, a partire da un frame di lettura definito grazie all’analisi. In seguito a tale confronto è stato possibile verificare la presenza di uno iato tra la norma e la prassi, che, in alcuni casi come in quello Toscano, ha permesso di evidenziare come pur all’interno di un quadro giuridico carsico si sia potuto sviluppare un sistema di monitoraggio e di intervento di sicuro interesse.

Alla luce della ricognizione compiuta a livello regionale, il quinto capitolo propone uno studio di caso interamente dedicato alle pratiche sviluppate nel Comune di Pisa, una best practice in materia, in virtù della presenza sul territorio di tutti i nodi rilevanti per un sistema a rete (Servizio sociale, Centro antiviolenza, Centro per uomini autori di violenza). Attraverso un approfondimento qualitativo che ha permesso di ricostruire le pratiche sviluppate dalla rete e le peculiarità dei diversi nodi, abbiamo potuto verificare le potenzialità del modello e alcune criticità connesse tanto con il livello locale che con altri livelli intervenienti.

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6

PRIMO CAPITOLO

La violenza sulle donne

Lo studio di qualsiasi fenomeno sociale impone un preliminare sforzo definitorio che, in questo caso, risulta particolarmente impegnativo a causa dell’assenza di riferimenti univoci e condivisi; il presente capitolo è dedicato ad affrontare questa quesitone in merito al tema della violenza maschile sulle donne, declinata nella sua dimensione diadica relazionale. La multidimensionalità del fenomeno, che si declina in alcune principali tipologie (fisica, sessuale, psicologica, economica), verrà considerata anche attraverso un’analisi secondaria dei dati disponibili a livello nazionale che prende in considerazione tanto le modalità che le motivazioni sottostanti l’azione.

1.1. L’omicidio declinato al femminile: definizioni e concetti

Testate giornalistiche, notiziari, specialmente in concomitanza con l’8 marzo “Giornata internazionale della donna” (“Festa della Donna”) e con il 25 novembre “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”1, portano all’attenzione il

numero di donne uccise, stimate dall’Istat o dall’Eures. Questi dati rappresentano una dimensione del fenomeno di non facile interpretazione; secondo, l’Istituto nazionale di statistica (Istat, 2015), in realtà dall’ultima rilevazione è emerso come su 100mila donne il numero delle vittime di omicidio risultasse pari a 0,58 (valore riferito al 2013), risultando sensibilmente più basso rispetto agli uomini con un tasso pari a 1,11.

Simili statistiche indurrebbero a pensare che siano gli uomini i soggetti più a rischio ad essere uccisi. Tuttavia, entrando nel merito di alcuni elementi di carattere qualitativo, è possibile apprezzare significative differenze tra i due fenomeni al punto

1 Tramite la risoluzione 54/134 del 17 Dicembre 1999, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha

stabilito il 25 novembre come “Giornata internazionale contro la violenza sulle donne”, e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare attività volte ad aumentare la consapevolezza pubblica del problema in quel giorno. Le attiviste per le donne hanno stabilito il 25 novembre come giornata contro la violenza dal 1981. Questa data ha origine nel 1960 con il brutale assassinio delle tre sorelle Mirabal, attiviste politiche nella Repubblica Domenicana, per ordine del Presidente Domenicano Rafael Trujillo (1930-1961). Nostra traduzione consultabile al seguente link: http://www.un.org/en/events/endviolenceday/background.shtml

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7 da problematizzare la riconduzione degli stessi ad un’unica categoria. Gli uomini, infatti cadono vittima di sconosciuti e di autori non identificati; per le donne la situazione è molto diversa, si stima infatti che il tasso più elevato di omicidi avvenga per mano di partner o ex partner (0,24 per 100mila donne)2. Come mostra il grafico,

per comprenderne meglio l’incidenza è utile osservare anche il dato riferito al totale degli assassini femminili.

Grafico 1 - Incidenza degli omicidi di donne in Italia nel 2013

Fonte nostra elaborazione sudati Eures

Volendo entrare un pochino più nel merito delle peculiarità del fenomeno che interessa l’universo femminile è necessario rivolgersi alle ricerche svolte dall’ “Eures

ricerche economiche e sociali” che, in un panorama nazionale non particolarmente

attento (al di là degli slogan giornalistici), ha portato avanti fin dal 1990 una rilevazione dedicata alle caratteristiche ed al movente.

Avvalendosi quindi dei rapporti più recenti prendendo in esame gli ultimi anni, è possibile notare come nonostante il numero di omicidi di donne sia variabile, disaggregando i dati e considerando solo quelle uccise in famiglia si osserva come il dato rimanga stabile nel tempo:

si rileva in primo luogo una impressionante “regolarità” nel numero dei femminicidi: la serie storica degli omicidi volontari in Italia[…]evidenzia infatti un valore sostanzialmente costante per quanto riguarda gli omicidi consumati in ambito familiare e nelle relazioni affettive (dove si concentra oltre il 70% delle vittime femminili), a fronte di una progressiva diminuzione del numero complessivo degli omicidi (il numero di quelli denunciati nel 2014, 2http://noi-italia2015.istat.it/index.php?id=7&user_100ind_pi1[id_pagina]=120&P=1&L=0 avvenuti fuori dalla famiglia 32% in coppia 45% altro famigliare 23% avvenuti in famiglia 68%

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8 pari a 152, risulta essere il più basso dell’intero periodo), derivante da una progressiva contrazione di quelli commessi dalla criminalità organizzata e dalla criminalità comune (EURES, 2015 p. 3).

Per riferirsi alle uccisioni di donne, il termine utilizzato dai mass media e dallo stesso Eures è “femminicidio”. L’accezione, concettualizzata dall’antropologa Marcela Lagarde, in realtà vuole indicare non solo l’eliminazione fisica della donna, ma comprende tutte le discriminazioni dentro e fuori le mura domestiche che le donne, per il solo fatto di essere tali, subiscono nel quotidiano (Karadole.C. Pramstrahler.A, 2011 p. 19).

Il termine “femicidio”, traduzione dell’inglese “femicide”, secondo D. Russell (criminologa femminista) invece rappresenta la motivazione principale delle uccisioni delle donne; in modo più circoscritto il termine si riferisce infatti agli omicidi delle donne, svelandone però “la dimensione non neutra e la relazione con la violenza e la discriminazione che le donne subiscono nella società”, comprendendo anche le situazioni in cui, secondo la definizione della stessa: l’uccisione della donna “rappresenta l’esito/la conseguenza di atteggiamenti o pratiche sociali misogine”.

Alla luce della spiegazione delineata il termine femicidio, riferendosi a “tutte le uccisioni di donne in quanto donne” (Ibidem) è sembrato essere il più appropriato per affrontare la tematica.

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9

Grafico 2 - Distribuzione del femicidio3 in base all’ambito (famiglia e fuori dalla famiglia).

Anni 2006-2014

Fonte nostra elaborazione di dati Eures Ricerche Economiche e Sociali. Anno 2015

Osservando il Grafico 2 (periodo compreso tra 2006 e il 2014), possiamo trovare conferma di quanto sostenuto in precedenza. Gli omicidi delle donne (nel complesso) nel corso degli anni hanno un andamento altalenante, nell’ultimo anno considerato (2014) si assiste anche ad una netta diminuzione. Una prima analisi quindi potrebbe mostrare un trend negativo; analizzando i dati disaggregati per ambito si scopre come la riduzione del numero delle donne uccise in realtà sia risultante alla diminuzione del valore “fuori dalla famiglia”.

Nel periodo considerato (2006-2014) a riprova di quanto emerso dal grafico, su 1.465 omicidi femminili: 418 sono ad opera di estranei e 1047 sono avvenuti per mano di famigliari.

Approfondendo quindi l’analisi dell’omicidio, limitatamente al contesto familiare (o affettivo), è opportuno considerare come l’autore del reato possa essere legato da una relazione differente con la vittima, potendo esserne padre, fratello o figlio e come la specificità di tali relazioni rappresenti un aspetto necessario per comprendere anche le motivazioni stesse sottese al gesto.

3 Condividendo il pensiero delle autrici (Casa delle donne di Bologna), per la spiegazione adotta, si è

preferito utilizzare il termine Femicidio

134 98 105 132 110 121 108 122 117 47 47 42 41 47 50 52 57 35 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 In famiglia 134 98 105 132 110 121 108 122 117

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Grafico 3 - Distribuzione del femicidio familiare in base alla relazione della vittima con l’autore.

Anni 2010-2014

Fonte nostra elaborazione di dati Eures Ricerche Economiche e Sociali. Anno 2015

* figlia, madre, altro

Analizzando il Grafico 3, si evince comenella maggioranza dei casi l’artefice dei delitti (che compare maggiormente) sia il partner: coniuge/convivente/amante e ex coniuge/ex partner.

Osservando il periodo 2010-2014, nonostante la variazione non sia statisticamente significativa, è possibile notare un certo trend che se confermato potrà rivelarsi utile per comprendere meglio il fenomeno e individuare strumenti maggiormente efficaci per affrontarlo. Attenendosi al grafico, nel periodo preso in esame si osserva un certo aumento dei delitti agiti nei confronti della partner (coniuge e convivente) e una diminuzione dei femicidi avvenuti in una relazione già conclusa. Il periodo considerato è troppo limitato per addurre una spiegazione in merito, ma si potrebbero trarre alcune conclusioni; per esempio il trend negativo potrebbe essere spiegato considerando che prima del periodo in esame (aprile 2009) sia stata emanata la legge sullo stalking, (tematica che verrà approfondita in seguito) la quale ha concesso anche maggiore protezione alla donna vittima di persecuzione da parte dell’ex partner.

Analizzando la prima categoria del grafico, risulta invece difficile individuare un trend netto, eccetto il fatto che questa vi comprenda sempre il numero più cospicuo dei casi, confermando come la maggior parte dei delitti venga commesso in costanza di relazione, cioè quando la coppia è unita.

42 67 56 63 68 26 21 19 18 13 42 33 33 41 36 0 20 40 60 80 100 120 140 2010 2011 2012 2013 2014

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11 Considerando che “lo stato della relazione” rappresenta un indispensabile punto di riferimento nella comprensione e nell’analisi degli omicidi di coppia, appare utile esaminare attraverso le informazioni disponibili in quale punto o fase del percorso di coppia essi siano maturati (EURES, 2015 p. 34)

Tabella 1.1- Femicidi di coppia in base alla relazione tra vittima e autore al momento

dell'omicidio.

Periodo 2010-2014 e anni 2012, 2013, 2014 – Valori percentuali4

Grafico 4 - Femicidi di coppia in base alla relazione tra vittima e autore al momento

dell'omicidio. Anni 2012, 2013, 2014

Fonte nostra elaborazione di dati Eures Ricerche Economiche e Sociali. Anno 2015

4 Fra parentesi sono riportati i valori assoluti

2012 2013 2014 2010-2014

Coniugati e conviventi 59,70 49,40 59,30 50,10 (197)

Conviventi e non coniugati 8,30 12,30 12,30 12,50 (49)

Separati/Divorziati/Ex partner 26,40 25,90 19,80 27,00 (106)

Di cui: Separati di fatto 5,60 6,20 7,40 6,10 (24)

Separati/divorziati di diritto 1,40 8,60 3,70 4,30 (17)

Ex partner 19,40 11,10 8,60 16,50 (65)

Partner stabili non coniugati e non conviventi 2,80 6,20 7,40 6,10 (24)

Amanti 2,80 4,90 1,20 3,80 (15) Partner occasionali 0,00 1,20 0,00 0,50 (2) Totale 100,00 100,00 100,00 100,00 (393) 59,30% 12,30% 19,80% 7,40% 3,70% 8,60% 7,40% 1,20% 0,00% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% Coniugati e conviventi Conviventi e non coniugati Separati/Divorziati/Ex partner Di cui: Separati di fatto Separati/divorziati di diritto Ex partner Partner stabili non coniugati e non conviventi Amanti Partner occasionali

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12 I dati appena presentati e la letteratura di riferimento sottolineano come siano più a rischio le donne all’interno di una relazione coniugale; nel periodo 2010-2014 risulta infatti che il 50,1% al momento del fatto era coniugata e convivente. Lo stesso valore si può considerare osservando l’ultimo anno preso in esame (2014); in questo caso la percentuale è pari al 59,3% (in linea al 2012: 59,7%).

L’Eures in realtà non pone adeguata attenzione alla peculiarità del contesto Italiano, il nostro Paese infatti celebra ancora un numero di matrimoni tutt’altro che irrisorio5.

La situazione presentata impone infatti che si presti maggiore interesse al dato e lo si normalizzi sul totale delle donne in coppia e non sul totale delle donne uccise.

Grafico 5 - Totale donne (anno 2014) Grafico 6 - Donne uccise (anno 2014)

Fonte nostra elaborazione di dati Eures Ricerche Economiche e Sociali e Istat. Anno 2015

Il primo grafico mostra il totale delle donne (in Italia nel 2014) ripartito in tre categorie; il secondo invece considerando la medesima suddivisione mostra invece le donne uccise. Dall’analisi emerge come la percentuale (vittime in costanza di matrimonio), nonostante nel Grafico 4 sia elevata, in realtà è in linea con il numero delle donne coniugate. Differente appare invece la categoria delle donne conviventi (non sposate) perché data la minoranza presente nel nostro Paese, il numero di quelle uccise in proporzione appare più alto.

Le donne assassinate inserite invece nell’insieme

Separati/Divorziati/Ex partner risultano invece inferiori alle

precedenti; disaggregando ulteriormente il dato si nota infatti che la categoria considerata presenta tre sottoinsiemi: Separati di fatto,

Separati/divorziati di diritto e Ex partner. Particolare attenzione

5Considerando l’ultimo anno preso in esame (2014), il numero delle donne coniugate è pari a 14.785.448

dato ottenuto avvalendosi dei dati Istat cfr: http://www.comuni-italiani.it/statistiche/coniugati.html e http://www.tuttitalia.it/statistiche/popolazione-eta-sesso-stato-civile-2014/ Donne coniugate 58% Donne conviventi 4% Altro 38% totale donne coniugate uccise 59% totale donne conviventi uccise 12% altro 29%

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13 deve essere mossa all’ultima. (EURES, 2015 p. 34)(EURES, 2015 p. 34)

La Tabella 1.1 mostra infatti come nei tre anni oggetto di studio la percentuale di donne uccise per mano di ex partner sia 19,4% (2012), 11,1% (2013) e 8,6% (2014).

Il dato sembrerebbe confermare in parte quanto detto in precedenza riguardo al fatto che rischio maggiore venga corso dalle donne in costanza di convivenza o matrimonio; per rispondere a tale perplessità è utile studiare la questione avanzata in maniera più approfondita. Nella maggior parte dei casi è la decisione della donna di interrompere la relazione con l’uomo a scatenare l’ira omicida, eppure spesso l’uccisione della stessa avviene prima che la coppia si separi formalmente, così i mass media e i pubblici ufficiali, rimanendo all’oscuro delle intenzioni che vi erano sottese, considerano ancora la donna coniuge o partner, sottostimando quindi il dato reale.

tra queste, il più alto numero di vittime (pari a 65) ha trovato la morte per mano dell’ex partner; seguono le donne uccise dall’ex marito dal quale erano separate di fatto (24 casi tra il 2010 e il 2014) e quelle uccise dall’ex coniuge dal quale erano separate o divorziate di diritto (17 casi), una condizione, quest’ultima, che registra un rischio significativamente inferiore, risultando il fattore temporale e la ratifica legale della separazione o del divorzio, determinanti nel consentire all’ex partner di elaborare psicologicamente e materialmente il ‘lutto’ della perdita (EURES, 2015 p. 34).

Grafico 7 - Femicidi nella coppia separata in base al tempo intercorso tra la separazione e

l’uccisione della donna. Periodo 2010-2014 su 100 casi noti.

Fonte nostra elaborazione di dati Eures Ricerche Economiche e Sociali. Anno 2015

21,4% 30,4% 7,1% 12,5% 21,4% 7,1% 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% Fino a un mese 1 - 3 mesi 3 - 6 mesi 6 mesi - 1 anno 1 - 3 anni 3 - 5 anni 2010-2014

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14 Osservando il grafico difatti è possibile notare come la percentuale differisca in base al tempo intercorso dalla decisione della donna di separarsi all’uccisione della stessa. Il 51,8% (percentuale cumulata) del totale dei femicidi commessi dopo una separazione avviene infatti nei 90 giorni successivi (il 21,4% fino a 1 mese e il 30,4% tra il 1-3 mese): diminuendo nei periodi seguenti, nonostante il rischio si presenti nuovamente tra il primo anno e il terzo.

Tralasciando l’ovvia motivazione, la conoscenza anticipata del periodo più a rischio per la donna, negli ultimi anni sta acquisendo una rinnovata attenzione perché

laddove si accompagni ad altri segnali di rischio presenti nella relazione/convivenza (violenze, minacce, deprivazioni, denunce, ecc.) potrebbe […] costituire l’oggetto di azioni sperimentali di prevenzione finalizzate sia a proteggere la donna sia ad ‘accompagnare’ l’autore nel suo percorso di elaborazione e di superamento della separazione (EURES, 2015 p. 36)

A tal proposito risulta doveroso domandarsi cosa spinga un uomo a porre fine alla vita della propria donna e quale sia il vero movente.

Le testate giornalistiche talvolta presentano l’omicidio imputandolo ad un improvviso “Raptus” del partner o ex partner, offrendo agli ascoltatori una spiegazione incompleta e a volte mistificata del fenomeno.

Basti pensare all’incidenza statistica di tale “tipologia” di motivazione. Il Grafico 8 ben evidenzia come tale movente corrisponda solo al 4,9% confermando la necessità di approfondire l’origine del gesto. Il principale fattore scatenante viene indicato invece nella categoria “gelosia/del possesso”6.

6L’utilizzo dell’accezione “Gelosia/del possesso” è recente. Nei rapporti precedenti veniva utilizzato

“passionale o del possesso” come sostengono anche Cristina Karadole e Anna Pramstrahler “abbiamo evidenziato la nostra contrarietà a spiegare il femicidio ricorrendo ad una categoria come quella della “passione” che […] ha tutto il sapore della giustificazione di un comportamento efferato, e specularmente di rendere corresponsabile la vittima. Non si può pertanto non evidenziare la gravità dell’ancor diffuso ricorso da parte della stampa a spiegare il delitto con la “passione”, che perpetua l’idea del femicidio come un affare di coppia, e ne attenua la gravità, tralasciando di dire come non vi sia nulla che ha a che fare con l’amore o coi sentimenti nel togliere la vita alle donne.” (Karadole.C. Pramstrahler.A, 2011 p. 28)

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15

Grafico 8 - Percentuali di donne (partner o ex partner) uccise in base al movente

Fonte nostra elaborazione di dati Eures Ricerche Economiche e Sociali. Anno 2015 Come sostiene anche l’Eures si tratta quindi di

omicidi derivanti da una patologia della relazione, talvolta semplicisticamente definiti dai media e dalle stesse Istituzioni come ‘passionali’, implicitamente riconoscendo un qualche margine di giustificazione ad un’azione che invece non ne può contemplare alcuna (EURES, 2015 p. 24).

Sono quindi omicidi commessi da uomini incapaci di accettare la volontà della propria moglie/fidanzata. Pervasi dalla gelosia, dalla paura di essere abbandonati, convinti di avere un diritto di proprietà nei confronti delle compagne.

I casi più eloquenti riportati dalla cronaca e dalle interviste ad amici e parenti delle vittime, individuando nella domanda di separazione o nell’annuncio della stessa i motivi scatenanti7, confermano come il femicidio sia l’esito di comportamenti avversi all’autodeterminazione stessa delle donne (in particolar modo nei confronti della partner): “O mia o di nessun altro!”

7 “L’indagine del 2015 conferma i dati degli anni precedenti e sottolinea l’incapacità dell’uomo di

accettare la fine della relazione con la vittima, o il suo ridimensionamento, o l’interesse della vittima per un altro uomo o semplicemente il suo desiderio di libertà” (Gruppo di lavoro sui femicidi della “Casa delle donne per non subire violenza” , 2016 p. 22).

37,0% 28,4% 12,3% 7,4% 6,2% 4,9% 2,5% 1,2% 0,0% 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% Gelosia/del possesso Liti/Dissapori Disturbi psichici autore Disagio vittima Non rilevato Raptus Futili motivi Interesse/Denaro Altro

(17)

16

1.2. Violenza interpersonale come “espressione” della violenza di

genere

Quelle case, quei luoghi che dovrebbero rappresentare protezione diventano teatro di atroci delitti8. I vicini interrogati dai giornalisti sono incapaci di rispondere, di

fornire informazioni sulla vittima e sull’omicida; talvolta sono solo in grado di presentare un perfetto “quadretto familiare”:

nell’83% dei casi gli uomini vengono descritti come persone tranquille, educate, gentili, che salutavano sempre, insospettabili, dediti al lavoro, ai figli, alla famiglia (http://27esimaora.corriere.it). e solo in pochi avanzano motivazioni sul folle gesto.

Le ipotesi sostenute anche dai mass media potrebbero far pensare che l’uccisione della donna sia conseguente ad un atto improvviso senza precedenti attribuendo l’accaduto alla patologia del singolo9 e non al fenomeno della violenza di genere10.

Ricorrendo all’ultima definizione emessa a livello Europeo, con l’accezione “violenza

nei confronti delle donne” si intende indicare:

una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica).

8“Un’ulteriore indicazione relativa ai contesti del femminicidio familiare riguarda il luogo fisico in cui

sono consumati, avvenendo in oltre 8 casi su 10 all’interno delle mura domestiche (81,8% tra il 2000 e il 2013) […] nel luogo del lavoro (2,1%) e in un locale o esercizio pubblico (1,6%). Anche l’osservazione del solo 2013 conferma la centralità della casa quale luogo elettivo del femminicidio familiare (con 91 vittime, pari al 74,6% dei casi)” (Eures, 2014 p. 30).

9 “Credere che il maltrattamento sia connesso a manifestazioni di patologia mentale ci aiuta a

mantenerlo lontano dalla nostra vita, a pensare che sia un problema “degli altri”. In realtà, solo una percentuale di maltrattatori inferiore al 10% manifesta caratteristiche o sintomi psicopatologici. La grande diffusione della violenza domestica esclude la possibilità che si tratti di un fenomeno interpretabile in termini di patologia o devianza” (Gruppo di lavoro e ricerca sulla violenza alle donne, 1999 p. 12).

10 Secondo la “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei

confronti delle donne e la violenza domestica” il termine genere indica “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini”; reperibile on line al link: https://www.senato.it

(18)

17 La Convenzione anzidetta, per riferirsi alla violenza attuata all’interno della famiglia e/o del nucleo familiare si serve del termine “domestica”; data la generalità del termine, per definire la violenza (fisica, psicologica, economica, sessuale o persecutoria) agita solamente “all’interno di una relazione intima, presente o passata” si predilige l’utilizzo dell’accezione Interpersonale11.

Data la premessa, quando durante la trattazione si affronta il fenomeno della violenza ci si riferisce a quella agita dal partner (presente o passato).

Avvalendosi del rapporto (EURES,2015) emerge come nell’ultimo anno considerato (2014) nella maggior parte delle situazioni i casi di femicidio presentino maltrattamenti pregressi.

Grafico 9 - Frequenza maltrattamenti subiti dalle vittime di femicidio

Fonte nostra elaborazione di dati Eures Ricerche Economiche e Sociali. Anno 2015

Dall’osservazione del Grafico 9 emerge come l’uccisione della donna sia l’esito finale di un trascorso di vessazioni, maltrattamenti agiti nei suoi confronti.

A tal proposito Anna Costanza Baldry, docente universitaria nonché ricercatrice specializzata in criminologia, sostiene sia necessario individuare i cosiddetti

campanelli di allarme; stando alle rilevazioni Eures difatti una percentuale pari a

10,3% delle donne uccise aveva sporto denuncia nella speranza di trovare protezione nelle forze dell’ordine.

La violenza estrema […] sappiamo essere spesso preceduta da altre forme di violenza, in qualche caso anche in presenza di denuncia di

11 Definizione proposta dall’assessore alle Pari Opportunità della Provincia di Pisa (Bagattini, 2011)

4,80% 14,30% 23,80% 57,10% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% Evento isolato Episodico (ma non isolato) N.d. Ricorrente

(19)

18 maltrattamento da parte della donna (Karadole.C. Pramstrahler.A, 2011 p. 28).

Solo una minima percentuale pari a 4,8% prima del fatto aveva riferito di non essere stata quasi mai sottoposta ad alcun maltrattamento12. Particolare attenzione deve essere

mossa anche alla categoria “N.d.” pari al 23,8%13. È utile ricordare come:

Il “numero oscuro” risulti in questo caso particolarmente significativo; molto spesso infatti le vittime che subiscono violenze o maltrattamenti dal proprio compagno (nell’ampia maggioranza dei casi marito o convivente), preferiscono, per vergogna, paura o incapacità di reagire, se non per senso di colpa, non comunicare all’esterno la condizione vissuta (EURES, 2015 p. 38)

Sono donne di ogni età e classe sociale perché il fenomeno della violenza è trasversale. “Essa non conosce confini geografici, né culturali, né di benessere economico”.14 Si considerano colpevoli per essersi innamorate dell’uomo sbagliato,

quello che ogni giorno fa loro augurare che sia l’ultimo. Pochi conoscono quello che avviene dietro a quella porta; alcuni le convincono a “stringere i denti” per il bene dei figli, del matrimonio o per entrambi.

Così con il passare dei giorni, delle settimane, dei mesi e degli anni loro stesse non riconoscono più il dolore, diventano insensibili alle continue vessazioni e vivere l’inferno diventa parte del loro quotidiano.

1.2.1. Le prime stime sui maltrattamenti dentro la famiglia

Abbiamo detto di come le fonti statistiche siano di centrale importanza per descrivere un fenomeno complesso come quello oggetto della nostra riflessione e si è avuto modo di sottolineare come le specificità dello stesso necessitino un’osservazione peculiare sul gruppo sociale più interessato dal fenomeno: la famiglia. Da questo punto di vista, e nonostante l’istituto di statistica nazionale vanti una lunga storia (l’anno di fondazione risale all’Unità di Italia), è solo durante gli anni ’80, “gli anni del risveglio”

12 I dati si riferiscono ad un’indagine svolta dall’Eures su “casi noti” nel Lazio (base 376 casi) (EURES,

2015 p. 39).

13 Ivi p.40

(20)

19 che la struttura e i comportamenti delle famiglie Italiane sono diventate oggetto di attenzione (1983).

Ulteriori risultati vengono raggiunti nel decennio successivo in seguito all’avvio del modello che prende il nome di “Sistema integrato di indagini multiscopo”. Da un sistema informativo incentrato sui bisogni dell’amministrazione si passa all’acquisizione di un’informazione statistica finalizzata all’implementazione delle politiche per migliorare la vita della popolazione rendendo effettiva anche l’integrazione sociale15. I dati raccolti diventano una base informativa indispensabile

per la conoscenza della qualità della vita dei cittadini e per le azioni politiche volte al miglioramento del loro benessere. Il sistema

prevede che ogni anno vengano rilevati gli aspetti fondamentali della vita quotidiana della popolazione nell’indagine […] e che a questa si affianchino altre indagini che approfondiscono tematiche particolari, alcune a cadenza quinquennale e un’indagine continua a cadenza trimestrale (Istat, 2008 p. 7).

Dal 199316 ha così inizio un nuovo corso di indagini sulle famiglie: struttura, reti di relazioni, ciclo di vita coniugale e riproduttivo…; tuttavia l’ampliamento delle dimensioni di interesse non giunge fino a ricomprendere la violenza.

Un indizio utile a comprendere le ragioni di una tale assenza può essere ricercato nella rappresentazione dominante che collegava, e in parte collega ancora, il tema della violenza sulle donne a quello della sicurezza “urbana”. È all’interno di questo tipo di approfondimenti che l’ISTAT offre le prime rilevazioni all’interno dell’indagine multiscopo sulle famiglie “sicurezza dei cittadini”17 nel modulo “Molestie e violenze sessuali” effettuata rispettivamente nel 1997-1998 e nel 2002. Tale approccio si ritrova

ancora nell’indagine“Sicurezza delle donne” (settori: Famiglia e società - Giustizia e

15 “Il sistema di indagini sociali multiscopo Contenuti e metodologia delle indagini Metodi e Norme”

in: https://www.istat.it/en/files/2014/06/met_-norme_06_31_il_sistema_di_indagini_multiscopo.pdf

16 “viene varato il sistema di indagini multiscopo presso le famiglie, articolato in sette diverse indagini

sociali: l’indagine annuale ‘Aspetti della vita quotidiana’, l’indagine trimestrale ‘Viaggi e vacanze’ e cinque indagini tematiche, effettuate a rotazione con cadenza quinquennale, dedicate ai più importanti temi di rilevanza sociale: ‘Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari’, ‘I cittadini e il tempo libero’, ‘Sicurezza dei cittadini’, ‘Famiglia e soggetti sociali’ e ‘Uso del tempo’ ”in: http://seriestoriche.istat.it/fileadmin/documenti/3_Storia%20delle%20fonti_Famiglie.pdf

17 Interessante notare come le indagini multiscopo sulle famiglie (1997-1998 e 2002) si riferissero alla

(21)

20 sicurezza) effettuata nel 2006, essendo la prima ad essere dedicata al fenomeno della violenza fisica e sessuale contro le donne.18 “La violenza contro le donne”, risulta quindi essere innovativa perché oltre a ricordare la fragilità della donna, come soggetto a rischio di violenza da parte di estranei, per la prima volta cerca di dimostrare come la stessa possa essere vittima di maltrattamento all’interno della propria abitazione, rendendo noto al pubblico Italiano il fenomeno della violenza interpersonale19. Come

sottolinea anche Bonora riferendosi al report dell’indagine:

Già dal titolo della ricerca, si mette in evidenza come l’obbiettivo fosse quello di misurare la violenza sulle donne e di compararla nelle sue diverse forme, distinguendola tra la “violenza in famiglia” e “violenza fuori dalla famiglia (Baccaro, 2015 p. 19).

Oltre a studiare la diffusione del fenomeno e le differenti tipologie, ha tenuto in considerazione anche eventuali costi sostenuti dalle donne20 ed in particolar modo la ricerca è risultata utile per elargire alle donne intervistate informazioni efficaci per comprendere meglio la dinamica della violenza e gli strumenti validi per uscirne.

La metodologia scelta, già utilizzata nelle ricerche condotte in altri Paesi (a livello internazionale) prevede che non si parli in maniera esplicita di “violenza fisica” o di “violenza sessuale” che potrebbe risultare differente in base all’idea formalizzata da ogni donna intervistata21 ma di “descrivere concretamente atti e/o comportamenti in

18 “il Dipartimento per le Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Istat, dal

2001 hanno stipulato una Convenzione per la realizzazione di un’indagine ad hoc su questo tema che si pone come obiettivo prioritario la conoscenza del fenomeno della violenza contro le donne in Italia in tutte le sue diverse forme, in termini di prevalenza e incidenza, di caratteristiche di coloro che ne sono coinvolti e delle conseguenze per la vittima.” Disponibile on line al seguente link: Nota metodologica: https://www.istat.it/it/files/2016/12/Nota-metodologica.pdf?title=La+violenza+contro+le+donne+-+23%2Fdic%2F2016+-+Nota+metodologica.pdf

19 La rilevazione è avvenuta telefonicamente con un campione formato da 25 000 donne (tra i

16-70anni); iniziata nel mese di gennaio 2006 si è protratta fino ad ottobre.

20 Una domanda chiedeva alle intervistate se avessero dovuto sostenere spese: cure mediche e

psicologiche, farmaci, spese legali.

21 “a volte le donne non riescono a riconoscersi come vittime e non hanno maturato una consapevolezza

riguardo alle violenze subite mentre possono più facilmente riconoscere singoli fatti ed episodi effettivamente accaduti.” (Aspetti metodologici Istat)

(22)

21 modo di rendere più facile alle donne riconoscere e far emergere le diverse tipologie di violenza”22 (Istat, 2008 p. 8)23.

Analizzando l’indagine, il primo aspetto preso in considerazione risulta essere la percentuale di donne che hanno subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita24. Come si avrà modo di verificare in seguito, queste tipologie rappresentano solamente due delle modalità in cui si estrinseca la violenza maschile contro le donne: indicando con la prima l’utilizzo da parte dell’uomo di “ogni forma di intimidazione o azione che mette a rischio l’integrità fisica” della donna; con la seconda invece riferendosi ad “ogni forma di imposizione di rapporti e pratiche sessuali non desiderate che facciano male fisicamente e/o psicologicamente, sotto minacce di varia natura” (D.i.RE, 2014 p. 22).

Grafico 10 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale dal partner

(attuale o precedente) per tipo di violenza subita nel corso della vita e negli ultimi 12 mesi

Fonte: nostra elaborazione di dati Istat. Anno 2008

22 “L’abbia schiaffeggiata, presa a calci, a pugni o l’abbia morsa? Sia stato fisicamente violento con Lei

in maniera più grave, ad esempio cercando intenzionalmente di strangolarla, soffocarla o ustionarla o che abbia usato o minacciato di usare una pistola o un coltello contro di lei o che abbia usato violenza fisica in un'altra maniera?” in: “Violenza alle donne questionario 2007” disponibile al link:

http://www3.istat.it/strumenti/rispondenti/indagini/famiglia_societa/sicurezzadonne/questionario.pdf

23 “Il dettaglio e la minuziosità con cui si chiede alle donne se hanno subito violenza, presentando loro

diverse possibili situazioni, luoghi e autori della violenza, rappresenta una scelta strategica per aiutare le vittime a ricordare eventi subiti anche molto indietro nel tempo e diminuire in tal modo una possibile sottostima del fenomeno. Sottostima che può essere determinata anche dal fatto che a volte le donne non riescono a riconoscersi come vittime e non hanno maturato una consapevolezza riguardo alle violenze subite mentre possono più facilmente riconoscere singoli fatti ed episodi effettivamente accaduti” (Aspetti metodologici Istat)

24 “L’attenzione è posta sulle violenze subite da un partner affettivo, nell’ambito quindi di relazione di

coppia, e su quelle agite da altri uomini non partner a partire dai 16 anni di età della donna” (Istat, 2008) L’interesse di questa tesi sarà individuata solamente sulla figura del partner.

14,3% 12,0% 6,1% 2,4% 0 2 4 6 8 10 12 14 16

violenza fisica o sessuale da un partner attuale o

precedente

violenza fisica da un partner attuale o precedente

violenza sessuale da un partner attuale o precedente

violenza fisica o sessuale negli ultimi 12 mesi da un partner

(23)

22 Il Grafico 10 mostra come sul campione scelto per l’intervista il 14,3% abbia risposto affermativamente sostenendo di subire o di aver subito una violenza fisica o sessuale dal partner (attuale o precedente); nello specifico il 12% sostiene di aver subito solo quella fisica.

Riferendosi ad un arco di tempo più definito, il 2,4% riferisce di aver subito negli ultimi 12 mesi, entrambe le tipologie.

Volendo esaminare il fenomeno nello specifico risulta interessante osservare il grafico successivo; la tipologia oggetto dell’indagine viene analizzata avvalendosi delle modalità con cui si manifesta. Dall’osservazione del grafico risulta immediato comprendere come nella maggior parte dei casi le donne riferiscano di aver subito strattonamenti/spinte (il 63,4% di tutte le violenze fisiche), nel 47,8% risulta che il partner abbia utilizzato schiaffi/calci e pugni e nel restante 25,2% che siano state colpite da un oggetto25. Per quanto riguarda gli atti più gravi, nonostante le percentuali siano inferiori alle precedenti, emerge come il 6,8% sia stata minacciata o colpita con delle armi e il 6,6% abbia subito ustioni o tentativi di strangolamento.

Grafico 11 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza dal partner nel corso della vita

per forma di violenza fisica subita

Fonte: nostra elaborazione di dati Istat. Anno 2008

Per quanto riguarda la violenza sessuale i dati ricavati dalle risposte rese dalle donne intervistate presentano un quadro “agghiacciante”; sebbene all’interno di una relazione

25 La domanda era “È mai capitato che Suo/il (partner) le abbia tirato qualcosa addosso o l’abbia colpita

con un oggetto che le ha fatto male o che comunque avrebbe potuto farle del male?” si ritiene utile considerare la precisazione “che le ha fatto/avrebbe potuto farle male” corsivo nostro.

63,4% 47,8% 25,2% 6,8% 6,6% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% strattonamenti/spinte schiaffi/calci/pugni colpite con un oggetto minacciate o colpite con armi ustioni o tentativi di strangolamento

(24)

23 intima possa risultare difficile valutarne l’effettiva presenza e la conseguente accettazione o meno della donna, anche in questo caso, la formulazione delle domande poste alle intervistate tendevano ad evitare qualsiasi fraintendimento:

Le è mai capitato di avere rapporti sessuali con il suo partner anche se non ne aveva voglia per paura della sua reazione. Le è mai capitato che il suo partner l’abbia forzata a fare qualche attività sessuale che lei ha trovato degradante o umiliante26(corsivo nostro)

Analizzando il primo quesito si osserva come alle donne venga domandato se un eventuale accettazione a concedersi al partner possa essere dovuta al timore di incorrere nella reazione dell’uomo. Esaminando le differenti tipologie si nota come il 70,5% delle intervistate abbia riferito di essersi sottoposta al volere sessuale del partner per paura di ritorsioni, il 24% ad attività sessuali degradanti/umilianti e il 26,6% ammette di essere stata (anche) vittima di stupro.

Risulta difficile credere che all’interno di una coppia, una relazione d’amore, per paura delle ritorsioni la donna possa accettare di concedersi al proprio uomo; eppure se si ritiene inaccettabile che un amplesso tra due coniugi/conviventi sia il risultato di una violenza, ancora più assurdo sarà ricordare come fino alla riforma del diritto di famiglia, il nostro ordinamento obbligasse la moglie al “debitum coniugale”27. Oggi,

nonostante la giurisprudenza ritenga violenza sessuale anche quella perpetrata a danni della moglie:

In tema di reati contro la libertà sessuale, integra il reato di cui all'art. 609-bis c.p. qualunque forma di costringimento psico-fisico idoneo ad incidere sull'altrui libertà di autodeterminazione, a nulla rilevando l'esistenza di un rapporto coniugale o paraconiugale tra le parti, atteso che non esiste all'interno di tale rapporto un diritto all'amplesso né conseguentemente il potere di esigere od imporre una prestazione sessuale. (Cassazione penale, Sez. III, Sent. 26/03/2004 n. 14789).

26“Violenza alle donne questionario 2007” Disponibile on line al link:

http://www3.istat.it/strumenti/rispondenti/indagini/famiglia_societa/sicurezzadonne/questionario.pdf

27 “fino alla metà degli anni Settanta del Novecento, l’idea che all’interno delle relazioni intime della

coppia coniugata potessero rinvenirsi comportamenti configurabili come violenza sessuale (e, in particolare, del marito sulla moglie) risultava inconcepibile e il marito che avesse costretto con minacce o coercizioni la moglie a compiere o subire atti sessuali non rispondeva del reato di violenza carnale” (Novarese, 2014 p. 237)

(25)

24 il sommerso è altissimo, perché sia le donne, sia gli uomini sono convinti che il dovere, nonostante a livello giuridico sia stato abrogato formalmente, rimanga un “modus operandi”; non si è quindi una brava moglie/compagna se non si soddisfa il proprio uomo.

Approfondendo il fenomeno della violenza (fisica/sessuale), dal report si evince come l’Istat abbia mostrato particolare interesse anche agli effetti prodotti sulle donne. Dall’indagine emerge un quadro preoccupante; nonostante la percentuale più alta abbia riferito di aver riportato lividi (86,6%), tagli/graffi/ bruciature o fratture rispettivamente pari al 15,4% e 7,3%, risulta essere presente se pur minima, una percentuale di donne che sostiene di aver subito conseguenze molto gravi: lesioni interne 4,0%, trauma cranico 3,3%, frattura del setto nasale 2,0%, aborto 1,9% o lesioni ai genitali 1,5%.

Sebbene l’autore della violenza sia individuato nella sola figura del partner, dall’esame delle conseguenze riportate dalle donne si evince come a comparire negli esiti più gravi 15,7% sia il marito/convivente (il fidanzato 6,5%).

A conferma della gravità delle violenze inferte, si nota come una percentuale di donne pari al 24,1% abbia riportato ferite così profonde da richiedere cure mediche; nel 14% dei casi è reso noto che pur avendone bisogno, le “vittime” non abbiano ricevuto cure appropriate. Restando sulla tematica è stato appurato come nonostante le donne ritengano opportuno rivolgersi al pronto soccorso, solamente in rari casi risultano disposte a confermare la violenza subita; se interpellate riferiscono di essere cadute o essersele procurate in modi differenti.

Tralasciando le dichiarazioni “mendaci” delle donne su quanto avvenuto, si rileva come alcune domande siano state formulate con la finalità di conoscere anche la percezione della donna riguardo alla violenza subita; un aspetto che, nonostante riguardi la soggettività stessa della “vittima”, risulta un fattore imprescindibile sia per comprendere la situazione vissuta dalla stessa, sia per attivare azioni efficaci di contrasto alla violenza. Dall’analisi si desume come le donne siano più sensibili a ritenere reato la violenza sessuale. L’istituto di ricerca, infatti, ha reso noto che nonostante la gravità della violenza fisica, solamente una percentuale delle intervistate ha ritenuto il fatto subito un reato; nella maggioranza dei casi la violenza è stata

(26)

25 considerata come “qualcosa di sbagliato ma non reato” oppure semplicemente “qualcosa che è accaduto”.

Dalle interviste inoltre è emerso come la percezione non differisca solamente in base alla tipologia di violenza subita ma anche allo stesso autore: quando questi è il fidanzato solo 18,1% lo considera reato, il 52,4% “qualcosa di sbagliato” e il 28,6% “Solamente qualcosa che è accaduto”. Nel caso si tratti del marito/convivente invece, nonostante la percentuale “reato” sia simile (18,2%), in realtà il 37,5% “qualcosa di

sbagliato” e il 41,6% “Solamente qualcosa che è accaduto”. Nella maggior parte dei

casi si evince come le donne in una relazione coniugale/convivenza siano più propense a credere che sia solo un fatto accaduto, non configurabile nel reato. Solamente le donne che durante l’atto violento hanno percepito di essere in pericolo per la propria vita oppure hanno riportato ferite molto gravi, hanno configurato il fatto, reato: il 48,8% e 40,9% rispetto al valore totale delle donne intervistate che lo hanno ritenuto tale (18,2%). Considerando i fattori esaminati in precedenza è possibile sostenere che la maggior parte delle violenze gravi siano commesse ai danni delle mogli/conviventi, le quali non ritenendo il fatto subito un’azione perseguibile penalmente, solo in minima percentuale pari a 10,1% risultano essere disposte a deporre la denuncia. Dall’analisi delle risposte difatti risulta che la maggioranza delle donne 89,4% non ha sporto querela alle forze dell’ordine.

Il valore emerso dalle interviste spinge a riflettere sulle motivazioni e sulle conseguenze prodotte dalla limitata “affluenza”; l’attenzione non deve essere volta a sottolineare solamente gli effetti immediati dovuti alla difficoltà nel conoscere l’effettiva portata del fenomeno, ma impone una riflessione anche sulle policy attivate per contrastarlo, analizzandolo da ogni prospettiva; “è infatti evidente che il tema della scarsa propensione alla denuncia risulta particolarmente delicato rispetto all’intervento con gli autori di violenza”. la parzialità delle denunce infatti oltre a rendere effettivo “il problema dell’impunità degli aggressori” comporta anche la difficoltà nel “dare (o di ripensare) una pena giusta ed efficace” per gli stessi28 (Baccaro, 2015 p. 95).

In molti casi si tende ad indicare la violenza maschile sulle donne nel maltrattamento fisico o nella violenza sessuale (stupro), in realtà assume molteplici

(27)

26 forme e si manifesta in modalità differenti. Le altre due tipologie ad aver interessato l’indagine Istat sopracitata risultano essere: la violenza psicologica e la violenza economica.

Con la prima si è soliti indicare “ogni abuso e mancanza di rispetto che colpisce la dignità e l’identità” della donna; ogni comportamento messo in atto dall’uomo teso ad offendere, svalutare e minarne la fiducia in sé stessa fino a limitarne le stesse potenzialità ed isolarla (Casa Delle Donne CaD-Brescia, 2014 p. 6).

Uno schiaffo, un pugno sono tangibili, il maltrattamento psicologico invece no; data la difficoltà nell’individuarlo in molti casi questa tipologia di violenza risulta essere sottovalutata; in realtà con il trascorrere del tempo, giorno dopo giorno si insinua nella mente della donna fino ad annientarla e spesso è solo il preludio di quella fisica. Un valido esempio può essere individuato nella testimonianza riportata:

Mio marito non mi ha mai picchiato; ero convinta di non aver mai conosciuto la violenza di coppia, poi invece mi sono resa conto che semplicemente non era necessario che mi picchiasse perché seguissi ogni suo volere. Pensavo di non essere in grado di scegliere e di fare da sola. Le botte sono arrivate con i miei primi “no” 29.

Come precisa anche l’Associazione Nazionale D.i.Re “Donne in Rete contro la violenza” è necessario tenere in considerazione come chiunque, in situazioni di rabbia possa essere portato ad utilizzare parole oltraggiose e provocatorie ma terminato l’impeto d’ira si è costernati e assaliti dal rimorso. Nel caso della violenza psicologica invece la donna è sottoposta ad un continuo tormento, l’intenzione dell’uomo è infatti quella di sottometterla e soggiogarla.

Come emerge dall’indagine Istat, 3 milioni e 477 mila donne (il 21,1% legate ad un partner) nel corso della relazione hanno subito da lui, sempre o spesso, qualche forma di violenza psicologica. Il numero supera i 7 milioni (il 43,2%) se si tengono in considerazione le donne che hanno riferito di subire tali comportamenti meno frequentemente.

(28)

27

Grafico 12 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito, sempre o spesso, almeno una forma di

violenza psicologica dal partner attuale nel corso della relazione per tipo di autore e tipo di violenza psicologica subita

Fonte: nostra elaborazione di dati Istat. Anno 2008

Lo studio di questa tipologia interessa il partner: marito/convivente e fidanzato. Osservando il Grafico 12 (senza distinzioni “tot partner”), si nota come le modalità con cui viene perpetrata la violenza siano molteplici: Isolamento 46,7% (impedirle di avere amici, di frequentare parenti e conoscenti…), controllo 40,7% (le impone la scelta dell’abbigliamento, controlla i suoi spostamenti, non accetta e si infuria nel caso incontri uomini), svalorizzazione 23,8% (critica il suo aspetto, critica come gestisce l’abitazione e l’educazione dei figli, non prende in considerazione le sue proposte, la umilia) e intimidazione 7,8% (danneggia oggetti che hanno per lei valore affettivo, minaccia o fa del male ai suoi figli, agli animali, le intima di uccidersi…).

L’Istat inserisce all’interno della stessa anche la violenza economica. Secondo alcuni autori, (Priulla, 2013; Merzagora, 2009) le forme in cui si coniuga la violenza sono raggruppabili in quattro grandi categorie30: Fisica, Sessuale, Psicologica ed economica31; questa tipologia meriterebbe quindi una valutazione assestante.

30 Aspetto considerato in precedenza

31 “Questa descrizione è quella adottata dagli organismi internazionali e dalla stragrande maggioranza

degli organismi femministi, maggiormente diffusa nel mondo per nominare un fenomeno presente su tutto il pianeta, trasversale alla ricchezza ed alla povertà, pur connotandosi con qualche diversità nelle differenti culture ed in base al possesso di risorse utili ad uscire dal circuito di depauperazione del sé che determina un rapporto violento” (Basaglia, et al. p. 34)

47,9% 35,7% 26,4% 8,4% 40,9% 64,8% 11,8% 5,1% 46,7% 40,7% 23,8% 7,8% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% isolamento controllo svalorizzazione intimidazione

(29)

28 Con siffatta tipologia si vuole indicare “Ogni forma di controllo e di prevaricazione sull’autonomia economica” (Casa Delle Donne CaD-Brescia, 2014 p. 6) che “limita e/o impedisce l’indipendenza economica della donna” (DiRe).

Secondo le rilevazioni Istat sono pari al 30,7% le donne che si considerano vittime di questa violenza; in realtà è una forma ancora poco conosciuta, una donna potrebbe ritenere protettivo l’uomo che le consiglia di restare a casa, di non lavorare; con la “scusa” di evitarle inutili preoccupazioni, le consiglia di gestire la casa e la rassicura che come “uomo” è suo dovere occuparsi del sostentamento economico della famiglia; molte le motivazioni che possono essere addotte per convincerla a non avere un’occupazione propria. Nel quotidiano non è raro che sia l’uomo ad occuparsi dell’aspetto finanziario pagando le utenze, risulta quindi difficile per una donna credere che sia solo una strategia per rendere la propria moglie/compagna succube, impotente, soggiogata; senza un lavoro, senza un’entrata economica risulterà in suo potere e quando, sfinita si risolverà a fuoriuscire dalla relazione, la mancanza di un reddito certo sarà un deterrente ad abbandonare l’uomo, consapevole che senza il suo sostentamento economico non potrà sopravvivere. Un’altra circostanza potrebbe essere quella in cui il marito/convivente nonostante accolga favorevolmente che la propria donna abbia un impiego, obblighi la stessa a versare a lui tutto il guadagno, costringendola nei fatti ad elemosinare qualche spicciolo per acquistare i generi di prima necessità.

In realtà la violenza economica può essere uno di quei primi “campanelli

d’allarme”32 che se rilevati in tempo possono evitare maltrattamenti più gravi:

Si era fatto il conto a parte in banca, ho saputo dopo, io vedevo che stì soldi non tornavano e glielo chiedevo e lui diceva “Ah, non ci arrivo più, stì soldi” e io dicevo “Ma che dici, le spese sono le stesse, in Calabria non spendi una lira, alla spesa ci penso io, hai sempre le stesse spese”. Tutti questi prelievi che lui faceva a me cominciavano a non risultare, a prendere le botte, a dire che io ero attaccata ai soldi (Gainotti M.A, 2007 p. 9).

32

(30)

29 Oltre alle tipologie considerate in precedenza, ottiene un’attenzione particolare anche l’atto persecutorio commesso dagli uomini in seguito all’interruzione di una relazione intima.

Risultano essere 2 milioni 77 mila le donne vittime di “stalking”33 (il 18,8 per cento

delle donne che hanno avuto in passato un partner da cui si sono separate) (Istat, 2007). Credere che la moglie, compagna, fidanzata sia un proprio possesso. Convinti di poter riottenere ciò che si ha perso; increduli che possa aver deciso di andarsene senza che in realtà ci sia di mezzo un altro uomo.

Non accettano di essere abbandonati, ossessionati dalla loro presenza cercano di costringerle prima a parole e poi “con i fatti” a tornare. Così iniziano a comporre in maniera compulsiva il numero di telefono; lasciare messaggi in segreteria diventa la routine. Attenderle davanti al portone di casa, sul posto di lavoro, al parco, ogni spostamento della donna viene monitorato, ovunque vada, l’uomo sarà pronto a “sorprenderla”. Quando prima di lasciare l’abitazione la donna, in preda al panico, riflette su quali posti sia meglio frequentare per non incorrere nella sua presenza si ha la prova che sia vittima di stalking34.

Grafico 13 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito comportamenti persecutori (stalking) da

un partner al momento della separazione o dopo per tipo di comportamento subito - (per 100 donne vittime di stalking)

Fonte: nostra elaborazione di dati Istat. Anno 2008 Come specificato nel volume sono:

33 L’accezione Stalking deriva dal verbo inglese “to stalk” utilizzato nel contesto della caccia e significa

“appostarsi, fare la posta, avvicinarsi di soppiatto alla preda” (Baccaro, 2009 p. 3)

34 I dati sono riferiti al 2006, è necessario attendere 3 anni prima che sia considerato reato

68,5% 61,8% 57,0% 55,4% 40,8% 11,0% 0% 10% 20% 30% 40% 50% 60% 70% 80%

Ha cercato insistentemente di parlare con lei Ha chiesto ripetutamenti appuntamenti L'ha aspettata fuori casa/lavoro/scuola Le ha inviato messaggi, telefonate,e-mail, lettere…

L'ha seguita, l'ha spiata Altro

(31)

30 comportamenti (che) si inscrivono, spesso, in una vera e propria patologia della relazione in cui il “persecutore”, che non è riuscito a elaborare la separazione e il lutto della perdita, persiste nel tentativo di entrare in contatto con la ex partner e/o di spiare e controllare la sua vita. […] comportamenti che di per sé non rappresentano reati; ciò che li rende minacciosi e persecutori è il fatto di essere ripetuti, insistenti e indesiderati al punto da spaventare la donna che ne è oggetto (Istat, 2008 p. 32).

Il 2008 anno di pubblicazione del testo integrale dell’indagine multiscopo “La

violenza contro le donne”, lo “stalking” non era perseguibile come reato.

Probabilmente una parte del merito è ravvisabile anche in questa indagine; attraverso una prima quantificazione dei dati, ha reso possibile una maggiore attenzione al fenomeno e agli effetti prodotti sulle donne, e, ha posto le basi per l’emanazione di una legge che rendesse lo stalking perseguibile penalmente.

1.2.2. Il fenomeno in ottica diacronica attraverso le serie storiche

Sono trascorsi alcuni anni prima che la violenza domestica fosse nuovamente oggetto di ricerca; nel mese di giugno del 2015, l’indagine sulla “Sicurezza delle donne”, condotta dall’Istat (maggio-dicembre 2014), consente di aggiornare i dati relativi al fenomeno della violenza contro le donne35.

Tenendo in considerazione lo schema metodologico utilizzato nella rilevazione precedente, come primo fattore viene posta attenzione alla violenza fisica e sessuale.

35 Ci si attiene solo al report redatto a seguito dell’indagine. Il testo integrale al momento della stesura della tesi

(32)

31

Grafico 14 - Donne da 16 a 70 anni che hanno subito violenza fisica o sessuale da un partner

per tipo di violenza subita e per periodo in cui si è verificata

Fonte: nostra elaborazione di dati Istat. Anno 2007 e 2015

Il Grafico 14 mostra un primo sviluppo. Sebbene lo stupro e il tentato stupro presentino lo stesso valore, per quanto riguarda gli altri dati, nonostante lo scarto sia minimo, esiste. Nella prima rilevazione la percentuale di donne sottoposte a violenza fisica o sessuale è pari a 14,3% mentre nell’ultima indagine è 13,6%. Lo stesso vale per la violenza fisica, la percentuale da 12% scende a 11,6%.

Invariata o quasi rimane invece la percentuale delle violenze rilevata negli ultimi 12 mesi: 2,4% (2006) e 2% (2014).

Un miglioramento che seppur limitato, è indice “di una maggiore informazione, del lavoro sul campo ma soprattutto di una migliore capacità delle donne di prevenire e combattere il fenomeno”(Istat, 2015 p. 1) in un clima sociale che condannando la violenza in ogni sua forma, per la prima volta ha prestato attenzione non solo alle donne ma anche a chi agisce violenza rendendo possibile la nascita dei primi “Centri per uomini autori di violenza”36.

Approfondendo lo studio, e ponendo attenzione alle modalità con cui gli uomini (partner o ex partner) agiscono la violenza, è possibile notare un aggravarsi della stessa.

36 L’anno dell’indagine 2014 erano già presente un discreto numero; il primo risale al 2009 (cfr: II

Capitolo) 14,3% 12,0% 6,1% 2,4% 2,4% 13,6% 11,6% 5,8% 2,4% 2,0% 0% 2% 4% 6% 8% 10% 12% 14% 16%

violenza fisica o sessuale da un partner attuale o precedente

violenza fisica da un partner attuale o precedente violenza sessuale da un partner attuale o precedente stupro o tentato stupro da un partner attuale o

precedente

violenza fisica o sessuale negli ultimi 12 mesi da un partner attuale o precedente

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