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3.3 Il minore come soggetto di volenza assistita

3.3.1 Gli effetti a breve termine

I primi sintomi, (come è stato affrontato nel paragrafo introduttivo) sono stati riscontrati nei bambini dalle operatrici dei centri antiviolenza attraverso i colloqui con le donne ed in particolar modo durante la loro permanenza nelle case rifugio. L’assistere i figli delle donne vittime di violenza ha permesso di venire a conoscenza di alcuni segnali (come l’enuresi/encopresi notturna e la presenza di frequenti incubi durante il sonno) importanti per dimostrare la necessità di predisporre uno studio finalizzato a comprendere tutti i possibili effetti dovuti all’essere testimone della violenza domestica.

Il bambino vittima di violenza assistita non è sereno e spontaneo ed appare limitato nelle scelte e nel fornire risposte; gli atteggiamenti considerati tipici dei bambini in età prescolare-scolare, come il semplice “capriccio”, sono evitati scrupolosamente. Il protrarsi della violenza e la diminuzione temporale dei periodi di tregua detti “luna di miele” rendendo il bambino sempre più consapevole dei segnali che preludono un futuro maltrattamento lo portano a riflettere su quali possano essere i comportamenti in grado di scatenare una reazione violenta e ad agire di conseguenza per evitarli. Il minore diventa consapevole dell’impossibilità di esternare le proprie paure, sentimenti, emozioni: sia perché non verrebbero accolte (non otterrebbe conforto al suo disagio), sia perché potrebbero indurre un nuovo maltrattamento sulla madre.

Nei bambini è stato riscontrato anche la presenza del “senso di colpa” giustificato dal reputarsi “privilegiati” per non essere l’oggetto della violenza paterna e nel contempo dal considerarsi “cattivi” perché non in grado di modificare la situazione di violenza espressa sulla madre (Luberti, 2006 p. 142).

85 Data la complessità del fenomeno risulta utile presentare un elenco dei maggiori sintomi rilevati dagli esperti in materia e solo in un secondo tempo indirizzare la spiegazione solamente a quelli ritenuti meritevoli di particolare attenzione perché fattori di rischio imprescindibili alla trasmissione intergenerazionale della violenza.

Nell’immediato il bambino può manifestare:

• Sindrome da stress post traumatico

• Disturbo acuto da stress • Aggressività

• Crudeltà verso animali

• Ritardi nello sviluppo (la causa potrebbe essere rintracciata anche nella

violenza subita dalla donna durante la gestazione) • Minori competenze sociali

• Difficoltà/incapacità di empatizzare con gli altri

• Difficoltà nel comportamento alimentare • Alterazioni del ritmo sonno-veglia

• Somatizzazioni: eritemi, disturbi gastroenterici, comportamenti regressivi, cefalea, enuresi, encopresi

• Difficoltà scolastiche • Ritardi nel linguaggio • Deficit dell’attenzione • Ansia

• Depressione • Disperazione • Introversione

• Bassa autostima e svalutazione di sé

• Adultizzazione precoce

• aumenta il rischio di essere vittima di altre forme di abuso, come la violenza sessuale o di maltrattamento fisico

Il concetto “sindrome post-traumatica da stess”, (Post-Traumatic Stress Disorders) rilevata anche nella donna “vittima di violenza”, permette di spiegare come l’essere sottoposti ad eventi altamente angoscianti e fisicamente distruttivi, malgrado siano

86 brevi o discontinui, possano comportare, anche a distanza di mesi o anni, sintomi psicologici.

Il DSM IV, affinché fosse possibile effettuare la diagnosi, ha proposto alcuni criteri (APA,1994); tra i vari fattori considerati, è possibile enucleare quello che maggiormente risponde al fenomeno della violenza assistita:

il soggetto si è confrontato con circostanze che hanno implicato la morte, o la minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia dell’integrità fisica propria o di altri; la risposta della persona comprendeva paura intensa, orrore o sentimenti di impotenza (in particolare, nei bambini ciò si può esprimere in un comportamento disorganizzato o agitato).

Gli studiosi interessati al problema hanno inoltre scoperto come la patologia si sviluppi secondo una sequenza dettagliata: una prima fase “acuta” dove compaiono reazioni di disorganizzazione, incredulità, vulnerabilità, necessità di isolamento e un senso di annichilimento; successivamente il soggetto entra nella “seconda fase” dove compaiono delle reazioni a “breve termine” in grado di indurre sentimenti ed emozioni spesso ambivalenti e contrastanti come può essere l’odio verso l’aggressore e la stessa autocolpevolizzazione; nella fase finale il soggetto presenta reazioni prolungate a “lungo termine” , oltre a comportare la perdita di fiducia in se stesso, è interessato da altri effetti come i sintomi depressivi (incubi, sfiducia in se stessi e negli altri, perdita di interesse per tutto ciò che circonda la persona, frequenti crisi di pianto) (Malacrea, 2006 p. 41).

Come si è potuto osservare il PTSD in realtà potrebbe essere considerato un processo di adattamento temporaneo ad eventi traumatici di breve durata; è utile considerare come il prolungamento degli eventi stessi, come l’assistere continuamente ad episodi di violenza famigliare in realtà comporti nella donna e nel bambino una sensazione di totale asservimento all’abusante; il sentirsi sotto il suo controllo potrebbe infatti originare una forma più complessa di Disturbo da Stress Post Traumatico che erroneamente potrebbe essere valutata come un disturbo di personalità (borderline) (Bianchi, et al., 2006).

L’altro comportamento (sintomo) presentato dai bambini che hanno esperito la violenza agita sulla propria madre è l’adultizzazione precoce o comportamento di

87 risulta necessario affrontare in maniera appropriata. Il bambino assistendo al maltrattamento della propria madre con il trascorrere del tempo e del protrarsi della violenza comprende come la stessa sia un soggetto vulnerabile, non in grado di trasmettere protezione e come in realtà sia la stessa ad essere bisognosa di cure. Le operatrici delle case rifugio infatti hanno notato come lo stesso minore (età prescolare- scolare) non domandi e non cerchi protezione nella figura materna ma esterni comportamenti adultizzati d’accudimento; alcuni tra gli esempi maggiormente rilevati possono essere: filtrare le chiamate rispondendo al telefono al posto della madre, andare ad aprire la porta di casa (affinché sia possibile allertare la stessa dell’eventuale pericolo), controllare tutti gli spostamenti e le attività svolte; non è raro assistere ai “capricci” dei bambini quando, costretti ad allontanarsi dall’abitazione per assolvere all’obbligo scolastico, sono consapevoli di lasciare la madre sola in assenza di protezione146. Con il genitore autore di violenza ugualmente mettono in atto comportamenti non conformi alla loro età: quietare il padre (in alcuni casi prendendo le sue difese), oppure durante il maltrattamento fisico frapponendosi tra i due per proteggere la figura di riferimento.

Dal lavoro con i minori vittime di violenza assistita è emerso anche il rischio dell’istaurarsi di un rapporto “patologico” in cui la donna utilizzi il proprio figlio a “scopo riparativo” cercando in lui conforto, consolazione, in alcuni casi anche protezione e un confidente al quale esternare i suoi timori. Questa situazione comporta inverosimilmente un’inversione dei ruoli: un bambino che “coccola” e cerca di alleviare le sofferenze della madre e una donna in cerca di protezione e consolazione dal figlio (Luberti, 2006 p. 143).

Quanto affermato permette di individuare un collegamento con l’abuso sessuale agito sui minori; nonostante sia raro infatti è stato riscontrato che la bambina, presa consapevolezza nell’avere la “capacità” di quietare il padre, invertendo non solo i ruoli tra madre e figlia ma sostituendosi a lei come “moglie”147 “accetta” di concedersi a lui.

146 Il fatto che il minore non voglia andare a scuole, perché ha paura di allontanarsi dalla madre

(lasciandola sola) potrebbe essere un segnale per comprendere in anticipo un eventuale vissuto di violenza domestica.

147 Quando succede spesso la donna non comprende il motivo che abbia spinto la figlia a rubargli l’uomo

88 Nella maggior parte delle famiglie in cui la violenza domestica regna indisturbata in realtà il reato di pedofilia non viene commesso dal padre; spesso l’abusante è individuato nella figura del parente o dell’amico più prossimo.

Il considerare l’abuso sessuale tra i possibili effetti della violenza assistita deve essere rintracciato nello stato di abbandono e trascuratezza che vedono la minore implicata (anche il maschio può essere ugualmente oggetto dell’attenzione degli adulti); vivere in un contesto famigliare dove si esperisce il maltrattamento agito sulla madre, dove la figura protettiva identificata per “antonomasia” nella donna risultando troppo impegnata a proteggere sé stessa e i figli dal pericolo interno appare inadeguata a percepire il pericolo esterno rendendo la bambina il bersaglio perfetto per le attenzioni di un adulto “affetto” da pedofilia. D’altro canto la minore oltre alla certezza di non vedere accolto il suo timore acquisisce consapevolezza del fatto che un’eventuale rivelazione possa dare adito ad una nuova violenza.

I bambini e le bambine costretti dal maltrattamento domestico ad agire comportamenti adultizzati (con la madre e gli eventuali fratelli minori) crescono

bruciando le tappe corrispettive all’età; come si avrà modo di comprendere anche nel

paragrafo successivo, saranno maggiormente soggetti ad agire comportamenti devianti e delinquenziali. I primi segnali possono individuarsi soprattutto nel periodo adolescenziale, dove ragazzi e ragazze vittime di violenza assistita durante l’infanzia, saranno più propensi ad attuare (Luberti, 2006 p. 148):

• Fughe da casa • Bullismo

• Comportamenti suicidi

• Violenza nei rapporti sentimentali adolescenziali

Nel caso in cui, i genitori dopo anni di violenza decidano di separarsi, è stato riscontrato come il figlio maggiore, se adolescente, avendo acquisito modelli relazionali distorti, attuando una sostituzione con la figura paterna inizia ad assumere comportamenti violenti nei confronti dei fratelli minori e della stessa madre. Fenomeno che sarà premonitore di una trasmissione intergenerazionale della violenza. Per quanto riguarda la bambina se nell’età scolare risulta connivente con la madre e disponibile ad accettare qualsiasi scelta lei decida di intraprendere è stato osservato

89 come nel periodo adolescenziale la stessa figlia possa diventare un ostacolo per la madre intenzionata a chiedere aiuto148.