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3.3 Il minore come soggetto di volenza assistita

3.3.2 Gli effetti a lungo termine

L’assenza di un genitore protettivo, (ravvisabile anche in altre figure oltre alla stessa madre) e in particolar modo il non aver esperito altri modelli relazionali se non quello improntato sul maltrattamento pone le basi affinché la violenza sia trasmessa anche agli stessi figli.

Sul lungo periodo il ragazzo (spesso è il maschio a seguire le orme paterne) cerca di emulare l’esempio aggressivo e antisociale appreso dal padre; oltre ad un maggior rischio nell’iniziare ad assumere alcol e droghe risulta soggetto allo sviluppo di comportamenti violenti, diventando a sua volta un “maltrattante”; nel caso delle ragazze/donne spesso l’aver assistito la vulnerabilità materna le porta ad assumere comportamenti remissivi, rischiando a loro volta di diventare esse stesse nuove vittime di violenza da parte del partner (Pangea, p.16, 2014).

Dalla letteratura si desume che l’aver assistito durante l’infanzia il maltrattamento sulla madre (fratelli) sia un fattore di rischio per la comparsa di nuovi casi di violenza interpersonale.

Negli anni ‘80 tre studiosi: Strauss, Gelles e Steinmetz, hanno rilevato come gli uomini che hanno assistito alla violenza agita dal padre sulla madre avessero 3,5 maggiori possibilità di diventare a loro volta autori di violenza verso la moglie/compagna (Luberti, 2006 p. 148).

In una ricerca successiva, svolta da Dutton e Hart all’interno delle carceri, è stato rilevato come gli uomini condannati per crimini violenti commessi ai danni della famiglia abbiano riferito di aver esperito comportamenti maltrattanti all’interno della famiglia d’origine; quanto sostenuto non è stato individuato invece negli uomini detenuti per crimini violenti agiti contro estranei.

148 Le risposte espresse dalle giovani donne mostrano come spesso la motivazione vada rintracciata nel

troppo tempo impiegato dalla donna per decidersi ad abbandonare l’autore di violenza, costringendo la figlia a crescere in un ambiento violento e a diventare lei stessa una vittima del maltrattamento assistito. (testimonianze risultanti dal lavoro di operatrice antiviolenza e dai corsi di formazione sull’argomento)

90 In uno studio Canadese interessato alle uccisioni di donne avvenute da parte dei partner è emerso come circa il 40% dei casi di omicidi siano stati commessi da uomini vittime di violenza assistita (Luberti, 2006 p. 149).

In Italia, nonostante la tematica abbia riscontato poco interesse, l’istituto di ricerca Nazionale al termine delle rilevazioni ha convenuto come la trasmissione intergenerazionale della violenza domestica, debba essere individuata nella relazione tra l’aver assistito al maltrattamento durante l’infanzia e il successivo comportamento violento o di vittimizzazione (Istat, 2015). Avvalendosi dei dati ottenuti dall’indagine sulla violenza menzionata in precedenza, è stato possibile individuare la percentuale di donne “vittime” che avessero “alle spalle” un passato di violenza assistita; dalle risposte ricevute, è risultato che il 7,9% delle donne intervistate abbiano assistito alla violenza agita dal padre sulla figura materna; tra queste la maggior parte 58,5% riferisce di essere o di essere stata vittima di violenza per mano del compagno/marito (Istat, 2008).

Nell’indagine successiva, è stato invece riscontrato come l’uomo autore di violenza nei confronti della moglie/compagna, nel caso in cui durante l’infanzia fosse stato testimone del maltrattamento del padre sulla madre, la percentuale passa dal 5,2% al 22% (Istat, 2015).

La letteratura di riferimento e gli stessi dati rilevati durante le indagini statistiche confermano senza ulteriori dubbi come un bambino testimone della violenza agita dal padre sulla madre risulta avere una maggior possibilità di emulare il comportamento paterno e di diventare lui stesso autore di violenza; lo stesso “futuro” viene prospettato alla bambina la quale presenta un’elevata possibilità di assumere a sua volta “le vesti della vittima”.

Risulta necessario ricordare come le considerazioni fatte siano predittive e non deterministiche; ogni bambino è a sé stante, un comportamento e un temperamento differente comporta anche un modo diverso di percepire la violenza e gli effetti che produce. Dallo schema delineato è possibile venire a conoscenza dei fattori in grado di modificare gli effetti della violenza sul minore149:

149 Materiale del Corso di formazione Camaiore aprile 2017 “Individuazione e valutazione dei segnali

e conseguenze di tipo comportamentale, cognitivo, sociale e fisiologico. Come aiutare le madri nella ridefinizione dei legami di attaccamento con i figli e le figlie vittime di violenza assistita”.

91 • Natura e gravità

• Durata • Età

• Livello di sviluppo

La presenza di una figura di riferimento che funga da protezione, l’essere sostenuto da un promotore di resilienza, venendo a contatto con modelli relazionali improntati sul rispetto e la cooperazione, rendono possibile e realizzabile l’interruzione dell’effetto domino nella trasmissione intergenerazionale della violenza150.

Quanto detto sugli effetti provocati dalla violenza domestica nei bambini si collega all’uomo autore di violenza che appunto può essere padre. Come si è avuto modo di osservare, gli organi preposti a valutare il benessere del minore, prescindendo (erroneamente) dalla violenza agita sulla moglie/compagna e nonostante lo stesso abbia reso i bambini testimoni del maltrattamento, reputano necessario salvaguardare il rapporto padre-figli; giudizio rivelato essere erroneo.

Nel 2012 la Fondazione Pangea ha presentato alla commissione Europea (nell’ambito del Programma DAPHNE III) il progetto B-SIDE: a Barrier to Stop the

Indoor Domino151, tradotto in Italia con il titolo Una barriera per fermare l’effetto domino della violenza domestica sui minori; il lavoro svolto con le madri e i bambini

partecipanti al progetto ha permesso di trovare conferma del fatto che un padre responsabile di violenza domestica, causando un grave pregiudizio nei figli, non può e non deve essere considerato una figura genitoriale positiva.

Viene stabilito inoltre che, affinché il minore divenendo adulto non incorra nel rischio di emulare il comportamento paterno è necessario che l’autore di violenza sia inserito in uno “stretto e serio Programma di Recupero della genitorialità” e venga inoltre disposto l’obbligo di “verifica” sul percorso intrapreso da parte di professionisti (Pangea Onlus, 2014).

150 Ibidem

151 “Il Progetto B-SIDE e stato realizzato da Fondazione Pangea, in partenariato con altre associazioni

italiane ed europee: il Centro Donna Lilith di Latina (Italia), l’Associazione di Assistenza a Vittime di Aggressioni Sessuali e Violenza di Genere - A.D.A.V.A.S di Salamanca (Spagna), l’Associazione per i Diritti delle Donne - NANE di Budapest (Ungheria); ha partecipato in qualità di partner associato l’Associazione per la Liberta e l’Uguaglianza di Genere- A.L.E.G. di Sibiu (Romania)” in Esperienze e linee guida Pangea

92 In seguito alle motivazioni addotte, proprio perché un “uomo maltrattante” vede compromesso non solo il ruolo di partner ma anche quello paterno, si ritiene che lo stesso durante il suo diritto di visita, potendo esercitare anche sugli stessi figli forme di violenza fisico o psicologica, per preservare l’incolumità del minore, nelle “raccomandazioni finali” si evince come sia opportuno (almeno) nella fase iniziale (dopo la separazione) che:

il contatto con il padre si sospendesse e potesse ricominciare solo dopo che gli specialisti intervenuti avessero verificato che i comportamenti violenti fossero terminati: che il padre abbia riconosciuto il problema e abbia frequentato un percorso d’aiuto professionale per cambiare i propri comportamenti e che sia riuscito in questo percorso (Pangea Onlus, 2014 p. 62).

Nel periodo successivo al “trattamento” viene comunque sostenuta la necessità nel continuare ad effettuare le visite in modalità protetta e monitorata.

Solamente rammentando gli effetti, la sofferenza provocata nei bambini e il rischio di poter dare adito ad una trasmissione nelle generazioni successive, l’attenzione all’autore di violenza, sebbene comporti un investimento economico, risulta un aspetto “imprescindibile” per contrastare il fenomeno della violenza maschile; un ulteriore conferma può essere ottenuta considerando il numero di bambini che verrebbe salvati e la quantità di padri resi in grado di cambiare, investendo seriamente nel ruolo paterno, e riappropriandosi del rapporto con i loro figli.

3.4 Sulla disciplina della responsabilità genitoriale nei casi di violenza