In ordine al complesso di competenze assegnate al Consiglio di Sicurezza, rilevano distintamente due, strumentali al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, essendo stata conferita a tale organo, dall'art. 24 della Carta dell'ONU, la "responsabilità principale" in materia.1
La prima funzione inerisce ad una composizione pacifica avente quale oggetto esclusivamente controversie, stragiudiziali o giudiziali, ovvero gli accadimenti e/o le situazioni "la cui
continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale" (di cui al Capitolo VI
della Carta stessa), mentre la seconda concerne le azioni a tutela della pace, prescritte dal Capitolo VII, che possono essere attuate qualora il Consiglio di Sicurezza ravvisi "l'esistenza di
1 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite, CEDAM,
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una minaccia alla pace2 , di una violazione3 alla pace, o di un atto4 di
aggressione".5
Da una lettura attenta del disposto normativo appare estremamente chiaro il fatto che le situazioni di cui sopra, in primo luogo, siano drasticamente diverse, e, secondariamente, che le stesse non abbiano il medesimo grado di gravità.
Difatti, il primo caso (art. 33)6 inerisce esclusivamente a
situazioni di rischio meramente potenziale per la pace e sicurezza internazionale. Di tutt'altro avviso ed applicazione, è sicuramente l'art. 39, il quale delinea chiaramente un'"attualità" della minaccia, ovvero in casi più gravi ex post, una violazione della pace o della sicurezza internazionale.7
2 Il Consiglio di Sicurezza gode di un’ampia discrezionalità in merito alla
sussistenza in concreto di tali situazioni. Nell’opera di Conforti e Focarelli, emerge innanzitutto come sia possibile interpretare la "pace" sia in senso negativo come "l’assenza di conflitti di carattere inter-statale o interno" oppure in positivo come "l’insieme di circostanze politiche, sociali, ed economiche che impediscono l’insorgere di conflitti futuri". Per "minaccia alla
pace" si fa riferimento ad un evento vago, che, diversamente dalle altre due
ipotesi, si presta a ricomprendere sia circostanze belliche sia quelle che non fanno ricorso alla violenza.
3 La "violazione della pace" sussiste quando si stia svolgendo un conflitto
internazionale od interno, pur non acquisendo il livello di gravità che contraddistingue l’" atto di aggressione".
4 Per quanto concerne l’"atto di aggressione", la Dichiarazione dell’Assemblea
Generale del 74 fornisce un elenco di eventi qualificabili come aggressioni, tra cui, ad esempio, l’occupazione militare, i bombardamenti, il blocco di porti, pur non dovendo ritenere tale elenco tassativo e vincolante per il Consiglio di Sicurezza.
5 LEONARDO PASQUALI, Il contributo delle organizzazioni regionali al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale con mezzi non implicanti l’uso della forza, Giappichelli, Torino, 2012, p. 1; BENEDETTO CONFORTI,
CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite, CEDAM, 2015, pp. 234 ss.
6 "The parties to any dispute, the continuance of which is likely to endanger the maintenance of international peace and security, shall, first of all, seek a solution by negotiation, enquiry, mediation, conciliation, arbitration, judicial settlement, resort to regional agencies or arrangements, or other peaceful means of their own choice. The Security Council shall, when it deems necessary, call upon the parties to settle their dispute by such means.”
7 LEONARDO PASQUALI, Il contributo delle organizzazioni regionali al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale con mezzi non implicanti
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Quanto al discrimine che si può tracciare tra queste due ipotesi, si è discusso molto in dottrina, alcuni ritenendolo arduo8, altri complicato9, fino a qualificarlo come impossibile. 10
Dal punto di vista meramente teorico, il discrimine è dato dal tipo e grado di rischio a cui è sottoposta la pace, e di questo si ha, secondo Zambelli, conferma nella terminologia utilizzata dalla Carta: si parla, infatti, di "endanger" nell'art. 33, e di "threat" nell'art. 39.11
Dal punto di vista applicativo, appare pacifico sia ricomprendere nella nozione di minaccia attuale, tutte le azioni che siano caratterizzate dall'uso della forza armata, quali ad esempio le dichiarazioni di guerra e l'arruolamento delle truppe ai confini, sia ritenere sussistente un pericolo potenziale, qualora si intraveda la possibilità del ricorso alle armi tra Stati in conflitto.12 Rimane oggetto di controversia sia il grado di
probabilità di ricorso all'uso della forza sia il livello di intensità. La tesi che qualifica come pericolo potenziale le ipotesi in cui la probabilità della battaglia sia bassa ed il pericolo lontano, comporta il ricorso al Capitolo VII non solo quando si sono già verificati atti direttamente connessi con l'uso della forza, ma
l’uso della forza, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 1-2.
8 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite, CEDAM,
2015, p. 206.
9 HANSPETER NEUHOLD, Internationale Konflikte – verbotene und erlaubte Mittel ihrer Austragung, Springer, Vienna, 1977, p. 114, nota 202.
10 JOCHEN FROWEIN – NICO KRISCH, Chapter VII. Action with respect to Threats to the Peace, Breaches of the Peace, and Acts of aggression, in BRUNO
SIMMA, The Charter of the United Nations – A Commentary, vol. I, Oxford University Press, Oxford, 2002, par. 17.
11 MIRKO ZAMBELLI, La constatation des situations de l’article 39 de la Charte des Nations Unies par le Conseil de sécurité, Helbing & Lichtenhahn, Basilea,
2002, pp. 156-186.
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anche quando, stante un pericolo attuale e presente, vi è l'alta probabilità della loro realizzazione.13
Appare, dunque, opportuno dedurre, quale conseguenza logica, l'attribuzione al Consiglio di Sicurezza di un'ampia discrezionalità in ordine alla riconducibilità del caso di specie all'art. 33 piuttosto che all'art. 3914, come si può trovare
dimostrazione in numerose risoluzioni del Consiglio.
1.2. Le misure strumentali alla soluzione pacifica delle