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L’ordinamento Italiano e la ratifica della convenzione

3.4 Sulla disciplina della responsabilità genitoriale nei casi di violenza

3.4.1 L’ordinamento Italiano e la ratifica della convenzione

Lo stato Italiano, in seguito anche alla recente riforma154, ha iniziato a considerare

il bambino un soggetto avente anche diritti i quali per essere ottemperati devono rispettare il suo “supremo interesse”; per quanto concerne il maltrattamento agito direttamente sul minore le leggi varate hanno il merito di essere adeguate e responsive ai suoi bisogni, ma come si ha avuto modo più volte di osservare la considerazione di

152 Il Decreto legislativo 28 dicembre 2013 n. 154 (legge n. 219/2012) Consultabile on line al sito:

http://www.gazzettaufficiale.it/

153 Cfr. Secondo Capitolo

154 “Legge 10 dicembre 2012, n. 219 Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali”

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vittima di violenza domestica perché testimone di quanto avvenuto in famiglia risulta

ancora lontano dall’immaginario comune e specialistico.

La violenza assistita ancora oggi non può essere annoverata tra le azioni penalmente perseguibili; in seguito all’entrata in vigore della “citatissima” legge sul

femminicidio155 l’unica differenza apportata è stata il considerare la presenza del

minore, un aggravante al reato di violenza contro la partner.

Il nostro ordinamento attualmente pare quindi ritenere vittima solamente il minore sottoposto a violenza diretta; obbligando chi è preposto a giudicare un caso di violenza domestica ad “un’interpretazione che, riconducendo la violenza assistita a violenza psicologica”, possa almeno inserirla tra le condotte individuabili nel reato di maltrattamento in famiglia156 (Save the Children, 2011 p. 21). Nel codice penale attuale157 il reato Maltrattamenti contro familiari e conviventi 158 compare infatti all’art 572 ed è punito con la reclusione da due a sei anni. Se è costante e prolungato nel tempo, rientrando tra i reati procedibili d’ufficio, risulta sufficiente che il magistrato sia al corrente del fatto perché l’autorità giudiziaria possa procedere; la denuncia da parte della persona offesa non è ritenuta necessaria (Ibidem).

Dato lo scarso interesse alla violenza domestica (soprattutto nel caso in cui i bambini non siano l’oggetto diretto del maltrattamento), merita attenzione l’approvazione della legge 154/2001 recante: “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”; questa norma e i successivi ordini di protezione a distanza di anni risultano essere gli interventi normativi (in ambito sia penale che civile) più adeguati a soccorrere le vittime di violenza domestica perché operanti non solo nel caso di violenza fisica ma anche psicologica. Per quanto concerne l’ambito penale è stata introdotta una misura cautelare (art.282bis c.p.p) che prevede che il soggetto violento

155 Ci si sta riferendo alla legge n. 119 del 15 ottobre 2013 Consultabile on line:

http://www.gazzettaufficiale.it/

156 Rappresentazione che risulta essere restrittiva (cfr. 3.1)

157 L'articolo che recitava: “è punito con la reclusione da uno a cinque anni” è stato così sostituito

dall'art. 4, L. 1 ottobre 2012, n. 172 (http://www.altalex.com/documents/news/2014/11/10/dei-delitti- contro-la-famiglia).

158 “Per i reati procedibili d’ufficio sussistono inoltre l’obbligo di denuncia da parte dei pubblici ufficiali

o incaricati di pubblico servizio (art. 331 cp e art. 334 cp) -categoria che include gli operatori sociali e sanitari nelle strutture pubbliche o private convenzionate con l’amministrazione pubblica, e gli insegnanti delle scuole pubbliche o private convenzionate - e l’obbligo di referto (art. 365 cp) per chi esercita la professione sanitaria, per il quale non si può opporre il segreto professionale (art.200 cpp).” (Save the Children, 2011 p. 21).

96 venga allontanato per un periodo di 6 mesi dall’abitazione famigliare e gli venga precluso di avvicinarsi ai luoghi (lavoro, studio, famigliari) frequentati abitualmente dalla persona offesa (misura facoltativa)159. Data la contigua privazione di mezzi di sussistenza adeguati, dall’articolo suddetto si evince come il pubblico ministero (nel corso delle indagini preliminari o durante il dibattimento in aula) possa decidere di ingiungere anche un pagamento periodico160.

In ambito civile la stessa norma ha introdotto invece gli artt. 342bis e 342ter nel Codice civile, rubricati sotto “Ordini di protezione contro gli abusi familiari”. Particolare attenzione deve essere mossa all’art 342 bis il quale prevede che l’allontanamento venga decretato anche in assenza dei requisiti per la perseguibilità d’ufficio, obbligando quindi l’offensore alla cessazione della condotta pregiudizievole e stabilendo il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati anche dagli stessi figli della coppia.

Gli atti normativi rientranti sia nell’ambito civile sia in quello penale, se fossero realmente attuati, risulterebbero almeno in un primo momento una risposta adeguata ad affrontare la violenza domestica. In realtà vi sono molti problemi nella gestione della violenza, in particolar modo nel caso in cui la coppia abbia figli minori. Si è avuto già modo più volte di ricordare come l’entrata della L. 54/2006 abbia stabilito che in caso di separazione/divorzio la formula scelta per l’affidamento del minore sia quello

condiviso; la presenza di entrambe le figure genitoriali è ritenuto infatti aspetto

essenziale per la crescita equilibrata del minore opinione che viene condivisa dagli stessi membri del Cismai, che ribadiscono il valore della bigenitorialità.

Il nostro ordinamento però, nonostante siano trascorsi 4 anni, non è riuscito ad adattare la norma suddetta alla ratifica della Convenzione di Istanbul; come è stato ampiamente evidenziato, la stessa nel preambolo considerando il minore vittima di violenza domestica al pari della madre stabilisce che “al momento di determinare i

159 Per “persona offesa” si intende sia il coniuge che una donna convivente non unita da vincoli

matrimoniali, dimostrando l’estensione della legge e dell’avanzamento culturale.

160 “con la fissazione delle modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma

sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante”. (“indici di recidiva e vittimizzazione) Prevista in decreto massima di un anno (da l.38/2009) prorogabile, su istanza di parte se ricorrono gravi motivi e per il tempo strettamente necessario.

97 diritti di custodia e di visita dei figli” debbano essere presi in considerazione eventuali episodi di violenza agita dal padre sulla madre del bambino, sostenendo che l’autore di violenza, quindi non possa essere considerato adeguato al pari della madre. Sebbene la decadenza della responsabilità genitoriale venga ritenuta “ultima spiaggia”

l’affidamento condiviso confligge anche con il dovere delle parti ratificanti la

convenzione di “garantire che l'esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini”, aspetto che come si è potuto osservare non viene considerato dallo stato Italiano ed è foriero di conseguenze negative nella crescita del minore comportando la vittimizzazione secondaria nella donna stessa.

Come si avrà modo di constatare nel paragrafo seguente, in altri sistemi stranieri, come la Spagna, nel caso venga avanzata l’ipotesi di violenza famigliare, a livello cautelativo è ritenuto opportuno decretare l’immediata sospensione della capacità genitoriale del padre (Regione Piemonte, 2010).

Nel nostro Paese l’uomo-padre viene “ignorato”; nella maggior parte dei casi senza che venga prima predisposta una valutazione161 sull’adeguatezza nell’essere genitore, viene decretato “l’affidamento condiviso” e stabilito che lo stesso abbia il diritto di vedere i figli in un luogo neutro. Terminato il periodo “di prova”, se nell’ora di visita non è risultato avere una condotta violenta e pregiudizievole nei confronti del minore, viene confermata l’adeguatezza e discussa anche la possibilità di concedergli gli incontri nella propria abitazione.

Risulta necessario ricordare come spesso (ex art 403), venga deciso dal tribunale dei minorenni che il padre resti nell’abitazione famigliare e sia invece la madre (con i bambini) ad essere costretta ad abbandonare la casa e ad essere inserita in una comunità con tutte le conseguenze che comporta per la donna e i propri figli (Ibidem).

L’assenza della violenza assistita tra quelli perseguibili penalmente, considerata solo un aggravante nel reato di maltrattamento in famiglia e l’esiguo numero di donne

161 Situazione opposta è riscontrabile nei confronti della donna che viene sottoposta ad ogni forma di

perizia per valutare la sia capacità genitoriale, ritenendo le violenze subite un presupposto valido per considerare la stessa inadeguata e poco protettiva.

98 disposte a denunciare162 o rivelare le violenze subite dal partner163, impedisce che il minore testimone della violenza ottenga la giusta tutela.

Le motivazioni che inducono la donna a non svelare quanto accade tra le mura domestiche, impedendo di salvare anche lo stesso figlio, sebbene possano apparire divergenti sono in realtà strettamente collegate al timore della stessa nell’essere al corrente delle implicazioni future; chi è preposto a soccorrerla, essendo privo di formazione adeguata, non è in grado di aiutare né lei né il minore.

L’entrata in vigore della convenzione di Istanbul, come si evince dall’attuale legislazione Italiana, non ha sortito alcun effetto positivo: l’affidamento congiunto in qualsiasi procedura di separazione o divorzio resta la prassi e l’assistere alla violenza sulla madre risulta essere solo un aggravante ad una pena che risulta oltremodo difficile da applicare. L’essere cosciente di incorrere in una giustizia iniqua sapendo che in caso di separazione lo stesso autore di violenza possa ottenere l’affidamento del figlio (senza che la stessa abbia la facoltà di impedirlo), convince la donna a non denunciare.