5.2 I nodi della rete nel modello territoriale
5.2.3 Centri per uomini autori di violenza: modelli differenti per un unico
Nella ricostruzione degli attori coinvolti nel sistema a rete non possiamo non considerare il ruolo dei centri per autori di violenza. Tale soggetto pur citato nella normativa nazionale non trova spazio nel modello di rete attualmente in auge.
Per poter ricostruire le diverse modalità all’interno delle quali si declinano i servizi per autori di violenza, ci si è avvalsi dell’utile lavoro di ricerca di Bozzoli, Merelli, Mancini e Ruggerini proposto nel manuale “Il lato oscuro degli uomini”.
L’avvalersi delle esperienze Europee e Statunitensi come modelli di partenza, con il passare del tempo, ha reso il territorio Italiano testimone della proliferazione di realtà dissimili con approcci e storia differenti202.
È possibile categorizzare una tale modellizzazione avvalendosi di quattro item (Bozzoli A., et al., 2013 p.160):
- Percorso di formazione e nascita - Orientamento culturale
- Programma e modalità di lavoro - Rapporto tra pubblico e privato
La classificazione delineata proponendo le differenti tipologie esistenti sul territorio nazionale non ne esamina la rispondenza con i centri esistenti, ma verifica se tali caratteristiche si ritrovino nel Centro afferente al territorio Pisano.
202 Per avere un idea delle realtà presenti sul territorio Italiano si rinvia all’appendice e al volume “il
135 Analizzando il primo punto, il principio dei servizi che si occupano di autori di violenza viene individuata in un rapporto generato negli anni con il Centro antiviolenza della città o in loro assenza “con un progetto di formazione sul problema della violenza degli uomini e con la presentazione di programmi utilizzati in altri paesi” oppure trovano la loro origine nel lavoro di riflessione sul maschile/sul parlare di sé, sviluppata nei gruppi di uomini che successivamente hanno esplicitato il bisogno di intervenire in prima persona con gli autori della violenza. Al terzo modello fanno fede gli interventi nati “all’interno di pratiche di lavoro che hanno come focus la genitorialità, la paternità e quindi le relazioni conflittuali intrafamiliari”. L’ultimo raggruppamento si discosta dai precedenti perché vede la nascita degli interventi in un contesto coatto “nell’ambiente della pena e della detenzione: all’interno delle carceri o all’esterno, per misure alternative al carcere” (Bozzoli A., et al., 2013 pp. 160-164). Se il secondo criterio ad essere oggetto dell’analisi è “l’orientamento culturale” che risulta caratterizzato in quasi tutte le realtà203 in quello “profemminista”, per quanto riguarda il terzo aspetto “programmi e modalità di trattamento”, le differenze risultano essere più visibili (Ivi. p. 165) .
Attenta valutazione deve essere volta al gap temporale che divide le esperienze Italiane da quelle degli altri Paesi, una distanza che, come è reso noto dalle autrici, ha permesso ad alcuni operatori/trici di intraprendere esperienze di studio all’estero, e grazie ai contatti ottenuti, di chiedere ai responsabili dei centri già affermati, di condurre anche in Italia una formazione specifica; oltre ad Emerge a cui ha fatto fede come modello il primo centro per maltrattanti (Cam) di Firenze, le altre realtà a livello internazionale risultano essere (Ivi. p.165-166):
- ATV/ Alternative To Violence di Oslo
- Ires fundacion istituto de reinsercion social di Barcellona - Programma antiviolenza (Men counseling centre) di Vienna - Coexus di valencia
- Vires di ginevra
203 L’ultimo gruppo considerato, “interventi che avvengono nell’ambiente della pena e della detenzione:
136 Nella maggior parte delle esperienze attualmente attive, il modello internazionale204 è risultato essere utile solamente come traccia; il passaggio dalla teoria alla prassi ha reso necessario l’adattamento dei primi modelli al contesto nazionale, “contaminando” quindi i diversi approcci esistenti.
Tralasciando le differenze presenti in ogni realtà, risulta ugualmente possibile individuare alcuni aspetti rintracciabili nei servizi finalizzati agli uomini autori del maltrattamento: la violenza come “espressione di una cultura patriarcale di potere e di controllo dell’uomo” reso visibile dall’emancipazione femminile; la modalità volontaria per accedere al servizio; “la responsabilizzazione dell’autore” come aspetto imprescindibile, considerando l’azione violenta come “una scelta nella quale si intreccia la storia individuale con modelli culturali sociali”. Viene reso noto anche come il percorso possa essere strutturato su incontri individuali o di gruppo; la presenza o meno del contatto partner ed infine, aspetto prioritario, la necessità “di stabilire rapporti di collaborazione con i centri antiviolenza e con la rete dei servizi operanti sul territorio” (Ivi.p.167).
Principi che vengono fatti confluire in due macro-modelli:
• Centri che conducono prevalentemente un lavoro di tipo terapeutico che dà largo spazio a colloqui di ‹‹trattamento psicologico›› sia individuali che, in misura maggiore, di gruppo;
• Centri e progetti che attuano un lavoro soprattutto psicoeducativo che si affida essenzialmente a interventi di gruppo (Bozzoli A., et al., 2013 p. 168).
L’ultimo criterio da osservare è il “rapporto fra pubblico e privato”. Si nota come il centro possa essere quindi riconosciuto dal pubblico (ente locale o regione) che può promuoverne le iniziative, ed aiutarlo nella gestione, erogando all’occorrenza anche un contributo per sostenere il servizio offerto. Il caso opposto, vede il centro privo di qualsivoglia aiuto economico dall’ente pubblico e l’intervento risulta essere promosso, organizzato e gestito solamente da un “associazione privata”. Nella terza opzione l’ente pubblico, inserendo l’iniziativa nella sua organizzazione sociosanitaria, non solo
137 la promuove e vi si fa carico di tutti i costi, ma agendo in questi termini dimostra come l’ente pubblico ritenga la prestazione offerta rilevante per l’intera collettività considerando il centro “parte del sistema locale dei servizi a rete presenti nei distretti sociosanitari della zona” (Ivi. p.169).
Per quanto sia possibile riscontrare altre modalità di sostegno da parte delle istituzioni pubbliche, la ripartizione proposta ha permesso di enucleare gli aspetti fondamentali. Sicuramente è utile osservare come l’ente pubblico possa sostenere il centro per autori di violenza attraverso altre forme come concedere le proprie sedi per lo svolgimento delle attività oppure “affidando agli operatori dei centri progetti di formazione e sensibilizzazione di altre figure professionali” (Ivi. p.171), dimostrando così, di confidare nel loro servizio e nella necessità di trasmissione agli operatori afferenti ad altri ambiti di intervento.
L’assenza di una contribuzione da parte dell’ente locale al centro, non solo rende difficile il funzionamento del servizio offerto, data la gratuità della prestazione, ma indirettamente comprova l’inutilità del servizio, perseverando nell’incentivare la rappresentazione collettiva che negando il mutamento del comportamento violento, ribadisce come l’unica soluzione sia “rinchiudere” gli attori e proteggere le vittime.
Come si avrà modo di considerare nel prossimo paragrafo, dalla creazione dell’associazione Nuovo maschile (2012), Pisa, ignorando il servizio offerto agli uomini autori di violenza, mostra di non aver ancora recepito questo messaggio.