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peacekeeping e dell'autorizzazione dell'uso della forza

Le disposizioni centrali relative alle competenze del Consiglio di Sicurezza per la conservazione della pace e sicurezza internazionale24 sono previste al Cap. VII e definiscono

il cosiddetto "sistema di sicurezza collettiva".25

Dalla lettura di questi disposti normativi emerge la facoltà del Consiglio di adottare sia misure implicanti l'uso della forza sia misure che, diversamente, non vi fanno ricorso. Queste ultime, disciplinate dall'art. 4126, presentano un carattere

sanzionatorio, in quanto adottate contro gli Stati in caso di violazione, minaccia della pace o di un atto di aggressione e sono oggetto di decisioni, ossia atti vincolanti per i destinatari.27

Volendo volgere lo sguardo alle misure implicanti l'uso della forza, volte ad assicurare la pace e la sicurezza internazionale, assumono, in merito, un ruolo rilevante le

24 Si tratta dell’obiettivo principale dell’Onu, stabilito all’art. 1 par. 1 che

prevede: "I fini delle Nazioni Unite sono:

1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace, e conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace."

25 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,

CEDAM, 2015, p. 234.

26 L’art. 41 prevede che "Il Consiglio di Sicurezza può decidere quali misure, non implicanti l’impiego della forza armata, debbano essere adottate per dare effetto alle sue decisioni, e può invitare i membri delle Nazioni Unite ad applicare tali misure. Queste possono comprendere un’interruzione totale o parziale delle relazioni economiche e delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, radio ed altre, e la rottura delle relazioni diplomatiche".

27 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,

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peacekeeping operations, pur non trovando queste un riconoscimento esplicito all'interno della Carta dell'ONU. Come infatti sostiene il Segretario Generale nell'Agenda for Peace, "peace-keeping can rightly be called the invention of the United

Nations".28

Più precisamente, lo sviluppo di queste operazioni è riconducibile, in termini causali, alla mancata applicazione degli articoli 42 e seguenti della Carta ONU, che disciplinano le cosiddette "misure implicanti l'uso della forza", cui il Consiglio di Sicurezza ricorre in caso di inadeguatezza ab origine o sopravvenuta delle misure non implicanti l'impiego della forza armata, disciplinate all'art. 41 della Carta.

L'art. 42 infatti prevede che "Se il Consiglio di Sicurezza

ritiene che le misure previste nell'art. 41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale", introducendo così un'azione di

polizia internazionale, esperibile direttamente da tale organo, tramite l'impiego di contingenti armati che, seppur nazionali, sono dal primo guidati e comandati.29

Le modalità di azione del Consiglio trovano una precisa definizione sia negli articoli 43, 44 e 45, che impongono agli Stati membri l'obbligo di stipulare accordi con il Consiglio al fine di fissare una serie di caratteristiche delle milizie, tra cui, ad

28 An Agenda for Peace: Preventive Diplomacy, Peacemaking and Peace-keeping, UN

Doc. A/47/277-S/24111, del 17 giugno 1992, par. 46.

29 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,

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esempio, il numero ed il livello di esperienza, sia negli articoli 46 e 47, che prevedono l'istituzione di un Comitato di Stato Maggiore, composto dai capi di stato maggiore dei cinque membri permanenti.30 Tuttavia, quest'ultimo non è mai stato

messo in funzione né sono stati, ad oggi, conclusi accordi di qualsivoglia natura, relativi alla messa a disposizione di contingenti militari. L'impedimento, in quest'ultimo caso, è conseguenza della paralisi del Consiglio di Sicurezza, verificatasi durante la Seconda guerra mondiale, dovuta all'esercizio del potere di veto da parte dei membri permanenti,31 e delle divergenze in merito all'entità,

composizione e stanziamento dei contingenti militari.32

Nonostante si sia verificata, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel complesso, un'evoluzione dell'attività svolta dall'Organizzazione e, in particolare, del Consiglio, al punto di poter inquadrare suddetto periodo come "rivitalizzazione" del Consiglio stesso, tale fase di rilancio non è stata sufficiente per l'applicazione delle suddette disposizioni.33

Ai fini, dunque, del perseguimento della pace e della sicurezza internazionale, il Consiglio di Sicurezza ha fatto ricorso a due modalità diverse, talvolta cumulandole. Da un lato, ha istituito le Forze delle Nazioni Unite (i noti caschi blu), composte da contingenti militari degli Stati membri, conferendo ad esse il potere di intraprendere le peacekeeping operations,

30 Ibid.

31 In particolare, da parte di Stati Uniti ed URSS.

32 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,

CEDAM, 2015, p. 306.

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gestite dall'Organizzazione tramite la figura del Segretario Generale. Dall'altro, ha autorizzato l'adozione di misure implicanti l'uso della forza da parte degli Stati membri, sia singolarmente sia nell'ambito delle organizzazioni regionali.34

La dottrina è solita intendere l'ambito applicativo di tali

peacekeeping operations con declinazioni estremamente ampie35,

utilizzando tale termine in senso non tecnico36, facendovi

rientrare anche le operazioni, condotte da coalizioni multinazionali su autorizzazione del Consiglio di sicurezza. E', dunque, necessario far chiarezza ed eliminare alcune ambiguità in ordine al vero e reale meaning delle due azioni.37 E' opportuno

infatti, stante la diversa natura delle due operazioni, delimitare la nozione di peacekeeping operations, essendo, quest'ultima, volta ad indicare le sole operazioni gestite ed intraprese direttamente dall'ONU tramite la figura del Segretario Generale e non anche quelle condotte da coalizioni multinazionali, su cui il Consiglio di Sicurezza esercita solo, in prima istanza un controllo meramente politico, e successivamente, un potere autorizzativo.38

34 MICAELLA FRULLI, Le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite: continuità di un modello normativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, p. 2. 35 Tra questi studi è opportuno menzionare quello di Picone, il quale ha

esaminato congiuntamente le operazioni di mantenimento della pace, propriamente dette, e le operazioni condotte da coalizioni multinazionali, al fine di valutare complessivamente la totalità delle trasformazioni operanti nell’ambito del mantenimento della pace e sicurezza.

36 Lo stesso Consiglio di Sicurezza ha contribuito a tale tendenza nel caso

dell’operazione intrapresa da una coalizione multinazionale guidata dall’Australia (INTERFET) per gestire la crisi scoppiata a Timor Est nel 1999, ai fini del ristabilimento dell’ordine pubblico, ed in secondo luogo, in prospettiva, il mantenimento della pace.

37 MICAELLA FRULLI, Le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite: continuità di un modello normativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, p. 4. 38 Ivi, p. 5.

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L'autorizzazione all'uso della forza, al pari delle

peacekeeping operations, non è espressamente prevista nella Carta

ONU, ed anzi, da questa si discosta, rispondendo, piuttosto, alla logica della delega. La Carta, invece, è informata ad una logica di sottrazione dell'uso della forza agli Stati, accentrandolo nel Consiglio.39 Nella prassi, invece, il Consiglio si limita alla mera

valutazione dei requisiti per la concessione dell’autorizzazione, essendo riservate alla competenza degli Stati la nascita dell’operazione militare, la sua gestione e il suo concreto svolgimento (c.d. coalitions of the willing). Ne deriva, dunque, un ampio dibattito in ordine alla compatibilità di questa misura con il modello centralizzato di gestione della forza armata previsto dal capitolo VII della Carta.40

Questo istituto si è sviluppato nella prassi, trovando un remoto precedente nella guerra in Corea del 1950 e manifestandosi nei suoi tratti essenziali negli anni Novanta in occasione dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq, quando il Consiglio con la ris. 678 (1990) autorizzò gli Stati membri dell’ONU «to use all the necessary means» al fine di ottenere la liberazione del Kuwait e ristabilire la pace e sicurezza internazionali nell’area del Golfo persico.41

39 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,

CEDAM, 2015, p. 321.

40 Delle varie opinioni che si sono susseguite in merito, una, ad esempio,

abbracciando un’interpretazione teleologica, considera le autorizzazioni dell’uso della forza un legittimo adattamento delle disposizioni della Carta relative alla sicurezza collettiva. Un’altra opinione, tra le tante, reputa il sistema delle autorizzazioni non estraneo alla logica della Carta, che all’art. 53 richiede l’autorizzazione del Consiglio per le azioni coercitive esperite dalle organizzazioni regionali.

41 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,

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Essendosi le peacekeeping operations sviluppate con modalità simili a quelle che hanno determinato l'autorizzazione all'uso della forza, si è riscontrata una difficoltà nel definire formalmente e precisamente tali operazioni. Come sostiene Ryan, «peacekeeping began as an unplanned response to a particular

set of problems at particular time».42 Essendosi, infatti, sviluppate

dalla consuetudine, e non già mediante un formale riconoscimento, esse si contraddistinguono, in un'ottica prettamente pragmatica ed empirica, per la capacità di affrontare le esigenze del caso concreto, stanti i propri caratteri di estrema elasticità, non dovendo soggiacere a qualsivoglia definizione ovvero delimitazione prescrittiva. In linea con tale flessibilità e duttilità, è la descrizione contenuta nel rapporto della Commissione Speciale per le operazioni di Peacekeeping del 18 giugno 1991,43 in cui si afferma che «peacekeeping operations

are an evolving concepts».

Tra gli organi delle Nazioni Unite, fu soprattutto il Segretario Generale44 ad esaminare l'attività di peacekeeping,

tentando di giungere ad una classificazione, senza però riuscire a soddisfare l'esigenza di chiarezza, e, finendo per ricomprendervi indistintamente tutte le varie e molteplici iniziative in materia di mantenimento della pace e sicurezza.45

42 STEPHEN RYAN, United Nations peacekeeping: A matter of principles?,

International Peacekeeping, vol. 7, 2000, p. 1.

43 UN Doc., A/46/254, 18 June 1991, UN Special Committee on peacekeeping

Operations, Comprehensive Review of the Whole Question of Peacekeeping

Operations in all their Aspects, par. 27 delle Conclusioni.

44 Il Segretario Generale si è occupato di tale analisi sia nel Rapporto del ‘92

intitolato "An Agenda for peace", più volte citato, sia in Supplement to an Agenda

for Peace del 1995.

45 MICAELLA FRULLI, Le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite: continuità di un modello normativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, p. 7.

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Solo grazie al noto Rapporto Brahimi46, pubblicato nel

2000, è stato possibile raggiungere maggior correttezza e convergenza nell'inquadramento normativo delle operazioni di

peacekeeping.47 All'interno di tale Rapporto, redatto da un gruppo

di esperti incaricati dal Segretario Generale, si introduce, al par. 12, una definizione in grado di avere contezza e coscienza dello sviluppo in ordine all'entità delle funzioni svolte dalle Forze di Pace: “Peacekeeping is a 50-year-old enterprise that has evolved

rapidly in the past decade from a traditional, primarily military model of observing ceasefires and force separations after inter-State wars, to incorporate a complex model of many elements, military and civilian, working together to build peace in the dangerous aftermath of civil wars".

Successivamente, il documento "United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines", pur non

distaccandosi molto dalla suddetta esposizione, ha formulato una definizione di peacekeeping in cui si ravvisa un connubio delle soluzioni prospettate, integrando le attività di peace-

making48, peacekeeping e peace-building49: “Peacekeeping is a

technique designed to preserve the peace, however fragile, where fighting has been halted, and to assist in implementing agreements

46 Report of the Panel on United Nations Peace Operations, UN Doc. A/55/305-

S/2000/809, 17 Agosto 2000.

47 MICAELLA FRULLI, Le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite: continuità di un modello normativo, Editoriale Scientifica, 2012, p. 8.

48 In Agenda for Peace, Boutros Boutros-Ghali definisce peace-making come un

"action to bring hostile parties to agreement, essentially through such peaceful means

as those foreseen in Chapter VI of the Charter of the United Nations". Gli strumenti

specifici per il peace-making sono stabiliti dall’art. 33 della Carta dell’Onu.

49 Boutros Boutros-Ghali, nel Rapporto del 1992, definisce il peace-building

come un "action to identify and support structure which will tend to strenghten

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achieved by the peacemakers. Over the years, peacekeeping has evolved from a primarily military model of observing cease-fires and the separation of forces after inter-state wars, to incorporate a complex model of many elements – military, police and civilian – working toge- ther to help lay the foundations for sustainable peace".50

È opportuno procedere ad una classificazione delle

peacekeeping operations, distinguendole e suddividendole in tre

generazioni, rendendo così possibile rilevare e sottolineare i loro tratti caratteristici in comune e quelli che, a seconda del momento storico e delle relative esigenze, hanno subìto modifiche fisiologiche e/o patologiche.51

Le operazioni di peacekeeping si sono svolte, anche se in numero minimo tra il 1945 e il 198752 ed hanno conosciuto un

notevole sviluppo, con un ampliamento delle competenze, a partire degli anni ’90.53

Il modello tradizionale delle operazioni di peacekeeping di "prima generazione" è costituito dall'UNEF I (United Nations

Emergency Force), istituita dall'Assemblea Generale nel 195654, al

fine di creare un mezzo di interposizione tra le parti in conflitto

50 United Nations Peacekeeping Operations: Principles and Guidelines, 2008, par.

18.

51 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,

CEDAM, 2015, p. 309.

52 Le principali sono state, ad esempio, l’UNEF (United Nations Emergency Force), istituita nel 1956 come forza cuscinetto tra Francia, Regno Unito e

Israele, da una parte, ed Egitto, dall’altra, operante nel Sinai; l’ONUC (Opération des Nations Unies au Congo) che operò nel 1960 in Congo per gestire lo stato di guerra civile in cui versava il Paese; l’UNFICYP (United Nations

Force in Cyprus) istituita nel 1964 a Cipro e l’UNIFIL (United Nations Interim Force in Lebanon) creata nel 1978 in Libano.

53 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,

CEDAM, 2015, p. 306.

54 UN Security Council Resolution n. 1001, Un Doc. S/RES/1001, 7 Novembre

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ed assicurare, nel caso concreto di cui alla crisi che ha interessato il Medio Oriente nel medesimo anno, così la cessazione di ostilità tra le truppe egiziane da un lato e le truppe francesi, britanniche ed israeliane dall'altro.55 L'Assemblea

incaricò il Segretario Generale Dag Hammarskjöld di tratteggiare gli indirizzi e direttive in ordine alla progettazione e funzionamento dell'operazione, ed è stato proprio grazie a questi rapporti, redatti dal Segretario Generale, che si è potuto delineare un modello normativo per tali operazioni.56 In

particolare, è nel suo elaborato "Summary Study of the Experience

derived from the Estabilishment and Operation of the Force", che egli

individua i tratti distintivi di questi interventi, il primo dei quali è dato dal consenso dello Stato, condizione necessaria per l'adempimento del mandato da parte della Forza.57

In secondo luogo, è necessario che l'Operazione sia composta da contingenti militari forniti dagli Stati membri, su base volontaria, attraverso accordi ad hoc stipulati tra le Nazioni Unite e gli Stati membri, distaccandosi così dalla disposizione della Carta, che prevede, invece, il conferimento al Consiglio, a titolo permanente, delle milizie.58

In terzo luogo, l'uso della forza a cui erano autorizzati ed a cui potevano far ricorso i contingenti militari non era illimitato

55 MICAELLA FRULLI, Le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite: continuità di un modello normativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, p. 11. 56 Ivi, p. 12.

57 "While the General Assembly is enabled to establish the Force with the consent of those parties which contribute units to the Force, it could not request the Force to be stationed or operate on the territory of a given country without the consent of the Government of that country", UN Doc. A/3289, par. 9.

58 MICAELLA FRULLI, Le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite: continuità di un modello normativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, p. 12.

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ed indiscriminato, ma circoscritto, preliminarmente, alla legittima difesa dei militari e, sostanzialmente, alla tutela della missione.59 Nella stesura dell'atto de quo sarebbe rientrato nel

concetto di legittima difesa, però, anche l'ipotesi in cui le milizie si fossero opposte ad eventuali tentativi volti ad ostacolare lo svolgimento del mandato, facendo ricorso alla forza.60

Ne consegue, infine, l'attribuzione alle operazioni di

peacekeeping dei connotati di imparzialità e neutralità, quale

corollario delle proprietà suesposte, dovendo tali missioni impedire la lesione dei diritti, pretese o posizioni delle parti in causa.61 Se questi principi e connotati informarono le operazioni

di "prima generazione", che furono precipuamente di carattere militare, limitandosi a risolvere i conflitti, il quadro mutò dopo la fine della guerra fredda, in quanto si è assistito ad un progressivo ampliamento di funzioni del peacekeeping, tanto da parlare di "operazioni multidimensionali".62 Queste operazioni,

definite di "seconda generazione", sono volte a perseguire, oltre ad obiettivi di carattere militare, anche scopi che attengono alla sfera civile, ovvero politico-sociale, come ad esempio il rimpatrio dei rifugiati, l'assistenza umanitaria, od operazioni

59 "The setting up of the Force should not be guided by the needs which would have existed had the measures been considered as a part of an enforcement action directed against a member country. There is an obvious difference between establishing the Force in order to secure the cessation of hostilities, with a withdrawal of forces, and establishing such a Force with a view to enforcing a withdrawal of Forces.”, UN

Doc. A/3289, par. 9.

60 MICAELLA FRULLI, Le operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite: continuità di un modello normativo, Editoriale Scientifica, Napoli, 2012, p. 14. 61 Ibid.

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volte al monitoraggio di elezioni politiche.63

Infine, le operazioni di "terza generazione", definite anche "peace-enforcement", mirano alla realizzazione della pace tramite l'esercizio di attività di carattere coercitivo. Esse traggono spunto dalle operazioni precedenti. In genere queste costituiscono lo sviluppo e l’ampliamento di quelle che non hanno perseguito la finalità per la quale sono state istituite a causa dell’inadeguatezza dei relativi mandati e per le impreviste circostanze sopraggiunte. Esse svolgono funzioni più estese rispetto alle operazioni di prima e seconda generazione, tra cui, principalmente, il disarmo coatto delle parti in conflitto, con la conseguente perdita dei requisiti tradizionali dell'imparzialità/neutralità e del consenso dello Stato.64 Parte

della dottrina65, proprio a causa dell'assenza di cooperazione, ha

ritenuto tale modello inconciliabile con quello di peacekeeping. Un esempio di operazione di peace-enforcement è dato dall'istituzione della "Brigata di intervento", un contingente militare da utilizzare contro i gruppi armati nella Repubblica Democratica del Congo.

A seguito degli insuccessi delle operazioni di peace-

63 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,

CEDAM, 2015, p. 310.

64 Ibid.

65 BOTHE, Peace-keeping and Use of Force-Back to the Charter or Political Accident?, International Peacekeeping, 1994, pp. 2 ss.; GEORGES ABI-SAAB, United Nations peace-keeping old and new: an overview of the issue, New

dimensions of peace-keeping, Dordrecht, 1995, p. 9. A favore della posizione secondo la quale un’operazione di peacekeeping può svolgere attività di

enforcement senza snaturare il modello originario, ELGIN CLEMONS, No peace to keep: Six and Three-Quarters peacekeepers, New York University Journal

Commission at its fifty-third session (2001) of International Law and politics, 1993, pp. 139 ss.

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enforcement di cui sono stati riportati vari esempi, quali le

spedizioni in Somalia nel 1992 e nell’ex Jugoslavia negli anni 1994-1995, ne è stata dedotta logicamente la difficoltà nell'impiego ed uso di tali Forze, indistintamente per cause di natura politica, militare, logistica etc. Alla luce di questi eventi, è emersa la tendenza del Consiglio, oltre che a procedere alle missioni più circoscritte di peacekeeping, anche ad autorizzare l'impiego diretto dei contingenti militari da parte degli Stati membri, sia a titolo individuale sia che nell'ambito di organizzazioni regionali, pur non essendovi un esplicito riconoscimento di tale potere nella Carta.66 L'unica previsione,

concernente "l'autorizzazione dell'uso della forza" è presente nel Capitolo VIII, volto ad attribuire un ruolo alle organizzazioni internazionali di carattere regionale in merito al mantenimento della pace e sicurezza internazionali.67

Infine, in astratto, la dottrina ha introdotto le missioni di "quarta generazione", cioè condotte da un esercito permanente delle Nazioni Unite, che, per ora, non è stato ancora istituito.68

66 BENEDETTO CONFORTI, CARLO FOCARELLI, Le Nazioni Unite,

CEDAM, 2015, p. 321.

67 Ivi, pp. 321-322. 68 Ivi, p. 310.

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2. Il quadro normativo delineato dal Capitolo VIII della