DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
GIURISPRUDENZA
Tesi di laurea
Il contributo delle organizzazioni regionali al
mantenimento della pace e sicurezza
internazionale: il caso dell’Unione Africana
Candidato
Alessia Capuano
Relatore
Prof. Simone
Marinai
ANNO ACCADEMICO 2018-2019
I
INDICE
Introduzione ... III
CAPITOLO 1
DEFINIZIONE, STRUTTURA E FUNZIONI DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI
1. Regionalismo ed Universalismo: definizione ed interazioni ... 1
1.1. Universalismo ... 1
1.2. Regionalismo ... 6
1.3. Universalismo vs Regionalismo ... 10
2. Regionalismo: cenni storici ... 12
2.1. Le prime manifestazioni del Regionalismo ... 12
2.2. I rapporti tra la Società delle Nazioni ed il Regionalismo ... 16
2.3. L'ONU e le organizzazioni regionali nel dopo-guerra ... 27
3. Gli elementi caratteristici ed identificativi delle organizzazioni regionali ... 31
3.1. Cenni sulla personalità giuridica delle organizzazioni internazionali ... 31
3.2. Inquadramento sistematico delle strutture giuridiche ed amministrative delle organizzazioni regionali ... 34
3.3. Gli elementi distintivi delle organizzazioni regionali ... 38
4. Lo sviluppo delle organizzazioni regionali ... 41
4.1. I fattori rilevanti per la crescita delle organizzazioni regionali ... 41
4.2. Le organizzazioni regionali esistenti ... 43
CAPITOLO 2 I RAPPORTI TRA LE NAZIONI UNITE E LE ORGANIZZAZIONI REGIONALI IN MATERIA DI SICUREZZA INTERNAZIONALE E MANTENIMENTO DELLA PACE 1. Le misure volte ad assicurare la pace e la sicurezza internazionali previste dalla Carta ONU ... 48
1.1. I Capitoli VI e VII della Carta ONU ... 48
1.2. Le misure strumentali alla soluzione pacifica delle controversie disciplinate dal Capitolo VI ... 51
1.3. Le azioni previste dal Capitolo VII a tutela della pace: nozione, evoluzione e disciplina delle operazioni di peacekeeping e dell'autorizzazione dell'uso della forza ... 54
2. Il quadro normativo delineato dal Capitolo VIII della Carta ONU ... 66
2.1. L’articolazione e la struttura del Capitolo VIII ... 66
2.2. La previsione di "regional arrangements and agencies" ... 69
a) Il criterio della vicinanza geografica ... 70
b) Il criterio dell’istituzionalizzazione ... 73
c) Il criterio della conformità con i fini e i principi dell’ONU ... 74
d) Il criterio della competenza in materia del mantenimento della pace e della sicurezza ... 76
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2.3. La competenza ad attribuire la qualifica di organizzazione regionale ex Capitolo VIII: punti di tensione tra l'ONU e le
organizzazioni regionali ... 78
2.4. Conclusioni in ordine alla natura flessibile della nozione di regional organization ai sensi del Capitolo VIII ... 83
2.5. La soluzione pacifica delle controversie: art. 52 della Carta ONU ... 85
2.6. Le azioni coercitive delle organizzazioni regionali ex art. 53 Carta ONU ... 93
2.6.1. La definizione della nozione di "enforcement action" ... 95
2.6.2. Le operazioni regionali utilizzate dal Consiglio di Sicurezza ... 100
2.6.3. Le operazioni regionali autorizzate dal Consiglio di Sicurezza ... 103
2.6.4. L’ammissibilità delle autorizzazioni ex post alle operazioni regionali in ossequio alla Carta dell'ONU e alla prassi regionale ... 106
2.6.5. L’ammissibilità delle autorizzazioni implicite in ossequio alla Carta dell'ONU e alla prassi regionale ... 109
2.7. Le organizzazioni regionali: tendenza evolutiva verso un modello autonomistico-funzionale ... 110
CAPITOLO 3 L’UNIONE AFRICANA QUALE MODELLO PER I RAPPORTI TRA ONU, ORGANIZZAZIONI REGIONALI E SUB-REGIONALI 1. La progressiva espansione delle competenze spettanti alle organizzazioni regionali e sub-regionali ... 111
2. Lo sviluppo di meccanismi per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale a base regionale in Africa: verso la definizione di un "Architettura per la pace e la sicurezza" ... 121
3. L'Organizzazione dell'Unione Africana ... 125
4. L’Unione Africana: dal divieto di ingerenza al diritto di intervento ... 130
5. Il Consiglio per la pace e la sicurezza e l’African Standby Force: strumenti per l’attuazione di un nuovo ruolo ... 135
6. I rapporti "triangolari" tra l'ONU, le organizzazioni regionali e sub-regionali in Africa alla luce del quadro normativo regionale ... 139
7. segue: gli elementi ricavabili dalla prassi applicativa ... 144
8. Le Nazioni Unite ed i suoi rapporti con le organizzazioni regionali e sub-regionali alla luce della prassi: verso la definizione di una partnership ... 152
Considerazioni conclusive ... 159
Bibliografia ... 161
Atti e Documenti ... 174
III
INTRODUZIONE
L’indagine di cui al presente elaborato prende le mosse, a partire dal primo Capitolo, dall’analisi delle origini del regionalismo e della sua interazione con l’universalismo.
In particolare, è possibile datare sin dal Congresso di Vienna del 1815 e successive conferenze dell’Aia, la nascita delle organizzazioni regionali, nella loro forma primordiale di mere commissioni fluviali e sindacati internazionali, destinate ad assumere la veste di enti giuridici riconosciuti a livello nazionale ed internazionale nel corso del XX secolo, e poi, ancor più in maniera importante, in questi primi anni del XXI secolo.
La nascita delle organizzazioni regionali soggiace, in generale, ad esigenze di determinati luoghi caratterizzati da problematiche interne e/o esterne ovvero da condizioni indigenti, o più in generale da squilibri economico-sociali. Basti ricordare come tale fenomeno abbia avuto luogo inizialmente nelle Americhe e nei paesi arabi e, solo a far data dai tempi più recenti, nel vecchio continente.
Si procede poi alla disamina della controversia relativa alla precisa indicazione del termine stesso “regionalismo”. Infatti, vale la pena evidenziare che le organizzazioni a carattere regionale sorte non fossero espressione necessariamente dei paesi intesi come Stati, bensì quale espressione della regione intesa come territorio popolato, caratterizzato da valori, tradizioni, cultura e sentire comuni.
Sin dall’ufficiale riconoscimento internazionale delle organizzazioni regionali e sub-regionali, si è sviluppato un
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aspro contrasto, da molteplici punti di vista, con il tema dell’universalismo, inteso come il carattere pregnante di un’organizzazione con aspirazione universale per la membership in grado di riunire, sotto un’unica volta, l’intera pletora mondiale.
Nella Carta ONU, se ad una prima lettura, emerge pregnante il ruolo ed il carattere universale, inteso come l’aspirazione cui la Carta e, più in generale, gli enti coinvolti devono tendere, possiamo comunque notare diversi richiami, nonché concessioni tendenti a riconoscere il ruolo e l’importanza delle organizzazioni regionali, tutelando, tra le altre, le minoranze etniche, culturali e religiose. Tale compromesso tra le istanze di stampo universalista e quelle di impronta regionalista appare evidente nelle disposizioni di cui al Capitolo VIII della Carta ONU, oggetto di indagine del Capitolo II del presente elaborato.
Va da sé che, data la peculiarità di numerose organizzazioni regionali, dell’essere volte alla tutela, protezione e salvaguardia di luoghi e popolazioni, spesso in tumulto, uno dei temi più problematici, su cui la tesi si incentra largamente, riguarda le cause, la legittimazione nonché le problematiche interne ed esterne di cui alle, sfortunatamente sempre più frequenti, operazioni compiute dalle stesse, volte al mantenimento della pace e sicurezza internazionale. In particolare, una delle problematiche che più hanno causato discussioni nel contesto ONU e mondiale in generale, concerne la modalità con cui, legittimamente, le organizzazioni possono
V
attuare tali operazioni, distinguendosi tra autorizzazioni ex ante ed ex post ovvero deleghe.
Infine, nel Capitolo III, senza voler entrare nel dettaglio né anticipare le conclusioni, si può osservare come una delle evoluzioni più interessanti a livello giuridico nonché territoriale ha visto come protagonista l’Unione Africana (UA), la quale, proprio per gli squilibri interni al territorio, sia da un punto di vista politico che militare, suo malgrado, ha dovuto far fronte a numerosissime operazioni volte al mantenimento della pace, intese non solo come mere operazioni di peacekeeping bensì come operazioni altresì volte ad autorizzare l’uso della forza. Vale la pena ricordare come, grazie alla sempre più crescente autonomia delle organizzazioni regionali e sub-regionali, siano state sviluppate, altresì, varie forme di coordinamento e cooperazione con l’ONU per tali operazioni, sebbene non sia stato delineato in maniera chiara e precisa, nemmeno sulla Carta, un modello specifico cui ricondurli.
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CAPITOLO 1
DEFINIZIONE, STRUTTURA E FUNZIONI
DELLE ORGANIZZAZIONI REGIONALI
SOMMARIO: 1. Regionalismo ed Universalismo: definizione ed interazioni – 1.1. Universalismo – 1.2. Regionalismo - 1.3. Universalismo vs Regionalismo – 2. Regionalismo: cenni storici – 2.1. Le prime manifestazioni del Regionalismo – 2.2. I rapporti tra la Società delle Nazioni ed il Regionalismo 2.3. L'ONU e le organizzazioni regionali nel dopo-guerra – 3. Gli elementi caratteristici ed identificativi delle organizzazioni regionali - 3.1. Cenni sulla personalità giuridica delle organizzazioni internazionali – 3.2. Inquadramento sistematico delle strutture giuridiche ed amministrative delle organizzazioni regionali – 3.3. Gli elementi distintivi delle organizzazioni regionali – 4. Lo sviluppo delle organizzazioni regionali– 4.1. I fattori rilevanti per la crescita delle organizzazioni regionali – 4.2. Le organizzazioni regionali esistenti
1. Regionalismo ed Universalismo: definizione ed interazioni
1.1. Universalismo
Nella Comunità internazionale si è verificata, in particolare negli ultimi decenni del secolo scorso, una notevole evoluzione dei rapporti tra Stati. Quest'ultimi, difatti, cessando di rivestire il ruolo di unici attori della politica mondiale, sono
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stati affiancati da nuovi protagonisti: le organizzazioni internazionali.1 Come sostiene H. Mosler, “the increasing number
of organizations have come to play such an important and permanent part in international relations that now form a kind of superstructure over and above the society of States”.2 Le organizzazioni
internazionali si possono definire come “associazioni tra Stati
provviste di un proprio apparato di organi”.3 Esse si diversificano
per la forma, in ordine alla tipologia ed al grado di integrazione voluto dagli Stati, ed in altri casi, da altri attori.4 Alla luce della
loro diffusione, si può osservare come la cooperazione attraverso le organizzazioni sia diventata un pilastro fondamentale dell'ordinamento giuridico internazionale. Si può arrivare alla conclusione che, a causa della molteplicità ed espansione delle organizzazioni internazionali, non vi sia attualmente alcun settore inerente allo sviluppo di collaborazioni tra Stati, che non abbia già dalle organizzazioni regionali e/o universali di riferimento.5
Queste organizzazioni possono essere classificate in due
1 In merito alla teoria delle organizzazioni internazionali si veda ad esempio:
HENRY SCHERMES & NIELS BLOKKER, International Institutional Law, Leiden, Martinus, Nijhoff, Boston, 2011; KLABBERS JAN, An Introduction to
International Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2015; UGO
DRAETTA, Principi di diritto delle organizzazioni internazionali, Giuffrè, Milano, 2006; CLAUDIO ZANGHÌ, Diritto delle Organizzazioni internazionali, Giappichelli, Torino, 2007.
2 MOSLER HERMANN, The international society as a legal community,
Collected Courses of the Hague Academy of International Law, vol. 140, 1974, p. 189.
3 RONZITTI NATALINO, Introduzione al Diritto Internazionale, Giappichelli,
Torino, 2009, p. 34.
4 RUDOLF BINDSCHEDLER, International Organizations: General Aspects, in
RUDOLF BERNHARDT, Encyclopedia of Public International Law, North-Holland Publ. Co., Amsterdam, 1983, p. 137.
5 CLAUDIO ZANGHÌ, Diritto delle Organizzazioni internazionali, Giappichelli,
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diverse categorie: universali e regionali. Detti enti, pur differenziandosi nelle caratteristiche proprie, spesso intessono tra loro una fitta rete di relazioni, che sono state sempre più oggetto di studi, soprattutto in virtù della recente proliferazione delle organizzazioni regionali.6
Le organizzazioni universali possono essere classificate facendo ricorso a due differenti criteri da cui si è possibile ricostruirne gli elementi identificativi. Secondo il criterio “ratione
personae”, l’organizzazione ha una vocazione universale quando
essa è aperta a tutti gli Stati della comunità internazionale che siano in possesso sia dei requisiti legali di esistenza a livello internazionale sia di quelli previsti dalla specifica organizzazione.7 L'ente universale non può essere qualificato,
per natura, come un'organizzazione chiusa, ossia limitata al gruppo di Stati che l'ha costituita senza prevedere alcuna ipotesi di allargamento.8 Il secondo criterio “ratione materiae” fa leva,
invece, sul carattere globale ed universale delle attività esercitate dall’organizzazione nell’ambito delle sue competenze (per esempio salute, ambiente, pace e sicurezza internazionale).9
Nella Convenzione di Vienna sulla rappresentanza degli Stati nelle loro relazioni con le organizzazioni internazionali di
6 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
1.
7 KLABBERS JAN, An Introduction to International Law, Cambridge University
Press, Cambridge, 2015, p. 24.
8 HENRY SCHERMES & NIELS BLOKKER, International Institutional Law,
Leiden, Martinus, Nijhoff, Boston, 2011, p. 23 (§23).
9 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
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carattere universale del 1975, vengono elencati alcuni enti, le cui caratteristiche rispondono ai criteri sopra citati, quali "le Nazioni
Unite, le sue agenzie specializzate, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica e ogni altra organizzazione simile, i cui membri e le cui responsabilità sono su scala mondiale".10 Tuttavia è pur vero che
non tutte le organizzazioni universali, fatta eccezione per l’ONU, rispecchiano tali caratteristiche.
Per tale motivo, in ossequio al principio suesposto ratione
personae, si può ritenere che il requisito di universalità sia
soddisfatto altresì qualora vi sia la vocazione universale, cioè l’aspirazione alla implementazione della partecipazione di tutti gli Stati della comunità internazionale.11 Tali organizzazioni,
quindi, sono “potenzialmente universali”12, ma rimangono
comunità volontarie e non necessarie, come è invece la comunità internazionale.13 Ogni organizzazione infatti, per quanto ampia,
è fondata sulla partecipazione volontaria degli Stati, mentre alla comunità internazionale partecipano, ipso facto, tutti gli Stati che vengono ad esistere, in quanto tali. 14
È necessario, però, tenere conto delle conseguenze istituzionali che derivano da tale aspirazione. Ad esempio,
10 Vienna Convention on the Representation of States in their Relations with International Organizations of a Universal Character, Vienna, 14 Marzo 1975 in
AJIL, vol. 69, 1975, pp. 730-758.
11 JAN KLABBERS, An Introduction to International Institutional Law,
Cambridge University Press, Cambridge, 2015, pp. 16-18.
12 RICCARDO MONACO, Lezioni di diritto internazionale, Giappichelli,
Torino, 1968, p. 16.
13 ROBERTO AGO, Comunità internazionale universale e comunità internazionali particolari, in AA.VV., Contributi allo studio dell’organizzazione internazionale,
CEDAM, Padova, 1957, p. 29.
14 CLAUDIO ZANGHÌ, Diritto delle Organizzazioni internazionali, Giappichelli,
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l'organizzazione è legittimata ad imporre delle condizioni di ammissione agli Stati che aspirino a farne parte, ma tali condizioni limitano di fatto il fine di un’adesione universale, implicitamente previsto nella costituzione di queste organizzazioni.15
Nonostante vi siano differenze rilevanti tra le organizzazioni universali, queste sono accomunate dalla necessità di far fronte a problematiche di carattere globale. L’omogeneità che caratterizza queste organizzazioni si può apprezzare con la progressiva affermazione del diritto internazionale codificato delle istituzioni: come viene affermato da Schermers e Blokker, in “International Institutional Law” anche se ogni organizzazione ha il proprio ordinamento giuridico, i problemi istituzionali e le regole delle diverse organizzazioni sono spesso, più o meno, le stesse.16
L’omogeneità che caratterizza le organizzazioni universali si contrappone all’eterogeneità delle organizzazioni regionali, nonostante le prime differiscano tra di loro per le funzioni (alcune si interessano di questioni politiche, altre di questioni tecniche, come ad esempio le telecomunicazioni) e l'appartenenza alle seconde tenda ad essere più omogenea di quella delle organizzazioni universali. Non a caso, caratteristica condivisa dalle organizzazioni universali è la loro eterogenea
membership. Date le differenze politiche, socio-economiche e
15 HENRY SCHERMES & NIELS BLOKKER, International Institutional Law,
Leiden, Martinus, Nijhoff, Boston, 2011, p. 41 (§51).
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culturali tra i suoi membri, di cui deve tener conto ogni organizzazione universale, non solo viene limitata la fiducia nell’organizzazione da parte dei membri, ma anche la loro volontà nell’attribuirle poteri.17
Questo problema comune delle organizzazioni universali ha anche una serie di conseguenze istituzionali. Per esempio, vale la pena ricordare, in ordine all'attribuzione di poteri endoistituzionali, la necessità di assumere personale per il segretariato di un'organizzazione "su una base geografica quanto più ampia possibile", nonostante il fatto che le segreterie internazionali devono essere indipendenti dagli Stati membri.18
1.2. Regionalismo
La nascita dell’organizzazione regionale, nella forma embrionale di commissioni fluviali e sindacati internazionali è databile anteriormente al XIX secolo, epoca in cui, a seguito del Congresso di Vienna del 1815 e delle conferenze dell’Aia del XX secolo, cominciarono a delinearsi le prime forme di organizzazioni internazionali.19 Queste forme primitive di
organizzazione regionale furono già in grado di dimostrare i vantaggi della cooperazione internazionale tra Stati. Nel 2004 lo stesso Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha sostenuto il rafforzamento delle organizzazioni regionali per la loro capacità
17 Ivi, p. 41 (§51). 18 Ivi, p. 42 (§53).
19 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
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di favorire la cooperazione a livello politico, economico e di sicurezza nonché il consolidamento dei principi democratici degli Stati membri.20
In merito, anche Louise Fawcett si è espresso in termini positivi definendo il regionalismo come un “bene”, meritevole di essere promosso dalle comunità regionali ed internazionali, in quanto, affrontando questioni di governance regionale, consente di sopperire all’inadeguatezza del potere statale ed al sovraccarico di lavoro delle istituzioni multilaterali. Quest’impostazione non è, peraltro, condivisa all'unanimità: un esempio è dato dall’unilateralismo degli USA che, soprattutto a seguito degli eventi terroristici dell’11 settembre del 2001, ha sviluppato un atteggiamento piuttosto ostile nei confronti del fenomeno regionalista, in rottura con la sua precedente politica, in analogia con quanto accaduto in altri stati, spesso influenzati nel loro giudizio da eventi interni o minacce esterne.21
Staccandosi da questa visione particolare e, volendo volgere lo sguardo a quello che è lo sviluppo nel tempo del regionalismo, possiamo osservare come tale fenomeno si sia sviluppato inizialmente nelle Americhe, Paesi Arabi ed Europa e poi abbia assunto rilevanza a livello geografico di più ampio respiro, abbracciando settori sempre nuovi, a partire da alleanze commerciali fino a ricomprendere la lotta al terrorismo. Il regionalismo non si pone più come antagonista o modello
20 LOUISE FAWCETT, Regionalism from an Historical Perspective, in MARY
FARRELL, BJÖRN HERTNE e LUK VAN LANGENHOVE, Global Politics of
Regionalism: Theory and Practice, London, 2005, p. 21. 21 Ivi, p. 22.
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alternativo, ma sempre più si sviluppa parallelamente, e quindi si presenta come modello di governance complementare. Ciò ha consentito così una divisione effettiva di funzioni, sia con gli Stati che con le organizzazioni a vocazione universale, determinando la nascita delle cosiddette forme di governance “multistrato” o “ibride”.22
Non è stato facile per gli studiosi dare una precisa definizione del termine “regionalismo” come dei termini di “regione” e “regionalizzazione”, dato che sono concetti variabili, soggetti ad evoluzione nel tempo che richiedono un approccio flessibile.23 Con il termine “regione” si fa riferimento non solo
agli enti territoriali intermedi tra il livello statale e quello locale all’interno di un determinato Stato (c.d. “micro-regione”) ma anche ad unità territoriali più grandi che sussistono tra il livello statale e quello globale (le c.d. “macro-regioni”). Queste ultime sono tra gli oggetti di studio più comuni nell’ambito delle relazioni internazionali e sono state definite da Joseph Nye come “un numero limitato di stati legati tra loro da una relazione geografica
e da un grado di reciproca interdipendenza”.24 Dunque, non ci si può
limitare a definire la “regione” ad un livello puramente territoriale, essendo al contempo necessario il riferimento alla comunione di interessi e cooperazione a cui essa sottende.
22 JAN AART SCHOLTE, Global governance, accountability and civil society, in
JAN AART SCHOLTE, Building global democracy?: civil society and accountable
global governance, 2000, p. 12.
23 LOUISE FAWCETT, Regionalism from an Historical Perspective, in MARY
FARRELL, BJÖRN HERTNE e LUK VAN LANGENHOVE, Global Politics of
Regionalism: Theory and Practice, London, 2005, p. 23.
24 JOSEPH NYE, International Regionalism, Little, Brown and Co, Boston,1968,
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Condividendo tale prospettiva, anche Louise Fawcett definisce la regione come “unità o zone basate su gruppi, stati,
territori, i cui membri condividono alcuni tratti identificabili e sono più piccole del sistema internazionale degli stati ma più grandi di qualsiasi singola unità statale o non statale”.25 Ciò che accomuna
queste classificazioni, come anche quelli di Russett, Deutsch e Thompson, è l’elemento centrale della geografia. Non mancarono però coloro che al contrario, come Katzenstein, ne elaborarono una definizione in termini non geografici.26
Da tale disaccordo ontologico sulla nozione di regione ne consegue il carattere controverso del concetto di regionalismo. Quest’ultimo è inteso come politica, progetto in cui Stati e non, si coordinano per una strategia comune all’interno di una regione, potendosi distinguere tra regionalismo soft che si caratterizza per la mancanza di strutture formali e quello hard, che si esprime attraverso la creazione di gruppi e/o organizzazioni interstatali.27
Non va confusa, infine, la regionalizzazione con il regionalismo: essa, secondo Fawcett, è un processo che, attraverso una concentrazione di attività di vario tipo a livello regionale, porta alla formazione di regioni e a sua volta,
25 LOUISE FAWCETT, Regionalism from an Historical Perspective, in MARY
FARRELL, BJÖRN HERTNE e LUK VAN LANGENHOVE, Global Politics of
Regionalism: Theory and Practice, London, 2005, p. 24.
26 EDWARD MANSFIELD & ETEL SOLINGEN, Regionalism, Annual Review
of Political Science, 2010, p. 146.
27 LOUISE FAWCETT, Regionalism from an Historical Perspective, in MARY
FARRELL, BJÖRN HERTNE e LUK VAN LANGENHOVE, Global Politics of
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all'emergere di attori, reti e organizzazioni regionali.28
Diversi scienziati politici hanno sostenuto che il regionalismo sia un processo politico caratterizzato da cooperazione e coordinamento, mentre la regionalizzazione è un processo economico in cui il commercio e gli investimenti all'interno della regione crescono più rapidamente di quanto accada per gli scambi tra la regione e il resto del mondo. Una distinzione simile viene presentata da Pempel (alias Jack M. Forcey), che descrive la regionalizzazione come un “processo guidato dalla società dal basso verso l’alto” mentre il regionalismo come il “frutto della cooperazione tra gli Stati”.29
1.3. Universalismo vs Regionalismo
Il dibattito tra universalismo e regionalismo non è altro che una trasposizione, a livello internazionale, della contrapposizione tra centralismo e governance locale, che si è sviluppata in contesti nazionali. In questa sede, è opportuno fare brevi cenni alle maggiori discrasie tra le due correnti di pensiero.30
Tra i maggiori esponenti possiamo ricordare, dal lato universalista, sicuramente il Presidente degli Stati Uniti d'America Wilson, precursore e fautore di ciò che poi è divenuta la Società delle Nazioni, e dall'altro oltre al noto Monroe, di cui alcuni tratti peculiari sono stati trasposti nel Patto infra
28 Ivi, p. 25.
29 T.J. PEMPEL, Remapping East Asia: The Construction of a Region, Cornell
Univ. Press, Ithaca, NY, 2005, p. 239.
30 CHRISTOPH SCHREUER, Regionalism v. Universalism, European Journal of
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menzionato, è opportuno ricordare altresì Robert Blum e Bessie Randolph.31
I sostenitori della tesi di stampo universalista, che sembra essere frutto di una visione semplicistica e, in una certa misura, sentimentale, mirano all'istituzione di un'organizzazione internazionale a livello mondiale. La critica avanzata dalla dottrina regionalista, mossa da una contrapposta esigenza di realismo e concretezza, verte sulla rilevanza dell'adiacenza geografica e sulla mancata comprensione ed intesa tra Stati distanti gli uni dagli altri, con una conseguente irrealizzabilità di una cooperazione efficace tra essi.32
Tuttavia, in tale contesto, merita segnalare la posizione di Potter, il quale, partendo da un'impostazione puramente pragmatica, evidenzia l'utilità di procedere ad un'analisi di questi due aspetti non in chiave alternativa ed antitetica tra loro, ma quali necessarie componenti, sia pur in diverso grado, dell'organizzazione internazionale.33
Le arene di scontro concernevano, e concernono tutt'oggi, anche le sfere nazionali e locali di governance, l'estensione corretta sulla quale un governo possa esercitare la propria potestà, sino a giungere, in un contesto sempre più federalista, all'allocazione di funzioni e poteri tra organi nazionali e sovranazionali.
31 PITMAN POTTER, Universalism versus Regionalism in International Organization, American Political Science Review, 1943, p. 850.
32 Ivi, p. 851. 33 Ivi, p. 862.
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2. Regionalismo: cenni storici
2.1. Le prime manifestazioni del regionalismo
Fin dall’antichità sono pervenute fino a noi tracce evidenti che attestano l’esistenza del regionalismo, fenomeno che si sviluppa sulla base della religione, che al tempo ha assunto un ruolo centrale. Si pensi all’antica Grecia, dove furono create leghe dalle città elleniche vicine dove la condivisione di luoghi di culto costituiva l’elemento aggregante, oppure al regionalismo medievale, basato sul cristianesimo.34 Quest’ultimo
caratterizzò l’Europa, che riuscì a determinare una posizione eurocentrica del globo terrestre nel XIX secolo, grazie anche all’influenza esercitata sulle proprie colonie. Il XIX secolo fu anche il periodo in cui fu istituito il primo sistema regionale moderno, in occasione dell’indipendenza delle colonie dell’America Latina dall’Europa, controbilanciando cosi il potere europeo.35
Il modello di ordine mondiale rappresentato dall’Europa nella fase antecedente alla Società delle Nazioni rispecchiava la concezione religiosa che le antiche popolazioni avevano di esso. L’elemento distintivo di questa forma di regionalismo europeo rispetto a quello che poi verrà definito “regionalismo moderno”, era l’assenza di un sistema universale di mantenimento della pace e della sicurezza. Esso fu introdotto con la creazione di
34 DACE WINTHER, Regional Maintenance of Peace and Security under International Law: The distorted Mirrors, Routledge, London, 2014, p. 2.
- 13 - organizzazioni universali.36
Le forme primordiali di organizzazioni regionali sono costituite dalle commissioni fluviali e successivamente dai sindacati internazionali e regionali. Nel corso dell'Ottocento, la creazione di queste unioni “istituzionalizzate” ha rappresentato una svolta nelle dinamiche dei rapporti tra Stati, che non si sono meramente limitati a concludere accordi, come accadeva in passato, ma hanno provveduto ad istituire un ente ad hoc, a cui conferire specifiche competenze in determinate materie. Si delinea, così, un nuovo modello di cooperazione tra Stati, innovativo rispetto a quello consueto dell'accordo internazionale. 37
Le commissioni fluviali furono costituite al fine di fornire una regolamentazione e risoluzione delle questioni e problematiche relative alla navigazione dei fiumi internazionali ed europei.38 Per esempio furono istituite nel 1815 la
Commissione centrale per la navigazione nel Reno e nel 1856 le Commissioni del Danubio. Queste commissioni istituite nel XIX e all’inizio del XX secolo hanno costituito motivo di ispirazione e facilitato la nascita di altre in Europa, Africa, Asia e America. Tuttavia, il limite di questi enti si può rinvenire nel fatto che, essendo essi radicati nei contesti regionali e locali in cui veniva esercitata la loro giurisdizione, non hanno favorito l’istituzione di un’organizzazione universale che si occupasse della gestione
36 Ivi, p. 5.
37 CLAUDIO ZANGHÌ, Diritto delle Organizzazioni internazionali, Giappichelli,
Torino, 2007, p. 6.
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dei corsi d’acqua internazionali.39 Allo stesso tempo detti enti
hanno contribuito e continuano a contribuire allo sviluppo del diritto dei corsi d’acqua internazionali. Infatti, attraverso gli accordi conclusi all’interno delle organizzazioni e la prassi, è stata progettata e successivamente codificata una legge “universale” dei fiumi internazionali.40 Questo processo di
codificazione culmina con una Convenzione: Convention on the
Law of the Non-navigational Uses of International Watercourses
(1997).41
Non sono mancate controversie in merito all'inquadramento giuridico delle commissioni fluviali e la loro possibile qualificazione come organizzazioni internazionali in senso moderno. È necessario, a tal proposito, effettuare una verifica, caso per caso, in ordine all'istituzione o meno di un nuovo ente giuridicamente diverso dagli Stati che vi hanno dato vita.42
A differenza delle commissioni fluviali internazionali, le successive unioni internazionali, siano esse unioni di Stati o unioni amministrative, potevano dare origine ad organizzazioni di carattere universale, con la conseguente disgregazione della preesistente unione regionale. Le unioni di Stati sono composte
39 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
31.
40 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Freshwaters and International Law: The Interplay between Universal, Regional and Basin Perspectives, The United
Nations World Water Assessment Programme – Insights, UNESCO, 2009.
41 Vedi testo disponibile al seguente sito web:
http://legal.un.org/ilc/texts/instruments/english/conventions/8_3_1997.pdf
42 CLAUDIO ZANGHÌ, Diritto delle Organizzazioni internazionali, Giappichelli,
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dai rappresentanti degli stessi, mentre quelle amministrative dalle loro amministrazioni competenti. Per esempio, l’unione internazionale del telegrafo fu fondata nel 1865 da venti stati europei e diventò nel 1932 un’organizzazione universale e prese il nome di Unione internazionale delle telecomunicazioni.43
Quando non si raggiunge il grado di universalità così come descritto poc’anzi, molteplici sono le declinazioni che hanno avuto le organizzazioni regionali preesistenti. Un esempio emblematico è rappresentato dall’Organizzazione degli Stati Americani (OAS) la quale ha conosciuto un’evoluzione in più fasi.44
La prima fase ha preso piede dopo le guerre di indipendenza dell’800 quando Simon Bolivar, ispirato dai propri ideali di unità e legami di mutua assistenza tra Stati attigui, convocò il Congresso di Panama nel 1826. Prima di giungere alla terza e ultima fase, i risultati ottenuti dall’accordo di tale Congresso, furono tra gli altri l’istituzione di un bureau operativo per la gestione dell’unione (International Union of
American Republics), sino a giungere nel 1910 alla creazione e
formazione della Union of American Republics, precipuamente dedita a discussione di strategie di politica economica e risoluzione dei conflitti.45
43 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
32.
44 CHARLES FENWICK, The Inter-American Regional System, McMullen, New
York, 1949.
45 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
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La terza e ultima fase, sostanziatasi con la firma e ratifica della Charter of OAS del ‘48, vede concretizzarsi le linee guida di cui alle fasi precedenti e da alcuni passaggi inerenti alla Charter, è ben possibile trarre competenze, fini e struttura della Organizzazione così come realizzata e conclusa dopo la fine della Seconda guerra mondiale. La Carta dell'OAS prevede, ad esempio, all'art. 1 che “[w]ithin the United Nations, the
Organization of American States is a regional agency”.46 Dunque i
tratti principali della nuova organizzazione vedono quali declinazioni due principi cardini: la sicurezza regionale attraverso un aiuto congiunto e la prescrizione di una non ingerenza nelle politiche interne di ogni singolo Stato di cui la organizzazione è in qualche modo portavoce e rappresentante. Emerge, traendo le conclusioni, in questa ultima fase, l'evoluzione del rapporto tra organizzazioni regionali ed universali in termini di complementarity.47
2.2. I rapporti tra la Società delle nazioni ed il Regionalismo
Il riconoscimento della cooperazione regionale come una categoria autonoma avvenne con la nascita delle organizzazioni a vocazione universale - la Società delle Nazioni e successivamente l'ONU -.48
I sostenitori dell'approccio universalista temevano che i
46 Charter of the Organization of American States, 30 Aprile 1948, UNTS, vol. 119,
pp. 48 ss.
47 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
34.
48 DACE WINTHER, Regional Maintenance of Peace and Security under International Law: The distorted Mirrors, Routledge, London, 2014, p. 5.
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sistemi di sicurezza di carattere regionale avrebbero determinato lo sviluppo di istanze e conflitti tra i blocchi regionali, impedendo quell'equilibrio realizzabile esclusivamente da un'organizzazione universale.49 Erano infatti
fermi nel ritenere che ci sarebbero state delle ripercussioni, scaturite dalle azioni degli Stati e dalle regioni, sulla scena internazionale: “la paix est indivisible”.50
I regionalisti, al contrario, seppur riconoscendo la necessità di sovrastrutture universali, precipuamente di vigilanza, onde evitare i conflitti prospettati, in un'ottica prettamente regionale, auspicavano il mantenimento delle strutture limitate di cui alle organizzazioni regionali per il mantenimento delle funzioni e dei fini cui queste ultime erano destinate e per le quali erano state create e formate. Secondo questa prospettiva, le organizzazioni regionali venivano ritenute strettamente indispensabili al buon funzionamento dell'organizzazione universale.51
Il primo passo importante dell'universalismo nel mantenimento della pace e sicurezza internazionali, è stato l'istituzione della Società delle Nazioni52, la prima
49 WALDEMAR HUMMER & MICHEAL SCHWEITZER Chapter VIII. Regional Arrangements in BRUNO SIMMA, The Charter of the United Nations. A Commentary, vol. 1, Oxford University Press, Oxford, 2002, pp. 813.
50 FRANZ JOSEPH KREZDORN, Les Nations Unies et les accords régionaux,
Jaegersche Buchdruckerei, Speyer am Rhein, 1954, p. 15.
51 WALDEMAR HUMMER & MICHEAL SCHWEITZER Chapter VIII. Regional Arrangements in BRUNO SIMMA, The Charter of the United Nations. A Commentary, vol. 1, Oxford University Press, Oxford, 2002, p. 813.
52 In merito vi è un’ampia bibliografia. Cfr: CLAUDIO BALDONI, La Società delle Nazioni, CEDAM, Padova, 1936; ALFRED ZIMMERN, The League of Nations and the Rule of Law, Macmillan And Co., London, 1936; FREDERICK
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organizzazione universale istituzionalizzata, a cui pacificamente viene attribuita personalità giuridica internazionale53 sia per il
carattere autonomo degli organi che per le funzioni da essa esercitate.54 Essa venne fondata per soddisfare l'esigenza diffusa
e sentita, a seguito della prima guerra mondiale, di conferire agli Stati un assetto pacifico.55 Appare lampante l'evoluzione storica
delle forme che possono assumere le relazioni internazionali, poiché le stesse esigenze avevano determinato, in seno al Congresso di Vienna, il sorgere non di un'organizzazione internazionale, bensì del “Concerto Europeo”, una conferenza stabile e periodica.56
Nell’ottica universalistica, per perseguire tale scopo, si ha, quale prescrizione principale e naturale, l'inquadramento di ogni conflitto, a prescindere dal luogo in cui esso si sia verificato, come una questione di competenza dell’intera comunità internazionale.57
Nel contesto storico in cui fu creata la Società delle Nazioni58, il Presidente degli Stati Uniti d'America dell’epoca,
Woodrow Wilson, insignito del premio Nobel proprio in
53 “La società delle Nazioni è un’unità internazionale avente per fine
l’attuazione della pace e della giustizia. I suoi delegati non rappresentano l’uno o l’altro Stato, ma la Società medesima” (Journal Officiel, 1920, p. 151).
54 CLAUDIO ZANGHÌ, Diritto delle Organizzazioni internazionali, Giappichelli,
Torino, 2007, p. 7.
55 LUCIANO TOSI, ENRICA COSTA BONA, L’Italia e la sicurezza collettiva: dalla Società delle Nazioni alle Nazioni Unite, Morlacchi, Perugia, 2007, p. 17. 56 CLAUDIO ZANGHÌ, Diritto delle Organizzazioni internazionali, Giappichelli,
Torino, 2007, p. 6.
57 DACE WINTHER, Regional Maintenance of Peace and Security under International Law: The distorted Mirrors, Routledge, London, 2014, p. 6.
58 Precisamente essa fu fondata nell’ambito della conferenza di pace di Parigi
del 1919, formalmente il 28 giugno 1919 con la firma del trattato di Versailles del 1919.
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occasione dell'impegno per la creazione della Società stessa, mirava ad una struttura completamente universale, senza attribuire alcun tipo di rilevanza al regionalismo. Da ciò seguì il suo tentativo di porre fine alla guerra mondiale e di creare un nuovo ordine mondiale basato su un’istituzione a vocazione universale.59 La pace ultima a cui aspirava Wilson non era
esclusivamente quella tradizionale, firmata dai vincitori al termine del conflitto, bensì una pace cooperativa e costruttiva: “covenant of cooperative peace”.60 Egli ammonì:
“only a peace between equals can last […] only a peace the very principle of which is equality and common participation in a common benefit” e “all nations henceforth avoid entangling alliances which would draw them into competitions of power, catch them in a net of intrigue and selfish rivalry, and disturb their own affairs with influences intruded from without”.61
La condivisione di ideali universalistici trovò concretizzazione nelle prime bozze del Patto della Società delle Nazioni62, che non attribuirono validità alle intese internazionali
di carattere regionale o particolare e non richiamarono la
59 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
45.
60 Speech of Woodrow Wilson to the US Senate (22 January 1917) in JOHN
MILTON COOPER, Breaking the Heart of the World: Woodrow Wilson and the
Fight for the League of Nations, Cambridge University Press, Cambridge, 2001,
p. 20.
61 "solo una pace tra eguali può durare […] una pace il cui principio stesso è
l’uguaglianza e la partecipazione comune ad un bene comune" e che "tutte le nazioni evitano così di impigliarsi in alleanze che li attirerebbero in competizioni di potere, li catturerebbero in una rete di intrighi e rivalità egoistiche, e disturberebbero i loro affari con influenze intruse dall’esterno".
62 Il Patto della Società delle Nazioni, formato da 26 articoli, entrò in vigore il
10 gennaio 1920 e stabilì che essa fosse composta da tre organi: Assemblea, Consiglio e Segretariato.
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dottrina Monroe63 né altre tesi regionali in materia, in quanto
superflue, data la garanzia dell'integrità territoriale e dell'indipendenza politica di tutti gli Stati, prevista nel Patto.64
Wilson però, dopo la stesura delle prime bozze di matrice squisitamente universalistica, ebbe a confrontarsi ed a dover dirimere aspri contrasti sorti sia in seno al Senato, sia più in generale tra il popolo americano. In particolare, nei confronti del progetto originario del Patto, dovette scendere a compromessi, facendo richiesta di inserire un riferimento specifico alla dottrina di Monroe in una clausola che sarebbe poi diventata l'art. 21.65 In merito, si è discusso non solo sull'opportunità di un
richiamo esplicito alla dottrina ovvero in ordine ad una clausola generale di compatibilità ma anche sulla possibile violazione dell'art 10 del Patto della Società delle Nazioni.66
Nonostante il compromesso cui Wilson era dovuto
63 La dottrina Monroe, elaborata nel 1823, può essere considerata l’esordio
programmatico di una politica di sicurezza collettiva a base regionale. Essa venne formulata al fine di proteggere gli Stati del Sud America, i quali avevano ottenuto da poco l’indipendenza dalla Spagna e Portogallo, dalle mire di conquista degli Stati Europei. Infatti, Monroe, nella Dichiarazione al Congresso, affermò che non avrebbe tollerato alcuna ingerenza negli affari statunitensi da parte delle potenze europee, sancendo così di fatto la solidarietà tra i paesi del continente americano, di fronte ad eventuali attacchi esterni.
64 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
46.
65 ALESSANDRO POLSI, Universalism and Regionalism in the History of the United Nations and of Specialized Agencies, in VIRZO ROBERTO,
INGRAVALLO IVAN, Evolution in the Law of International Organizations, Leiden, Brill, 2015, p. 119.
66 L’articolo 10 prevedeva che “the Members of the League undertake to respect and preserve as against external aggression the territorial integrity and existing political independence of all Members of the League. In case of any such aggression or in the case of any threat or danger of such aggression the Council shall advise upon the means by which this obligation shall be fulfilled”, Covenant of the League of Nations (28 Aprile 1919).
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scendere in ordine al mantenimento ed al predominio su alcune materie dell'impostazione regionalista, vale la pena evidenziare, peraltro, che il trait d'union e la colonna vertebrale del Patto stesso rimasero di matrice wilsoniana ossia universalista. In particolare appare opportuno richiamare la disposizione di cui all'art. 2067 del Patto che introduceva una gerarchia in caso di
eventuale conflitto con obblighi nascenti da altri accordi, prevedendo il primato del Patto, che acquisiva così lo status di “higher law” come afferma Hersch Lauterpacht.68 E’ dalla stessa
consecutività degli articoli del Patto che è possibile evincere il predominio e la supremazia del carattere universalista, alla stregua delle analoghe disposizioni che è possibile rinvenire nella totalità delle Costituzioni europee nonché nella Dichiarazione Americana: se, infatti, l'art 10 e l'art. 20 sono posti quasi a principi fondanti, l'art. 21, punto di compromesso con la teoria Monroe, non solo segue le disposizioni di cui sopra, bensì ne subisce il carattere prescrittivo.
Nonostante l'impegno ed il progetto di redazione così come concepito ab origine, volto anche al raggiungimento di un compromesso, il ruolo importante assunto da Wilson nella nascita della Società delle Nazioni non risultò sufficiente per
67 L’art. 20 prevedeva che “The members of the League severally agree that this Covenant is accepted as abrogating all obligations or understandings inter se which are inconsistent with the terms thereof, and solemnly undertake that they will not hereafter enter into any engagements inconsistent with the terms thereof. In case any Member of the League shall, before becoming a Member of the League, have undertaken any obligations inconsistent with the terms of this Covenant, it shall be the duty of such Member to take immediate steps to procure its release from such obligations.”
68 HERSCH LAUTERPACHT, “The covenant as the Higher Law”, British
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evitare, stante la non condivisione da parte del Senato americano del disposto dell'art. 10 del Patto, forti dissidi e, in un'ultima istanza, la mancata ratifica del Patto da parte degli Stati Uniti.69 Ancora oggi appare estremamente singolare, come
evidenziato nel tempo da molti commentatori politici, il fatto che proprio gli Stati Uniti, unico e solo interprete della dottrina Monroe, che incideva sui diritti ed interessi di molti Stati membri e di cui veniva riconosciuta la validità nel Patto, furono gli unici a non aderire e ratificare il Patto de quo.70
Prima di passare alle cause che hanno determinato lo scioglimento della Società delle Nazioni e la nascita di quel che sarà l'organizzazione internazionale più importante che il mondo moderno abbia mai conosciuto, l'ONU, appare necessario indagare, per l'appunto, sulla prescrizione normativa che tanti contrasti e contrapposizioni aveva creato all'interno dei confini statunitensi e che nonostante il suo inserimento nel draft finale del Patto, non risultò sufficiente per gli organi competenti statunitensi ai fini della ratifica.
Come accennato in precedenza, il punto di contatto tra le due dottrine era sostanziato dalla consecuzione logica e geometrica degli articoli 20 e 21. In particolare, quest'ultimo era espressione della dottrina Monroe. Infatti, riprendendo la disposizione tout court “Nothing in this Covenant shall be deemed
69 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
48.
70 Per approfondimenti sulla dottrina Monroe si veda JAMES GARNER, “The Recrudescence of the Monroe Doctrine”, Political Science Quarterly, vol. 45,
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to affect the validity of international engagements, such as treaties of arbitration or regional understandings like the Monroe doctrine, for securing the maintenance of peace” possono essere tratte alcune
conclusioni.
La prima concerne il fatto che si volessero far salve alcune realtà senza ben identificarne i requisiti essenziali: si fa infatti riferimento in maniera molto generica ad “international
engangements”, includendo a titolo esemplificativo gli accordi di
arbitrato e le intese regionali e soprattutto indicando come modello di tali istituzioni, non una vera e propria organizzazione, ma una dottrina politica.71 Venne così ammessa
un'eccezione all'impostazione dominante del Patto, che non fornì alcuna regolamentazione in merito al rapporto tra Società delle Nazioni ed organizzazioni regionali.
Come sostenuto nel 1992 dal segretario delle Nazioni Unite Boutros Boutros-Ghali nella sua opera “An Agenda for
Peace”, l'introduzione di questo articolo è stata rilevante ai fini
del riconoscimento della validità dell'impegno regionale nel mantenimento della pace e della sicurezza.72
Il difficile rapporto e compromesso tra le due dottrine appare estremamente chiaro ed evidente altresì nel linguaggio scelto per la redazione dell'articolo. Infatti, esso risulta assai ambiguo ed oscuro. L’ ambiguità di detta disposizione nonché il rapporto, palesemente conflittuale della stessa con il residuo
71 FRANZ JOSEPH KREDZORN, Les Nations Unies et les accord régionaux,
Jaegersche Buchdruckerei, Speyer am Rhein, 1954.
72 DACE WINTHER, Regional Maintenance of Peace and Security under International Law: The distorted Mirrors, Routledge, London, 2014, p. 5.
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contenuto del Patto, ha contribuito non solo alla mancata ratifica da parte degli Stati Uniti, ma anche, in qualche modo, allo scioglimento del Patto.73
Quale corollario del contrasto non solo dottrinario bensì anche lessicale, risulta come problema collaterale il fatto che la clausola espressa di cui all'art. 21 non definisse in maniera precisa il significato del termine “regional understanding”. In particolare, la scelta nel draft di preferire tale espressione, a scapito dell'alternativa “regional insistution” o “regional
organization”, lasciava dubbi ed aree grigie sull’ interpretazione
e sugli ambiti di competenza esclusivi e concorrenziali di una o dell'altra prescrizione.
In ultima istanza, sebbene non dalla totalità degli studiosi ed interpreti dell'epoca, il termine scelto fu interpretato in maniera estesa come un “encompassed alliance”.74
Nonostante il parziale fallimento di un accordo che avrebbe dovuto interessare l'universo terrestre o la maggior parte di esso, la redazione dell'articolo 21 è stata fautrice di ispirazione ad esempio, in un'ottica squisitamente regionalistica, di nazioni come la Svizzera per preservare e giustificare il proprio stato di Nazione neutrale in ordine ad alcune operazioni compiute illo tempore dalla Società delle Nazioni ed ancora oggi dall'Onu, ovvero da altri organi competenti ed analoghi.75
73 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
49.
74 Ivi, p. 50.
75 Résolution concernant l’accession de la Suisse comme membre de la Société des Nations, 12 Febbraio 1920.
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Il patto così prospettato e ratificato ha mostrato lacune in ordine alle tematiche che forse, erano quelle più centrali, per alcuni Stati e regioni. In particolare, si evidenzia una mancanza di azione repressiva, meglio spiegato infra, ed un deficit in ordine alla lungimiranza sulle spinte di regionalismo.
In risposta all'incapacità ed alla debolezza del sistema universalista di far fronte alle questioni relative alla pace e sicurezza internazionali, furono conclusi e stretti patti ed alleanze a livello regionale.76 Tra questi possiamo menzionare,
ad esempio, il Patto dei Balcani (concluso nel 1953 tra Grecia, Jugoslavia, Romania e Turchia)77 ed il Trattato di Locarno78
(concluso nel 1925 tra Germania, Belgio, Francia, Gran Bretagna ed Italia).
Prova evidente di tale fallimento fu la risoluzione XIV dell'Assemblea della Società delle Nazioni del 1922, da cui scaturiva la propensione degli Stati al disarmo, esclusivamente a condizione che venisse garantita protezione alla totalità degli Stati firmatari da aggressioni od atti ostili da parte di Stati terzi.79
Al fine di evitare ciò che poi, in ultima istanza, è avvenuto, lo scioglimento della Società, quest'ultima, conscia delle preoccupazioni latenti e manifeste tra gli Stati, non mancò di adottare alcuni atti in linea con l'impostazione degli accordi
76 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, VASILIS PERGANTIS, Article 21
in ROBERT KOLB, Commentaire sur le Pacte de la Société des Nation, Bruylant, Brussels 2015, pp. 829 ss.
77 Vedi sito web: http://www.rastko.rs/istorija/diplomatija/pbs_e.html 78 Vedi sito web: https://wwi.lib.byu.edu/
79 Assembly of the League of Nation, Resolution XIV (27 September 1922)
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di cui sopra, e di rendere dunque, attraverso l'imposizione di alcune condizioni, tali accordi compatibili con le disposizioni del Patto o di universalizzarne i principi.80 In particolare si
ricorda il tentativo della Società delle Nazioni nella risoluzione del 1926 volta ad attribuire ai principi del Trattato di Locarno una portata universale: la Resolution on Arbitration, Security and
the Pacific Settlement of International Disputes.
Le conseguenze dell'atteggiamento della Società delle Nazioni di ignorare o fronteggiare, secondo modalità inopportune, il fenomeno del regionalismo, determinarono l'insorgere di conflitti a livello regionale, che sminuivano ed ostacolavano il ruolo della organizzazione stessa.81 Si pensi alla
circostanza storica dell'invasione della Ruhr da parte dell'alleanza Francia-Belgio, avvenuta tra il 1923 e il 1925, per rappresaglia nei confronti della Germania a causa dell'inadempimento dei debiti di guerra da quest'ultima dovuti sulla base del Trattato di Versailles. Davanti a tali eventi, la Società delle Nazioni non ha comminato sanzioni alla Francia per l'uso illegale della forza. Alla luce di questo sistema sanzionatorio inefficiente, privo di alcuna garanzia di sicurezza, si fece strada un modello di sicurezza collettiva decentrata. Il motivo di fondo del ritorno ad un sistema di alleanza, nell'accezione di una comunione di intenti su base strettamente territoriale e regionale, è da ricondurre all'atteggiamento
80 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
51.
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passivo tenuto dalla Società delle Nazioni nei confronti delle tendenze regionaliste, che pian piano la indebolirono, relegandola a mero spettatore passivo82, fino poi a causarne lo
scioglimento nel 19 Aprile 1946.83
2.3. L'ONU e le organizzazioni regionali nel dopoguerra
Al tempo dell'estinzione della Società delle Nazioni, l'Organizzazione delle Nazioni Unite non solo era già esistente, ma attraversava anche una fase di piena attività. Con “Nazioni Unite” si intendevano gli Stati che, durante la Seconda guerra mondiale, fronteggiavano le potenze del Patto Tripartito.84
Questo termine, coniato dal Presidente americano Roosevelt, per la prima volta fu usato nella Dichiarazione di Washington del 1942, nella quale queste Nazioni accettarono i principi stabiliti dal Presidente Roosevelt e dal Primo Ministro Churchill nella Carta Atlantica del 1941. Tra questi, oltre al richiamo a valori di stampo universale quali il riconoscimento dei diritti umani e la libertà politica, economica e di espressione, vi era la previsione di un sistema di sicurezza collettivo e di collaborazione di carattere economico e sociale tra Stati, oggi riconosciuti come
82 Un esempio è dato dal Trattato di Locarno, dove all’art. 4 paragrafo 3,
prevedeva una deroga significativa al processo decisionale seguito dalla Società delle Nazioni, prevedendo che in caso sia necessario adottare misure urgenti contro un aggressore, le parti non sono obbligate ad attendere la decisione del Consiglio della Società. Tale disposizione si discosta radicalmente dalla logica e dalle procedure previste dall’art. 16 del Patto.
83 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, pp.
52-54.
84 Il patto tripartito, definito anche come “Asse Roma-Berlino-Tokyo” fu un
accordo sottoscritto a Berlino il 27 Settembre del 1940 dal governo del Terzo Reich tedesco, dal Regno d’Italia e dall’impero giapponese per riconoscere le aree di influenza in Europa e Asia.
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obiettivi fondanti dell'organizzazione.85 Nel 1943 si tenne la
Conferenza di Mosca, alla quale parteciparono i rappresentanti di Stati Uniti, Regno Unito, Cina e Unione Sovietica, al termine della quale venne firmata una Dichiarazione, in cui si stabilì la creazione di un'organizzazione internazionale per il mantenimento della pace e della sicurezza.86 L'anno successivo
le stesse quattro potenze si riunirono a Dumbarton Oaks, dove si posero le basi per la nascente Organizzazione delle Nazioni Unite e le proposte qui elaborate, pur prevedendo gli stessi organi stabiliti dal Patto della Società delle Nazioni, se ne distaccarono in tema di funzioni e competenze87 ed inoltre
stabilirono che degli 11 membri del Consiglio di Sicurezza, cinque88 ne avrebbero fatto parte a titolo permanente, mentre gli
altri sei, per un periodo pari ad un biennio, su nomina dell'Assemblea Generale.
Venne poi attribuito, in seno alla Conferenza di Yalta89 a
ciascuno dei cinque membri permanenti il diritto di veto ossia il potere di bloccare con il proprio voto contrario la formazione di delibere valide da parte del Consiglio di Sicurezza90. Dai tre Stati
85 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,
CEDAM, Padova, 2015, pp. 1-2.
86 Ibid.
87 In primo luogo, si può osservare che l’Assemblea (che ha assunto il nome
di Assemblea Generale) restò l’unico organo a competenza generale a differenza del Consiglio, che, diversamente da quanto stabilito nel Patto della Società delle Nazioni, venne incaricato dell’esclusivo compito di mantenimento della pace e sicurezza internazionali. In secondo luogo, accanto all’Assemblea Generale, ma in posizione ausiliaria rispetto ad essa fu collocato il Consiglio Economico e Sociale.
88 Stati Uniti, Regno Unito, Unione Sovietica, Cina e Francia. 89 Tenutasi tra Roosevelt, Churchill e Stalin nel febbraio del 1945.
90 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,
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partecipanti a tale incontro venne infine convocata, nell'aprile del medesimo anno, una Conferenza a San Francisco, dove venne elaborata la Carta dell'ONU seguendo le linee guida proposte a Dumbarton Oaks e venne poi adottata all'unanimità e firmata dai 50 Stati partecipanti.
Essa infine entrò in vigore una volta raggiunta la maggioranza degli Stati firmatari e ottenuta la ratifica da parte dei cinque membri permanenti.91 Nacque così l'ONU, una
società di Stati istituita in base ad un Trattato Intergovernativo, i cui tratti distintivi sono l'universalità, la collettività e plurilateralità per i suoi processi decisionali: all'art. 4 della Carta si prevede infatti che gli Stati che mirino a diventarne membri debbano informare le loro relazioni reciproche ai principi ed ai fini enunciati nella Carta.92 L'impostazione di quest'ultima,
relativamente al rapporto tra l'ONU e le organizzazioni regionali, avendo subìto gli effetti dell'esperienza della Società delle Nazioni, è volta ad una commistione del regionalismo, su spinte dei medesimi stati che hanno causato tra gli altri lo scioglimento della Società delle Nazioni, e l'universalismo, principio fondante in realtà della prima stesura della Carta.93 Di
ciò ne è testimonianza il mutamento di tendenza verificatosi durante i negoziati relativi alla stesura della Carta delle Nazioni
91 Ivi, pp. 5-6.
92 ALESSANDRO POLSI, Universalism and Regionalism in the History of the United Nations and of Specialized Agencies, in VIRZO ROBERTO,
INGRAVALLO IVAN, Evolution in the Law of International Organizations, Leiden, Brill, 2015, p. 122.
93 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017, p.
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Unite: mentre le proposte di Dumbarton Oaks rispecchiano una concezione universalistica, in quelle di San Francisco, diversamente, si è tentato di trovare un compromesso tra tendenze universalistiche e regionaliste, su istanza dei paesi latinoamericani e arabi.94 Su tale apertura al regionalismo, ha
inciso, senza ombra di dubbio, la nascita del secondo sistema regionale istituzionalizzato – la Lega Araba – nel periodo intercorrente tra la Conferenza di Dumbarton Oaks e quella di San Francisco. 95
Non essendo stato il Patto della Società delle Nazioni in grado di definire in termini chiari ed adeguati il rapporto tra le organizzazioni regionali ed universali, alcune delle maggiori potenze, dopo la seconda guerra mondiale proposero di ovviare a tale ambiguità, attribuendo al Consiglio di Sicurezza dell'ONU il potere esclusivo in materia di pace e sicurezza internazionale.96 Tuttavia, altre nazioni ritennero che l'abuso del
potere di veto avrebbe potuto inficiare negativamente sul perseguimento di tale obiettivo. Winston Churchill, ad esempio, con il sostegno dell'America Latina, dei paesi arabi e del Commonwealth, suggerì di investire le organizzazioni regionali – come il Consiglio d'Europa e il Consiglio d'Asia - di tale compito, sotto la supervisione dell'organizzazione universale.97
94 CHRISTOPHER SCHREUER, Regionalism v. Universalism, European Journal
of International Law, vol. 6, 1995, p. 478.
95 DACE WINTHER, Regional Maintenance of Peace and Security under International Law: The distorted Mirrors, Routledge, London, 2014, p. 7.
96 LAUREN BOISSON DE CHAZOURNES, Interactions between regional and universal organization: a legal perspective, Brill Nijhoff, Leiden/Boston, 2017,
p.55.